Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 5 aprile 2019, n. 15047.
La massima estrapolata:
La celebrazione del giudizio di primo grado con il rito abbreviato in assenza del consenso dell’imputato, non comparso, e di una valida procura speciale ex art. 438, comma 3, cod. proc. pen., configura una causa di nullità di ordine generale, per la riduzione delle garanzie della difesa derivanti dalla scelta del rito speciale, ma non rientra nelle ipotesi di cui all’art. 179 cod. proc. pen., sicchè la relativa eccezione deve essere formulata ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen. nei motivi di appello o comunque deve essere rilevata, anche d’ufficio, nel corso del giudizio di secondo grado, verificandosi altrimenti la preclusione prevista dalla disposizione citata.
Sentenza 5 aprile 2019, n. 15047
Data udienza 4 febbraio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. SETTEMBRE Antonio – rel. Consigliere
Dott. SESSA Renata – Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/12/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SETTEMBRE ANTONIO;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa PICARDI ANTONIETTA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la correzione dell’errore materiale contenuto in sentenza.
– Il difensore della Parte Civile, avv. (OMISSIS), si associa alle conclusioni del Procuratore Generale e chiede che venga rigettato il ricorso dell’imputato. Deposita, unitamente alla nota spese, il decreto di ammissione al Gratuito Patrocinio del Tribunale di Messina;
– il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), presente, si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Assise d’appello di Messina ha – all’esito di giudizio abbreviato confermato la sentenza di prima cura, che aveva condannato (OMISSIS) per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione di donne reclutate in (OMISSIS) e condotte in Italia, nonche’ per riduzione in schiavitu’ delle donne medesime, per violenza sessuale nei confronti di alcune di esse e per maltrattamenti della convivente (OMISSIS); inoltre, per la partecipazione ad una struttura associativa di vertice (cd. “(OMISSIS)”), composta dei capi di tre associazioni (tra cui lo stesso (OMISSIS)).
Alla base della decisione vi sono le dichiarazioni delle prostitute sfruttate e schiavizzate da (OMISSIS), intercettazioni telefoniche e accertamenti di polizia.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, il quale si avvale di undici motivi.
2.1. Col primo lamenta la violazione di plurime norme di legge ordinaria e costituzionale, perche’ sarebbero state ignorate dalla Corte d’assise d’appello le memorie difensive, con relativi allegati, depositate il 6 e il 13 dicembre 2016 (data della decisione). La fondatezza della doglianza sarebbe confermata dal fatto che la Corte d’Assise d’appello si ritiro’ in Camera di consiglio alle ore 12,00 del 13 dicembre e ne usci’ alle ore 13,10 dello stesso giorno, nonche’ dal fatto che la sentenza (quella depositata) reca la data del 13 novembre 2016, successivamente corretta, e non fa menzione delle memorie suddette.
2.2. Col secondo motivo lamenta la violazione degli articoli 96, 107, 178 e 179 c.p.p.. Il ricorrente premette che in data 3 agosto 2011 fu applicata a (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere, mentre era detenuto in (OMISSIS). Per tale motivo la sorella dell’imputato ( (OMISSIS)) provvide a nominargli un difensore in Italia, ai sensi dell’articolo 96 c.p.p., comma 3. Aggiunge che, all’epoca, era assistito in (OMISSIS) da due avvocati rumeni, per un procedimento penale ivi pendente, ai quali, secondo il ricorrente, “non poteva essere inibito intervenire, se ritualmente avvisati, nel processo per il quale e’ stata esercitata l’azione penale dal Procuratore della Repubblica di Messina”. Da qui, conclude, deriva la nullita’ della sentenza, a cui deve conseguire la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari.
2.3. Col terzo motivo lamenta la nullita’ dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, del decreto dispositivo del giudizio e del decreto di rinnovazione della notifica di quest’ultimo atto, emesso il 6 febbraio 2014 dalla Corte d’assise di Messina per l’udienza del 9 maggio 2014, perche’ mai notificati all’imputato.
2.4. Col quarto lamenta la violazione degli articoli 175 e 491 c.p.p. per la ragione che, su richiesta del difensore dell’imputato, fu concessa dalla Corte d’Assise la restituzione nel termine per formulare richiesta di giudizio abbreviato. Tanto perche’ la richiesta fu formulata tardivamente e perche’ era provenuta da difensore sprovvisto di procura speciale, dal momento che il difensore era stato nominato a (OMISSIS) dalla di lui sorella.
