Palazzo-Spada

La massima
1. Se, invero, l’art. 10, comma 7, del d.P.R. n. 252 del 1998, alle lett. a) e b) prende in considerazione taluni provvedimenti dell’autorità giudiziaria da cui è possibile desumere l’esistenza del pericolo di condizionamento mafioso, l’effetto interdittivo della possibilità di stipulare contratti con la P.A. o di essere beneficiario di concessioni o erogazioni con onere a carico delle risorse pubbliche non discende, tuttavia, con carattere di automatismo dalla solo sussistenza di taluna delle situazioni elencate all’art. 10, comma 7, prima richiamato, ma si impone un’ulteriore fase istruttoria e momento valutativo che qualifichi la sussistenza in concreto del tentativo di infiltrazione mafiosa degli elementi elencati.

2. Se, invero, la pronunzia assolutoria non ha immediato effetto viziante ex post del provvedimento prefettizio – dovendo aversi riguardo al quadro indiziario esistente al momento in cui è stata assunta la misura interdittiva ed agli elementi in fatto ed in diritto allora nella disponibilità dell’amministrazione – essa , tuttavia, dà sostegno all’invocata necessità di una più approfondita ed articolata verifica in sede istruttoria della sussistenza degli estremi del tentativo di condizionamento mafioso agli effetti dell’adozione della provvedimento di polizia previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994.

3. Nel prudente bilanciamento fra la libertà di iniziativa dell’impresa e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico cui sono indirizzate le su richiamate norme di prevenzione, il complesso degli elementi sintomatici ed indiziari che emergano nella fase istruttoria che precede l’adozione del provvedimento debbono, quantomeno, configurarsi idonei, nella loro emergenza ed oggettiva potenzialità, ad indurre con efficienza casuale e con carattere di attualità la situazione di condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’impresa sottoposta a monitoraggio.

4. A fronte del contenuto liberatorio di talune informative e del carattere meramente ricognitivo di altre, si impone a maggior ragione a carico del Prefetto una motivata esternazione in merito all’idoneità dei fatti ad introdurre, sul piano dell’efficienza casuale e nell’attualità, le condizioni di un tentativo di infiltrazione mafiosa, cui far seguire le misura impeditiva del rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione.

CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE III

SENTENZA 15 gennaio 2013, n.204 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6062 del 2011, proposto dalla IBI s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Mario Sanino e Alfonso Erra, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Ministero dell’Interno – Prefettura di Napoli – U.T.G., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

– Regione Campania, rappresentata e difesa dall’avv. Lidia Buondonno, con domicilio eletto presso l’ Ufficio di rappresentanza della predetta Regione in Roma, via Poli,29;
– S.A.P.N.A. – Sistema Ambiente Provincia di Napoli s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. Bruno Cimadomo, con domicilio eletto presso l’ avv. Luca Savini in Roma, via Sabotino, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE I n. 01973/2011, resa tra le parti, concernente interdittiva antimafia;

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, della Regione Campania e di S.A.P.N.A. s.p.a;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2012 il consigliere Bruno Rosario Polito e uditi per le parti gli avvocati Erra, Sanino, Cimadomo e l’avvocato dello Stato Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per la Campania la I.B.I. s.p.a. impugnava chiedendone l’annullamento per dedotti motivi di legittimità il provvedimento interdittivo del Prefetto della Provincia di Napoli prot. n. I/123/Area 1 Ter Osp dell’11 ottobre 2010 emesso a carico della ricorrente IBI s.p.a. – unitamente agli atti ad esso preordinati e connessi – nonché la conseguente determinazione, di cui alla nota prot. SAPNA/2010/749 del 2 dicembre 2010, con cui la S.A.P.N.A. – Sistema Ambiente Provincia di Napoli s.p.a., ha disposto la risoluzione del rapporto contrattuale in essere con la società medesima, giusto atto concessorio del 22 ottobre 2010, per la gestione della discarica di Chiaiano, oltre che degli atti con cui la regione Campania ha comunicato l’intento di procedere alla selezione di altra impresa cui affidare la gestione dei servizi di manutenzione delle Centrali della zona Nolana e Santo Stefano e chiesto alla mandataria dell’a.t.i. Dondi s.p.a. – I.B.I. s.p.a., costituita per la gestione degli impianti di depurazione dell’area nolana e di Nocera Superiore, di procedere all’ estromissione della soc. I.B.I. dal raggruppamento.

