Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 16 marzo 2015, n. 1360
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9912 del 2009, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. An.Ga. e Pi.Re., con domicilio eletto presso l’avv. An.Ga. in Roma, Via (…);
contro
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA – -OMISSIS-: SEZIONE I n. 00645/2009, resa tra le parti, concernente SANZIONE DISCIPLINARE DELLA SOSPENSIONE DAL SERVIZIO PER SEI MESI.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2015 il Cons. Angelica Dell’Utri e uditi per le parti gli avvocati An.Li. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con decreto 11 giugno 2009 n. 333- D/26661 al signor -OMISSIS-, sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di -OMISSIS-, era irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi ai sensi dell’art. 6, n.1, ed in relazione all’art. 4, n. 4, del d.P.R. n. 737 del 1981, in quanto destinatario di atto di pignoramento della retribuzione e di ogni altro emolumento per debito portato da assegno bancario rimasto insoluto, tenuto conto che, pur a fronte di un lodevole comportamento in servizio e delle note caratteristiche positive, egli era già incorso in 11 sanzioni disciplinari per aver contratto debiti non onorati (non computando nel novero delle 11 la sospensione dal servizio per sei mesi la cui esecuzione era stata sospesa in sede giurisdizionale).
L’interessato ha impugnato il provvedimento davanti al TAR per il Friuli Venezia Giulia, che ha respinto il ricorso con sentenza 21 settembre 2009 n. 645 della sezione prima, non risultante notificata.
Con atto notificato il 4 dicembre 2009 e depositato il 10 seguente il Signor -OMISSIS- ha appellato detta sentenza.
Riassunte le doglianze di primo grado, a sostegno dell’appello ha dedotto i seguenti motivi:
1.- Il TAR ha disatteso perché privo di supporto normativo e giurisprudenziale il primo motivo, con cui lamentava la violazione del termine di conclusione del procedimento per il decorso di 99 giorni tra la proposta della Commissione di disciplina e la notifica del decreto, con conseguente estinzione del procedimento ai sensi dell’art. 120 del t.u. n. 3 del 1957. Ma egli aveva richiamato una pronuncia in proposito, fondata sul condivisibile principio per cui il dipendente non può essere sottoposto a tempo indeterminato alla potestà sanzionatoria. Sostenendo la natura ordinatoria ed interna della notifica significa omettere di tutelare il dipendente, laddove i superiori gerarchici potrebbero scegliere di omettere o ritardare la notifica stessa che, invece, conclude il procedimento. 2.- È stato disatteso, in considerazione del contesto in cui è stata avviata l’azione disciplinare ed in presenza di una condotta non immediatamente contestabile, anche il secondo motivo, con cui si deduceva che l’Amministrazione avesse avviato il procedimento senza darne immediata notizia all’interessato, in violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 737 del 1981. Invero, non si comprendono le ragioni per cui, nonostante la comunicazione dei fatti fosse transitata per tre uffici diversi, il dipendente non poteva essere avvisato prima della contestazione degli addebiti che la sua condotta poteva dar luogo a procedimento disciplinare, il quale è in realtà durato 14 mesi dalla notifica del pignoramento presso la Questura alla notifica del provvedimento.
3.- Errata è pure la decisione del TAR di considerare irrilevante la mancata presenza del difensore, che a suo avviso avrebbe potuto partecipare alla seduta della Commissione di disciplina benché l’Amministrazione avesse rifiutato di corrispondergli le spese di viaggio, ciò non costituendo legittimo impedimento. Egli, originario di Reggio Calabria, aveva nominato un collega di sua assoluta fiducia, in servizio a -OMISSIS- e l’art. 20 del d.P.R. n. 737 del 1981, nel consentire di nominare solo un collega, prevede che le mansioni difensive costituiscono a tutti gli effetti servizio, quindi non può dubitarsi che quel giorno il difensore doveva essere considerato in servizio in -OMISSIS-, onde le spese di viaggio dovevano essere poste a carico dell’Amministrazione, pena altrimenti l’arbitraria limitazione del diritto di difesa. Peraltro, lo stesso difensore aveva comunicato il giorno prima di non poter essere presente e chiedeva un breve rinvio per risolvere la questione; rinvio che ben poteva essere concesso senza compromettere alcunché.
Il Ministero dell’Interno si è formalmente costituito in giudizio ed ha depositato documenti.
All’udienza pubblica del 26 febbraio 2015 l’appello è stato introitato in decisione.
Ciò posto, la tesi sostenuta nel primo motivo si scontra col consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato in materia di sanzioni disciplinari a carico di dipendenti pubblici, secondo cui, ai fini del computo del termine di 90 giorni previsto dall’art. 120, co. 1, del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (decorrente dall’ultimo atto e trascorso il quale, senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto, il procedimento disciplinare si estingue), il medesimo termine di 90 giorni va calcolato con riferimento al momento di adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non al momento della notifica, la quale attiene alla fase dell’efficacia e non a quella del perfezionamento del provvedimento amministrativo; perfezionamento a cui deve invece ritenersi riferito il disposto del detto art. 120, co. 1 (cfr. Cons. St., sez. IV 13 giugno 2013 n. 3279, 2 novembre 2012 n. 5582 e 10 agosto 2007 n. 4392).
