CONSIGLIO DI STATO
ADUNANZA PLENARIA
SENTENZA 6 luglio 2015, n.6
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3 di A.P. del 2015, proposto da: Comune di Pian Camuno, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giampaolo Cassio e Giorgio Allocca, con domicilio eletto presso Giorgio Allocca in Roma, Via G. Nicotera, 29;
contro
Carbofer Srl e Carbofer Tecnologie Spa, rappresentati e difesi dagli avv. Giancarlo Tanzarella, Paolo Panariti, con domicilio eletto presso Paolo Panariti, in Roma, Via Celimontana, 38;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 00598/2014, resa tra le parti, con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso di primo grado, con condanna del Comune di Pian Camuno a “corrispondere alla ricorrente Carbofer S.r.l. l’importo di euro 263.830,90 e alla ricorrente Carbofer Tecnologie S.p.a. l’importo di euro 43.901,70, in entrambi i casi con interessi legali dal 26 settembre 2007 al saldo”.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Carbofer Srl e di Carbofer Tecnologie Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 maggio 2015 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Allocca, e Tanzarella.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
1. La società Carbofer Tecnologie S.p.a., sulla base di un contratto di affitto di azienda stipulato l’11 aprile 1997 con la società Carbofer S.r.l., gestisce uno stabilimento per la lavorazione del carbone e della vergella nel Comune di Pian Camuno. Con atti successivi, il contratto è stato prorogato fino al 31 dicembre 2015. Le aree che compongono lo stabilimento e le sue pertinenze sono di proprietà delle ricorrenti a eguito di una pluralità di atti negoziali succedutisi nel tempo fra il 2004 e il 2005.
2. Le aree interessate dal giudizio, individuate dal mappale nr. 3786, inedificate, erano classificate dal P.R.G. del 1989 in zona D3 (“industriale/artigianale di ampliamento”), mentre le altre aree ospitanti le strutture dello stabilimento produttivo erano classificate in zona D1 (“industriale esistente di completamento”). Mentre in zona D1 era ammessa l’edificazione diretta, in zona D3 l’edificazione era consentita con la previa predisposizione di piano attuativo.
3. Il Comune, con deliberazioni consiliari nr. 24 del 5 agosto 1997 e nr. 34 del 6 novembre 1997, ha rispettivamente adottato e approvato una variante urbanistica semplificata che assoggettava a piano di lottizzazione d’ufficio tutto il comparto produttivo in questione (comprese le aree originariamente comprese in zona D1), per conseguire l’obiettivo di una rinnovata zona artigianale con esclusione delle industrie inquinanti.
Contestualmente è stato adottato e approvato il vero e proprio Piano di lottizzazione (P.L.U.) con le relative norme tecniche, l’individuazione dei lotti e delle aree a standard, l’elenco delle urbanizzazioni e lo schema della convenzione urbanistica.
Oltre ad aree di terzi, il perimetro della lottizzazione ha compreso la superficie dello stabilimento produttivo delle società sopra menzionate e le aree pertinenziali in edificate. La motivazione di questa scelta urbanistica è stata identificata nell’esigenza di rimediare allo stato di abbandono in cui si trovavano tanto le strutture produttive già insediate quanto le aree libere utilizzate in precedenza come deposito industriale.
4. Contro la nuova disciplina urbanistica hanno presentato separati ricorsi Carbofer S.r.l. e altri proprietari.
Il T.A.R. della Lombardia, sezione di Brescia, con sentenze nr. 1592 e 1593 del 19 dicembre 2001, e poi ancora con sentenza nr. 132 del 10 febbraio 2003 (quest’ultima su ricorso di Carbofer S.r.l.), ha annullato l’intero Piano di lottizzazione.
Nelle citate pronunce si è affermato, da un lato, che non sussistevano i presupposti della procedura di variante semplificata, e, dall’altro, che lo strumento del Piano di lottizzazione d’ufficio era stato arbitrariamente applicato ad aree già urbanizzate al fine di riconvertire le attività produttive site sul territorio comunale.
