Consiglio di Stato, Sentenza|15 aprile 2022| n. 2885.
Il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo), oggi come allora, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile.
Sentenza|15 aprile 2022| n. 2885. Concetto di manutenzione straordinaria (e quello di risanamento conservativo)
Data udienza 21 dicembre 2021
Integrale
Tag- parola chiave Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Interventi edilizi – Manutenzione straordinaria – Ricorrenza – Ipotesi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10008 del 2016, proposto da
Ed. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. St. Ri. e Ro. Se., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’U. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sez. I quater, n. 6579/2016, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2021 il Cons. Francesco De Luca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Roma Capitale, con ordinanza n. 129 del 30 gennaio 2015, ha ingiunto (altresì ) all’odierna appellante la rimozione o demolizione delle opere abusive realizzate in Roma, Via (omissis), qualificate come di ristrutturazione in totale difformità dal titolo abilitativo (permesso di costruire n. 403 del 16 ottobre 2012), consistenti in:
1) eliminazione del solaio intermedio posto a copertura del locale soggiorno per circa mq 50,00 della u.i. del tipo “bilocale” con aumento dell’altezza media a mt 4,35 e conseguente aumento di volume per circa mc 70,80;
2) ulteriore aumento di volume per mc 9,20 e s.u.l. per mq 8,40;
3) eliminazione di entrambi i locali box, sostituiti con un volume interrato tombato;
4) eliminazione delle rampe di accesso ai locali box;
5) realizzazione di uno sbancamento di circa mq 13,30 a servizio della u.i. “monolocale” ed uno di circa mq 18,50 a servizio della u.i. “Bilocale” e realizzazione di una scala al fine di rendere accessibile dall’esterno i locali seminterrati destinati a cantina e di pertinenza delle sovrastanti abitazioni;
6) diversa distribuzione degli spazi interni al piano S1, rialzato (terra) e servizi;
7) modifiche prospettiche (finestre, manto di copertura del tetto, finiture esterne);
8) riduzione dei muri perimetrali in corrispondenza dei locali accessori e della serra solare;
9) modifica della muratura in aderenza alla serra solare con sostituzione del previsto infisso in vetro con muratura piena ed una porta di collegamento;
10) modifica dei portici esterni e delle scale esterne di accesso al piano rialzato (terra).
Con la medesima ordinanza Roma Capitale ha, altresì, rilevato che:
a) non risultavano acquisiti i N.O. previsti per le opere esterne oggetto di variante e che le opere medesime risultavano soggette al disposto dell’art. 181, commi 1 e 1 bis, D. Lgs. n. 42/04;
b) in conseguenza della mancata acquisizione dei prescritti N.O. e in ragione del contrasto alla relativa normativa, doveva dichiararsi l’inefficacia della DIA presentata in data 13.2.2014, n. 14122;
c) la realizzazione degli interventi previsti nella DIA, anche data la natura vincolistica dell’area in oggetto, doveva considerarsi in totale difformità del titolo abilitativo, ai sensi dell’art. 17, comma 4, L.R. n. 15/08, con conseguente applicazione dell’art. 44, comma 1, lett. b), DPR n. 380/01;
d) la DIA, in ragione delle modifiche delle sistemazioni esterne, della diversa distribuzione dei locali e della riduzione delle aree da vincolare a parcheggio, avrebbe dovuto essere corredata da un nuovo atto d’obbligo, non presente in atti, a modifica di quello precedentemente stipulato per il rilascio del permesso di costruire n. 403 del 2012.
2. L’odierna appellante ha impugnato dinnanzi al Tar Lazio, Roma, la determinazione dirigenziale n. 129/15 cit., oltre che ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente (in specie, la comunicazione ex art. 27, comma 4, DPR n. 380/01 della Polizia Roma Capitale prot. n. 66507 del 28.10.2014).
Adendo la sede giurisdizionale la società ricorrente ha contestato la possibilità di qualificare le opere in esame come ristrutturazione edilizia in zona soggetta a vincolo archeologico e paesaggistico, rilevando che si trattava di mere opere di sistemazione interna, riconducibili al regime dell’edilizia libera, in zona non soggetta a vincolo archeologico, ma soltanto a quello paesaggistico, il quale, tuttavia, non sarebbe stato rilevante nella specie, trattandosi di opere interne e comunque tali da permettere l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
In particolare:
– l’eliminazione di un solaio intermedio non poteva avere alcuna incidenza sulla consistenza del fabbricato e, quindi, risultava irrilevante ai fini del computo della volumetria complessiva dell’edificio ex art. 3 DPR n. 380/01, con conseguente mancata integrazione di un intervento di ristrutturazione edilizia; in ogni caso, un’eventuale modifica della volumetria del fabbricato non sarebbe stata superiore al 2% delle misure progettuali, con conseguente sua irrilevanza ai sensi dell’art. 34, comma 2 ter, DPR n. 380/01 e dell’art. 17 L.R. n. 15/08;
– gli ulteriori interventi contestati da Roma Capitale dovevano ritenersi rientranti nell’ambito dell’attività edilizia libera;
– gli interventi, inoltre, risultavano soggetti all’applicazione dell’art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42/04 in materia di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica.
3. Roma Capitale si è costituita in giudizio, al fine di resistere al ricorso.
4. Il Tar, a definizione del giudizio, ha rigettato il ricorso, ritenendo che si fosse in presenza di un insieme sistematico di opere idoneo a modificare la volumetria e il prospetto dell’edificio: difatti, gli interventi di che trattasi, unitariamente considerati, sono stati considerati idonei ad integrate la fattispecie di ristrutturazione edilizia, riscontrandosi, tra l’altro, l’eliminazione di un solaio in una unità tipo bilocale, l’eliminazione dei locali box, l’eliminazione delle rampe di accesso ai box, sbancamenti e la realizzazione di una scala esterna.