Se è vero infatti che il termine è parola è posto dalla norma allo scopo di evitare che il dipendente resti sottoposto ad un procedimento disciplinare pendente per un tempo indeterminato per effetto dell’inerzia dell’amministrazione, è altresì vero che proprio l’adozione del provvedimento sanzionatorio costituisce concreto esercizio – in tal senso va inteso il vocabolo “atto” nell’ambito della medesima norma – del relativo potere mediante la definizione del procedimento, il quale quindi non può più considerarsi pendente, mentre la notificazione, quand’anche tardiva, non ridonda sulla legittimità del provvedimento né, pertanto, è idonea ad incidere sulle garanzie di difesa dell’interessato, attenendo invece, come detto, all’integrazione dell’efficacia.
Anche il secondo motivo, nei limiti in cui è formulato, non può essere condiviso in relazione alla particolare tipologia dell’infrazione, insuscettibile di essere immediatamente rilevata e fatta constatare sul posto ed oralmente al responsabile dal superiore gerarchico in tal momento qualificatosi, ai sensi dell’invocato art. 12 del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, giacché, per poter essere inquadrata disciplinarmente, la notifica alla Questura dell’atto di pignoramento presso terzi della retribuzione necessitava dell’esame della posizione dell’interessato circa il debito non onorato, portato da un assegno bancario insoluto, protestato ed oggetto di precetto.
D’altro canto, a parte che il signor -OMISSIS- non poteva non conoscere tali circostanze, non può dirsi che il medesimo non abbia avuto rapida conoscenza dei correlati profili disciplinari, atteso il poco tempo trascorso tra la notifica in data 28 aprile 2008 alla Questura del pignoramento, la comunicazione del 27 maggio 2008 dell’apertura a suo carico dell’inchiesta disciplinare, con nomina del funzionario istruttore, e la notifica in data 4 giugno seguente della contestazione degli addebiti.
Sotto altro aspetto, nell’ambito del procedimento disciplinare, che si contesta aver avuto durata di 14 mesi (tra la detta notifica del pignoramento e la notifica in data 17 luglio 2009 del provvedimento di sospensione), il signor -OMISSIS- ha avuto modo di svolgere le più ampie difese, mentre la durata, che peraltro si è risolta in senso a lui certamente più favorevole rispetto all’iniziale destituzione, si spiega con le articolate vicende del procedimento stesso: la prima deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina in data 1° ottobre 2008, di proposta appunto di destituzione, è stata annullata con decreto 10 dicembre 2008 del -OMISSIS-, cui è seguita la rinnovazione degli atti del Consiglio, i cui membri sono stati oggetto di istanza di ricusazione, respinta con decreto 19 febbraio 2009 del -OMISSIS-, onde il giorno 11 marzo 2009 si è tenuta la prima riunione del Consiglio stesso ed il successivo 24 la seconda, all’esito della quale è stata proposta in pari data la sospensione dal servizio di sei mesi, decretata l’11 giugno 2009 dal -OMISSIS-.
Infine, neppure coglie nel segno il terzo ed ultimo motivo d’appello, diretto a contestare l’irrilevanza ritenuta dal TAR della mancata presenza del prescelto difensore alla citata seconda seduta del Consiglio; assenza motivata con il diniego di corresponsione del trattamento economico di missione da parte della Questura di -OMISSIS-, di appartenenza del difensore.
Come bene osservato prima dal Consiglio provinciale di disciplina e poi dal primo giudice, l’assenza del difensore può giustificare il rinvio della trattazione unicamente se deriva da un legittimo ed obiettivo impedimento, tale non essendo il predetto diniego di cui alla nota 20 marzo 2009 n. 1000/Pers./1.2.10 della Questura di -OMISSIS-, limitato all’aspetto economico e non implicante quello di svolgere l’attività di difensore, raggiungendo a proprie spese la città di -OMISSIS-. Peraltro, il diniego di trattamento economico di missione, motivato con richiamo al parere espresso in proposito dal Servizio T.E.P. e spese varie, a sua volta basato sulla mancanza di interesse per la p.a., è da ritenersi senz’altro definitivo, non suscettibile di soluzione positiva in caso di un “breve” rinvio.
In conclusione, l’appello si rivela infondato e va respinto.
Tuttavia la peculiarietà del caso consiglia la compensazione tra le parti delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Vittorio Stelo – Consigliere
Angelica Dell’Utri – Consigliere, Estensore
Roberto Capuzzi – Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Depositata in Segreteria il 16 marzo 2015
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