Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 29 maggio 2019, n. 23831.
La massima estrapolata:
Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo, in caso di concorso fra circostanze ad effetto speciale, all’aumento di pena massimo previsto dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., per il concorso di circostanze della stessa specie, a nulla rilevando che l’aumento previsto da tale disposizione, una volta applicato quello per la circostanza più grave, sia facoltativo e non possa eccedere il limite di un terzo.
Sentenza 29 maggio 2019, n. 23831
Data udienza 14 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. CRISCUOLO An – rel. Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccard – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/09/2018 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Anna Criscuolo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Lori Perla, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
uditi i difensori, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’annullamento della sentenza anche senza rinvio o, in subordine, la declaratoria di prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza emessa il 29 giugno 2011 dal Tribunale di Napoli, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di estorsione, contestato al capo d), perche’ estinto per intervenuta prescrizione e per l’effetto ha rideterminato la pena in relazione al reato di usura aggravata, contestata al capo c), in 4 anni, mesi 6 di reclusione 7 mila Euro di multa, sostituendo l’interdizione perpetua dai pubblici uffici in temporanea e confermando nel resto la sentenza appellata.
L’affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS) per usura aggravata in danno di (OMISSIS), imprenditore in stato di grave difficolta’ economica, e’ stata fondata sia sulle dichiarazioni della persona offesa, ritenuta credibile, sia sui riscontri documentali, attestanti il risalente e complesso rapporto con l’imputato, iniziato nel (OMISSIS) per sanare una precedente esposizione debitoria nei confronti di (OMISSIS), fratello dell’imputato e protrattosi per circa un decennio alle stesse condizioni usurarie stabilite dal fratello, con continue novazioni di assegni ed incremento del debito, culminate nel 2000 nella vendita della casa familiare ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato, che, tuttavia, non aveva sanato l’esposizione debitoria ed innescato un nuovo vorticoso giro di assegni con aumento dell’esposizione debitoria, il cui rientro era preteso con minacce gravi e pressanti.
La Corte di appello ha dato atto che la natura usuraria degli interessi era stata riscontrata da perizia; un riscontro della ricostruzione dei fatti offerta dalla vittima proveniva dalla sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, emessa a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS) relativa ai rapporti usurari con il (OMISSIS), precedente al rapporto con l’imputato, ed all’estorsione (la stessa contestata all’imputato nel presente giudizio); non era illogica l’emissione di assegni da parte del (OMISSIS), imposta dal (OMISSIS), in favore del (OMISSIS) a garanzia di debito di questi alla luce della condizione di sudditanza del (OMISSIS) ne’ tale ruolo di garante contrastava con il contenzioso civile esistente tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), nipote del debitore garantito, stante la riscontrata esistenza di assegni emessi in favore del (OMISSIS); la natura estorsiva della vendita dell’immobile del (OMISSIS) e’ stata ritenuta provata dalle condizioni sfavorevoli per la persona offesa, aggravate dalla necessita’ di pagare un canone di affitto per continuare ad abitare nell’appartamento e dalle minacce esplicite o implicite dei due fratelli (OMISSIS) nonche’ dalla circostanza che la differenza di 180 milioni di Lire sul prezzo di vendita dell’immobile era stata trattenuta dal (OMISSIS) per sanare l’esposizione debitoria nei suoi confronti pari a 100 milioni di Lire Euro oltre spese varie per 30 milioni e 36 milioni di Lire quale pagamento anticipato dei canoni di locazione per due anni, con conseguente insufficienza della somma incassata dal (OMISSIS), trovatosi ancora in difficolta’ e costretto a ricorrere a nuovi prestiti, che generarono una nuova, elevata esposizione debitoria.
2. Il difensore del (OMISSIS), chiede l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi:
2.1 vizio di motivazione in relazione all’articolo 521 c.p.p. e articolo 627 c.p.p., comma 3, articoli 24 e 111 Cost. per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alle condotte descritte ai capi c) e d) dell’imputazione.
