Consiglio di Stato, Sentenza|17 maggio 2021| n. 3835.
Col termine “sanatoria” vengono tradizionalmente intesi due istituti completamente diversi per presupposti e finalità, il cui unico tratto comune è dato dalla circostanza che entrambi si risolvono nella legittimazione di un intervento successiva alla sua realizzazione. L’accertamento di conformità, o “sanatoria ordinaria” consiste dunque nella regolarizzazione di abusi “formali”, in quanto l’opera è stata sì effettuata senza il preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. “doppia conformità “). La parola “condono”, invece, seppure entrata nell’uso comune, a stretto rigore non figura in alcun testo legislativo, complice una certa ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione.
Sentenza|17 maggio 2021| n. 3835
Data udienza 30 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Sanatoria – Istituti – Accertamento di conformità – Condono – Caratteristiche – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7753 del 2013, proposto dalla signora Ca. Di Mi., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ri., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…)
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Seconda, n. 457/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di un permesso di costruire in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021, il Cons. Antonella Manzione in collegamento da remoto in videoconferenza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’odierno appello la signora Ca. Di Mi. ha impugnato la sentenza del T.A.R. per la Campania, sede staccata di Salerno, n. 457 del 21 febbraio 2013, che ha respinto il ricorso n. r.g. 163 del 2013 per l’annullamento del diniego di sanatoria oppostole dal Comune di (omissis) per il cambio di destinazione d’uso di un immobile da rurale ad abitativo. Ciò in virtù dell’avvenuta pregressa abrogazione della norma sulla quale si fondava la relativa richiesta (art. 12, comma 7, della l.r. n. 19 del 2009).
2. Lamenta plurime violazioni di legge, in particolare degli artt. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 6 bis della l.r. della Campania n. 19 del 2009, nonché 3 e 97 della Costituzione. Invoca principi di ragionevolezza, che vieterebbero alla p.a. di imporre la demolizione di quanto il privato potrebbe poi ricostruire, in ragione della conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica sopravvenuta. Un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa regionale non potrebbe infatti vietare il cambio di destinazione d’uso consentendo di sanare tipologie di opere di assai maggiore impatto in termini di incremento del carico urbanistico, quali la demolizione e ricostruzione (motivo sub I). Per tale ragione, il Comune avrebbe dovuto valutare la domanda anche ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, stante la conformità dell’intervento al momento della sua realizzazione agli artt. 18 e 19 delle N.T.A. del Programma di fabbricazione che ammette la edificazione in zone agricole (omissis), quale quella ove sono ubicati gli immobili in controversia, di abitazioni a servizio dei fondi (motivo sub II). In sostanza, la astratta riconducibilità della richiesta avanzata ad entrambe le tipologie di sanatoria (ordinaria e condono) avrebbe dovuto imporre al Comune un suo scrutinio complessivo (motivo sub III). Infine sarebbe stato necessario l’inoltro del preavviso di rigetto ex art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 (motivo sub IV).
3. Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio. La parte appellante ha depositato note d’udienza per ricapitolare il proprio punto di vista.
4. Alla pubblica udienza del 30 marzo 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. L’appello è infondato.
6. Il Collegio ritiene di potere esaminare congiuntamente i primi tre motivi di ricorso, in quanto connotati da omogeneità di contenuto giuridico. Di fatto la parte, ritenendo di poter attingere indifferentemente i presupposti di rilascio dall’una e dall’altra tipologia di sanatoria, integra i contenuti dell’istanza “con l’esposizione di ulteriori ragioni a sostegno, in sede di giudizio d’impugnazione dell’atto di diniego”, circostanza questa inammissibile, siccome affermato dal primo giudice.
7. Come anche di recente ricordato dalla Sezione (v. Cons. Stato, sez. II, 6 maggio 2021, n. 3545) col termine “sanatoria” vengono tradizionalmente intesi due istituti completamente diversi per presupposti e finalità, il cui unico tratto comune è dato dalla circostanza che entrambi si risolvono nella legittimazione di un intervento successiva alla sua realizzazione. L’accertamento di conformità, o “sanatoria ordinaria” consiste dunque nella regolarizzazione di abusi “formali”, in quanto l’opera è stata sì effettuata senza il preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. “doppia conformità “). La parola “condono”, invece, seppure entrata nell’uso comune, a stretto rigore non figura in alcun testo legislativo, complice una certa ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione.
8. Nel caso di specie l’appellante ha avanzato istanza di condono, invocando l’art. 1 della L.R. 5 gennaio 2011, n. 1, ma anche di sanatoria ordinaria ex art. 36 del T.u.e., per le opere realizzate in difformità dai permessi di costruire originari, oggetto di ingiunzione a demolire n. 5663 del 24 marzo 2009. Con una sostanziale promiscuità descrittiva, dunque, non ha ritenuto di disgiungere l’uno aspetto dall’altro, nella consapevolezza che il cambio di destinazione, da rurale ad abitativo, quale che fosse la consistenza del manufatto, non era consentita dalla vigente disciplina urbanistica. Ciò ha indotto il primo giudice a disgiungere il contenuto del provvedimento, interpretato quale una reiezione solo parziale della richiesta sanatoria, ovvero circoscritto alla tematica del cambio di destinazione d’uso. Pur essendo, cioè, ridetto cambio di destinazione d’uso conseguito (anche) agli ampliamenti e modifiche rispetto al fabbricato realizzato con permesso di costruire n. 987 del 9 maggio 2005, e successiva variante n. 1078 del 17 gennaio 2006, si è evidentemente voluto riconoscere agli stessi una qualche autonomia, purché ricondotti alla destinazione d’uso agricola dell’immobile preesistente agli stessi.
