Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 5 settembre 2018, n. 21662.
La massima estrapolata:
Nell’azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci per la cattiva gestione della società, la prescrizione decorre da quando nel bilancio è riportata una perdita ingente percepibile da tutti i creditori. Né ad escludere le “colpe” dei sindaci basta il fatto che abbiano indicato nelle loro relazioni lo squilibrio patrimoniale, la sottocapitalizzazione, l’indebitamento e l’inadeguatezza dei fondi di ammortamento. Un’iniziativa “inutile” se poi il risultato è un bilancio in attivo, anche se raggiunto con artifizi, che attesta l’esistenza di utili la cui distribuzione tra i soci viene deliberata dall’assemblea. Il tutto senza obiezioni da parte degli organi sociali di gestione e di controllo.
Sentenza 5 settembre 2018, n. 21662
Data udienza 2 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IOFRIDA Giulia – Presidente
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25456/2013 proposto da:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrenti –
contro
Fallimento della (OMISSIS) a r.l., in persona del Curatore avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e sul ricorso:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (Studio (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine di ricorso;
– ricorrenti successivi –
contro
Fallimento della (OMISSIS) a r.l., in persona del Curatore avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente successivo –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1154/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 13/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2018 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ del secondo ricorso, rigetto del primo ricorso;
udito, per i ricorrenti principali, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;
udito, per il controricorrente Fallimento, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto il rigetto.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 6-8 marzo 1998, il Fallimento della (OMISSIS) a r.l. esercito’ l’azione di responsabilita’, ai sensi dell’articolo 146 L. Fall., contro gli ex amministratori e sindaci della societa’, in relazione ai fatti di mala gestio ed omesso controllo sulla condotta gestoria.
La sentenza del Tribunale di Trapani del 28 agosto 2012, respinta la domanda avanzata contro l’ex amministratore (OMISSIS), condanno’ in solido i restanti convenuti al risarcimento del danno, nella misura di Euro 2.076.088,40, pari alla differenza tra attivo e passivo fallimentare.
La Corte d’appello di Palermo con la sentenza del 13 luglio 2013 ha, in riforma della decisione di primo grado, respinto l’azione di responsabilita’ proposta contro gli ex sindaci (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre ha ridotto il quantum della condanna al risarcimento del danno a carico degli altri convenuti alla misura di Euro 1.448.719,77, oltre interessi legali dalla sentenza.
Ha ritenuto, in via preliminare, infondata l’eccezione di prescrizione sollevata, trattandosi dell’azione prevista dall’articolo 2394 cod. civ., esercitata dal fallimento, onde il termine decorre dall’insufficienza patrimoniale oggettivamente conoscibile dai creditori, nella specie ravvisato nella pubblicazione del bilancio dell’esercizio chiuso al 31 agosto 1993, approvato dall’assemblea dei soci il 16 gennaio 1994, dal quale era per la prima volta emersa un’ingente perdita.
La prescrizione, viceversa, non puo’ farsi decorrere dai bilanci precedenti, perche’ essi erano in pareggio o, addirittura, attivi, sebbene in forza dei poi riscontrati artifici contabili posti in essere dagli amministratori.
Quindi, dopo avere elencato i fatti di mala gestio accertati in capo agli amministratori operativi e gli episodi di inadempimento ai loro doveri – in particolare relativi alla errata valutazione degli ammortamenti e delle immobilizzazioni, operati in violazione dei principi contabili – ha affermato che essi sono stati la conseguenza di scelte errate dell’organo amministrativo e sono stati resi possibili dalla mancanza di un adeguato controllo da parte dei sindaci.
In tal modo, e’ stato prodotto un progressivo impoverimento del patrimonio netto, in misura equivalente alle risorse finanziarie ingenti distribuite ai soci, quali fittizi utili di esercizio, per gli anni 1990 e 1991.
Con riguardo all’eccezione di mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’ex amministratore (OMISSIS), ha condiviso le valutazioni del tribunale, secondo cui la notificazione dell’atto di citazione introduttivo ha conseguito il suo scopo, ai sensi dell’articolo 156 cod. proc. civ., comma 3, e comunque in ragione della efficacia sanante della costituzione del medesimo: invero, egli si e’ costituito nel procedimento cautelare in corso di causa, conferendo procura al difensore per ogni fase e grado del giudizio, ed ha depositato la comparsa conclusionale, in tal modo confermando la piena partecipazione al giudizio.
Avverso questa sentenza propongono ricorso gli ex amministratori, in una con il sindaco (OMISSIS), sulla base di otto motivi, ed autonomo ricorso gli ex sindaci (OMISSIS) e (OMISSIS), affidato a sei motivi.
Resiste con distinti controricorsi il Fallimento della (OMISSIS) a r.l..
Le parti hanno depositato le memorie di cui all’articolo 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I ricorsi.