Con lo stesso motivo rinnova l’eccezione d’incompetenza territoriale della Corte d’Assise di Messina, che la difesa ha potuto sollevare – deduce – solo in appello, stante la contumacia dell’imputato, con cui il difensore non aveva avuto modo di interloquire. Deduce l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 441 c.p.p. nella parte in cui non prevede che l’eccezione di incompetenza territoriale possa essere sollevata in appello.
2.5. Col quinto motivo lamenta la violazione dell’articolo 191-bis c.p.p. per essere stati utilizzati – nel giudizio di merito – i brogliacci delle intercettazioni telefoniche, redatti dalla polizia giudiziaria. Lamenta anche che la Corte d’Assise d’appello abbia omesso di accertare “se sono stati emessi regolari decreti autorizzativi delle intercettazioni, ambientali e telefoniche”.
2.6. Col sesto motivo lamenta la violazione dell’articolo 649 c.p.p., perche’ l’imputato sarebbe stato giudicato – per gli stessi fatti – dall’Autorita’ Giudiziaria rumena con sentenza del Tribunale di Valcea del 10 marzo 2010, irrevocabile l’1/2/2011.
2.7. Col settimo motivo lamenta la violazione degli articoli 192, 605 e 530 c.p.p. perche’ sarebbe stata pronunciata condanna – per tutti i reati contestati – senza che sia stata raggiunta la prova oltre il ragionevole dubbio. Deduce che gli elementi valorizzati dalle Corti di merito sono costituiti da brogliacci inutilizzabili e da “propalazioni di donne rumene” – che non hanno mai parlato di atti coercitivi, ma solo di essere state sfruttate – con rinunzia, da parte dei giudici di merito, “alla necessaria indagine retrospettiva”, nonche’ dalle dichiarazioni testimoniali di (OMISSIS), legato sentimentalmente ad una delle prostitute (e percio’ non credibile).
Quanto ai singoli reati, lamenta, per il reato associativo, che sia stata omessa l’individuazione dei presunti associati e dei ruoli rispettivi; per la riduzione in schiavitu’, che non sia stata dimostrata una significativa compromissione della capacita’ di autodeterminazione della vittima; per lo sfruttamento della minore (OMISSIS), che non sia stato provato l’avviamento alla prostituzione; per i maltrattamenti in danno di (OMISSIS), che sia stato valorizzato, contro l’imputato, un compendio captativo che e’ prova di fatti sporadici e di “evidente conflittualita’ tra i due conviventi”.
2.8. Con l’ottavo motivo lamenta la violazione della L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4 e dell’articolo 600 c.p., per la ragione che e’ stata ravvisata l’aggravante della transnazionalita’ senza che ne siano stati provati “gli essenziali presupposti di natura soggettiva ed oggettiva” e perche’ e’ stata ravvisata l’aggravante dell’articolo 600 c.p., comma 3, nonostante sia stata abrogata dalla L. 2 luglio 2010, n. 108.
2.9. Col nono motivo si duole della violazione dell’articolo 81 c.p., per la ragione che e’ stata negata la continuazione tra i reati giudicati in (OMISSIS) e quelli giudicati in Italia, nonostante l’identita’ di disegno criminoso.
2.10. Col decimo motivo deduce la violazione degli articoli 132 e 133 c.p. per essere stata applicata – irragionevolmente – una pena base eccedente il minimo edittale stabilito dall’articolo 600 c.p., perche’ non e’ stata indicata la sanzione per ciascuno dei reati contestati e perche’ sono state immotivatamente negate le attenuanti generiche, senza tener conto delle condizioni sociali e personali di (OMISSIS) e dei motivi che lo hanno spinto a delinquere.
2.11. Con l’undicesimo motivo lamenta che non sia stata fornita – dalla Corte d’appello – risposta alla deduzione difensiva concernente l’assorbimento “dei reati meno gravi” in quello di cui all’articolo 600 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento. Esaminando le doglianze nell’ordine in cui sono state proposte si rileva quanto segue.
1. Il primo motivo e’ inammissibile per genericita’. Il vizio di motivazione, con annessa violazione di legge, sussiste allorche’ venga omessa – dalla Corte d’appello – l’esame degli argomenti esposti in atti difensivi, che abbiano l’attitudine a scardinare il costrutto motivazionale della decisione impugnata. Non basta, quindi, dedurre il mancato esame di scritti difensivi, anche puntualmente indicati, se non viene illustrato il contenuto di quegli scritti e spiegato perche’ il loro esame avrebbe determinato un esito decisorio totalmente o parzialmente diverso, o avrebbe, ad ogni modo, costretto il giudicante a riesaminare il complessivo materiale a sua disposizione, per dar conto di una decisione comunque ipotecata dagli argomenti non esaminati (ex multis, cass., n. 46566 del 21/2/2017, Rv 271227).
