Consiglio di Stato, Sentenza|11 aprile 2022| n. 2645.
Condono edilizio immobile da condonare e le modifiche
In sentenza il Consiglio di Stato affronta il tema del condono edilizio avuto riguardo, in particolare, alla possibilità, o meno, per l’interessato di apportare legittimamente delle modifiche all’immobile (così, ad esempio, ultimandolo) durante il tempo in cui viene istruita la domanda di condono. Punto fermo, e inconfutabile, è il rilievo per cui la perpetrazione di un abuso edilizio costituisce il presupposto, dal punto di vista sia logico che giuridico, per la presentazione della domanda di sanatoria (rectius, condono). Il che equivale a dire che una tale domanda, da un lato, comporta il riconoscimento del carattere abusivo delle opere, in quanto esso è l’unico presupposto che giustifica la sanatoria, dall’altro avvia un’attività amministrativa, caratterizzata da distinte e autonome istruttoria e valutazione, volta alla verifica delle condizioni di sanabilità dell’abuso. La domanda in esame, peraltro, quanto meno relativamente ai “fatti” da essa rappresentati, ha valore di dichiarazione confessoria, a fronte della quale l’autorità urbanistica non ha né il potere, né il dovere, di investigare sulle caratteristiche dell’opera da condonare per eventualmente pervenire, anche con riferimento all’individuazione dello stato dei luoghi, a conclusioni diverse o ulteriori rispetto a quelle risultanti dalla domanda. In un tale contesto è ritenuta del tutto eccezionale la possibilità di effettuare dei lavori sull’immobile abusivo (articolo 35 Legge n. 47/1985). Per ius receptum, invero, gli interventi ulteriori, eseguiti su fabbricati non ancora condonati, ripetono le caratteristiche di illegittimità di questi ultimi, cosicché non può ammettersi la prosecuzione e/o il completamento di lavori che, in mancanza di sanatoria, devono ritenersi comunque abusivi, con conseguente obbligo dell’amministrazione comunale di ordinarne la demolizione. Ciò, peraltro, non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, pena, altrimenti, l’assoggettamento alla medesima sanzione prevista per il manufatto abusivo di riferimento, tale possibilità di intervento deve esplicarsi nel rispetto delle condizioni di legge, ossia, segnatamente, dell’articolo 35 cit. ancora oggi applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica. Ciò significa che, in pendenza della domanda di condono, è precluso all’interessato operare qualsiasi modifica all’assetto del bene, a prescindere dalla tipologia delle opere, dal momento che l’istituto del condono edilizio non può essere utilizzato per legittimare attività edilizia nuova ed ulteriore rispetto a quella oggetto di richiesta di sanatoria. Al contempo la Pa può abilitare l’interessato solo alla realizzazione di interventi di mero completamento del fabbricato abusivo, senza incrementi volumetrici o di superfici, che possano renderne possibile la sua ordinaria utilizzazione purché detti interventi siano realizzati, conformemente al progetto presentato.
Sentenza|11 aprile 2022| n. 2645
Data udienza 17 marzo 2022. Condono edilizio immobile da condonare e le modifiche
Integrale
Tag- parola chiave Abusi edilizi – Condono edilizio – Immobile da condonare – Modifiche – Ammissibilità – Limiti – Sanzioni – Legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 35
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7822 del 2015, proposto da Ma. Br., rappresentata e difesa dall’Avvocato Pa. Ki. Ma., con domicilio eletto presso l’Avvocato Fe. De Lo., in Roma, via (…);
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Fa. Ma. Fe., Ga. Ro., An. An. e An. Ca., con domicilio eletto presso l’Avvocato Ni. La., in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 00828/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 marzo 2022 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Condono edilizio immobile da condonare e le modifiche
FATTO e DIRITTO
Con ricorso iscritto al n. 4693 R.R., l’odierna appellante impugnava innanzi al TAR Campania l’ordinanza n. 344 del 13 giugno 2012, con la quale il Comune di Napoli ingiungeva la demolizione di un manufatto in muratura, alluminio e vetro dotato di copertura in tegolato delle dimensioni in pianta di mt. 6,60 per 2,50 ed un’altezza variabile da mt. 2,50 a mt. 2,88, realizzato sul lastrico di copertura dell’unità immobiliare ubicata a Napoli, in via (omissis), in aderenza ad una parete del torrino scala.
In primo grado la Signora Br., allegando che l’opera contestata, definita come un ripostiglio, risalirebbe all’anno 1983 (“primi anni 70” in appello) e che avrebbe costituito oggetto di istanza di condono, presentata nel 1986 ai sensi della L. n. 47/1985 (integrata su richiesta dell’amministrazione nel 2007) deduceva la violazione dell’art 27, comma 2, del d.P.R. n. 380 e dell’art. 44 della L. n. 47/1985, per mancata previa definizione della domanda di condono edilizio pendente, nonché, eccesso di potere sotto svariati profili.