Secondo quanto rilevato dal primo giudice, la ristrutturazione edilizia implica, come invero era accaduto nel caso di specie, opere rivolte a creare un organismo anche solo in parte diverso da quello oggetto di intervento: nella specie appariva difficile contestare che gli interventi de quibus fossero effettivamente idonei a modificare, sia pure in parte, proprio strutturalmente l’edificio.
La legittimità del provvedimento impugnato risultava, inoltre, confermata dalla mancata acquisizione del nulla osta archeologico e paesistico necessari in ragione dei vincoli gravanti sull’area sulla quale insiste il fabbricato per cui è controversia.
5. La società ricorrente ha proposto appello avverso la sentenza di prime cure, censurandone l’erroneità, sia per l’impossibilità di qualificare gli interventi in esame quale ristrutturazione edilizia, sia per l’efficacia della DIA presentata all’Amministrazione appellata, non subordinata al previso rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (stante la rilevanza meramente interna delle opere per cui è controversia) e comunque riferita ad opere al più comprese nella portata applicativa dell’art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42/04, con conseguente ammissibilità di un accertamento postumo di compatibilità paesaggistica.
L’appellante ha, altresì, chiesto la sospensione della sentenza impugnata.
6. La ricorrente ha ulteriormente argomentato a sostegno delle proprie conclusioni con memorie del 6.2.2017 e del 25 gennaio 2018.
7. Roma Capitale si è costituita in giudizio, resistendo all’appello e svolgendo argomentate controdeduzioni con memoria del 29.1.2018 (recante in allegato la nota n. 4986 del 24.1.2017 di Roma Capitale).
8. L’appellante ha replicato alle avverse deduzioni con memoria dell’1 febbraio 2018, pure eccependo la tardività dell’avversa produzione documentale.
9. Con ordinanza n. 612 del 13 febbraio 2017 la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione articolata dall’appellante.
10. Con ordinanza n. 1690 del 16 marzo 2018 la Sezione ha disposto una verificazione, incaricando del relativo incombente istruttorio il Direttore della Direzione Territorio ed Urbanistica della Regione Lazio, direttamente o a mezzo di un funzionario tecnico laureato da esso delegato, nel termine di giorni sessanta dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza, mediante deposito della relazione, con l’allegata documentazione, presso la Segreteria della Sezione.
11. Il Direttore della Direzione Regionale Territorio, Urbanistica e Mobilità con nota n. 333822 del 5 giugno 2018 ha comunicato che con atto di organizzazione n. G07320 del 5.6.2018 era stato nominato l’ing. An. Zo., dipendente in servizio presso la relativa Direzione, per l’espletamento dell’incombente istruttorio ordinato da questo Consiglio.
12. Il verificatore designato, ing. An. Zo., con nota del 14 novembre 2018 ha chiesto la concessione di una proroga di almeno giorni novanta, al fine di concludere gli ulteriori accertamenti e approfondimenti del caso, nonché per la predisposizione della relazione di verificazione.
13. La Sezione, con ordinanza n. 7196 del 21 dicembre 2018, ha accolto l’istanza del verificatore, concedendo una proroga di giorni novanta, decorrenti dal 14 novembre 2018.
14. L’appellante ha insistito nelle proprie conclusioni con memoria del 13 febbraio 2019, pure evidenziando il mancato deposito della relazione peritale.
15. Il verificatore con nota depositata in data 12 marzo 2019 ha chiesto la concessione di una proroga di almeno giorni centoventi, al fine di concludere gli ulteriori accertamenti e approfondimenti del caso, nonché per la predisposizione della relazione di verificazione.
16. La Sezione, con ordinanza n. 1890 del 21 marzo 2019, ha accolto l’istanza del verificatore, concedendo una proroga di giorni centoventi, a decorrere dal 19 marzo 2019.
17. L’appellante ha insistito nelle proprie conclusioni con memoria del 4 ottobre 2019, pure evidenziando il mancato deposito della relazione peritale
18. La Sezione, con ordinanza n. 8564 del 19 dicembre 2019, rilevato il mancato deposito della relazione conclusiva della disposta verificazione, nonostante la proroga concessa, ha ordinato al verificatore di provvedere all’incombente istruttorio di cui all’ordinanza n. 1690/2018, assegnando, per il deposito della relazione richiesta, l’ulteriore termine di giorni novanta dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza medesima.
19. L’appellante con memoria del 14 aprile 2020, insistendo nelle proprie conclusioni, ha chiesto di considerare una proroga del termine assegnato per il deposito della relazione peritale.
20. La Sezione, con ordinanza n. 2629 del 24 aprile 2020, rilevato il mancato deposito della relazione di verificazione e riscontrato che il termine ulteriormente concesso al verificatore scadeva in data 26 aprile 2020, ha negato la ricorrenza dei presupposti per concedere una proroga dei termini di deposito della relazione di verificazione, ha rinviato la causa all’udienza del 1.10.2020 e, in conferma di quanto disposto con ordinanza n. 8564 del 19 dicembre 2020, in caso di ulteriore inerzia del verificatore, ha rappresentato che si sarebbe provveduto alla sostituzione del verificatore.
21. La parte appellante con note di udienza depositate in data 23.9.2020, rilevato che l’udienza del 1.10.2020 avrebbe avuto ad oggetto la sostituzione del verificatore, si è riportata alle argomentazioni e alle conclusioni rassegnate nei propri atti difensivi.
22. Roma Capitale con note depositate in data 29.9.2020 ha chiesto la decisione della causa, riportandosi ai propri scritti difensivi.