Di tanto non v’e’ traccia nel ricorso dell’imputato, dal momento che questi si e’ limitato a dolersi del silenzio serbato intorno alle memorie del 6 e del 13 dicembre 2016, senza illustrarne il contenuto e senza chiarire quali argomenti, dotati di decisiva rilevanza, fossero in essi sviluppati, in funzione dell’assoluzione (totale o parziale) o della mitigazione del trattamento sanzionatorio. Tale mancanza esclude anche che abbiano rilievo le ulteriori doglianze del ricorrente (quelle sull’orario di ingresso ed uscita dalla camera di consiglio e sulla data della sentenza), perche’ tese a dare dimostrazione di un dato ininfluente sulla tenuta della decisione.
2. Il fatto che (OMISSIS) avesse “due avvocati” in (OMISSIS) non ha alcun rilievo nel presente procedimento, giacche’ non risulta che li abbia nominati per farsi assistere in questo procedimento (nemmeno in ricorso si fa cenno ad una simile eventualita’). Di conseguenza, nessun avviso doveva essere dato ai detti avvocati e nessuna nullita’ si e’ – conseguentemente – verificata. Persino stravagante e’ l’affermazione, contenuta in ricorso, che “l’Autorita’ Giudiziaria italiana avrebbe dovuto attivarsi chiedendo al (OMISSIS) se intendeva nominare difensori diversi rispetto ai difensori che aveva nominato in (OMISSIS)” (pag. 6) e quella che l’Autorita’ Giudizia italiana avrebbe dovuto accertare, dopo la nomina del difensore italiano da parte della sorella, se (OMISSIS) fosse assistito da difensori rumeni (pag. 7), mentre errata e’ quella – pure contenuta in ricorso – che la nomina effettuata dalla sorella dovesse ritenersi “provvisoria”, dal momento che la nomina del difensore, ad opera dei congiunti dell’imputato, conserva validita’ finche’ non viene caducata dall’imputato stesso, che designi altro legale (articolo 96 c.p.p., comma 3). Esatta, infine, ma ininfluente, e’ l’affermazione che i difensori rumeni potessero assisterlo in Italia e che non si potesse impedire loro “di intervenire”: tutto pero’ alla condizione, non verificatasi, che una nomina di difensori rumeni fosse stata effettuata da parte dello stesso (OMISSIS) o di un suo congiunto.
3. Le doglianze relative alla notifica degli atti processuali (avviso di conclusione delle indagini preliminari, avviso di fissazione dell’udienza preliminare, decreto dispositivo del giudizio e rinnovazione della notifica di quest’ultimo atto), sollevate col terzo motivo, sono infondate e, in parte, inammissibili, perche’ prive di specificita’, nonostante le molte pagine con cui e’ stata dedotta la nullita’. Dalla parziale documentazione trasmessa a questa Corte si evince, infatti, che il presente procedimento trae origine dallo stralcio di altro, piu’ corposo procedimento; che l’imputato – dopo essere stato sottoposto a misura custodiale e scarcerato, per decorrenza termini, il 29 maggio 2012, fu, in un primo momento, rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Messina e partecipo’ alla prima udienza in videoconferenza da Bucarest, ove si trovava ristretto (solo assertiva e’ la deduzione che (OMISSIS) non abbia partecipato a detta udienza, stante l’inequivocabile contenuto del verbale d’udienza). In questa fase il Tribunale si dichiaro’ pero’ incompetente e dispose la retrocessione del procedimento. Dopodiche’ (OMISSIS) fu, dal Giudice dell’udienza preliminare, nuovamente rinviato a giudizio dinanzi alla Corte d’Assise di Messina, con decreto notificato al difensore, ex articolo 169 c.p.p.. All’udienza del 6/2/2014 la Corte d’Assise, preso atto dell’indicazione proveniente dal difensore (questi indico’, come domicilio all’estero dell’imputato, quello di (OMISSIS)), dispose che venisse notificato all’imputato, insieme al decreto di citazione a giudizio e al verbale di udienza, l’invito a eleggere domicilio in Italia, ex articolo 169 c.p.p.. Rinvio’ poi l’udienza al 9/5/2014.