1.1. – I ricorrenti (OMISSIS) ed altri articolano avverso la sentenza impugnata motivi di ricorso, che possono essere come di seguito riassunti:
1) violazione e falsa applicazione degli articoli 2392, 2394-bis e 2935 cod. civ., articolo 112 cod. proc. civ. e articolo 146 L. Fall., oltre all’omesso esame di fatti decisivi, perche’ la corte territoriale ha ritenuto esercitata l’azione dei creditori, onde il curatore resta ad essa vincolato: ed i creditori avrebbero potuto rilevare l’insufficienza patrimoniale gia’ dal bilancio del 1988, quando il “patrimonio netto ricostruito” era gia’ pari ad un valore negativo;
2) violazione e falsa applicazione degli articoli 2392, 2394-bis, 2435 e 2935 cod. civ., articolo 112 cod. proc. civ. e articolo 146 L. Fall., oltre all’omesso esame di fatto decisivo, perche’ la corte territoriale, pur dando atto che nelle osservazioni dei sindaci ai bilanci 1990, 1991 e 1992 si rilevava lo squilibrio patrimoniale, la sottocapitalizzazione, l’indebitamento e l’inadeguatezza dei fondi di ammortamento, non ha su cio’ fondato la conoscibilita’ dell’insufficienza patrimoniale in capo ai creditori, ai fini del decorso della prescrizione; inoltre, vi e’ omesso esame di fatto decisivo costituito dalla sentenza penale del Tribunale di Palermo n. 242/04, affermando come dalla relazione del collegio sindacale al bilancio 1990 gia’ si evince l’esistenza di alcuni elementi di squilibrio dello stato patrimoniale;
3) violazione e falsa applicazione degli articoli 2392, 2394-bis, 2435, 2935 e 2941 cod. civ., articolo 112 cod. proc. civ. e articolo 146 L. Fall., oltre ad omesso esame di fatti decisivi, perche’ dai detti bilanci gia’ risultava la condotta anomala degli amministratori, e l’eventuale difficolta’ di lettura dei bilanci e dei loro allegati integra un mero impedimento in fatto, irrilevante ai fini di impedire il decorso della prescrizione, dovendo essa qualificarsi pur sempre come causa di sospensione della prescrizione ex articolo 2941 cod. civ., per la quale l’ignoranza del fatto generatore del diritto e gli impedimenti soggettivi restano del tutto irrilevanti;
4) violazione degli articoli 2935, 2949 e 2962 cod. civ., articolo 112 cod. proc. civ., in quanto l’impossibilita’ di leggere proficuamente i bilanci anteriori al 1993, a causa degli stessi asseriti artifici in essi contenuti, costituisce oggetto di eccezione in senso stretto, che la controparte avrebbe dovuto sollevare: in mancanza, vale la presunzione di conoscenza dei bilanci e dei loro allegati erga omnes;
5) violazione e falsa applicazione dell’articolo 24 Cost., articoli 1227 e 2394 cod. civ., articoli 112 e 132 cod. proc. civ., articolo 146 L. Fall., oltre ad omesso esame di fatti decisivi, perche’ la corte territoriale ha omesso di pronunciare su eccezioni e difese dei convenuti circa la consapevolezza del dissesto da parte della maggior parte dei creditori e circa l’eccezione sollevata dai convenuti di concorso del fatto colposo dei predetti creditori, ex articolo 1227 cod. civ., commi 1 e 2: invero, la corte del merito si e’ limitata a respingere l’eccezione, senza motivare;
6) violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2049, 2058 e 2909 cod. civ., articolo 112 cod. proc. civ. e del principio nominalistico per i debiti di valuta, dato che il danno e’ stato liquidato in misura pari agli utili apparenti e distribuiti, mentre i singoli crediti sono futuri ed incerti in sede fallimentare, non essendone certa l’ammissione al passivo e potendo essere stati altrimenti soddisfatti alcuni dei creditori; inoltre, dal momento che il rimborso delle somme distribuite come utili rappresenta un risarcimento in forma specifica ex articolo 2058 cod. civ., al riguardo era necessaria apposita richiesta del danneggiato, ma il curatore non risulta l’abbia formulata, limitandosi a richiedere l’equivalente monetario; infine, trattandosi di somma sin dall’inizio espressa in denaro, essa costituiva debito di valuta ed, infatti, il tribunale non aveva condannato alla corresponsione di rivalutazione ed interessi sulla stessa, con statuizione non impugnata dal fallimento, e, quindi, passata in giudicato;
7) omesso esame su punto decisivo, consistente nell’esistenza di garanzie personali prestate dagli amministratori, che avevano personalmente garantito alcune anticipazioni bancarie ed almeno in parte provveduto a ripianarle, onde essi sarebbero tenuti a pagare due volte lo stesso importo;
8) violazione e falsa applicazione degli articoli 156, 164, 166, 354 e 669-terdecies cod. proc. civ., quanto alla posizione dell’ex amministratore (OMISSIS) il quale non ha ricevuto la notificazione dell’atto di citazione e si limitato a costituirsi in sede di reclamo cautelare: trattandosi di procedimento meramente incidentale, tale costituzione non ha sanato il difetto di contraddittorio.
