Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 14 novembre 2018, n. 29292.
La massima estrapolata:
In caso di mancanza di collegamento funzionale dei beni dell’azienda l’Amministrazione non può invocare la loro cessione quale cessione di ramo d’azienda anche se ai fini dell’assoggettamento ad imposta di registro non occorre che l’esercizio dell’impresa sia attuale. Ciò perché è sufficiente la mancanza di pre-esistente collegamento funzionale e/o la comprovata successiva organizzazione dei beni da parte dell’imprenditore cessionario dei beni per escludere la cessione di ramo d’azienda.
Sentenza 14 novembre 2018, n. 29292
Data udienza 9 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3710-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL INCORPORATA DA (OMISSIS) SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 119/2010 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE, depositata il 13 dicembre 2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO IMMACOLATA che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta agli atti.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate, facendo proprie le risultanze del processo verbale di constatazione redatto il 18 giugno 2007 dalla G.d.F., notificava alla (OMISSIS) s.r.l., parte acquirente, ed alla (OMISSIS) s.p.a., parte venditrice, distinti avvisi di accertamento, con i quali escludeva l’assoggettabilita’ ad IVA, ed applicava l’imposta di registro proporzionale, che procedeva a recuperare, con applicazione di sanzioni e interessi, in relazione alla cessione, stipulata il 10 dicembre 2003, di un complesso industriale, costituito da immobili ubicati nel Comune di (OMISSIS), atto secondo l’Ufficio “collegato” ad altro precedente, intervenuto l’1 luglio 1999 tra le medesime parti, e da riqualificare come “cessione di ramo d’azienda”.
Gli avvisi di accertamento venivano impugnati da entrambe le parti contraenti, e l’adita Commissione Tributaria Provinciale di Lucca respingeva i ricorsi della (OMISSIS) s.r.l., riguardanti l’indebita detrazione dell’IVA ed il mancato versamento dell’imposta di registro, e dichiarava inammissibile quello proposto dalla (OMISSIS) s.p.a., coobbligata solidale in quanto venditrice, ma la decisione, appellata dalla societa’ acquirente, venne riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha annullato gli avvisi di accertamento.
La CTR osservava, in particolare, che il termine di decadenza per l’accertamento, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1972, articolo 76, comma 2, non era suscettibile di proroga biennale, per effetto della L. n. 289 del 2002, in quanto la contribuente non poteva avvalersi della definizione agevolata, non rientrando il rapporto tributario tra quelli condonabili, beneficio riferibile ai soli atti registrati sino al 30 settembre 2003, che inoltre non sussisteva alcuna violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57, comma 3, non avendo l’impugnato avviso di accertamento ne’ integrato, ne’ modificato, il precedente avviso, afferente l’indebita detrazione dell’IVA per l’anno 1999, riguardante la compravendita di alcuni macchinari che solo in epoca successiva la contribuente aveva provveduto ad organizzare per dar vita alla produzione di profilati di alluminio, attivita’ peraltro diversa da quella svolta dalla venditrice, per cui ricorreva una cessione di beni singoli beni, e non una “cessione di ramo d’azienda”, essendo essi “da considerarsi inidonei di per se’ ad integrare la potenzialita’ produttiva propria dell’impresa”, che infine neppure gli immobili oggetto di cessione tra le due societa’ erano utilizzati dalla societa’ (OMISSIS) “per propri processi produttivi, come dimostrano gli ingenti lavori di ristrutturazione effettuati prima della locazione”, sino al 2003, in favore della societa’ (OMISSIS) s.r.l., donde l’insussistenza di “un disegno elusivo dell’imposta preordinato da realizzarsi in fasi diverse”.
Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate con cinque motivi, cui resiste l’intimata (OMISSIS) s.p.a., incorporante di (OMISSIS) s.r.l., con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, commi 1, 2, e 15, lettera d), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacche’ il comma 2 della norma richiamata riguarda l’accertamento relativo agli atti presentati per la registrazione, o registrati per via telematica, mentre, nel caso che ne occupa, l’atto di compravendita non e’ stato assoggettato all’imposta di registro, bensi’ all’IVA, con la conseguenza che la registrazione e’ stata effettuata d’ufficio, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica citato, articolo 15, come riportato nell’avviso di liquidazione, per cui il termine decadenziale applicabile non e’ quello triennale, secondo quanto affermato dal giudice di appello, ma il termine quinquennale previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, comma 1.