23. La Sezione, con ordinanza n. 5850 del 5 ottobre 2020, ravvisata la persistenza delle esigenze istruttorie sottese all’ordinanza n. 1690 del 2018 e rilevato il mancato deposito della relazione di verificazione nonostante le plurime proroghe concesse al verificatore, ha disposto la sua sostituzione, nominando nuovo verificatore il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale dell’Università La Sapienza di Roma, con facoltà di delega ad un Professore di ruolo nell’ambito del medesimo Dipartimento in possesso di specifiche competenze per il tipo di attività da svolgere.
Il verificatore è stato così incaricato di rispondere ai quesiti già posti dalla Sezione con l’ordinanza n. 1690 del 16 marzo 2018, con cui era stata disposta una verificazione avente il seguente oggetto: “- la compiuta descrizione l’intervento edilizio assentito con il permesso di costruire n. 403 del 16 ottobre 2012, quello di cui alla D.I.A. in variante prot. n. 14122 del 13 febbraio 2014, nonché le ulteriori opere indicate nella ingiunzione di demolizione n. 129 del 30 gennaio 2015, specificandone in maniera analitica le differenze;
– la redazione di rappresentazioni grafiche comparative, che consentano visivamente di constatare le differenze tra quanto assentito e quanto realizzato, tanto con riferimento agli interventi interni eseguiti, quanto con riferimento a quelli esterni aventi incidenza sulla sagoma e sui prospetti del fabbricato;
– l’indicazione della destinazione, nella originaria configurazione progettuale assentita, del locale soprastante “il solaio intermedio posto a copertura del locale soggiorno” della u.i. bilocale, oggetto di eliminazione, chiarendo se lo stesso costituisse volume computabile, acclarando, per l’effetto, se tale eliminazione, dando luogo ad un unico locale abitabile (“soggiorno”), abbia determinato un incremento di volume computabile in base alla normativa urbanistica di zona, indicandone, in caso positivo la consistenza;
– il chiarire se vi sia stato e in cosa sia consistito l’ulteriore aumento di volume contestato per mc 9,20 e s.u.l. per mq. 8, 40;
– l’indicare l’attuale destinazione dei “locali tombati”, derivanti dalla eliminazione dei locali box previsti in progetto;
– l’indicare la conformità o meno alla normativa urbanistica di zona delle opere effettivamente realizzate;
– il chiarire se il procedimento di compatibilità paesaggistica di cui alla domanda n. 494162 del 17 settembre 2015 abbia avuto ad oggetto l’intera consistenza delle opere realizzate dalla società appellante, ivi incluse quelle contestate con la ingiunzione di demolizione del 30 gennaio 2015, ovvero solo quelle oggetto della DIA in variante;
– la produzione di ogni altra documentazione tecnica e normativa, ritenuta utile ai fini del disposto accertamento tecnico”.
24. La Sezione, con ordinanza n. 3289 del 23 aprile 2021, ha concesso una proroga dei termini per il deposito della relazione di verificazione.
25 Il verificatore incaricato ha depositato la relazione di verificazione unitamente ai relativi allegati in data 10 maggio 2021.
26. In pari data Roma Capitale ha depositato una nota del Municipio XIV in relazione ai fatti di causa (n. 32449 del 25 marzo 2021).
27. La Sezione, con ordinanza n. 3945 del 21 maggio 2021, rilevato il mancato rispetto dei termini a difesa ex art. 73, comma 1, c.p.a., ha rinviato la causa all’udienza pubblica del 21 dicembre 2021.
28. In vista dell’udienza di discussione, con memoria del 22 novembre 2021, l’appellante ha ulteriormente argomentato a sostegno delle proprie conclusioni, sulla base altresì delle risultanze istruttorie; la stessa parte ricorrente ha chiesto il passaggio in decisione della causa con note del 7 dicembre 2021.
29. Roma Capitale parimenti ha chiesto il passaggio in decisione della controversia con note del 16 dicembre 2021.
30. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 21 dicembre 2021.
DIRITTO
1. Preliminarmente, deve evidenziarsi l’irrilevanza ai fini del decidere della nota n. 4986/2017 del 24.1.2017 prodotta da Roma Capitale in data 29 gennaio 2018, recante il verbale di constatazione dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, facendosi questione di documento riguardante fatti sopravvenuti in pendenza del giudizio, come tali non influenti per valutare la legittimità del provvedimento impugnato in prime cure, da scrutinare (in applicazione del principio del tempus regis actum) avendo riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione.
Il ricorso in appello è articolato in due motivi di impugnazione, esaminabili congiuntamente per ragioni di connessione.
Con il primo motivo la società Ed. S.r.l. censura la sentenza di prime cure per avere qualificato gli interventi per cui è causa in termini di ristrutturazione edilizia.
Secondo la prospettazione attorea:
– il Tar avrebbe riconosciuto rilevanza, anziché alla natura, alla quantità delle opere realizzate, giungendo a ritenere erroneamente integrata una ristrutturazione edilizia ogniqualvolta si pongano in essere più interventi di lieve entità sullo stesso edificio;
– nella specie, gli interventi in contestazione avrebbero riguardato opere interne, senza incremento di volume, avendo il Comune di Roma adottato, ai sensi dell’art. 4 NTA del PRG, la nozione di superficie utile lorda in luogo di quella di volume, non potendo, dunque, mai ipotizzarsi un incremento di volume in relazione ad opere interne (discendenti da una diversa distribuzione dei locali e della modifica delle tramezzature e dei controsoffitti) non influenti sulla consistenza edilizia del fabbricato;
– le modifiche alle tramezzature e ai controsoffitti, così come le modifiche degli impianti, rientrerebbero nella nozione di manutenzione ordinaria, configurando interventi liberi, nemmeno soggetti al rilascio della DIA (oggi SCIA).
Con il secondo motivo di impugnazione è censurata la sentenza di prime cure, per avere ritenuta inefficace la DIA per la mancanza del nulla osta archeologico e paesaggistico.