Si deduce che la Corte di appello si e’ limitata a ritenere corretta la precedente decisione di secondo grado e ad esaminare solo i due punti indicati nella sentenza di annullamento (la mancata valutazione della controversia esistente tra il (OMISSIS) e il nipote del (OMISSIS) ed il mancato accertamento della sorte di 280 milioni di Lire percepita dal (OMISSIS), quale differenza tra il prezzo di vendita dell’immobile (380 milioni di Lire) e il debito di 100 milioni di Lire nei confronti del (OMISSIS), e soprattutto, l’origine dei nuovi debiti, che dal (OMISSIS) avrebbero dato vita ad un nuovo vorticoso giro di assegni per un importo elevato, ricollegabile ai debiti precedenti alla vendita dell’immobile e che questa avrebbe dovuto soddisfare), senza pronunciarsi sui restanti motivi, dichiarati assorbiti.
La Corte di appello si sarebbe limitata a riportare quanto dichiarato dal (OMISSIS) senza analizzare puntualmente le condotte descritte al capo c), che si riverberano sul delitto di estorsione per il quale l’imputato ha interesse al proscioglimento nel merito. Il ragionamento dei giudici e’ illogico, in quanto si reputa sussistente un’esposizione debitoria del (OMISSIS) nel (OMISSIS) pari a 100 milioni di Lire, nonostante il capo di imputazione contesti, ai nn. 2 e 3, che nel (OMISSIS) il (OMISSIS) aveva prestato 30 milioni di Lire, ottenendone in restituzione 50.700.000 Lire in tre mesi, e altri 12.500.000 Lire, ottenendo in restituzione in tre mesi 17.250.000, cosicche’ non vi erano pendenze residue nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS), atteso che le successive dazioni di denaro sarebbero avvenute nel (OMISSIS), (OMISSIS), sempre secondo l’imputazione, che smentisce in radice la necessita’ di alienazione dell’immobile per restituire debiti contratti con il (OMISSIS).
Si contesta la valutazione di attendibilita’ della persona offesa, nonostante le perplessita’ evidenziate dal giudice di primo grado, e la conferma che i giudici di appello hanno ritenuto di trovare nella sentenza emessa a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS), che invece, dimostra l’inesistenza di debiti nei confronti dei fratelli (OMISSIS), in quanto in quel giudizio gli imputati sono stati condannati per usura commessa ai danni del (OMISSIS) dal (OMISSIS) alla fine del (OMISSIS) e dalla fine del (OMISSIS), cosicche’ anche dalla contestazione risulta che il (OMISSIS) non aveva ricevuto alcun prestito tra fine (OMISSIS) da restituire con interessi usurari ne’ aveva alcuna ragione per vendere l’appartamento.
Tali dati smentiscono le dichiarazioni del (OMISSIS), secondo le quali si era determinato a vendere l’immobile, dovendo restituire 190 milioni di Lire, di cui 100 all’imputato e 90 al fratello, accordandosi con quest’ultimo, all’epoca domiciliato a (OMISSIS) (mentre ivi si trovava in affidamento in prova ai servizi sociali solo nel (OMISSIS)) per la restituzione con 15-16 assegni dell’importo di 3.280 Euro ed altri di importo diverso: la versione e’ smentita dalla circostanza che un pagamento con tali importi inizio’ nell'(OMISSIS), quindi, due anni dopo la vendita dell’immobile, ma, associando il fratello all’imputato, il (OMISSIS) fa retrodatare le pressioni del ricorrente in modo da dimostrare che la casa gli fu estorta; peraltro, l’esistenza del debito solo con (OMISSIS), risalente al periodo (OMISSIS), risulta da un’annotazione sull’agenda, riconosciuta dallo stesso (OMISSIS).
Pur a fronte di tali rilevanti circostanze, riproposte in sede di discussione, la sentenza omette di motivare sulla contraddittorieta’ delle dichiarazioni del (OMISSIS), utilizzando la sentenza emessa nei confronti del fratello dell’imputato e della moglie all’esito di giudizio abbreviato, anch’essa fondata solo sulle dichiarazioni del (OMISSIS);
2.2 violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, articolo 627 c.p.p., comma 3, articoli 24 e 111 Cost. per violazione del canone valutativo della prova nonche’ manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione per avere la Corte di appello attribuito credito alle dichiarazioni del (OMISSIS), senza tener conto4 delle emergenze di segno opposto e degli specifici motivi di appello, ribaditi in sede di discussione, con i quali si sosteneva l’inattendibilita’ intrinseca del narrato della persona offesa, provata dall’assoluzione dalla tentata estorsione oggetto del capo e).