5. La presenza del Piano di lottizzazione d’ufficio ha condizionato anche lo sviluppo dell’attività dello stabilimento produttivo.
Più precisamente, il Comune con provvedimento del responsabile dell’Ufficio Tecnico nr. 978 del 1 marzo 2000, ha negato a Carbofer Tecnolgie S.p.a. la concessione edilizia per la ristrutturazione di un capannone finalizzata allo svolgimento di nuove lavorazioni, motivando tale decisione con il fatto che la nuova disciplina urbanistica consentiva soltanto l’artigianato e l’industria leggera, e dunque non ammetteva più la lavorazione e lo stoccaggio di rifiuti siderurgici.
6. Carbofer Tecnologie S.p.a. ha impugnato il diniego. Il T.A.R. della Lombardia, con sentenza nr. 133 del 10 febbraio 2003, ne ha disposto l’annullamento richiamando l’annullamento della lottizzazione sancito dalle pronunce sopra indicate.
7. In esecuzione del vincolo espropriativo derivante dal P.L.U., il Comune, con decreto dirigenziale del 31 agosto 2000, ha disposto l’occupazione d’urgenza di una piccola porzione (6 % circa) della superficie di proprietà della società Leasimpresa S.p.a., utilizzata da Carbofer S.r.l.
Quest’ultima società ha proposto impugnazione, e il T.A.R. adito, con la già citata sentenza nr. 132 del 2003, in conseguenza dell’annullamento della lottizzazione, ha disposto l’annullamento anche del decreto di occupazione d’urgenza.
8. Il Comune ha comunque effettuato l’occupazione d’urgenza e realizzato integralmente le opere di urbanizzazione previste per il nuovo comparto, tra cui le fognature, le strade e i marciapiedi. 9. Mentre erano pendenti, in primo grado o in appello, i giudizi sulla lottizzazione d’ufficio e sugli atti consequenziali, il Comune, dapprima con deliberazioni consiliari nn. 12, 14 e 15 del 14 maggio 2002, poi con deliberazioni consiliari nn. 34 e 35 del 15 luglio 2002, e infine con deliberazioni consiliari nn. 48 e 49 del 25 settembre 2002, preso atto dell’annullamento in primo grado del P.L.U. e dell’intervenuta realizzazione delle opere di urbanizzazione, ha modificato la zonizzazione ampliando la zona D3 e riducendo la zona D1, dove (una volta caduto il P.L.U.) era tornata possibile l’edificazione diretta; nella zona D1 sono state, inoltre, localizzate alcune aree a standard destinate a verde pubblico e parcheggio, corrispondenti in parte alle porzioni di superficie che erano state occupate sulla base del P.L.U.
Il vincolo a verde pubblico è stato, inoltre, posto su un’area di Carbofer Tecnologie S.p.a. che risultava già edificata e occupata da capannoni dello stabilimento produttivo.
La Regione Lombardia ha approvato la variante con delibera di Giunta del 14 luglio 2003.
10. Contro la predetta variante le società citate e altri proprietari, hanno proposto separati atti di impugnazione.
Il T.A.R. della Lombardia, riuniti i ricorsi, con sentenza nr. 404 del 6 aprile 2004, ha ritenuto complessivamente legittime le scelte urbanistiche del Comune, ma ha annullato la variante nella parte in cui aveva previsto il vincolo di verde pubblico su un’area già edificata.
11. In relazione agli appelli proposti avverso tutte le sentenze fin qui citate questa Sezione, preso atto del Piano di Governo Territoriale (P.G.T.) medio tempore approvato, ha dichiarato i giudizi improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, annullando senza rinvio le pronunce del T.A.R. Brescia (cfr. le sentt. nn. 3534, 3533, 3538 e 3537 del 3 giugno 2010).