All’udienza del 9/5/2014 la Corte d’Assise, preso atto che l’invito a eleggere domicilio in Italia era stato regolarmente notificato all’imputato il 14/3/2014, mediante consegna alla sorella dell’imputato; che l’invito non era stato accolto e che il decreto di citazione a giudizio era stato, di conseguenza, notificato al difensore, dichiaro’ la contumacia dell’imputato. Subito dopo il difensore di quest’ultimo, munito di procura speciale, chiese ed ottenne di essere rimesso in termini per richiedere il giudizio abbreviato.
3.1. Fatta questa premessa, non puo’ che rilevarsi l’infondatezza del ricorso prodotto dalla parte.
A) Quanto alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, che il ricorrente dice essere mancato, trattasi di vizio che, ove sussistente, doveva essere dedotto – secondo un certo indirizzo, piu’ rigoroso – subito dopo che era stato compiuto, per la prima volta, l’accertamento della costituzione delle parti (cass., n. 34515 del 4/7/2014, che reputa “relativa” la nullita’ conseguente all’omissione dell’avviso) o, al massimo, secondo altro indirizzo (piu’ aperto alle ragioni dell’imputato) prima della deliberazione della sentenza di primo grado (cass., n. 2382 del 28/12/2017, che reputa “intermedia” la nullita’). Il ricorrente nulla ha dedotto al riguardo, essendosi limitato a parlare di nullita’ senza nulla chiarire in ordine alla tempistica dell’eccezione. Peraltro, dalla sentenza di primo grado si evince che nessuna eccezione fu sollevata dalla difesa in detto grado, per cui la deduzione e’ senz’altro tardiva.
B) Il decreto di fissazione dell’udienza preliminare fu notificato all’imputato a mani del difensore, ex articolo 169 c.p.p.. Tale forma di notifica presuppone che l’imputato fu invitato, inutilmente, ad eleggere domicilio in Italia nelle fasi iniziali del procedimento o, comunque, prima della notifica del decreto in questione al difensore. L’imputato nega, invece, che l’invito suddetto gli sia stato rivolto. La Corte d’appello, investita della questione, da’ per presupposto che all’atto della scarcerazione l’imputato abbia omesso di dichiarare il domicilio in Italia e che si sia resa necessaria, di conseguenza, la notifica al difensore (pag. 13). Tale ricostruzione e’ stata solo assertivamente contraddetta dal ricorrente, dal momento che nulla e’ stato allegato al ricorso – in ossequio al principio di specificita’ della doglianza – per smentire la ricostruzione del giudicante. Tale omissione e’ tanto piu’ significativa in quanto solamente l’omessa notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare sarebbe causa di nullita’ assoluta dell’udienza e degli atti conseguenti (Cass., SU, n. 7697 del 24/11/2016), mentre altre irregolarita’ della notifica, che non abbiano impedito la conoscenza del procedimento, sarebbero sanate, se non dedotte in udienza o, comunque, prima della pronuncia della sentenza di primo grado. Nella specie, non risulta che dal difensore – presente all’udienza preliminare e nel processo di primo grado – sia stata sollevata alcuna eccezione. In ogni caso, poi, l’eventuale nullita’ sarebbe sanata dalla richiesta, rivolta alla Corte d’Assise e da questa accolta, di ammissione al giudizio abbreviato, trattandosi, per quanto si e’ detto, di nullita’ non assoluta, non avendo impedito all’imputato di conoscere l’esistenza del procedimento a suo carico, ne’ di avvalersi di riti alternativi.
C) La citazione a giudizio e’ stata rinnovata, per quanto si e’ detto, dalla Corte d’Assise, dopo aver invitato l’imputato a eleggere domicilio in Italia (o, secondo la prospettiva della Corte d’appello, dopo aver rinnovato l’invito). Nessuna nullita’ e’, pertanto, predicabile in relazione a tale atto (decreto di citazione a giudizio), dal momento che lo stesso fu notificato al difensore dopo che “l’invito” era stato inutilmente notificato all’imputato, in data 6/3/2014. Al riguardo, destituite di fondamento sono le ulteriori doglianze difensive, dal momento che la notifica dell’invito, nel luogo indicato dal difensore, avvenne, come dimostrato dalla ricevuta postale trasmessa alla Corte d’Assise in data 14/3/2014, in Romania, a mani di (OMISSIS), sorella dell’imputato. Per il resto, ugualmente infondate sono le deduzioni difensive – che (OMISSIS) non sia venuto a conoscenza dell’invito rivoltogli dall’Autorita’ Giudiziaria italiana, perche’ detenuto in (OMISSIS), e che la notifica al difensore sia avvenuta senza il rispetto del termine dilatorio (di 30 giorni) previsto dall’articolo 169 c.p.p. – dal momento che l’ignoranza e’ assertiva e nulla e’ detto, in ricorso, circa la data della notifica al difensore. Anche in questo caso, comunque, l’inosservanza del termine suddetto sarebbe stata dedotta tardivamente (il difensore nulla eccepi’ in primo grado) e la nullita’ sarebbe, in ogni caso, rimasta sanata dalla richiesta del giudizio abbreviato, dal momento che si sarebbe di fronte ad una nullita’ di carattere certamente relativo.