La Corte di appello ha travisato la prova in relazione alla sottoscrizione del contratto di affitto ed alla sopravalutazione dell’immobile, limitandosi a riportare le risposte del (OMISSIS) al controesame della difesa senza considerare che gia’ il giudice di primo grado aveva dato atto che alcune circostanze riferite dalla persona offesa non avevano trovato conferma, ma anzi, smentita, con conseguente manifesta illogicita’ della motivazione sul punto, tenuto conto dei principi affermati in tema di credibilita’ del dichiarante e di valutazione frazionata delle dichiarazioni, in quanto il (OMISSIS) e’ intrinsecamente ed estrinsecamente inattendibile e le dichiarazioni non potevano essere parcellizzate;
2.3 violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, articolo 627 c.p.p., comma 3, articoli 24 e 111 Cost. nonche’ manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione in relazione alla condotta contestata al n. 8 del capo c).
La Corte di appello ha ignorato le censure difensive e travisato la prova sul punto oggetto di annullamento con rinvio, relativo alla garanzia coatta in favore del (OMISSIS), superato con motivazione apparente, in quanto non si e’ ritenuto anomalo il fatto che il (OMISSIS) stesse eseguendo dei lavori per il (OMISSIS), cosicche’ ne era creditore, e che questi avrebbe chiesto al (OMISSIS) di fare da garante per un prestito elargito al (OMISSIS) – (OMISSIS), nonostante la forte inimicizia esistente tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) in ragione della causa civile in corso tra la madre e il (OMISSIS), avente ad oggetto l’immobile in cui vivevano il (OMISSIS) e la madre, nonche’ della querela sporta dal (OMISSIS) contro il (OMISSIS), in quanto vittima di estorsione da parte di soggetti legati alla criminalita’ organizzata che gli avevano chiesto o il pagamento di una somma o la rinuncia all’azione civile intrapresa;
2.4 violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, articolo 627 c.p.p., comma 3, articoli 24 e 111 Cost. nonche’ manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione in relazione allo specifico motivo di annullamento circa la situazione debitoria precedente e successiva alla compravendita dell’immobile per avere la Corte di appello ritenuto provata la sorte dell’importo eccedente il rapporto debitorio con il (OMISSIS) solo in base alla parola del (OMISSIS) ed alla sentenza emessa a carico di (OMISSIS), di cui la sentenza impugnata riporta stralci, nonostante fosse stato evidenziato nei motivi di appello che il (OMISSIS) non aveva nessun debito con i fratelli (OMISSIS) tra la fine del (OMISSIS). La motivazione sul punto e’ apparente e manifestamente illogica alla luce delle emergenze processuali;
1.5 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 63 e 157 c.p.in quanto doveva dichiarasi prescritto anche il reato di cui al capo c).
La Corte di appello e’ incorsa in errore per avere effettuato un doppio aumento ai fini del calcolo del termine di prescrizione, il primo della meta’ ai sensi dell’articolo 644 c.p., comma 5, nn. 3) e 4), e il secondo ex articolo 63 c.p., n. 4, pari ad un terzo in relazione alla seconda aggravante, mentre le uniche circostanze che rilevano ai fini della prescrizione sono quelle ad effetto speciale, che comportano un aumento superiore ad un terzo.
La Corte di appello ha determinato in 15 anni il termine massimo anziche’ in anni 11 e mesi 3, dovendo escludersi l’aumento di un terzo per la seconda aggravante, con la conseguenza che il termine massimo, comprensivo delle sospensioni verificatesi nel giudizio di primo grado, pari a 10 mesi, e’ maturato nell'(OMISSIS), ben prima della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
Il ricorrente ripropone pedissequamente i motivi posti a fondamento del precedente ricorso per cassazione, come e’ agevole rilevare dall’esposizione contenuta nella sentenza di annullamento con rinvio in atti, trascurando quanto affermato da questa Corte in ordine ai principi che regolano la valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, nuovamente riproposti, e contestando, altresi’, le risposte fornite dal giudice del rinvio.
2. I motivi di ricorso si concentrano nel contestare l’attendibilita’ della persona offesa, ritenuta dai giudici di merito e convalidata da questa Corte.