Con sentenza n. 1973 del 2011 il T.A.R. per la Campania respingeva il ricorso.

Avverso detta sentenza ha proposto appello la soc. IBI ed ha contrastato le conclusioni del T.A.R., insistendo – anche in sede di note conclusionali e di replica – nei motivi articolati in prime cure di insussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento prefettizio, nonché di carenza e di contraddittorietà della relativa istruttoria, con effetto di invalidità in via derivata delle determinazioni adottate dalle amministrazioni locali

Resistono il Ministero dell’ Interno e la soc. S.A.P.N.A. che, con le rispettive memorie, hanno contraddetto i motivi di impugnativa e chiesto la conferma delle sentenza impugnata.

La Regione Campania si è costituita con atto meramente formale.

All’udienza del 23 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2. Va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata sia dal Ministero dell’Interno che dalla soc. S.A.P.N.A., sul rilievo che la ricorrente soc. I.B.I. si sarebbe limitata ad una mera riedizione dei motivi articolati avanti al T.A.R., senza introdurre argomenti e deduzioni a critica delle statuizioni del primo giudice.

In contrario a quanto eccepito nell’atto di appello sono articolati separati motivi avverso singoli capi della sentenza (che vengono riportati in termini) ed è diffusamente contraddetto l’ordine argomentativo e le considerazioni in diritto poste a sostegno della pronunzia di rigetto del ricorso.

3. Passando all’esame del merito il provvedimento interdittivo emesso dal Prefetto della Provincia di Napoli ai sensi degli artt. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994 e 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 – cui ha fatto seguito l’effetto consequenziale di risoluzione del rapporto contrattuale con la soc. S.A.P.N.A. per la gestione delle discarica di Chiaiano – ha tratto in via principale fondamento nel riscontro, in esito all’istruttoria compiuta dai diversi organi di polizia, nell’avvenuto rinvio a giudizio dei sig.ri Alessandra D’Amico e Antonio D’Amico, rispettivamente amministratore unico e socio di maggioranza della soc. I.B.I., per fatti risalenti al 2003 consistenti nell’avere, in associazione con altri soggetti appartenenti alla società P.T.S. Costruzioni (raggiunta il 17 dicembre 2007 da provvedimento interdittivo ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998), posto in essere comportamenti sanzionati dagli arti. 51 e 53 bis del d.lgs. n. 22 del 1997 (ora rispettivamente art. 256 e 260 del d.lgs. n. 152 del 2006) di illecita gestione di un ingente quantitativo di rifiuti, abbandonati ed interrati presso il sito destinato alla costruzione della quarta vasca della discarica in località Bellolambo, in base ad appalto affidato alla soc. I.B.I., nonché per l’affidamento in sub appalto alla predetta società P.T.S. Costruzioni di parte delle opere di realizzazione dell’invaso, in violazione dell’art. 21 della legge n. 646 del 1982, .

Il T.A.R., nel respingere il ricorso, ha valorizzato la circostanza che l’art. 10, comma 7, del d.P.R. n. 252 del 1998, prevede che “le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono (tra l’altro) desunte” da provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva, per taluno dei reati presi in considerazione dall’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale.