4. Col quarto motivo il ricorrente sembra dolersi (perche’ la formulazione del motivo non e’ proprio chiara) di una carenza di legittimazione del difensore – per invalidita’ della procura speciale – alla richiesta di rimessione in termine; di una carenza di legittimazione del difensore alla richiesta di giudizio abbreviato; della incompetenza territoriale della Corte d’Assise di Messina. Ebbene, le eccezioni di nullita’ sono inammissibili per mancanza di interesse, dal momento che lo svolgimento del giudizio abbreviato ha fruttato all’imputato la riduzione di pena prevista dall’articolo 442 c.p.p.; inoltre, perche’ le nullita’ (relative e intermedie, a cui appartiene, certamente, quella attinente al rispetto del termine previsto dall’articolo 175 c.p.p.) non possono essere eccepite da chi vi ha dato causa (articolo 182 c.p.p.) e da chi ha accettato gli effetti dell’atto (articolo 183 c.p.p.).
Quanto all’invalidita’ della procura, trattasi di eccezione anch’essa tardiva, giacche’ la celebrazione del giudizio di primo grado con il rito abbreviato, malgrado la carenza del consenso dell’imputato, non comparso, ed in assenza della procura speciale di cui all’articolo 438 c.p.p., comma 3 configura una causa di nullita’ del procedimento, che se pur assoluta, per la riduzione delle garanzie della difesa derivanti dalla scelta del rito speciale, e’ di ordine generale, non rientrando nelle ipotesi di cui all’articolo 179 c.p.p.. Ne consegue che la relativa eccezione deve essere formulata ai sensi dell’articolo 180 c.p.p. nei motivi di appello o comunque essere rilevata, anche di ufficio, nel corso del giudizio di secondo grado, verificandosi altrimenti la preclusione prevista dalla disposizione citata (cass., n. 34151 del 7/6/2012; cass., n. 26926 del 5/5/2004). Nella specie, il ricorrente non ha dedotto di aver sollevato l’eccezione in appello (si e’ limitato a dolere, nel ricorso per cassazione, della violazione di legge che, a suo giudizio, sarebbe stata consumata), ne’ la proposizione dell’eccezione emerge dalla sintesi – non contestata – dei motivi d’appello (la Corte d’Assise d’appello non ha, infatti, argomentato sul punto), per cui deve escludersi che l’eccezione possa essere proposta, per la prima volta, in cassazione.
L’eccezione di incompetenza territoriale e’ inammissibile, invece, per la sua genericita’ (il ricorrente si limita a ricordare che alcuni reati sono stati commessi a (OMISSIS), senza nulla argomentare intorno alla vis attrattiva del reato piu’ grave) e, ancora una volta, per la sua tardivita’, dal momento che non risulta proposta nel corso dell’udienza preliminare. In ogni caso va poi ricordato che la mancata riproposizione “in limine” al giudizio abbreviato dell’eccezione di incompetenza territoriale rigettata in udienza preliminare preclude la deducibilita’ della stessa mediante atto di appello (cass., n. 2326 del 7/1/2015, rv 262063). Nella specie, l’eccezione non solo non e’ stata “riproposta” nel giudizio di primo grado, ma non e’ stata nemmeno proposta nell’udienza preliminare, sicche’, oltre ad essere stata genericamente proposta in questa sede, e’ assolutamente tardiva. Sul punto, nessuna questione di legittimita’ costituzionale appare avere una apparenza di fondamento, competendo al legislatore disciplinare i tempi e i modi di rilevazione delle nullita’ verificatesi nel corso del processo.
