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Richiamano al riguardo l’orientamento secondo cui, pur rappresentando l’ordine di demolizione un atto rigidamente vincolato, il destinatario deve tuttavia essere posto in condizione di interloquire con l’amministrazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sua adozione.
Se l’amministrazione – proseguono gli appellanti – avesse comunicato loro l’avvio del procedimento in parola, essi avrebbero potuto rappresentare: i) la risalenza nel tempo degli abusi realizzati dalla loro comune dante causa; ii) il legittimo affidamento riposto nella mancata adozione di provvedimenti repressivi da parte dell’autorità; iii) il contegno contraddittorio serbato dal Comune di (omissis), il quale aveva continuato nel corso degli anni ad introitare i tributi locali per l’immobile in parola, in tal modo rafforzando il convincimento circa la mancata attivazione dei poteri repressivi.
In secondo luogo gli appellanti lamentano che il primo Giudice abbia trascurato di rilevare l’omessa indicazione, da parte del Comune, delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione del manufatto (interesse – questo – che non potrebbe coincidere con quello al puro e semplice ripristino della legalità, anche in considerazione del notevole lasso temporale trascorso fra la realizzazione dell’abuso e l’attivazione del potere repressivo e dello stato di legittimo affidamento ormai maturato dagli appellanti).
In particolare il Comune avrebbe avuto l’onere di motivare puntualmente circa l’interesse pubblico in parola, anche in considerazione: i) della data di ultimazione dell’abuso, assai risalente nel tempo; ii) della non coincidenza soggettiva fra il responsabile dell’abuso (la defunta madre degli appellanti) e gli attuali proprietari; iii) della protratta inerzia della P.A. nell’assicurare la propria risposta sanzionatoria.
E ancora gli appellanti lamentano che il primo Giudice abbia omesso di tenere in adeguata considerazione i chiarimenti forniti con la sentenza della Quarta Sezione di questo Consiglio 4 febbraio 2014, n. 1016, con la quale si è stabilito che uno stato di affidamento incolpevole in capo al proprietario del manufatto abusivo sia comunque configurabile: i) qualora l’abuso non sia stato commesso dall’attuale proprietario; ii) qualora l’alienazione in suo favore non sia avvenuta al fine di eludere il successivo esercizio dei poteri repressivi; iii) qualora fra la realizzazione dell’abuso e l’attivazione dei poteri repressivi sia intercorso un notevole lasso di tempo.
Gli appellanti osservano poi che il Comune appellato fosse certamente al corrente dell’esistenza del manufatto e degli abusi colà commessi sin dal momento in cui (ottobre 1982) lo stesso era stato sottoposto a sequestro giudiziario e affidato in custodia al Corpo di Polizia Locale.
Ad ogni modo il primo Giudice avrebbe omesso di considerare che, anche in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso e del dissequestro dell’immobile disposto contestualmente alla condanna in sede penale della responsabile dell’abuso, era sorta in capo agli appellanti “una ragionevole presunzione che non sussistessero più irregolarità da perseguire” (ricorso in appello, pag. 12).
Con un ulteriore argomento gli appellanti lamentano la mancata considerazione da parte del Comune (e in seguito da parte del primo Giudice) del fatto che altra porzione del medesimo corpo di fabbrica fosse stata ammessa a una concessione in sanatoria già nel febbraio del 2008 (e la concessione in sanatoria era stata rilasciata nonostante il fatto che l’area fosse interessata da vincolo paesaggistico, fosse inclusa nel perimetro delle aree a rischio idrogeologico e fosse sottoposta a misure di salvaguardia ai sensi dell’articolo 17, comma 6-bisdella l. 18 maggio 1989, n. 183 – ‘Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolò -).
Ed ancora, il Comune e il primo Giudice avrebbero omesso di considerare che nel marzo del 2012 l’area su cui sorge l’immobile per cui è causa era stata declassificata, in relazione al rischio idrogeologico, dal (più elevato) livello R4 al (meno elevato) livello R2.
Secondo gli appellanti, quindi, risultando ormai ridotto il rischio di esondazione che aveva in precedenza caratterizzato l’area, non residuerebbero ragioni di pubblico interesse alla rimozione dei fabbricati colà esistenti.
Con un terzo ordine di motivi gli appellanti lamentano che il primo Giudice abbia erroneamente respinto il motivo con cui si era lamentata la mancata ponderazione, in sede di emissione dell’ordinanza ingiunzione, degli effetti della demolizione sulle parti legittimamente realizzate dell’edificio, così come la mancata verifica della possibilità di irrogare – in alternativa alla misura della demolizione – una sanzione pecuniaria, conformemente alla previsione di cui all’articolo 34, comma 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (in precedenza: articolo 12 della l. 28 febbraio 1985, n. 47).
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