Fra le diverse figure di reato contemplate dalla disposizione da ultimo menzionata è compreso l’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 (già previsto nei medesimi termini dall’art. 53 bis del d.lgs. n. 22 del 1997) che sanziona le “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”. per il quale i sig.ri Alessandra D’Amico e Antonio D’Amico erano stati tratti a suo tempo in giudizio nel.

La società appellante fondatamente contesta la conclusione cui è pervenuto il primo giudice di considerare come espressione ex sé del tentativo di infiltrazione mafiosa il rinvio a giudizio dell’ amministratore unico e del socio di maggioranza della soc. I.B.I. per il reato previsto dall’art. 260 del d.lgs. n. 252 del 2006, indipendentemente da ogni ulteriore valutazione discrezionale del Prefetto in ordine alla sussistenza, su un piano di attualità e di effettività, di una situazione di permeabilità o condizionamento delle scelte e degli indirizzi della soc. I.B.I. da parte della criminalità organizzata

Se, invero, l’art. 10, comma 7, del d.P.R. n. 252 del 1998, alle lett. a) e b) prende in considerazione taluni provvedimenti dell’autorità giudiziaria da cui è possibile desumere l’esistenza del pericolo di condizionamento mafioso, l’effetto interdittivo della possibilità di stipulare contratti con la P.A. o di essere beneficiario di concessioni o erogazioni con onere a carico delle risorse pubbliche non discende, tuttavia, con carattere di automatismo dalla solo sussistenza di taluna delle situazioni elencate all’art. 10, comma 7, prima richiamato (nella specie rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006), ma si impone un’ulteriore fase istruttoria e momento valutativo che qualifichi la sussistenza in concreto del tentativo di infiltrazione mafiosa degli elementi elencati

Sul punto il provvedimento impugnato si configura carente sul piano motivazionale ed istruttorio, essendosi limitato ad una stretta ricognizione dell’imputazione del fatto reato e dell’ avvenuto rinvio a giudizio, mentre la soc. I.B.I. oppone l’esistenza di una pluralità di elementi (carattere isolato del fatto addebitato a soggetti incensurati; insussistenza degli estremi di un traffico ingente di rifiuti agli effetti del reato prefigurato dal’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, anche in relazione alle valutazioni della Corte di Cassazione, in sede di giudizio sulle misure cautelari, in merito ad una più esatta qualificazione delle fattispecie criminosa; non immanenza del tentativo di ingerenza nell’iniziativa di impresa, trattandosi di fatti risalenti al 2003) su cui doveva attestarsi la valutazione del Prefetto ai fini del giudizio prognostico sul pericolo di condizionamento mafioso.

L’ordine argomentativo dell’appellante trova conforto nella circostanza che in prosieguo è intervenuta sentenza del Tribunale di Palermo n. 4470 del 2011, che ha assolto gli appartenenti alla soc. I.B.I. dall’imputazione per il predetto reato perché il fatto non sussiste.

Se, invero, la pronunzia assolutoria non ha immediato effetto viziante ex post del provvedimento prefettizio – dovendo aversi riguardo al quadro indiziario esistente al momento in cui è stata assunta la misura interdittiva (11 ottobre 2010) ed agli elementi in fatto ed in diritto allora nella disponibilità dell’amministrazione – essa , tuttavia, dà sostegno all’invocata necessità di una più approfondita ed articolata verifica in sede istruttoria della sussistenza degli estremi del tentativo di condizionamento mafioso agli effetti dell’adozione della provvedimento di polizia previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994.

Quanto precede trova ulteriore conforto nel contesto temporale (2003) in cui si collocano i fatti che hanno dato luogo al procedimento penale, nonché il rapporto di sub appalto con la soc. P.T.S. Costruzioni rispetto al momento (11 ottobre 2010) di adozione della misura interdittiva.