Con il secondo mezzo, denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacche’ la decadenza dell’Ufficio dal potere di recuperare l’imposta di registro, in ogni caso, non travolgerebbe l’avviso di accertamento emesso per l’indebita detrazione dell’IVA, imposta che il giudice di appello ritiene non dovuta, in quanto la fattispecie per cui e’ causa non integra una cessione di ramo di azienda, bensi’ una cessione di singoli beni, senza considerare che non v’e’ alcuna consequenzialita’ necessaria con l’accertamento giudiziale operato nella controversia concernente la cessione dei macchinari, avvenuta nel 1999, tra le stesse societa’, non essendo passata in giudicato la richiamata sentenza n. 93/9/09 della CTR della Toscana.
Con il terzo mezzo, denuncia insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacche’ la sentenza impugnata si limita a richiamare per relationem altra sentenza di appello, peraltro, non ancora passata ingiudicato, senza esplicitare le ragioni della riforma della decisione di primo grado, sfavorevole alle tesi della contribuente.
Con il quarto mezzo, denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2555 c.c., del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articoli 20 e 40, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacche’ la sentenza impugnata trascura di considerare che la sussistenza di una cessione di azienda non e’ condizionata dalla attualita’ della gestione dell’azienda medesima, essendo sufficiente che il complesso di beni sia caratterizzato dalla obiettiva attitudine all’esercizio dell’impresa, restando ininfluente, nel caso di specie, la circostanza che i beni non fossero gia’ utilizzati dalla societa’ venditrice per fare impresa.
Con il quinto mezzo, denuncia insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacche’ la sentenza impugnata afferma che i beni ceduti fossero privi di potenzialita’ produttiva dando rilievo a circostanze non rilevati, e senza valutare nel suo complesso, e non atomisticamente, l’articolata negoziazione intervenuta tra le due societa’.
I motivi di ricorso sono infondati, e non meritano accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
L’Amministrazione finanziaria ha contestato alla societa’ (OMISSIS), con gli impugnati avvisi di accertamento, di aver assolto, in relazione all’atto del 10 dicembre 2003, avente ad oggetto il trasferimento del complesso industriale, una imposta di tipo diverso da quella dovuta, sul rilievo che l’operazione negoziale in questione, valutata in uno con quella risalente all’1 luglio 1999, tra le stesse parti, avente ad oggetto il trasferimento di macchinari, deve essere riqualificata come “cessione di ramo d’azienda”, per cui, esclusa la detraibilita’ dell’IVA erroneamente pagata dalla contribuente, l’atto e’ assoggettabile all’imposta di registro del 3%, oggetto appunto di recupero.
Vertendosi in tema di imposizione alternativa, com’e’ ovvio, non puo’ rilevare il fatto che sia stato corrisposto un tributo, atteso che il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge, e non quello scelto in base a considerazioni soggettive (Cass. n. 1405/2013).
Il termine di decadenza per operare l’accertamento, come correttamente sostiene la ricorrente, va individuato in quello quinquennale, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, primo comma, che decorre dal giorno in cui “si e’ verificato il fatto che legittima la registrazione d’ufficio”, e non nel piu’ breve termine triennale, previsto dal secondo comma della citata norma, in quanto, la registrazione dell’atto, in mancanza di richiesta da parte dei soggetti interessati, e’ avvenuta d’ufficio, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 15, lettera d).
Ne discende che l’Agenzia delle Entrate, con gli avvisi di accertamento impugnati, ha tempestivamente disposto il recupero dell’imposta di registro – in tesi – non versata. Cio’ non di meno, la pretesa creditoria si appalesa priva di fondatezza, atteso che l’assoggettamento dell’atto di compravendita immobiliare ad IVA, come ritenuto dal giudice di appello, e’ frutto di una errata valutazione giuridico-tributaria dell’operazione negoziale posta in essere dalla societa’ contribuente.