Secondo quanto contestato in appello:
– il permesso di costruire rilasciato nel 2012 avrebbe ottenuto un regolare nulla osta paesaggistico, ragion per cui l’ulteriore verifica di compatibilità avrebbe potuto riguardare soltanto le diverse opere introdotte dalla ricorrente in fase esecutiva;
– tuttavia, trattandosi nella specie di opere meramente interne, non sarebbe stato necessario acquisire alcuna autorizzazione paesaggistica, difettando il presupposto stesso di tutela;
– in ogni caso, avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42/2004, essendo la ricorrente ancora in tempo per chiedere l’accertamento di compatibilità paesaggistica; sicché non avrebbe potuto comunque configurarsi una DIA inefficace, ma soltanto una irregolarità nella presentazione della comunicazione;
– la società aveva, peraltro, attivato pure la pratica di accertamento di compatibilità paesaggistica presso la Regione Lazio, essendo ancora in attesa del perfezionamento del relativo iter;
– il richiamo contenuto in sentenza alla necessità di un nulla osta archeologico sarebbe frutto di una mera svista.
2. Al fine di statuire sulle censure impugnatorie e, dunque, di verificare se nel caso di specie si faccia questione di opere integranti un intervento di ristrutturazione edilizia e di una DIA inefficace, anche perché riferita ad un intervento edilizio eseguito in zona vincolata in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica, occorre prendere in esame le risultanze dell’istruttoria disposta dalla Sezione nel grado di appello.
In particolare, occorre soffermarsi sugli accertamenti e sulle conclusioni svolte dal verificatore incaricato, come rassegnate nella relazione depositata in data 10 maggio 2021.
Al riguardo, il verificatore, dopo avere descritto l’andamento delle operazioni peritali e avere precisato l’oggetto dei provvedimenti impugnati in prime cure, oltre che della DIA del 2014 e delle opere eseguite dall’odierna ricorrente, prendendo posizione sulle singole opere oggetto dell’odierno giudizio, in quanto comprese nell’ordine di demolizione, ha rilevato che:
-la mancata realizzazione del solaio intermedio posto a copertura del locale soggiorno della u.i. del tipo “bilocale”, ha aumentato il volume lordo degli ambienti fruiti nell’edificio ma in modo del tutto irrilevante dal punto di vista edilizio ed urbanistico, non essendosi modificato il Volume Costruito e la SUL dell’intervento;
– difatti, ai sensi dell’art. 4 NTA del PRG del 2008, per volume costruito si esprime la consistenza edilizia di un fabbricato esistente calcolata come prodotto dalle superficie utile lorda di ogni piano per l’altezza reale relativa; l’altezza degli edifici si misura in termini di differenza in ogni punto tra la quota di sistemazione esterna e la quota della linea di gronda, dove la quota di sistemazione esterna è stabilita nel progetto allegato al titolo abilitativo ovvero nel verbale di linee e quote, mentre la linea di gronda è data dall’intersezione tra l’intradosso del solaio di copertura (a falda inclinata o a terrazzo) e il piano verticale di facciata;
– per l’effetto, l’eventuale presenza di un solaio intermedio, interno al volume che si determina tra la quota di calpestio del piano e la falda di tetto che corre tra la linea di gronda (come sopra intesa) e l’intradosso del solaio di copertura nel punto di colmo, non costituisce, di per sé, elemento determinante al fine del calcolo del Volume Costruito, urbanisticamente rilevante; parimenti, lo spazio tecnico ricavato tra il solaio piano intermedio, che non è stato realizzato, e la falda del tetto inclinato, non aveva alcuna destinazione particolare se non quella di intercapedine, che comunque, di fatto, è rimasta nell’insieme volumetrico dell’edificio realizzato;
– la mancata realizzazione del solaio intermedio de quo, dunque, ha lasciato invariati volume urbanistico e superficie utile lorda;
– di conseguenza, “l’asserito “abuso edilizio” individuato da Roma Capitale nella mancata realizzazione del solaio intermedio, con il conseguente aumento della volumetria abitabile, non sia giustificato non solo dalle norme edilizie sopra richiamate, ma anche dal fatto che la sagoma geometrica finale dell’involucro realizzato è la medesima sia nel progetto approvato sia in quello realizzato” (pag. 13 relazione di verificazione);
– in relazione all’ulteriore aumento di volume contestato per mc 9,20 e s.u.l. per mq 8,40, non sono emerse evidenze per chiarire la natura di tali contestazioni comunali; difatti, da un lato, “nel corso del sopralluogo lo stato dei luoghi rilevato è risultato conforme a quello riportato sia negli elaborati grafici allegati alla D.I.A. in variante al PdC n. 403/2012 – prot. n. 14122 del 13 febbraio 2014 che negli elaborati grafici allegati all’accertamento di compatibilità paesaggistica”, dall’altro, “nella tavola di progetto allegata alla SCIA del 2014, e nel progetto allegato alla richiesta di Compatibilità Paesaggistica, ex art. 167, non si evince alcun aumento di SUL e di Volume Costruito tra il Progetto approvato del 2012 e quanto realizzato ed osservato nel corso dei sopralluoghi” (pag. 15 relazione di verificazione);
– i locali tombati, derivanti dall’eliminazione dei locali box previsti nel progetto originario, risultavano unificati all’intercapedine e non accessibili; nel corso del sopralluogo del 25 marzo 2021, si è constatato che alcuni spazi, già locali tecnici sommati alla intercapedine e posti sul lato strada, risultavano assimilabili a deposito e/o magazzino;
– le opere effettivamente realizzate risultavano conformi alla normativa urbanistica di zona vigente;
– il procedimento di compatibilità paesaggistica avviato dal ricorrente con domanda n. 494162 del 17 settembre 2015 ha avuto ad oggetto l’intera consistenza delle opere realizzate dalla società appellante, ivi incluse quelle contestate con la ingiunzione di demolizione del 30 gennaio 2015, così come riscontrate nel corso dei sopralluoghi, eccezion fatta per l’ulteriore aumento di volume contestato per m. 39,20 e s.u.l. per m 28, 40 di cui non vi era traccia negli elaborati di progetto depositati agli atti degli uffici di Roma Capitale e della Regione Lazio;
– l’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, nonostante avesse ottenuto il nulla osta positivo da parte della competente soprintendenza e il richiedente avesse corrisposto la sanzione pecuniaria individuata in Euro 20.000, finalizzata ad ottenere l’accertamento di compatibilità paesaggistica per la “diminuzione volumetrico del piano seminterrato, difformità di dimensioni di volumi e facciate in un edificio bifamiliare”, non ha ancora ottenuto il provvedimento definitivo da parte della Regione Lazio.