5. Il quinto motivo e’ inammissibile, per plurimi motivi: perche’ non si confronta minimamente con la sentenza d’appello, che ha esaminato la doglianza e vi ha dato risposta esaustiva e corretta dal punto di vista giuridico; perche’ i brogliacci delle intercettazioni sono pacificamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, che e’ giudizio a prova contratta e dipende, per la sua instaurazione, dalla scelta dell’imputato (ex multis, cass., n. 49462 del 3/11/2015); perche’ e’ privo di specificita’, in quanto omette di dedurre e argomentare – quanto ai decreti autorizzativi delle conversazioni telefoniche – intorno alle patologia che, a giudizio del ricorrente, ne precluderebbe l’utilizzazione. Eccentrica e’ la pretesa di un controllo officioso, ove non vengano nemmeno accennati i vizi che potrebbero, astrattamente, condurre all’accantonamento delle intercettazioni in funzione del giudizio sul merito.
6. Il sesto motivo e’ inammissibile perche’, ancora una volta, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata e non tiene conto dell’esito che ha avuto il giudizio d’appello. In secondo grado l’imputato e’ stato prosciolto, infatti, dall’accusa di sfruttamento della prostituzione di (OMISSIS) e (OMISSIS), con riferimento alla condotta posta in essere fino al mese di giugno 2008, proprio perche’ e’ stato riconosciuto che, per tali reati, (OMISSIS) era gia’ stato giudicato e condannato in (OMISSIS). Per il reato, il confronto tra la sentenza rumena e l’accusa mossa dall’Autorita’ Giudiziaria italiana mostra, per la parte in cui l’accusa e’ stata ritenuta provata, l’assenza di sovrapposizione tra le condotte e i periodi a cui le stesse si riferiscono, dal momento che (OMISSIS) e’ stato giudicato in (OMISSIS), e condannato, per fatti del 2007-2008, posti in essere in danno delle due donne sopra nominate, mentre i fatti di questo procedimento si riferiscono a reati diversi (associazione a delinquere e sfruttamento della prostituzione di altre donne), posti in essere in un arco temporale ulteriore (fino al 2010). Inutilmente, pertanto, il ricorrente insiste nella tesi sostenuta in giudizio, senza scendere nel dettaglio delle imputazioni e astenendosi dal valutare la chiara e congrua risposta fornita dalla Corte d’assise d’appello, scivolando, in tal modo, nella inammissibilita’. Con consolidato orientamento, questa Corte ha avuto modo di precisare, infatti, che “e’ inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’….” (Cass., sez. 4, n. 5191 del 29/3/2000, Rv. 216473. Da ultimo, Cass., n. 28011 del 15/2/2013).
7. Il settimo motivo impinge, propriamente, la dichiarazione di responsabilita’ per i reati contestati ed e’ inammissibile perche’ palesemente infondato e perche’ versato completamente in fatto.
Ribadito che e’ errata la deduzione difensiva sui brogliacci (che costituisce una delle ragioni per cui, a giudizio del ricorrente, non si e’ formata la prova sulla responsabilita’), non puo’ che disattendersi ogni riferimento – contenuto in ricorso – alle “propalazioni delle donne rumene”, che costituiscono, propriamente, dichiarazioni testimoniali rimesse alla valutazione esclusiva del giudice di merito su cui, a meno di palesi incongruenze o smentita proveniente da altri dati processuali, non e’ consentita alcuna sovrapposizione valutativa del giudice di legittimita’. Lo stesso dicasi per le dichiarazioni di (OMISSIS), che i giudici hanno apprezzato per la loro convergenza con il narrato delle prostitute e con le risultanze delle intercettazioni e degli accertamenti di polizia giudiziaria, oltre che per l’assenza – nel teste – di interessi capaci di distorcere l’obbiettivita’ della testimonianza (correttamente e’ stato ritenuto che il rapporto affettivo che legava (OMISSIS) ad una delle prostitute non costituisce, in generale, elemento idoneo a provocare false narrazioni).