Osserva il collegio che non è in discussione la sfera di discrezionalità di cui dispone il Prefetto nella ricerca e ponderazione degli elementi dai quali possa dedursi, nel quadro della disciplina dettata dagli artt. 4, comma 4, del d.lgs. n. 490 del 1994 e 10 del d.lgs. n, 252 del 1998, l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società ed imprese con le quali le pubbliche amministrazioni stipulano contratti o nei cui confronti autorizzano o comunque consentono concessioni o erogazioni.

Tuttavia – nel prudente bilanciamento fra la libertà di iniziativa dell’impresa e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico cui sono indirizzate le su richiamate norme di prevenzione – il complesso degli elementi sintomatici ed indiziari che emergano nella fase istruttoria che precede l’adozione del provvedimento debbono, quantomeno, configurarsi idonei, nella loro emergenza ed oggettiva potenzialità, ad indurre con efficienza casuale e con carattere di attualità la situazione di condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’impresa sottoposta a monitoraggio.

Nella specie, stante il riferimento a fatti che si qualificano remoti nel tempo, nessun elemento è introdotto in motivazione in ordine all’esistenza con carattere di prossimità, attualità ed immanenza del pericolo di infiltrazione mafiosa al momento dell’affidamento della commessa pubblica ed a cui possa fare seguito la preclusione delle sua esecuzione. Tantomeno sono introdotti elementi che medio tempore, nel lasso temporale che intercorre fra il 2003 ed il 2010, possano avvalorare la conclusione cui è pervenuto il provvedimento prefettizio (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 684 del 10 febbraio 2010).

Quanto precede vale, in particolare, per i rapporti della società appellante con la soc. P.T.S. Costruzioni (raggiunta nel 2007 da interdittiva antimafia), che restano circoscritti al 2003/2004 e ad un singolo rapporto contrattuale, qualificato con sub appalto, mentre in prosieguo e fino al momento di emissione dell’informativa prefettizia, non è indicato – né è emerso nella fase istruttoria – alcun elemento, anche sul piano solo indiziario, che possa essere espressione di una contiguità, comunanza e/o cointeressenza di iniziative di impresa fra l’appellante società I.B.I. e la soc. P.T.S., alle quali possano ricondursi elementi indiziari di un tentativo di condizionamento mafioso.

Del resto nella fase istruttoria che ha preceduto l’adozione dell’informativa impugnata non emergono valutazioni circa la sussistenza nell’attualità nei confronti della soc. I.B.I. di elementi rilevanti sotto il profilo cautelare antimafia, che sono esclusi nei pareri del GICO della Guardia di Finanza, del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli, della Questura di Napoli, mentre la Direzione Investigativa Antimafia ha prodotto elementi ricognitivi.

Al fronte del contenuto liberatorio di talune informative e del carattere meramente ricognitivo di altre, si imponeva a maggior ragione a carico del Prefetto una motivata esternazione in merito all’idoneità dei fatti risalenti al 2003 ad introdurre, sul piano dell’efficienza casuale e nell’attualità, le condizioni di un tentativo di infiltrazione mafiosa, cui far seguire le misura impeditiva del rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 684 del 10 febbraio 2010).

Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto – restando assorbito ogni altro motivo non esaminato – e, in riforma della sentenza impugnata, va annullata l’informativa del Prefetto delle provincia di Napoli emessa l’ 11 ottobre 2010.

L’invalidità del provvedimento prefettizio si riflette in via derivata sulla determinazione della soc. S.A.P.N.A., comunicata alla soc. I.B.I. con nota del 2 dicembre 2012, di risoluzione del rapporto concessorio di gestione della discarica di Chiaiano, e di ogni altro atto impugnato che, con carattere vincolato e dovuto, ha fatto seguito dell’informativa del Prefetto che, ai sensi degli artt. 4, comma 4, del d.lgs. n. 490 del 1994 e 10 del d.lgs. n, 252 del 1998, riveste carattere tipico.

In relazione ai particolari profili della controversia sussistono i presupposti per le compensazione fra le parti di spese ed onorari per i due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti con esso impugnati nei termini indicati in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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