La ricostruzione, seppure di dubbia coerenza, esula dal perimetro dell’odierna decisione in quanto non fatta oggetto di impugnativa.
Ne consegue che nel caso di specie resta da valutare esclusivamente la correttezza del diniego di condono, avanzato ai sensi della l.r. n. 19 del 2009, c.d. “Piano casa” regionale, espressamente invocata allo scopo nella relativa istanza. In particolare, occorre richiamare il comma 7 dell’art. 12 della l.r. n. 19/2009, inserito dall’art. 1, comma 1, lettera rrr), della l.r.5 gennaio 2011, n. 1, ed abrogato a distanza di pochi mesi dalla l.r. 15 marzo 2011, n. 4. La disposizione, comunque inapplicabile al caso di specie ratione temporis, prevedeva dunque che “Ai soli fini amministrativi, gli interventi previsti dagli articoli 4, 5 e 8, comma 2, della presente legge realizzati alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni e ad esse conformi possono essere autorizzati”. Di fatto, si consentiva così una retroazione dell’art. 6 bis, introdotto nel testo originario dalla medesima l.r. n. 1 del 2011 per consentire (pro futuro) di realizzare nelle zone agricole “i mutamenti di destinazione d’uso di immobili o di loro parti, regolarmente assentiti, per uso residenziale del nucleo familiare del proprietario del fondo agricolo o per attività connesse allo sviluppo integrato dell’azienda agricola” (comma 1), stante che lo stesso a sua volta richiamava la disciplina degli artt. 4 e 5, seppure ” con l’obbligo di destinare non meno del venti per cento della volumetria esistente ad uso agricolo”.
9. Il Collegio ritiene dunque di condividere la richiamata ricostruzione del primo giudice, laddove ha ritenuto le doglianze di parte volte ad integrare in maniera postuma la richiesta di contenuto e portata del tutto chiari nel senso sopra precisati, avanzata al Comune di (omissis). A tutto concedere peraltro alla tesi dell’appellante, quand’anche si volesse sussumere la domanda avanzata sub specie di sanatoria ordinaria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, ne mancherebbero i presupposti per assenza del richiamato requisito della doppia conformità . L’evidente commistione di piani tra i due tipi di sanatoria emerge a tale riguardo anche in sede di formulazione letterale della relativa domanda, ove si richiama il principio, ribadito nell’odierno appello, che “sarebbe […] assurdo procedere allo svellimento di tutto quanto realizzato per ripristinare la destinazione agricola e poi, sempre ai sensi della legge Piano Casa, richiedere di nuovo il Permesso per ricostruire tutto quello che si è già demolito” (v. frase finale della relazione tecnica al progetto allegato alla domanda di sanatoria). Appare già chiaro il riferimento alla c.d. sanatoria giurisprudenziale, in forza della quale si è in passato ritenuta dirimente la conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione dell’istanza, sull’assunto che sarebbe diseconomico far demolire ciò che il privato ha facoltà di ricostruire giusta il regime giuridico sopravvenuto. Tale istituto non trova, tuttavia, fondamento alcuno nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione, come già affermato anche dalla Sezione (Cons. Stato, sez. II, 18 febbraio 2020, n. 1240). Il rigore insito in tali principi trova la propria ratio ispiratrice nella “natura preventiva e deterrente” della sanatoria, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità .
10. Acclarato tuttavia che nel caso di specie la modifica di destinazione d’uso, riferita peraltro all’intero fabbricato, per come ampliato e modificato con le opere difformi dagli originari titoli edilizi, né poteva essere condonata ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l.r. n. 1 del 2011, siccome abrogata alla data di presentazione della domanda, né poteva essere sanata, non essendo l’art. 6 bis della l.r. n. 19 del 2009, introdotto dalla stessa novella, ancora in vigore alla medesima data, oltre che a quella di realizzazione degli abusi, appare chiara l’infondatezza della tesi dell’appellante.
11. Quanto detto non muta neppure laddove si assumano a parametri le disposizioni delle N.T.A. del P.R.G. (art. 18 e 19), peraltro richiamate in maniera specifica per la prima volta nell’odierno grado di giudizio, con censura pertanto inammissibile in quanto introdotta in violazione del divieto dei nova. Ridette norme, infatti, attengono alla possibile presenza di “abitazioni” a servizio del fondo agricolo, ovvero alla facoltà di ampliamento fino al 5 % dei fabbricati, anche residenziali, ivi già esistenti, ma non alla modifica integrale di un manufatto a destinazione diversa, senza alcun riferimento peraltro al suo asservimento all’uso agricolo.
12. Da quanto detto discende il rigetto della censura inerente la violazione delle norme sul coinvolgimento della parte nel procedimento: è innegabile, infatti, la natura vincolata del provvedimento adottato, non potendo essere rilasciato un condono fondato su una normativa abrogata al momento dell’inoltro della relativa domanda, né una sanatoria ordinaria, sull’assunto che a far data dal 2011 – dunque assai dopo la realizzazione delle opere e l’inoltro della richiesta di legittimazione postuma- la modifica di destinazione d’uso dei fabbricati ubicati in zona agricola è consentita, peraltro a condizioni tassativamente indicate.
13. In conclusione, l’appello deve essere respinto e conseguentemente deve essere confermata la sentenza del T.A.R. per la Campania, sezione staccata di Salerno, n. 457 del 21 febbraio 2013.
14. Nulla sulle spese, giusta la mancata costituzione in giudizio del Comune di (omissis).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla sulle spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2021, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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