Secondo l’Agenzia delle Entrate e’ da qualificare come cessione d’azienda il trasferimento al medesimo soggetto, anche se compiuto attraverso negozi formalmente distinti, e non contestuali, di beni idonei, nel loro complesso, e nella loro interdipendenza, all’esercizio dell’impresa, mentre, per contro, e’ soggetta ad IVA, e non all’imposta di registro, la cessione di singoli beni, inidonei da soli a garantire l’attivita’ produttiva dell’impresa.
La ricorrente deduce che l’atto di cessione del complesso industriale, stipulato il 10 dicembre 2003, e’ funzionalmente “collegato” a quello avente ad oggetto la cessione di macchinari, intervenuto l’1 luglio 1999, tra le medesime parti, anch’esso riqualificato dall’Ufficio come cessione di azienda, e che il relativo contenzioso giudiziario non si e’ concluso con una decisione passata in giudicato, per cui non e’ preclusa, nel presente giudizio, una autonoma valutazione dei fatti allegati a sostegno della pretesa impositiva.
Va, tuttavia, rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 9575 del 2016, ha definito il predetto giudizio, respingendo il ricorso erariale avverso la sentenza n. 93 del 2009 della CTR della Toscana e, segnatamente, ha disatteso le censure che investivano l’affermazione del giudice di appello secondo cui “non era possibile cogliere un coordinamento ed un’organizzazione dei beni ceduti tale da poter affermare che l’insieme degli stessi avesse conservato, nel trasferimento, una propria identita’. Cio’ in quanto la pressa da otto anni giaceva inutilizzata nel magazzino della cedente ed era stata ristrutturata al solo fine della cessione mentre gli altri beni (forno, impianto di imballo, impianto tranciasfridi ed accessori) erano stati acquistati dalla cedente medesima al solo fine di ottenere un prezzo piu’ vantaggioso in vista della cessione alla (OMISSIS) s.r.l.. Si trattava, dunque, di beni che prima della cessione non costituivano un insieme organicamente finalizzato all’esercizio dell’attivita’ di impresa e non erano idonei a consentire l’inizio o la continuazione dell’attivita’ esercitata dalla (OMISSIS) s.p.a., tant’e’ vero che la (OMISSIS) s.r.l. li ha, poi, impiegati per una attivita’ diversa da quella della cedente, ovvero per la estrusione di profilati di alluminio di fascia bassa.”.
Non e’ certamente invocabile alcun effetto preclusivo del giudicato esterno, in quanto non vi e’ perfetta coincidenza tra l’oggetto dell’accertamento operato in quel giudizio, che ha portato all’annullamento degli atti impositivi emessi per recuperare l’IVA, sulle fatture d’acquisto dei macchinari, detratta dalla acquirente, e l’oggetto dell’accertamento (IVA 2003 e registro 2003) richiesto nel presente giudizio, avuto riguardo alla sostanziale diversita’ del rapporto tributario controverso.
Il principio dell’intangibilita’ della cosa giudicata (articolo 2909 c.c.), che non ammette un diverso accertamento, e’, dunque, estraneo all’accertamento della legittimita’ della pretesa impositiva fondata sulla riqualificazione dell’atto di compravendita del complesso industriale (2003), poiche’ il pregresso atto di compravendita dei macchinari (1999), ancorche’ utilizzato in combinazione strumentale e coordinata con l’altro negozio, nel contesto di una fattispecie complessa funzionale ad un risultato economico unitario, conserva la propria individualita’ giuridica, e si colloca tra le circostanze e gli elementi di fatto, diversi da quelli emergenti dal tenore letterale dell’atto oggetto d’imposta, che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le altre Cass. n. 6405/2014), sono legittimamente valutabili, ai fini della individuazione del corretto trattamento fiscale, per cui neppure ricorre una concreta possibilita’ di contrasto tra giudicati (tra le altre, Cass. n. 7697/1992).