12. Ha osservato la Sezione che la medesima previsione urbanistica oggetto della variante è stata inserita nel P.G.T. adottato con deliberazione consiliare nr. 49 del 26 settembre 2007 e approvato con deliberazione consiliare nr. 13 del 15 marzo 2008.
Avverso la reiterazione dei vincoli così disposta la Carbofer S.r.l. ha proposto dinanzi al T.A.R. della Lombardia un ulteriore ricorso, allo stato non ancora definito.
13. Con ricorso notificato nel 2011, Carbofer S.r.l. e Carbofer Tecnologie S.p.a. hanno chiesto la condanna del Comune di Pian Camuno al risarcimento dei danni che hanno assunto essere stati causati dalla pianificazione urbanistica relativa agli anni 1997-2007, ossia a partire dall’adozione del P.L.U. e fino all’adozione del nuovo P.G.T. (per il periodo successivo una domanda di risarcimento è stata formulata nell’ultimo ricorso proposto, unitamente a quella di annullamento).
14. Con la sentenza qui gravata, in parziale accoglimento del ricorso, il Comune di Pian Camuno è stato condannato a “corrispondere alla ricorrente Carbofer S.r.l. l’importo di euro 263.830,90 e alla ricorrente Carbofer Tecnologie S.p.a. l’importo di euro 43.901,70, in entrambi i casi con interessi legali dal 26 settembre 2007 al saldo”.
In particolare, il Primo Giudice non ha accolto la richiesta di risarcimento del danno per mancato guadagno, in considerazione della mancanza della prova che con la precedente destinazione urbanistica lo stabilimento produttivo si sarebbe potenziato nella progressione descritta dalle parti istanti; detta considerazione, tuttavia, non ha condotto a respingere l’istanza delle originarie ricorrenti, in quanto per altra via il giudice di prime cure ha ritenuto di accogliere in via parziale la domanda risarcitoria sul presupposto che il controverso P.L.U. ha creato “una situazione di incertezza pregiudizievole per le ricorrenti”.
15. Con l’odierno appello, il Comune di Pian Camuno insorge avverso tale decisione, ritenendola erronea, ingiusta, lesiva degli interessi e delle prerogative del Comune stesso e meritevole di riforma per una pluralità di motivi; del pari, la medesima sentenza forma oggetto di impugnazione incidentale da parte delle originarie ricorrenti, che ne evidenziano la erroneità per altre e diverse ragioni, lamentando in particolare la erronea quantificazione del risarcimento del danno emergente, del lucro cessante e del danno non patrimoniale, effettuata dal T.A.R., nella parte in cui non ha dato pieno ristoro al danno asseritamente subito dalle società istanti.
16. Con separata sentenza parziale, il Consiglio ha respinto il primo motivo di appello, col quale era stata riproposta l’eccezione – respinta dal primo giudice – di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione attiva, in ragione dell’assenza (almeno in origine) di un titolo proprietario in capo alle società istanti e/o dell’asserita assenza di attività produttiva in atto.
17. Quanto al secondo motivo di appello, si è preso atto che esso si articola in due distinte subcensure con le quali si reiterano, rispettivamente, l’eccezione di irricevibilità dell’azione per inosservanza del termine decadenziale di cui all’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., e l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento.
18 La Sezione rimettente, preso atto della priorità logica della prima sub-censura e della sussistenza in merito di divergenze ermeneutiche, ha rimesso al vaglio di quest’Adunanza Plenaria la soluzione del quesito relativo all’applicabilità del citato termine decadenziale alle controversie relative a illeciti consumati in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.
All’udienza del 27 maggio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione
DIRITTO
1. L’ Adunanza Plenaria è chiamata a risolvere il problema interpretativo relativo all’applicabilità del termine decadenziale previsto dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, agli illeciti consumati in epoca anteriore a detto jus superveniens.