Anche in relazione ai singoli reati non possono che disattendersi le doglianze difensive, dal momento che le sentenze (sia quella di primo gradi che quella di secondo grado) hanno compiutamente ricostruito il contesto in cui operava l’imputato, caratterizzato dalla cooperazione delittuosa di numerosi soggetti ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), oltre al ricorrente, tutti attivamente impegnati nello sfruttamento di donne, appositamente attirate dalla (OMISSIS) con la promessa di un regolare lavoro in Italia e avviate, poi, con metodi subdoli e violenti, alla prostituzione. Parimenti, hanno precisamente individuato il ruolo di (OMISSIS) nel contesto associativo, consistito nel coordinare l’attivita’ dei sodali e nella partecipazione ad una ristretta struttura piramidale di controllo delle attivita’ delittuose, svolgenti compiti di coordinamento e collegamento con altri gruppi criminali – anch’essi di nazionalita’ rumena – operanti sul territorio (pag. 17). Quanto alla riduzione in schiavitu’ e alle violenze sessuali, piu’ che sufficiente e’ il rimando – operato in sentenza – alle intercettazioni e alle dichiarazioni testimoniali, attraverso cui e’ stato accertato che le donne venivano “acquistate” in (OMISSIS), portate in Italia e private dei documenti personali (per impedire loro di rendersi indipendenti) e, sia pure in maniera non definitiva, dei telefoni cellulari; che venivano sovente picchiate e finanche violentate, costrette alla prostituzione (con violenza e minacce, riferite anche ai familiari rimasti in (OMISSIS)) e private dei guadagni conseguiti con la prostituzione; e con gli stessi metodi le donne venivano legate stabilmente agli sfruttatori, perche’ veniva impedito loro di allontanarsi, di mettersi in proprio o di trovarsi altri protettori (sono state valorizzate, a tal fine, le dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), oltre ad eloquenti intercettazioni e accertamenti di polizia: pagg. 18 e segg.). Tanto concreta indiscutibilmente il reato di cui all’articolo 600 c.p., di cui sono stati realizzati tutti gli elementi: la soggezione continuativa attuata con l’inganno, le minacce e la violenza, in funzione dello sfruttamento personale. Quanto allo sfruttamento della minore (OMISSIS), piu’ che sufficiente e’ il riferimento, contenuto in sentenza, alle dichiarazioni di (OMISSIS) e all’attivismo spiegato dall’imputato nell’ottenere l’allontanamento della ragazza dalla casa di accoglienza “(OMISSIS)”, ove (OMISSIS) era stata aggregata, dopo essere stata sorpresa a prostituirsi (pag. 22 della sentenza di primo grado e pag. 32 della sentenza d’appello). In ordine, infine, ai maltrattamenti in danno della convivente, provati – in maniera sovrabbondante – dalle intercettazioni telefoniche, valgono i rilievi fatti a proposito dell’utilizzo dei brogliacci, che il ricorrente vorrebbe – comprensibilmente, ma illegittimamente – espungere dal compendio probatorio, proprio per la loro eloquenza.
8. L’aggravante della trans-nazionalita’ ricorre ogniqualvolta alla commissione di un reato (punito con pena non inferiore nel massimo a quattro anni di reclusione) abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato. Nella specie, l’aggravante e’ stata contesta in relazione ai reati fine (e non gia’ in relazione al reato associativo) ed e’ stata ritenute sussistente per il contributo che l’associazione capeggiata da (OMISSIS) e quelle capeggiate da (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno dato mediante il reclutamento di donne in (OMISSIS) – alla commissione dei reati fine (perpetrati in Italia). In tale ricostruzione non v’e’ nulla di illogico o di errato (dal punto di vista giuridico), dal momento che la fattispecie normativa risulta effettivamente realizzata. Fuor di luogo e’, pertanto, il richiamo della numerosa giurisprudenza, citata in ricorso, perche’ riferita a situazioni nelle quali l’aggravante era stata configurata in relazione al reato associativo (e non gia’ in relazione ai reati fine), cosi’ come fuor di luogo e’ il rimando alla normativa che tipicizza “il gruppo criminale organizzato”, una volta accertato che (OMISSIS) operava in ambito associativo secondo la legislazione italiana (che ha adottato un concetto di associazione criminale piu’ ristretto di quello tipizzato dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato del 15 novembre 2000). Assertiva e inconferente, poi, e’ l’affermazione, contenuta in ricorso, che “l’aggravante in questione non ha senso giuridico, nei casi in cui l’imputato ha subito condanna in altro Stato”, sia perche’ slegata dalla giurisprudenza che era stata prima citata, sia perche’ l’assoggettamento a condanna in altro Stato non e’ di ostacolo alla configurazione dell’aggravante (anzi, ne costituisce conferma). Quanto all’aggravante dell’articolo 600 c.p., comma 3, (reato commesso in danno di persona inferiore agli anni 18 e per fatti diretti allo sfruttamento della prostituzione), non vi e’ stata nessuna abrogazione, perche’ detta aggravante e’ solo migrata, per effetto della L. 2 luglio 2010, n. 108, nel corpo dell’articolo 602 c.p., che si riferisce a tutte le fattispecie degli articoli 600, 601 e 602 c.p..