1.2. – Il ricorso incidentale (cfr., fra le altre, per tale qualificazione, Cass. 21 luglio 2016, n. 15025; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662; 17 febbraio 2004, n. 3004) degli ex sindaci (OMISSIS) e (OMISSIS) propone i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 2043, 2394 e 2407 cod. civ., perche’ i sindaci possono essere ritenuti responsabili solo ove abbiano violato i loro doveri di vigilanza e l’attore in azione di responsabilita’ e’ tenuto ad evidenziare quali attivita’ essi avrebbero potuto porre in essere per impedire il fatto gestorio pregiudizievole: ma i sindaci non hanno nessun potere sanzionatorio e repressivo, avendo unicamente quello di porre in evidenza nella loro relazione gli atti degli amministratori, onde, se cio’ fanno, non possono poi essere ritenuti responsabili dei danni, se in ipotesi l’assemblea sottovaluta le loro osservazioni;
2) violazione e falsa applicazione degli articoli 1176 e 2407 cod. civ., perche’ i sindaci non possono estendere il loro controllo alla convenienza delle scelte gestionali di merito; negli anni 1993-1995, quando quasi per intero fu cagionato il danno, i sindaci non erano piu’ in carica, mentre per gli anni 1990-1992 gli ammortamenti furono conformi a legge;
3) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2409 cod. civ. e articolo 40 c.p., comma 2, perche’ la sentenza impugnata non ha indicato quali atti i sindaci avrebbero potuto utilmente porre in essere per impedire il danno, tenuto conto che essi non avevano, all’epoca, il potere di denunzia al tribunale, come invece affermato dalla corte del merito;
4) motivazione contraddittoria ed insufficiente, violazione e falsa applicazione dell’articoli 116 cod. proc. civ., perche’ e’ stato invece provato come i due sindaci avevano diligentemente evidenziato lo stato di squilibrio patrimoniale della societa’;
5) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2426 cod. civ., della IV dir. 1978/78/CEE e del principio della prossimita’ della prova, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto detta norma impone di ammortizzare le immobilizzazioni materiali in ogni esercizio, in relazione alla loro residua possibilita’ di utilizzo, onde non se ne puo’ predicare una durata prefissata ed ha errato il c.t.u. nell’applicare i criteri fiscali, che richiedono un ammortamento nel periodo massimo di cinque anni per il beni materiali, mobili ed immobili: nella specie, la societa’ ha correttamente operato ammortamenti nella misura minima consentita dal codice civile, proprio perche’ gli impianti venivano utilizzati per non piu’ del 50% della loro capacita’. La corte del merito ha, tuttavia, ritenuto non provato tale fatto, sebbene esso non sia stato mai contestato dal fallimento ed essi avessero spiegato le ragioni di tale limitato utilizzo, mentre l’onere di provare l’utilizzo pieno degli impianti era a carico della stessa curatela, che pero’ non l’aveva fornita; ed essa si e’ limitata a recepire acriticamente le risultanze della c.t.u. Infine, sono i criteri civilistici quelli corretti, ossia quelli in concreto applicati; quanto al mutamento dei criteri, esso e’ derivato dall’entrata in vigore della IV direttiva, recepita nel 1991 ed a partire dall’esercizio 1993;
6) violazione e falsa applicazione dell’articolo 41 c.p., omesso esame di fatti decisivi e di motivo d’appello, in quanto i ricorrenti hanno provato come il danno sia imputabile esclusivamente alle scelte gestorie successive alla loro cessazione dalla carica, dunque da sole idonee a cagionare l’evento, come ha confermato la sentenza della Cassazione, sezione penale, con riguardo alla condotta degli amministratori.
2. – Motivi concernenti la prescrizione dell’azione.
I primi quattro motivi del ricorso principale, in quanto vertenti tutti sulla prescrizione dell’azione, possono essere congiuntamente trattati per l’esame dei diversi profili.
2.1. – La sentenza impugnata ha ritenuto, in via preliminare, infondata l’eccezione di prescrizione sollevata.