Secondo questa Corte (Cass. n. 9162/2010), “in tema d’interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, articolo 20 – per cui rilevano l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli stessi, al di la’ del titolo e della forma apparente comporta che, nella qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale ed alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti; cosicche’ l’intenzione effettiva dei contraenti, di trasferire non un singolo bene o parte di esso, ma l’intera azienda o parte di essa come risultato finale della complessa negoziazione – caso in cui deve applicarsi l’imposta proporzionale di registro – deve essere accertata dal giudice tributario di merito, previa riunione di tutte le cause aventi ad oggetto i singoli contratti, attraverso l’esame congiunto delle singole pattuizioni, stipulate contestualmente o non contestualmente; cio’ a prescindere dalla sussistenza o insussistenza di un intento elusivo (Cass. nn. 11769/2008, 13580/2007, 273/2007, 10660/2003, 2713/2002, 14900/2001).”.
Inoltre, ai fini dell’assoggettamento all’imposta di registro, non si richiede che l’esercizio dell’impresa sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale del bene ceduto ad essere utilizzato per un’attivita’ d’impresa (Cass. n. 27290/2017), e la cessione d’azienda o di ramo d’azienda non e’ esclusa per il solo fatto che non risultino cedute anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali (Cass. n. 23857/2007, Cass. n. 897/2002), salvo che l’azienda non esistesse affatto, prima dei singoli trasferimenti dei beni con cui e’ stata ricomposta, perche’ se e’ vero che “va ravvisata una cessione di azienda tutte le volte in cui la relativa convenzione negoziale abbia avuto ad oggetto il trasferimento di beni organizzati in un contesto produttivo (anche solo potenziale) dall’imprenditore per l’attivita’ d’impresa, occorre pur sempre che il complesso di beni sia gia’ organizzato come tale dal precedente imprenditore.” (Cass. n. 1913/2007).
Tanto premesso, la decisione impugnata si regge su due pilastri motivazionali: per i macchinari, osserva che “i beni ceduti non erano precedentemente collegati a fini produttivi, neppure potenzialmente presso (OMISSIS), mentre solo successivamente la (OMISSIS). ha provveduto ad organizzarli per dar vita ad una produzione diversa da quella della (OMISSIS) e cioe’ la estrusione di profilati di alluminio di fascia bassa”; per quanto concerne “gli immobili oggetto della cessione tra le due societa’”, osserva che “non risulta che la (OMISSIS) li avesse mai utilizzati per propri processi produttivi, come dimostrano gli ingenti lavori di ristrutturazione effettuati prima della locazione”. Se, dunque, il collegamento funzionale dei beni, per farne oggetto di cessione da parte della venditrice, deve preesistere, cio’ nel caso di specie e’ stato radicalmente escluso dalla CTR della Toscana, con accertamento in fatto, compiuto sulla base della documentazione probatoria acquisita, attestante che la cessione aveva riguardato unicamente il complesso immobiliare, nella sua materialita’, tanto da essere necessari, per lo svolgimento di attivita’ di impresa, interventi cosi’ significativi, da escludere apprezzabili elementi di continuita’ con l’azienda (dismessa) dalla venditrice.
E cio’ vale anche per l’opera unificatrice del nuovo imprenditore riguardo ai macchinari che, per quanto e’ dato leggere nella sentenza n. 9575 del 2016 di questa Corte, “prima della cessione non costituivano un insieme organicamente finalizzato all’esercizio dell’attivita’ di impresa e non erano idonei a consentire l’inizio o la continuazione dell’attivita’ esercitata dalla (OMISSIS), tant’e’ vero che la (OMISSIS). s.r.l. li ha, poi, impiegati per una attivita’ diversa da quella della cedente”.
Ora il terzo ed il quinto mezzo d’impugnazione, cosi’ come formulati, sono rivolti contro un insindacabile apprezzamento delle risultanze processuali operato dal giudice di merito, su cui ha formato il proprio convincimento, ancorche’ contrario alla tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria, e rispetto a tale giudizio non e’ stata dedotta alcuna violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, ma piuttosto denunciato il mancato, deficiente, contraddittorio esame di punti decisivi della controversia, vizio che, per quanto sopra esposto, non ricorre.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Suprema Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie, nella misura del 15 per cento, ed accessori di legge.
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