2. Sul punto si è registrata una contrapposizione tra una tesi maggioritaria che, facendo leva sul principio dell’inapplicabilità retroattiva di una disciplina limitativa del diritto di azione, conclude per la risposta negativa (Cons. Stato, sez. VI, 4 febbraio 2014, n. 524; id., sez. III, 22 gennaio 2014, n. 297; id., sez. V, 29 novembre 2011, n. 6296), e un’opzione ermeneutica che approda a soluzione antitetica in applicazione del principio processuale tempus regit actum (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2635).
3. Questo Collegio reputa che molteplici argomenti conducano ad avallare la soluzione abbracciata dalla giurisprudenza maggioritaria.
3.1. Si deve muovere dalla considerazione che l’introduzione di un termine di decadenza di centoventi giorni – decorrente, a seconda dei casi, dalla verificazione del fato lesivo o dalla conoscenza del provvedimento dannoso – costituisce un’innovazione legislativa rispetto al regime prescrizionale quinquennale, ex art. 2947 c.c., operante in epoca precedente a parere di un pacifico indirizzo interpretativo.
Detta innovazione si risolve in una compressione del potere di azione giudiziale in quanto dà la stura a una significativa e singolare restrizione della cornice temporale entro la quale è dato agire in giudizio nei confronti dei soggetti titolari di un potere pubblico, con la creazione di una causa di estinzione anticipata della pretesa risarcitoria.
Tali essendo le caratteristiche della novità normativa, si deve convenire con l’assunto del Primo giudice secondo cui i principi generali stabiliti dalle preleggi, in materia di efficacia delle leggi nel tempo (art. 11) e di portata applicativa di norme eccezionali (articolo 14), impediscono, in assenza di una prescrizione esplicita in tal senso, l’applicazione retroattiva di una reformatio in peius a fattispecie sostanziali anteriori, senza che assuma rilievo l’epoca della proposizione del ricorso.
Non vale al riguardo invocare l’applicabilità alle norme processuali innovative del principio processuale tempus regit actum, in quanto nella specie non viene in rilievo un termine schiettamente processuale ma una fattispecie mista, qualificabile, al pari delle decadenze regolate dal codice civile (art. 2964), come istituto sostanziale a rilievo processuale, naturaliter operante solo per i fatti posteriori alla novità normativa.
Va soggiunto che, in ogni caso, l’individuazione, per i fatti anteriori, di un exordium del termine decadenziale coincidente con l’entrata in vigore del codice si tradurrebbe, in assenza di una qualsiasi base normativa, non già nell’estensione del termine decadenziale di legge, ancorato alla verificazione del fatto lesivo, ma nella creazione di un termine decadenziale di matrice pretoria, caratterizzato da un diverso dies a quo. Risulta pertanto confermato che il perfezionamento della fattispecie sostanziale, in un torno di tempo anteriore all’entrata in vigore della normativa processuale, impedisce in modo irrimediabile l’applicazione del termine decadenziale.
Rinviandosi al prosieguo per ulteriori considerazioni al riguardo, si deve osservare che l’introduzione di una preclusione, fondata sulla manipolazione esegetica della struttura e della portata della norma, finirebbe per frustrare in modo irragionevole e imprevedibile le aspettative di tutela e il legittimo affidamento in merito all’operatività della disciplina ratione temporis vigente, così arrecando un significativo vulnus ai principi costituzionali, comunitari ed europei in tema di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale.
Si deve a questa stregua escludere che detta soluzione dell’inapplicabilità retroattiva dello ius superveniens produca un’irragionevole disparità di trattamento, in quanto è consustanziale al sistema della successione delle leggi nel tempo la differenziazione di regime derivante da ogni novità normativa, in una con la non estensione retroattiva delle disposizioni che producano una modifica peggiorativa dell’assetto regolatorio precedente.
3.2. La soluzione proposta è confermata dal disposto dell’articolo 2 dell’Allegato 3 al Codice, secondo cui “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”.