Alla luce di tali rilievi, il verificatore ha evidenziato che:
– le opere effettivamente realizzate in seguito all’intervento edilizio assentito con il permesso di costruire n. 403 del 16 ottobre 2012, e della D.I.A. in variante prot. n. 14122 del 13 febbraio 2014, tenuto conto pure della mancata realizzazione del solaio intermedio posto a copertura del locale soggiorno della unità immobiliare “bilocale”, non hanno evidenziato aumenti del Volume Costruito, aumento della Superficie Utile Lorda, se non nella misura inferiore al 2% (con conseguente loro irrilevanza ai fini dell’integrazione di un abuso edilizio – Consiglio di Stato, sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1481);
– le opere effettivamente realizzate risultano conformi alla normativa urbanistica di zona vigente;
– il procedimento di compatibilità paesaggistica di cui alla domanda n. 494162 del 17 settembre 2015 ha avuto ad oggetto l’intera consistenza delle opere realizzate dalla società appellante, ivi incluse quelle contestate con la ingiunzione di demolizione del 30 gennaio 2015;
– la Regione Lazio non ha ancora concluso il procedimento in modo formale, pur avendo acquisito il parere vincolante, positivo, della Soprintendenza e pur avendo irrogato e riscosso l’indennità pecuniaria, ed essendo trascorsi i prescritti termini di legge anche a causa dello stato emergenziale della pandemia in atto;
– nonostante l’assenza dei provvedimenti formali e definitivi di accertamento di conformità (artt. 36 e 37 del D.P.R. 380/2001) e accertamento di compatibilità paesaggistica (art. 167 del D.Lgs 42/2004) sulle opere realizzate in difformità rispetto al PdC 403/2012, a causa del ritardo della conclusione del procedimento ed in considerazione del “sostanziale” accoglimento della domanda di accertamento, non potrebbe essere applicata la sanzione demolitoria di cui al comma 1 art. 167 del D. Lgs 42/2004.
3. Gli accertamenti svolti dal verificatore, documentati e coerenti con la disciplina tecnica applicabile in materia, devono essere posti a fondamento dell’odierna decisione e consentono l’accoglimento dell’appello ai sensi e nei limiti di quanto di seguito precisato.
4. Preliminarmente, occorre richiamare i principi giurisprudenziali, espressi da questo Consiglio e condivisi dal Collegio, secondo cui:
– “il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo), oggi come allora, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510). Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia (Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 2015, n. 3505)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7151);
– il carattere distintivo che caratterizza l’intervento di ristrutturazione, distinguendolo dagli interventi manutentivi, “è, dunque, costituito dalla finalità, che è quello della “trasformazione” dell’organismo edilizio, in termini di diversità rispetto al precedente” (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2021, n. 7593);
– tra gli interventi suscettibili di dare luogo ad un intervento di ristrutturazione edilizia vi sono quelli incidenti sui prospetti (Consiglio di Stato, sez. II, 10 maggio 2021, n. 3684);
– al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l’impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3164). Nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, peraltro, non può tenersi conto del mero profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico, consentendo la realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso alla loro realizzazione.
Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che le opere per cui è causa, valutate unitariamente, abbiano determinato effettivamente una trasformazione dell’organismo edilizio, suscettibile di integrare gli estremi della ristrutturazione edilizia.
Difatti, le opere in esame, funzionalmente connesse, componenti un intervento unitario, per come denunciato all’Amministrazione ed eseguito dall’odierno appellante, hanno determinato, alla stregua di quanto pure emergente dalla relazione di verificazione (in specie, dal riscontro ai quesiti 1 e 2):
– una modifica della quota del terreno circostante la parte posteriore dell’edificio, con l’eliminazione delle rampe di accesso ai box posti nei locali seminterrati (il terreno esterno risulta degradare gradualmente verso il perimetro del lotto);
– modifiche agli ingressi ed in particolare alle scale di accesso alla quota rialzata;
– modifiche alle aperture esterne\finestre\porte finestre con conseguenti variazioni sui prospetti esterni.
Emerge, dunque, un intervento che ha determinato non soltanto una mera modifica della distribuzione degli spazi interni, ma anche una modifica dei prospetti e del terreno circostante, con la conseguenza che, valutato l’impatto edilizio effettivamente prodotto dall’insieme delle opere in esame (come osservato, insuscettibili di valutazione atomistica, occorrendo procedere ad una disamina globale del complessivo intervento eseguito), si è assistitito ad una trasformazione dell’organismo edilizio, tale da dare luogo, anziché a meri interventi conservativi (tipici dell’attività di manutenzione, anche straordinaria), ad un complessivo intervento di ristrutturazione edilizia.