9. Infondate sono anche le critiche relative alla continuazione criminosa, ritenuta insussistente dai giudici di merito in base al corretto rilievo che, in tema di riconoscimento per l’esecuzione in Italia della sentenza di condanna emessa in altro Stato membro dell’Unione Europea, e’ preclusa l’applicazione dell’istituto della continuazione, atteso che, ai sensi del Decreto Legislativo 7 settembre 2010, n. 161, articolo 10, comma 1, lettera f), il giudice italiano e’ vincolato a rispettare la durata e la natura della pena stabilita nello Stato di condanna, salvo un circoscritto potere di adattamento, entro i limiti stabiliti dall’articolo 5 del medesimo decreto legislativo, qualora la stessa sia incompatibile, per natura e durata, con la legge italiana (cass., n. 52235 del 10/11/2017, Rv 271578). A tanto il ricorrente contrappone proprie personali valutazioni, peraltro prive di pertinenza e di concludenza, giacche’, se e’ vero che la “Corte territoriale si sarebbe dovuta soltanto occupare… della tipologia dei reati contestati in (OMISSIS) e in Italia” non per questo viene meno il principio desumibile dal disposto normativo sopra richiamato (fermo restando che delle attivita’ espletate in (OMISSIS) dall’imputato l’Autorita’ giudiziaria italiana si sarebbe dovuta occupare, e si e’ occupata, solo per delibare in ordine ai reati commessi in Italia).
10. I motivi relativi al trattamento sanzionatorio sono infondati, ai limiti dell’ammissibilita’. Ed invero, la concreta modulazione della pena appartiene al novero dei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio si sottrae al sindacato in sede di legittimita’ ove sorretto da idonea motivazione; nel caso specifico, la motivazione addotta, fondata sulla gravita’ della condotta reiterarla nel tempo, sulla molteplicita’ delle violazioni commesse e il numero delle vittime vale a giustificare la modulazione del trattamento sanzionatorio, contenuto, peraltro, entro la media edittale.
Quanto agli aumenti di pena per continuazione, correttamente i giudici di merito hanno operato un aumento per singolo reato (si veda, al riguardo, la sentenza di primo grado, condivisa dal giudice d’appello). Incomprensibili e contraddittorie sono, sul punto, le doglianze del ricorrente, il quale lamenta, da un lato, che i giudici abbiano “omesso di indicare la sanzione per ciascuno degli altri reati contestati”; dall’altro, che “l’aumento di pena, piuttosto che essere unitario, e’ stato stabilito dalla Corte di Assise (condivisa dalla Corte di Assise di Appello) per ciascuno dei reati contestati, in palese violazione dell’articolo 81 c.p.” (pag. 43). In ogni caso, poi, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati satellite, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (Cass., n. 4707 del 21/11/2014; Cass., n. 49007 del 16/9/2014).
Quanto alle attenuanti generiche, l’apprezzamento della condotta dell’imputato giudicata assai grave per il numero e l’importanza delle violazioni, oltre per la reiterazione nel tempo – esclude che sia mancata la delibazione sulle stesse, chiaramente incompatibili con la valutazione di gravita’ operata in sentenza. Ne’, d’altra parte, il ricorrente adduce elementi favorevoli – suscettibili di positivo apprezzamento – trascurati dal giudicante, non potendo considerarsi tali l’incensuratezza (che, per giurisprudenza costante, non autorizza, per se’ sola, la concessione delle attenuanti generiche), ne’ la poverta’ materiale, la quale, oltre ad essere assertiva, non sminuisce la gravita’ delle condotte addebitate.
11. L’ultimo motivo e’, infine, inammissibile per genericita’, non essendo stato nemmeno specificato per quali reati avrebbe dovuto operare l’assorbimento.
12. Segue il rigetto del ricorso atteso che i motivi proposti, in parte infondati e in parte inammissibili, non possono trovare accoglimento, per le ragioni sin qui esposte; ai sensi dell’articolo 592 c.p.p., comma 1, e articolo 616 c.p.p. il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ a quelle di rappresentanza e difesa della parte civile, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 1.800 oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Erario; corregge la data in calce alla decisione impugnata, che e’ 13/12/2016 invece di 13/11/2016.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 195 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.
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