Con successivi motivi aggiunti, impugnava il provvedimento n. 259 C del 14 ottobre 2013 con il quale l’Amministrazione, all’esito di un sopralluogo effettuato nell’anno 2011, definiva in senso sfavorevole il procedimento di condono a suo tempo avviato, reiterando l’ordine già impartito con l’impugnata ordinanza n. 344/2012.
La misura veniva adottata sul presupposto che il manufatto avesse subito nel tempo una sostanziale modifica a seguito di ulteriori interventi edilizi sino a configurarsi come un organismo edilizio diverso da quello originariamente realizzato ed in relazione al quale veniva presentata l’istanza di condono.
In detta sede la ricorrente deduceva l’illegittimità derivata del rinnovato ordine di demolizione in quanto integrante una reiterazione della precedente misura superata dall’avvenuta presentazione della domanda di condono.
Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, veniva impugnato il provvedimento del 13 ottobre 2014 con il quale l’amministrazione respingeva l’istanza di riesame presentata dalla ricorrente sul presupposto, già esplicitato, che il manufatto in essere integrerebbe un quid novi e che l’area sulla quale insiste è assoggettata al vincolo paesaggistico apposto con D.M. n. 4/1953.
Il TAR con sentenza n. 828 del 5 febbraio 2015 dichiarava il ricorso introduttivo improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, “avendo l’amministrazione successivamente adottato ulteriori determinazioni in merito alla domanda di condono edilizio presentata dalla parte, nuovamente lesive per la ricorrente, e sulle quali si sposta l’interesse a ricorrere”.
Quanto ai primi motivi aggiunti, il giudice di primo grado, richiamati gli esiti della verificazione disposta in corso di giudizio, e ritenuto che gli interventi sopravvenuti alla domanda di condono non integrassero un intervento manutentivo, bensì una demolizione e ricostruzione del preesistente manufatto “con ingombro/allocazione e caratteristiche differenti”, li respingeva ritenendo abusive le nuove opere eseguite in quanto “prosecuzione dell’illecita pregressa attività edilizia”.
Il secondo ricorso per motivi aggiunti veniva dichiarato inammissibile in quanto proposto avverso un atto meramente riepilogativo “delle ragioni già poste a base del diniego di condono n. 259C del 14.10.2013” e, quindi, privo di spessore provvedimentale.
L’appellante impugnava la sentenza di primo grado con ricorso depositato il 21 settembre 2015 deducendo:
1. “error in iudicando – violazione L. N. 47/85 – assoluta erroneità carente istruttoria erroneità della verificazione”;
2. “error in iudicando – violazione art. 27 TUE”.
Il Comune di Napoli si costituiva in giudizio il 17 dicembre 2021, sviluppando le proprie difese a sostegno della correttezza della sentenza impugnata con memoria depositata il 12 febbraio 2022.
L’appellante, con memoria depositata il 14 febbraio 2022, richiamava le doglianze oggetto di appello ribadendo l’inattendibilità delle risultanze della verificazione disposta in primo grado chiedendo la rinnovazione dell’incidente istruttorio e, con memoria del 24 febbraio successivo, replicava alle difese conclusive dell’Amministrazione.
All’esito della pubblica udienza del 17 marzo 2022, l’appello veniva deciso.
Con il primo motivo, l’appellante censura la decisione del TAR deducendo l’erroneità dell’affermazione per la quale il manufatto rilevato in loco e oggetto dell’ordine di demolizione rappresenterebbe un quid novi edificato in sostituzione del fabbricato preesistente.
Sostiene, invece, l’appellante che il manufatto in questione sarebbe stato interessato negli anni a soli interventi di manutenzione resisi necessari per limitarne il degrado e renderlo impermeabile alle infiltrazioni d’acqua.
Il Tar, a parere dell’appellante, avrebbe erroneamente e immotivatamente fatte proprie le conclusioni della verificazione disposta in corso di giudizio nonostante l’incaricato non avesse risposto ai quesiti sottopostigli in maniera esaustiva.
Il motivo è infondato.
Deve preliarmene rilevarsi che la sostituzione del manufatto con uno differente per forma prospetto e materiali costruttivi trova conferma tanto negli esiti della richiamata verificazione quanto negli stessi scritti di parte appellante (pagg. 6 e 7 dell’appello).