Va, infatti, evidenziato che la sentenza di annullamento con rinvio dava atto della valutazione espressa dal giudice di appello sull’attendibilita’ delle dichiarazioni della persona offesa, richiamando le condivise considerazioni del giudice di primo grado ed osservando che questi aveva spiegato in modo convincente le ragioni per le quali le parziali discrasie e contraddizioni non intaccavano detta attendibilita’, trattandosi di vicenda che aveva ad oggetto plurimi rapporti usurari, protrattisi nel corso di 10 anni, cosicche’ sul punto deve ritenersi infondata la censura del ricorrente, avendo il giudice del rinvio correttamente interpretato la decisione della Corte su detto profilo.
3. Anche il motivo relativo al contestato metodo di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa trascura quanto indicato da questa Corte circa l’inapplicabilita’ alle dichiarazioni della persona offesa delle regole dettate per la chiamata in correita’ o in reita’, nuovamente riproposte nel ricorso.
Nella sentenza di annullamento con rinvio si precisa, infatti, che le dichiarazioni della persona offesa possono essere da sole poste a base dell’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, previa verifica e argomentata motivazione della credibilita’ del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del narrato, non necessitando di riscontri estrinseci, peraltro, nella specie individuati dal precedente giudice di appello nella sentenza di condanna emessa all’esito di giudizio abbreviato nei confronti del fratello dell’imputato e della cognata per le diverse usure e per l’estorsione, contestata al capo d), pur non essendo assolutamente necessari (v. pag. 17 sentenza di annullamento).
Conseguentemente, anche su tale punto deve ritenersi preclusa la rinnovata contestazione del ricorrente quanto ad idoneita’ del riscontro ed ai fatti accertati.
Analogamente il ricorso trascura la positiva valutazione espressa da questa Corte sulle parziali ammissioni dell’imputato, ritenute correttamente valutate dal giudice annullato, senza incorrere nel denunciato travisamento, e sulla natura usuraria dei prestiti erogati, dimostrata dalla perizia disposta con riguardo alle contestazioni di cui al capo c), nn. 2.3.5.6.7.8. (v. pag. 18 della sentenza di annullamento), cosicche’ anche tale punto non puo’ essere rimesso in discussione.
Pertanto, contrariamente all’assunto difensivo, i giudici di appello hanno correttamente individuato i punti censurati nella sentenza di annullamento, relativi all’omessa valutazione dell’episodio della cd garanzia coatta in favore del (OMISSIS) ed alla sorte dei 280 milioni di Lire eccedenti rispetto al debito pregresso ed all’origine dei nuovi debiti a partire dal (OMISSIS), che sembrerebbero ricollegati a debiti preesistenti alla vendita dell’immobile, che dovevano ritenersi sanati.
Ebbene, su tali punti, non esaminati o non compiutamente chiariti dal precedente giudice di appello e ritenuti in grado di inficiare la ritenuta attendibilita’ del dichiarante, la Corte di appello ha concentrato la disamina, fornendo diffuse e argomentate risposte, che non rivelano i vizi denunciati dal ricorrente.
A tal fine la Corte di appello ha ripercorso e riesaminato il narrato del (OMISSIS) circa l’origine del rapporto usurario con l’imputato, collocato nel (OMISSIS) per far fronte al debito usurario verso il fratello, all’epoca pari a 90 milioni di Lire, secondo la consulenza del P.m., e consistente in un iniziale prestito di 30 milioni di Lire, erogato dal ricorrente al tasso del 6% mensile, trattenuto a monte, lievitato nel 99 a 100 milioni di Lire, che lo aveva costretto a cedere alle pressioni dei creditori, vendendo la propria casa di abitazione al prezzo di 380 milioni di Lire, di gran lunga inferiore al valore di mercato, superiore a 660 milioni di Lire, per sanare l’esposizione debitoria, in realta’ non sanata affatto.
Le obiezioni difensive circa l’inesistenza di debiti del (OMISSIS) nel (OMISSIS), attestate sulla formulazione dei punti 2 e 3 dell’imputazione, comunque, gia’ superate dalla sentenza di annullamento, non tengono conto del meccanismo di novazione degli assegni con applicazione di ulteriori interessi, riferito dalla persona offesa, e dei riscontri oggettivi, indicati in sentenza, costituiti dal considerevole flusso di assegni, consegnati dal (OMISSIS) alla persona offesa o emessi o girati all’imputato, in assenza di un rapporto sottostante di natura diversa da quella riferita dal (OMISSIS) o di altra giustificazione contabile, ricostruiti dal perito per circa 80 milioni di Lire, oltre alle annotazioni a margine delle matrici di assegni per oltre 116 milioni di Lire, cui corrispondevano prelievi dal conto del (OMISSIS), ritenuti dimostrativi della diminuzione delle disponibilita’ del debitore, accertata dal perito, che aveva riscontrato l’applicazione di un tasso annuo ultralegale e quindi, usurario, ritenuti elementi, che corroborano il narrato e confermano l’attendibilita’ della persona offesa.