5. Tale conclusione non permette, tuttavia, di confermare la legittimità del provvedimento impugnato in prime cure.
Roma Capitale, difatti, non ha ordinato la demolizione delle opere in contestazione, perché integranti una ristrutturazione edilizia astrattamente non eseguibile sulla base di una denuncia di inizio attività, ma si è limitata a rilevare:
– da un lato, “la presenza di interventi edilizi abusivi di ristrutturazione in totale difformità dal titolo abilitativo permesso di costruire…”;
– dall’altro, la riconducibilità delle opere “nei casi previsti dall’art. 4 comma 1 bis L.R. 24/98 ed art. 142 comma 2 D. lgs 42/2004”, con conseguente assoggettamento dell’intervento all’acquisizione del nulla osta archeologico e paesistico.
Non risultando acquisiti i nulla osta previsti per le opere esterne oggetto di variante, soggette a quanto disposto nell’art. 181, commi 1 e 1 bis del D. Lgs. 42/2004, la DIA (art. 22, 2° comma, D.P.R. 380/01) presentata in data 13/02/2014 prot. 14122 doveva ritenersi inefficace.
Stante l’inefficacia della DIA, gli interventi in essa previsti, anche in ragione della natura vincolata dell’area, dovevano ritenersi in totale difformità del titolo abilitativo ai sensi dell’art. 17 comma 4 L.R. Lazio n. 15/2008, con la conseguente applicabilità del disposto dell’art. 44, comma 1, lett. b), DPR n. 380/01.
La DIA, inoltre, avrebbe dovuto essere corredata da nuovo atto d’obbligo, non presente in atti, a modifica di quello precedentemente stipulato per il rilascio del permesso di costruire, date le modifiche delle sistemazioni esterne, la diversa distribuzione dei locali e la riduzione delle aree da vincolare a parcheggio.
Non riscontrandosi l’atto d’obbligo e il nulla osta archeologico paesistico, è stata ordinata la demolizione delle opere in esame.
6. Emerge, dunque, che Roma Capitale, a fondamento della propria decisione, non ha rappresentato l’inidoneità della DIA a legittimare le opere in esame, per l’emersione di un intervento edilizio astrattamente non riconducibile al suo ambito di applicazione, bensì, dando atto della presentazione di una DIA in variante ad un permesso di costruire ex art. 22, comma 2, DPR n. 380/01, ha contestato l’assenza dei prescritti nulla osta archeologico e paesistico, nonché la mancanza di apposito atto d’obbligo.
Per l’effetto, l’Amministrazione ha ritenuto che la carenza di tali atti comportasse l’inefficacia della DIA e, dunque, l’emersione un intervento di ristrutturazione edilizia non legittimato dal relativo titolo edilizio, in difformità del permesso di costruire, suscettibile di sanzione ripristinatoria.
L’ordine di demolizione, in altri termini, trae il suo presupposto giustificativo, anziché nell’impossibilità di legittimare la variazione a permesso di costruire con DIA, nell’inefficacia della DIA per l’assenza del nulla osta archeologico-paesistico e dell’atto d’obbligo.
7. Il Collegio è chiamato a statuire sulla legittimità di tale ratio decidendi, non potendo esaminarsi ulteriori ed ipotetiche ragioni giustificative dell’ordine demolitorio non enunciate o comunque non desumibili dal provvedimento per cui è causa.
Il principio della domanda di cui agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c. – espressione del potere dispositivo delle parti, completamento del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base alla regula juris di cui all’art. 112 c.p.c. e pacificamente applicabile anche al processo amministrativo – impedisce infatti al giudice di statuire su un petitum e una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all’esame del giudice, non potendo negarsi il bene o l’utilità richiesti in giudizio per ragioni diverse da quelle dedotte nel provvedimento amministrativo e contestate con il ricorso di primo grado, altrimenti emergendo una violazione del diritto di difesa della parte ricorrente (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. II, 21 ottobre 2021, n. 7081).
Avendo, pertanto, riguardo all’apparato motivazionale alla base del provvedimento impugnato, si osserva che l’Amministrazione, ritenendo la DIA inefficace per l’assenza dei prescritti atti di assenso e di obbligo, ha ritenuto di disporre in via immediata la demolizione delle opere de quibus, senza valutare la possibilità di conformare l’attività denunciata al quadro regolatorio di riferimento.
Una tale motivazione, alla stregua anche delle risultanze istruttorie acquisite nell’ambito dell’odierno giudizio, non può essere confermata, stante la fondatezza (per quanto di seguito precisato) delle doglianze articolate nell’ambito del primo motivo di appello (in ordine alla mancata emersione di incrementi volumetrici e di superficie urbanisticamente rilevanti) e del secondo motivo di appello (in ordine all’ammissibilità della regolarizzazione dell’attività denunciata).
8. La denuncia di inizio di attività (così come la segnalazione certificata di inizio attività ) costituisce uno strumento di liberalizzazione delle attività private non più assoggettate ad un controllo amministrativo di tipo preventivo, ma avviabili sulla base di una mera segnalazione da sottoporre al successivo controllo amministrativo.
Ai sensi dell’art. 19, comma 3, L. n. 241/90, nella formulazione ratione temporis applicabile nella specie (cfr. all’attualità, 19, comma 4, L. n. 241/90), l’Amministrazione è abilitata ad adottare i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione.
In materia di DIA (oggi SCIA), dunque, l’Amministrazione è tenuta a verificare se le difformità riscontrate in sede di controllo successivo siano suscettibili di regolarizzazione entro un termine all’uopo da fissare, potendo in caso contrario impedire la prosecuzione dell’attività e la conservazione degli effetti prodotti dall’azione denunciata.