La tesi dell’applicabilità di detta norma di salvaguardia anche alla fattispecie in esame- caratterizzata non dalla successione di leggi processuali ma dalla sostituzione di un termine sostanziale di prescrizione con un regime decadenziale di matrice sostanziale ma a rilievo processuale – è confortata dalle seguenti, concomitanti considerazioni:
-l’onnicomprensività del riferimento letterale a ogni tipo di termine non consente una differenzazione di regime a seconda della natura processuale, sostanziale o mista dei termini in rilievo;
-l’adesione a un’opzione diversa, importando l’applicazione retroattiva del nuovo regime più sfavorevole, colliderebbe con i canoni costituzionali, comunitari ed europei richiamati dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo;
-la relazione di accompagnamento al codice pone a fondamento della normativa transitoria le esigenze, con chiarezza operanti anche per il rapporto tra normativa prescrizionale e disciplina decadenziale, di evitare incertezza nella regolazione dei rapporti giuridici anteriori e di garantire l’ultrattività delle norme precedenti già in corso di attuazione.
E’ quindi condivisibile l’indirizzo ermeneutico maggioritario a tenore del quale la soluzione che estende la decadenza ai fatti storici anteriori, ancorandone la decorrenza dalla data di entrata in vigore del codice, porterebbe a una conseguenza illogica e distonica rispetto alla ratio che anima l’articolo 2 cit., facendo sì che una precedente situazione giuridica soggettiva soggiaccia a un termine di decadenza, ex post introdotto, con conseguente indebita applicazione retroattiva, anche sul piano sostanziale, dell’ innovativa disciplina processuale del codice.
In definitiva, se la volontà dell’ordinamento è chiara nella regolazione dell’assetto dei rapporti tra vecchi e nuovi termini processuali, ancor di più deve esserlo nella successione tra un termine sostanziale precedente e un nuovo termine sostanziale a rilievo processuale, precedentemente non previsto, poiché altrimenti si perverrebbe all’iniqua conclusione che una disciplina processuale, nell’introdurre un limite temporale all’esercizio di una situazione giuridica soggettiva, possa modificare in peius e retroattivamente la meno restrittiva disciplina sostanziale applicabile a situazioni già esauritesi, in spregio agli artt. 3, 24 e 111 Cost.
Se il legislatore ha inteso evitare tale conseguenza sul piano della successione tra diversi termini processuali, nella disciplina transitoria prevista dall’art. 2, eguale conclusione si impone, e a fortiori, anche nel trapasso da un regime, che prevedeva la sola prescrizione dell’azione risarcitoria, a uno in cui questa è soggetta a un termine di decadenza che finisce per incidere sostanzialmente non solo sulla tutela, ma sull’esistenza stessa della situazione giuridica soggettiva.
3.2.1 La tesi qui sostenuta ha da ultimo trovato decisivo avallo nella giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Con la sentenza 31 maggio 2015, n. 57, il Giudice delle Leggi ha infatti ritenuto che l’art. 2 del Titolo II dell’Allegato 3 (Norme transitorie) al codice del processo amministrativo, “non è altrimenti interpretabile che nel senso della sua riferibilità anche (e a maggior ragione) all’ipotesi di successione tra un termine sostanziale, qual è quello di prescrizione, ed un termine processuale precedentemente non previsto, quale appunto il termine di decadenza sub art. 30 citato, essendo una diversa lettura della predetta disposizione (nel senso, restrittivo, della sua riferibilità solo a termini processuali «in corso») innegabilmente contra Constitutionem, per la compromissione, che ne deriverebbe, non solo della tutela ma della esistenza stessa della situazione soggettiva (così, da ultimo, anche Consiglio di Stato, sezione terza, 22 gennaio 2014, n. 297)”.
4. L’Adunanza Plenaria esprime quindi il seguente principio di diritto:
Il termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del codice.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, esprime il seguente principio di diritto:
Il termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del codice.
Dispone la restituzione del fascicolo alla Sezione rimettente per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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