Ma soprattutto, la Corte di appello ha dato atto del forte elemento di riscontro, costituito dalla rendicontazione periodica, effettuata dal (OMISSIS) per riepilogare lo stato del dare-avere in appunti manoscritti, consegnati al (OMISSIS), acquisiti e riconosciuti dall’imputato come propri, la cui valenza probatoria e’ chiaramente giustificata in sentenza, laddove si reputa illogica e non plausibile la tesi proposta di una collaborazione contabile, prestata dal ricorrente in favore del (OMISSIS) in assenza di un rapporto commerciale tra le parti.
La Corte ha inoltre, dato atto dell’assenza di intenti calunniatori del (OMISSIS) e della irrilevanza delle contraddizioni, evidenziate dalla difesa, nelle dichiarazioni della persona offesa, gia’ ritenuta dal precedente giudice di appello per la non decisivita’ dei particolari – sui quali nuovamente si appuntano le censure difensive -, con valutazione non censurata da questa Corte, come gia’ detto.
Peraltro, anche la disamina estremamente critica delle dichiarazioni del (OMISSIS), effettuata dal giudice di primo grado, non aveva impedito a quel giudice di ritenerne la sostanziale attendibilita’, anche alla luce dei riscontri acquisiti.
3. Quanto all’episodio della garanzia coatta in favore del (OMISSIS), i giudici di appello hanno ritenuto credibile il (OMISSIS) circa il fatto che la garanzia fu imposta dal (OMISSIS), non avendo egli motivo, in assenza di un rapporto sottostante, di assumersi responsabilita’ economiche a vantaggio di un terzo.
Tale ricostruzione e’ stata ritenuta compatibile con lo stato di dipendenza e di coazione psicologica del (OMISSIS), costretto a soggiacere alle richieste del (OMISSIS) ed a fare da garante per un prestito che questi erogava al (OMISSIS), a nulla rilevando il gradimento o meno di quest’ultimo, trattandosi di una imposizione del creditore.
Parimenti non decisiva e’ stata ritenuta l’esistenza della controversia civile, indicata dalla difesa al fine di svalutare la credibilita’ del (OMISSIS), avendone i giudici sottolineato l’ininfluenza, in quanto la controversia riguardava persona diversa dal debitore ovvero la madre del (OMISSIS) e l’oggetto della controversia non incideva sulla solvibilita’ del terzo e sulla posizione di garante del (OMISSIS). In particolare, e’ stato evidenziato che la controversia non incideva sul rapporto (OMISSIS)- (OMISSIS), in quanto la garanzia andava a beneficio del (OMISSIS), non del (OMISSIS) o del (OMISSIS), poiche’ era il (OMISSIS) ad averla pretesa dal (OMISSIS), costretto ad accettare, e le cui dichiarazioni trovavano riscontro negli assegni emessi dal (OMISSIS) in favore del (OMISSIS).
Anche in ordine alle minacce subite dal (OMISSIS) ad opera di personaggi legati alla criminalita’ con imposizione di rinunciare ad un’azione civile, ricollegate nella prospettazione difensiva alla controversia pendente tra la madre del (OMISSIS) ed il (OMISSIS), i giudici hanno chiarito che si trattava di supposizioni del denunciante, prive di supporto probatorio, specie in ragione della circostanza che la garanzia riguardava un credito del (OMISSIS) verso il (OMISSIS) e non verso il (OMISSIS) o la madre di questi, parte in causa nell’azione civile.
La risposta dei giudici di merito e’ del tutto logica e coerente, atteso che e’ la stessa difesa ad ammettere l’indeterminatezza delle minacce subite dal (OMISSIS) al fine di farlo rinunciare ad un’azione civile, non precisamente indicata dagli ignoti esponenti della criminalita’ organizzata, ma facilmente individuabile in quella tra la madre ed il (OMISSIS), trattandosi dell’unica esistente: quindi, correttamente e’ stato ritenuto meramente supposto il collegamento prospettato tra le minacce e l’azione civile indicata.
