Compensi: spese forfettariamente sostenute senza dovere documentare ai fini fiscali

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 3 gennaio 2019, n. 44.

La massima estrapolata:

I professionisti possono includere nell’onorario a titolo di “compensi forfetizzati” le spese forfettariamente sostenute per l’esecuzione dell’incarico senza per questo dovere documentare ai fini fiscali la loro effettività e/o la loro natura autonoma di costo. Questo in quanto, in presenza di un’istanza di rimborso delle maggiori imposte erroneamente versate per avere conteggiato nell’imponibile anche i compensi forfetizzati, l’Amministrazione è sempre tenuta a provare l’insussistenza in capo al contribuente/richiedente del diritto alla forfetizzazione senza neppure potere sostenere la legittimità del diniego al rimborso per la pretesa mancata dimostrazione della natura delle spese sostenute.

Ordinanza 3 gennaio 2019, n. 44

Data udienza 30 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9240/2012 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
Contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 12/14/11 della Commissione tributaria regionale di Bari, depositata il 15 aprile 2011;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 30 novembre 2018 dal Consigliere Paolo Fraulini.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per la Puglia in Bari, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il diniego di rimborso n. prot. (OMISSIS) notificato a (OMISSIS) in riferimento a Irpef e addizionale regionale relative all’anno di imposta 1998.
2. Ha rilevato il giudice di appello che l’Ufficio aveva erroneamente rifiutato il rimborso atteso che non vi era alcuna necessita’ di presentare una dichiarazione integrativa e che non vi era tampoco necessita’ di documentare l’asserito versamento in eccedenza, trattandosi di compensi forfettari, come tali da qualificarsi come costi necessari alla produzione del reddito.
3. Per la cassazione della citata sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi; (OMISSIS) resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: “Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 38, commi 1 e 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4)” deducendo che erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto tempestiva l’istanza di rimborso relativamente alla parte di imposta versata dal sostituto, allorquando essa era all’evidenza tardiva, essendo stata presentata solo in data 30 dicembre 2002 mentre il termine decadenziale diciotto mesi era scaduto in data 30 giugno 2000.
b. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 19, in combinato disposto con l’articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3)” deducendo l’erroneita’ della sentenza laddove avrebbe ritenuto non necessaria la prova dell’effettivo sostenimento dei costi per l’attivita’ espletata come effetto della loro forfettizzazione, allorquando tale requisito sarebbe comunque indispensabile al fine di legittimare l’istanza di rimborso.
2. Il controricorrente chiede accertarsi l’infondatezza del ricorso.
3. Il ricorso va respinto.
4. Il primo motivo e’ inammissibile. In primo luogo, esso lamenta una violazione di legge, ma invoca come parametro di riferimento l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che riguarda la diversa ipotesi di nullita’ della sentenza, senza spiegare a quali dei due diversi parametri intenda fare effettivo riferimento. In ogni caso la censura e’ inammissibile anche perche’, come questa Corte ha gia’ affermato (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25014 del 06/12/2016) e va qui ribadito, la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso per non aver presentato la relativa istanza entro il termine – previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 38 – di diciotto mesi dal versamento dell’imposta indebitamente corrisposta (nella specie IRAP), ancorche’ rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non puo’ essere eccepita per la prima volta in Cassazione, qualora dalla sentenza impugnata non risulti la data del versamento, ne’ quella di presentazione dell’istanza per il relativo rimborso, non essendo consentita, in sede di legittimita’, la proposizione di nuove questioni di diritto che presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto, ne’ essendo possibile ipotizzare un “error in procedendo” del giudice di merito – consistente nel mancato esame del documento – poiche’ la stessa rilevabilita’ d’ufficio della decadenza va coordinata con il principio della domanda, che non puo’ fondarsi, per la prima volta in quella sede, su un fatto mai dedotto in precedenza, implicante un diverso tema di indagine e di decisione.
La censura in esame ricade in tale ipotesi di inammissibilita’, in quanto esordisce dando per “implicitamente” respinta dal giudice di appello la questione della decadenza, senza tuttavia spiegare alla Corte quando e dove nel corso del giudizio sarebbe stata introdotta la relativa questione, come sarebbe stato necessario ai fini della completezza della censura ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 6 e dell’articolo 369 c.p.c., n. 4.
5. Il secondo motivo e’ infondato. La stessa Agenzia ricorrente riconosce che ai professionisti e’ consentito conglobare nell’onorario anche le spese necessarie per l’espletamento dell’incarico, entro i limiti previsti dalla L. n. 143 del 1949, articolo 13 (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27331 del 21/12/2006).
Con tale premessa e’ evidente che non vi e’ alcun onere per il contribuente di documentare ai fini fiscali l’effettivita’ della spesa e la sua natura autonoma di “costo”. L’Erario, in presenza di un’istanza di rimborso motivata con l’erroneita’ della determinazione dell’imposta per aver conglobato nell’imponibile anche i costi forfettizzati, e’ onerato di dimostrare l’insussistenza del diritto alla forfettizzazione, e non puo’ limitarsi a negare il rimborso sulla base della pretesa mancata dimostrazione della natura delle spese, allorquando la legge sui professionisti espressamente consente la loro forfettizzazione e nel caso di specie il sostituto di imposta aveva pacificamente dimostrato l’avvenuto pagamento del relativo emolumento assoggettato a tassazione. Va per completezza rilevato che la giurisprudenza di questa Corte citata nel ricorso non appare pertinente, posto che essa attiene alla determinazione del reddito di impresa, mentre qui si discute di reddito di professionista autonomo, sicche’ le modalita’ di contabilizzazione e di tenuta delle scritture contabili sono all’evidenza estranee alla presente controversia.
6. La soccombenza regola le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del controricorrente (OMISSIS) delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.

Avv. Renato D’Isa

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