Tenuto conto delle esigenze di conservazione dei valori giuridici sottese alla disciplina in commento, dell’amplia formulazione del dato letterale (che non limita la regolarizzazione a specifiche difformità ) e della necessità di intendere le previsioni limitative della posizione giuridica individuale alla stregua del principio di proporzionalità (che impone nella specie di accogliere l’opzione esegetica idonea ad arrecare il minimo sacrificio della sfera proprietaria, non eccedente quanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo di tutela sotteso alla disposizione in analisi, da individuare nell’esigenza di garantire la stabilità degli effetti riconducibili ad un’attività comunque conformabile al quadro normativo di riferimento), l’ammissibilità della sanatoria potrebbe essere apprezzata tanto a livello sostanziale e, dunque, attraverso la modifica dell’intervento denunciato al fine di renderlo conforme al quadro normativo di riferimento, quanto sotto il profilo procedimentale, mediante l’acquisizione postuma (al ricorrere dei relativi presupposti) di titoli amministrativi a sanatoria di un illecito già commesso (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 ottobre 2021, n. 7286).
9. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, non risulta che nella specie le ragioni ostative allo svolgimento dell’attività edilizia denunciata non potessero essere rimosse entro un termine assegnando alla parte privata.
9.1 In particolare, una prima ragione impeditiva è stata individuata dall’Amministrazione nel mancato rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, in ragione della sussistenza di un vincolo paesaggistico gravante sull’area interessata dagli asseriti abusi.
Al riguardo, preliminarmente, giova evidenziare come, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, nella specie le opere in contestazione non abbiano assunto una rilevanza meramente interna, avendo influito sul livellamento del terreno esterno al fabbricato e sul prospetto degli edifici: per l’effetto, pure prescindendo dalla considerazione per cui l’art. 146 D. Lgs. n. 42 del 2004 non distingue tra interventi incidenti sulla consistenza interna o esterna del manufatto (profilo rilevante ai fini della valutazione della concreta compatibilità dell’intervento progettato con i valori paesaggistici tutelati, ma non per escludere la sua sottoposizione al previo controllo dell’autorità paesaggistica), nella specie le opere hanno influito sullo stato dei luoghi, risultando soggette, dunque, alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42 del 2004, anche nella formulazione vigente al tempo di adozione del provvedimento censurato in prime cure, risultava ammissibile l’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, tra l’altro, “a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Per l’effetto, a fronte della possibilità di sanare l’illecito commesso, attraverso il rilascio di un titolo idoneo a legittimare le opere eseguite al ricorrere di puntuali presupposti di legge, l’Amministrazione, prima di adottare il provvedimento inibitorio impugnato in prime cure (rivestente la forma dell’ordine demolitorio), avrebbe dovuto comunque verificare la sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, assegnando in caso affermativo alla parte un termine perentorio per provvedere alla regolarizzazione di quanto eseguito.
Come emergente dalle risultanze della relazione di verificazione, difatti, le opere in contestazione non avevano prodotto un incremento delle superfici utili o dei volumi, tenuto conto che, da un lato, la mancata realizzazione del solaio intermedio, in applicazione della pertinente disciplina urbanistica locale (puntualmente richiamata dal verificatore) non aveva comportano un incremento della superficie o del volume urbanisticamente rilevante; dall’altro, le ulteriori contestazioni opposte dall’Amministrazione, in relazione all’asserito incremento di volume contestato per mc 9,20 e s.u.l. per mq 8,40, non trovavano concreto riscontro, risultando generiche e indimostrate; il che integra, già di per sé, un difetto di istruttoria autonomamente inficiante la determinazione demolitoria.
Per l’effetto, non emergendo elementi ostativi all’applicazione dell’art. 167, comma 4, cit., né potendosi escludere in via aprioristica la possibilità di ottenere un favorevole pronunciamento dell’autorità paesaggistica (come, peraltro, confermato dal parere positivo concretamente emesso dalla Soprintendenza sull’istanza di accertamento dell’odierna appellante, pure citato nella relazione di verificazione), l’Amministrazione avrebbe dovuto consentire, a fronte di una DIA già presentata, attraverso la concessione di un termine, la regolarizzazione dell’attività denunciata.
9.2 Parimenti, il provvedimento di demolizione non risulta giustificabile sulla base del vincolo archeologico.
In primo luogo, a fronte della specifica contestazione dell’appellante in ordine alla mancata riconducibilità del manufatto per cui è causa ad una zona archeologicamente vincolata, non emergono in atti documenti da cui possa evincersi la circostanza opposta, alla base del provvedimento impugnato in prime cure.
In ogni caso, l’Amministrazione ha contestato la violazione dell’art. 181 D. Lgs. n. 42 del 2004, che fa salva l’applicazione dell’art. 167 D. Lgs. n. 42/04 in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica (del resto, le zone di interesse archeologico, ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m, D. Lgs. n. 42/04 sono considerate di interesse paesaggistico e sottoposte alle relative disposizioni di tutela e valorizzazione, come delineate dal Titolo III del D. Lgs. n. 42/04), con la conseguenza che, anche in relazione all’assenza del preventivo nulla osta per la compatibilità delle opere edilizie con il vincolo di tutela correlato all’interesse archeologico, occorreva garantire la possibilità di una regolarizzazione dell’attività denunciata, attraverso l’acquisizione postuma dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, salvo che l’Amministrazione avesse motivato in ordine alle ragioni ostative alla conformazione dell’attività ai presupposti e alle condizioni per il suo lecito svolgimento.
9.3 Infine, anche per l’assenza dell’atto d’obbligo, l’Amministrazione avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali tale atto non potesse essere presentato dal privato entro un termine all’uopo da assegnare, non potendo, in mancanza, provvedere in via immediata all’adozione delle misure repressive, a fronte di un disposto positivo che impone, ove possibile, la regolarizzazione dell’attività in luogo della sua immediata inibizione.