Risultano pertanto, respinte con argomentazioni puntuali e congrue, tutt’altro che apparenti, le censure del ricorrente, la cui riedizione si risolve nella prospettazione di una lettura alternativa dell’episodio, al quale si vuole attribuire una rilevanza, esclusa dai giudici di merito per assenza di collegamento o interferenza sul rapporto tra il ricorrente e la persona offesa.
4. Analogamente infondate sono le censure relative alla vendita dell’immobile a fronte della ricostruzione e delle argomentazioni diffuse contenute in sentenza.
I giudici di appello hanno dato atto che sia nella sentenza di primo grado che in quella emessa dal G.u.p. nei confronti del fratello e della cognata del ricorrente risultava ben evidenziata la condizione di prostrazione in cui versava il (OMISSIS), costretto a svendere la propria casa ad un prezzo molto inferiore al valore commerciale per sanare i debiti nei confronti di (OMISSIS), del fratello e della cognata, per sottrarsi alle minacce esplicite o implicite dei creditori, agli allusivi riferimenti alla pericolosita’ dei parenti della cognata del ricorrente, e per di piu’ costretto a pagare un canone di locazione per continuare ad abitarvi.
Muovendo dalla pronuncia di questa Corte, in cui si da’ atto dell’ammontare dell’esposizione debitoria pari a circa 100 milioni di Lire e della natura estorsiva della pretesa, in ragione del prezzo di vendita pari a 380 milioni di Lire, stabilito dal (OMISSIS) e di molto inferiore al valore reale dell’immobile, stimato dal perito in oltre 665 milioni di Lire, i giudici di appello hanno sottolineato che al debito nei confronti di (OMISSIS) dovevano aggiungersi i 90 milioni dovuti al fratello (OMISSIS), come accertato dalla sentenza irrevocabile a carico dello stesso, cosicche’, tenuto conto della somma riscossa dal (OMISSIS), pari a 200 milioni di Lire, secondo l’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado (nella quale si riteneva inverosimile la tesi difensiva dell’integrale pagamento in contanti della somma in due tranches a fronte della previsione contrattuale di un pagamento rateizzato, dell’assenza di riscontri bancari sui conti del (OMISSIS) o del (OMISSIS) e dell’inverosimile pagamento di cifre cosi’ consistenti in contanti), la differenza ottenuta dal (OMISSIS), pari a 180 milioni di Lire (380 milioni – 200 milioni) copriva il debito e altre presunte spese sostenute (30 milioni, come indicato nella sentenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli), comprendeva 36 milioni di Lire, quale pagamento anticipato di due anni di canone di locazione oltre all’importo di altri assegni in possesso del (OMISSIS) (65 milioni di un altro assegno dato in garanzia piu’ altri assegni, indicati dal (OMISSIS) all’udienza del 12 dicembre 2017).
A fronte della condizione di esasperazione del debitore e della natura estorsiva della vendita dell’appartamento, imposta a condizioni sfavorevoli per il (OMISSIS) e stipulata in tempi strettissimi, e’ stata ritenuta inesigibile una precisa ricostruzione dei rapporti obbligatori da parte di un soggetto in balia dei creditori, dovendo ritenersi che la regolamentazione avvenisse secondo criteri di massima ed a favore del creditore, contraente forte del rapporto.
5. Anche in ordine all’origine dei nuovi debiti, oggetto dei rilievi di questa Corte, i giudici hanno chiarito che alla data del rogito il (OMISSIS) era ancora esposto nei confronti del fratello dell’imputato e che, come dallo stesso dichiarato, nonostante la vendita dell’immobile, la sua situazione finanziaria non era migliorata a causa degli interessi ancora dovuti e della necessita’ di liquidita’, che lo costrinse a rivolgersi nel (OMISSIS) a (OMISSIS) per un prestito di 90 milioni di Lire, a fronte del quale questi trattenne per interessi 60 milioni ed ancora nel (OMISSIS) per altri prestiti, come indicato a pag. 19 della sentenza e nel capo di imputazione, cosi’ innescando un nuovo vorticoso giro di assegni e una lievitazione smisurata del debito a causa degli interessi da pagare.