Si deve, infatti, evidenziare che nell’ambito del giudizio di primo grado, con ordinanza n. 1468/2013, veniva richiesto al Verificatore incaricato di precisare se il manufatto in questione avesse “nel corso del tempo, conosciuto variazioni o opere di manutenzione, e di che natura” (quesito n. 3).
Condono edilizio immobile da condonare e le modifiche
In esito a detto quesito, il Verificatore affermava che “il manufatto, nel corso degli anni, ha subito variazioni nella sagoma e nella tipologia costruttiva. Nella domanda di condono, la copertura era realizzata ad una falsa, mentre all’atto del sopralluogo l’opera è composta da due false; il manufatto si presenta realizzato con un muretto di circa cm. 90 sormontato da una struttura in alluminio di colore bianco e vetri, materiale totalmente diverso sempre rispetto al condono in quanto in origine era realizzato con profilati in ferro e vetri”.
Le illustrate conclusioni sono coerenti con le affermazioni contenute nell’atto di appello ove l’appellante afferma che “fra l’anno 2004 e 2005” si presentava la necessità di procedere “ad indifferibili e urgenti lavori di impermeabilizzazione delle coperture” che comportavano la rimozione e sostituzione di “alcune parti” del manufatto.
L’intervento, riconosce la stessa appellante, consisteva nella sostituzione degli “infissi costituenti le pareti d’ambito” con sovrapposizione alla struttura esistente di “una diversa conformazione della copertura rendendola a due falde” in sostituzione della precedente che presentava una sola falda.
Le “pareti d’ambito”, inoltre, come l’appellate afferma, “furono realizzate per i primi 100 cm in muratura”.
Avuto riguardo alla conformazione originaria del manufatto, consistente in un locale realizzato “sul terrazzo in appoggio alla pavimentazione esistente” (pagg. 4 e 5 dell’appello), la sostituzione delle pareti perimetrali, degli infissi e della copertura, configura un intervento di demolizione del fabbricato e riedificazione di uno completamente nuovo, diverso da quello oggetto di condono, ancorché avente la medesima pianta.
Ciò premesso, deve riconoscersi che, ai sensi, dell’art. 43, comma 1, della L. n. 47/1985 “possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità”.
Tuttavia, tale disposizione trova applicazione unicamente in presenza di “lavori necessari per assicurare la funzionalità di quanto già costruito e non consente, invece, di integrare le opere con interventi edilizi che diano luogo di per sé a nuove strutture” (cfr. T.a.r. Napoli, sez. II, 24 febbraio 2016, n. 1026)” (Cons. Stato, Sez. II, 13 novembre 2020, n.7006).
In altri termini, la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.
Pertanto, sui manufatti non sanati non è comunque consentita la realizzazione di interventi ulteriori che, sebbene per ipotesi riconducibili nella loro individuale oggettività a categorie che non richiedono il permesso di costruire, ripetono le caratteristiche di illiceità dell’abuso principale.
Deve sul punto rilevarsi che l’art. 35, comma 4. della L. n. 47/1985, nel disciplinare le modalità e le condizioni in base alle quali è consentito al presentatore dell’istanza di sanatoria di completare, sotto la propria responsabilità, le opere abusive oggetto della domanda, dimostra semmai che, in linea di principio, sono tassativamente impedite la prosecuzione dei lavori e la modificazione dello stato dei luoghi, se non con l’osservanza delle cautele previste dalla legge.
Condono edilizio immobile da condonare e le modifiche
La accertata non conformità dello stato di fatto dell’immobile alla consistenza originaria determina l’abusività e insanabilità dello stesso prescindendo dai profili di ordine paesaggistico, peraltro, non oggetto di puntuale censura.
Con il secondo motivo, formulato in maniera estremamente sintetica e generica, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui veniva respinta l’istanza di integrazione istruttoria mediante disposizione di una C.T.U..
Il Tar, a parere dell’appellante, avrebbe, con affermazione “apodittica e immotivata”, ritenuto che le risultanze della verificazione già disposta avrebbero reso “inutile la CTU” senza, tuttavia, “spendere una sola parola in ordine alla correttezza” della stessa sulla quale fondava la propria decisione.
Il motivo è infondato.
Il Tar perveniva alla decisione di non procedere ad ulteriori approfondimenti istruttori sul presupposto dell’accertata circostanza che “le opere richieste in condono di fatto sono non più esistenti o comunque non più enucleabili rispetto a quelle abusive eseguite”.
Tale circostanza, che come già illustrato trova conferma tanto nella verificazione quanto negli scritti dell’appellante, priva di per sé di ogni utilità l’approfondimento richiesto anche in questa sede dall’appellante.
Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite relative al presente grado di giudizio, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 4.000,00, maggiorati degli oneri di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Silvestro Maria Russo – Presidente FF
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
Marco Poppi – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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