10. Alla luce delle considerazioni volte, l’appello deve essere accolto.
10.1 Discorrendosi di opere non comportanti un aumento di volume o di superficie utile urbanisticamente rilevante per come accertato dal verificatore, il Comune non avrebbe potuto ritenere inefficace la DIA e, per l’effetto, assumere i provvedimenti inibitori, comportanti la rimozione degli effetti materiali nelle more prodotti (la demolizione delle opere realizzate), bensì, a fronte di un dato positivo che impone la regolarizzazione ove possibile dell’attività denunciata – a garanzia delle esigenze di conservazione dei valori giuridici e delle attività espletate alla base dell’art. 19 L. n. 241/90 – avrebbe dovuto motivare le ragioni per cui l’attività del privato non potesse essere conformata alla disciplina di riferimento, costituendo tale circostanza il presupposto per l’esercizio del potere repressivo, da accertare in sede istruttoria e da illustrare nell’apparato motivazionale del provvedimento impugnato.
10.2 In ogni caso, come rilevato dalla parte ricorrente con il primo motivo di appello, le opere de quibus non hanno comportato un aumento della volumetria e della superficie, diversamente da quanto rilevato dall’Amministrazione comunale; il che manifesta un’ulteriore e autonoma ragione di illegittimità dell’atto demolitorio, perché inficiato da un difetto di istruttoria correttamente censurato (sotto tale profilo) con il primo motivo di appello.
10.3 Salvo quanto osservato in ordine all’acquisizione del nulla osta sul piano paesaggistico e archeologico, oltre che alla presentazione dell’atto d’obbligo -come rilevato anche in tale caso dal verificatore-, non emergevano peraltro specifiche violazioni della normativa urbanistica ed edilizia di riferimento, non puntualmente specificate nel provvedimento per cui è causa.
10.4 Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure asserendo che le opere in concreto eseguite risultavano solo in parte comprese nella DIA del 2014 e, dunque, rilevando l’ammissibilità di un annullamento parziale dell’ordine di demolizione, in relazione alle sole opere comprese nella DIA reputata (erroneamente) inefficace.
In primo luogo, si osserva che dalla nota della Polizia Roma Capitale n. 101582 del 30.10.2014 in atti le dieci opere in contestazione, “previste, nella fattispecie” sono state ricavate “dall’esame dell’elaborato grafico allegato all’istanza” e, dunque, anziché dalla verifica materiale dello stato dei luoghi, dall’esame cartolare della documentazione presentata in sede amministrativa; il che evidenzia come, secondo quanto ritenuto dalla stessa Amministrazione, le opere de quibus non fossero diverse da quelle contemplate nella DIA, bensì risultassero desumibili dagli stessi documenti prodotti a suo corredo e, dunque, rientrassero nella portata oggettiva di quanto denunciato dalla parte privata. Trattasi di rilievo confermato anche dalla relazione di verificazione, in cui si elencano le opere comprese nella portata oggettiva della DIA con l’emersione di talune coincidenze con l’ambito applicativo dell’ordine di demolizione (cfr. pag. 9 relazione di verificazione).
In ogni caso, si precisa che l’Amministrazione ha fondato la propria decisione, ritenendo che l’insieme delle opere sanzionate integrasse un intervento di ristrutturazione edilizia eseguito in difformità del permesso di costruire e in assenza di una DIA efficace.
Pertanto, a fronte di una considerazione (in sede amministrativa) unitaria delle opere in contestazione, non potrebbe provvedersi ad una loro valutazione (in sede giurisdizionale) atomistica ai fini dell’annullamento parziale dell’atto provvedimentale: la riduzione delle opere in ipotesi abusive influirebbe anche sulla qualificazione del (minore) intervento edilizio così emergente, investente una questione su cui il Comune non ha statuito (avendo qualificato l’intervento per come risultante dall’insieme delle opere contestate) e su cui, dunque, questo Consiglio, ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a. non potrebbe pronunciare per la prima volta in sede giurisdizionale.
11. L’appello deve essere, per l’effetto, accolto ai sensi e nei limiti di quanto precisato, salve le ulteriori determinazioni suscettibili di essere assunte dall’Amministrazione nella fase di riedizione del potere.
Le spese del doppio grado di giudizio sono regolate in applicazione del criterio della soccombenza, dovendo essere poste a carico di Roma Capitale e in favore dell’appellante nella misura indicata in dispositivo.
12. A carico della parte appellata devono essere poste, altresì, le spese di verificazione, il cui regime è correlato al riparto delle spese processuali (in termini, Consiglio di Stato, sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 5632).
Il verificatore ha formulato due ipotesi di liquidazione: la prima basata sul DPR n. 115/2002 e del DM 30.05.2002 per Euro 6.004,77 oltre spese, oneri previdenziali ed IVA; la seconda basata sul D.M. n. 140/2012 per Euro 6.505,70 oltre oneri previdenziali ed IVA; l’organo ausiliario ha, dunque, ritenuto di chiedere, a titolo di compenso professionale, il riconoscimento di un importo pari alla media dei due valori, corrispondente ad Euro 6.255,00, oltre oneri previdenziali (4% per INARCASSA e 4% per GS INPS: 510,40Euro) ed IVA (1488,40Euro).
Al riguardo, tenuto conto delle previsioni e dei criteri di cui agli artt. 50, 51 e 52 D.P.R. 30/05/2002 n. 115 e al D.M. 30 maggio 2002, costituente parametro assumibile nel presente caso a fondamento della liquidazione, il Collegio ritiene che la particolarità delle questioni oggetto di verificazione e la completezza della prestazione eseguita possano consentire la liquidazione del compenso spettante al verificatore nella misura di Euro 6.004,77 oltre accessori di legge ove previsti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, accoglie il ricorso di primo grado nei predetti limiti e annulla il provvedimento impugnato in primo grado.
Condanna Roma Capitale al pagamento, in favore della società Ed. S.r.l., delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella somma complessiva di Euro 6.000,00, oltre accessori di legge ove previsti.
Condanna Roma Capitale al pagamento, in favore del verificatore incaricato, prof. Fr. Na., delle spese di verificazione, liquidate nella misura di Euro 6.004,77 oltre accessori di legge ove previsti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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