A tal fine i giudici hanno sottolineato la pluralita’ delle ragioni di debito gravanti sul (OMISSIS), esposto nei confronti di (OMISSIS) per un debito di 90 milioni di Lire sul quale maturavano interessi e nei confronti del ricorrente per interessi sui nuovi prestiti, che era stato costretto a richiede al ricorrente, e alla luce degli elementi di prova acquisiti hanno ritenuto confermata l’attendibilita’ della persona offesa anche in relazione ai due specifici profili di criticita’ evidenziati da questa Corte.
Risulta, pertanto, fornita una motivazione adeguata e non apparente ai rilievi difensivi.
6. Infondata e’ anche la dedotta mancanza di motivazione sui restanti motivi di ricorso, dichiarati assorbiti nella sentenza di annullamento, avendo il giudice del rinvio affrontato il tema della qualificazione giuridica del reato di usura e della sussistenza delle aggravanti della qualifica imprenditoriale del (OMISSIS) e dello stato di bisogno; ha altresi’, ampiamente giustificato il diniego delle attenuanti generiche per il rilievo assorbente attribuito alla estrema gravita’ della condotta, protrattasi per anni, con modalita’ odiose, con atti costrittivi e minacce in danno della persona offesa, nonche’ alla personalita’ negativa dell’imputato, destinatario di misura di prevenzione.
6. Parimenti infondato e’ l’ultimo motivo.
Il ricorrente ritiene illegittimo il doppio aumento effettuato dalla Corte di appello in relazione alle due aggravanti, contestate e ritenute, per il delitto di usura, benche’ il secondo aumento sia stato temperato ai sensi dell’articolo 63 c.p., comma 4, nella misura di un terzo.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 2, deve aversi riguardo, in caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, all’aumento di pena massimo previsto dall’articolo 63 c.p., comma 4, per il concorso di circostanze della stessa specie, ma cio’ non comporta la conseguenza che vorrebbe trarne il difensore.
Infatti, anche la nuova formulazione dell’articolo 157 c.p. non prevede alcuna riserva circa l’influenza delle circostanze ad effetto speciale sui termini di prescrizione per il caso che ne sia contestata piu’ d’una, salvo il necessario coordinamento con la previsione dell’articolo 63 c.p., comma 4, nel senso della limitazione dell’aumento di pena, a nulla rilevando, data l’autonomia della disciplina della prescrizione, la facoltativita’ dell’ulteriore aumento di pena una volta applicato quella per la circostanza piu’ grave, o, nel caso di pari gravita’, per una delle circostanze ad effetto speciale.
Le due circostanze aggravanti ad effetto speciale, contestate e ritenute, devono essere considerate autonomamente ai fini della prescrizione, il cui calcolo deve essere effettuato applicando la norma generale di cui all’articolo 63 c.p., comma 4, (Sez. 2. n. 31065 del 10/05/2012, Lo Bianco e altri, Rv. 253525 – 01 proprio in tema di usura; Sez. 2. n. 32656 del 15/07/2014, P.G. in proc. Bovio, Rv. 259833 – 01).
Tale principio e’ stato ribadito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 28953 del 27/04/2017, S., Rv. 269784-01, citata nel ricorso, che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, ha ribadito l’incidenza sul calcolo del termine di prescrizione delle sole aggravanti autonome e ad effetto speciale, precisando che l’articolo 157 c.p. ha fissato una regola, che stabilisce l’irrilevanza delle circostanze (aggravanti e attenuanti) ai fini del calcolo della prescrizione, ed una eccezione, costituita dal calcolo delle aggravanti autonome e delle circostanze ad effetto speciale.
Di tali principi ha fatto esatta applicazione la sentenza impugnata, risultando corretto il calcolo effettuato dai giudici di merito, che hanno determinato in 15 anni il termine massimo, fissando la decorrenza del termine alla data del 31 gennaio 2005, essendo stato il (OMISSIS) arrestato il 3 febbraio 2005 presso il negozio del denunciante, con conseguente applicazione del trattamento sanzionatorio vigente all’epoca, pari nel massimo a 6 anni.
Aumentando tale termine della meta’ per la prima aggravante ad effetto speciale e di un terzo per la seconda si perviene ad anni 12, cui vanno aggiunti l’aumento di un quarto per effetto degli atti interruttivi (cosi’ pervenendo ad anni 15) ed i periodi di sospensione, pari a 10 mesi, con la conseguenza che il termine massimo non e’ maturato, venendo a scadere il 27 novembre 2020.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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