Al riguardo, la corte territoriale ha premesso che il termine quinquennale di prescrizione dell’azione prevista dall’articolo 2394 cod. civ., esercitata dal fallimento, decorre dall’insufficienza patrimoniale oggettivamente conoscibile dai creditori, che tale situazione non coincide con la perdita integrale del capitale sociale, ne’ con l’insolvenza, e che e’ onere dei convenuti provarne l’esistenza e la conoscibilita’ in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Ha ritenuto, nella specie, che la prescrizione ex articolo 2394 cod. civ. correttamente e’ fatta decorrere dal giudice di primo grado dal dato oggettivo costituito dalla pubblicazione del bilancio dell’esercizio chiuso al 31 agosto 1993, approvato dall’assemblea dei soci il 16 gennaio 1994 e depositato nel registro delle imprese, dal quale era per la prima volta emersa un’ingente perdita.
La prescrizione, viceversa, non puo’ farsi decorrere dai bilanci precedenti, perche’ essi erano in pareggio o, addirittura, attivi, sebbene in forza dei poi riscontrati artifici contabili posti in essere dagli amministratori.
Ha disatteso quindi l’assunto, secondo cui gli istituti di credito finanziatori non potevano non sapere della effettiva perdita del patrimonio sociale sin dal 1989: in quanto, secondo la corte del merito, esso e’ rimasto apodittico e del tutto indimostrato, a fronte dei dati di bilancio, mentre la conoscibilita’ va riferita all’intero ceto creditorio, nella specie comprendente anche creditori privati, Inps e l’erario.
2.2. – Secondo l’articolo 2394 cod. civ., comma 2, l’azione puo’ essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta “insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”: la nozione si ricollega alla garanzia patrimoniale generica di cui all’articolo 2740 cod. civ., costituita dal patrimonio della societa’, l’insufficienza patrimoniale rappresentando dunque un fatto contabile, che si verifica quando il patrimonio della societa’ presenti una “eccedenza delle passivita’ sulle attivita’… situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della societa’, e’ insufficiente al loro soddisfacimento” (per tutte, Cass. 22 aprile 2009, n. 9619; 28 maggio 1998, n. 5287; piu’ di recente, Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204).
Atteso il generale disposto dell’articolo 2935 cod. civ., costituisce parimenti principio consolidato che la prescrizione dell’azione ex articolo 2394 cod. civ., pur quando esercitata dalla procedura, decorre dal momento in cui l’attivo si sia palesato in modo oggettivamente percepibile da parte dei creditori come inidoneo a soddisfarli. Si tratta dunque di una valutazione astratta di conoscibilita’: non fatto soggettivo di conoscenza del danno, ma rilievo del dato oggettivo di conoscibilita’ da parte dei terzi creditori, posti cosi’ nella condizione di poter esercitare il proprio diritto.
Tale momento coincide, in via di presunzione semplice fondata sull’id quod plerumque accidit, con la dichiarazione di fallimento, con la conseguente spossessamento del debitore e presa in consegna delle attivita’ da parte dell’organo della procedura; ma questa presunzione non esclude tuttavia che, in concreto, il deficit si sia manifestato in un momento anteriore.
Al riguardo, il relativo onere probatorio grava quindi su chi allega la circostanza e fonda su di essa un piu’ favorevole inizio del decorso della prescrizione (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204, ed altre ivi citate).
2.3. – I ricorrenti insistono sull’assunto secondo cui l’insufficienza patrimoniale della societa’ era rilevabile sin dal bilancio 1990, in quanto i sindaci avevano in particolare, nelle loro relazioni, evidenziato lo squilibrio patrimoniale, la sottocapitalizzazione, l’indebitamento e la stessa inadeguatezza dei fondi di ammortamento.
Tale deduzione non e’ idonea a scalfire l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, la quale si pone nel solco dei principi di diritto enunciati in materia da questa Corte.
Invero, occorre evidenziare che il bilancio costituisce, per sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della societa’, non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e terzi in genere; un bilancio in attivo o in pareggio, quindi, fornisce ai terzi un’informazione rassicurante ed affidabile, e cio’, tanto piu’, quando esso attesti la realizzazione di utili di esercizio, e di questi venga, oltretutto, deliberata dall’assemblea ex articolo 2433 cod. civ. la distribuzione ai soci, senza obiezioni degli organi sociali di gestione e di controllo, in sede assembleare; mentre di per se’ non e’ decisivo che la relazione ai sindaci indicasse la non corretta valutazione di alcune voci, quando poi essi abbiano lasciato perseguire la predetta distribuzione degli utili solo apparenti.
Assumono infondatamente i primi ricorrenti che l’eventuale “difficolta’ di lettura” del bilancio costituisce un “ostacolo di mero fatto”, come tale irrilevante ai fini di integrare una causa di sospensione della prescrizione ex articolo 2941 cod. civ.. A parte l’improprio richiamo a questa disposizione, in luogo che a quella di cui all’articolo 2935 cod. civ. in tema di decorrenza del termine prescrizionale – per il quale non valgono impedimenti di mero fatto e non giuridici all’esercizio del diritto – la censura non coglie nel segno, semplicemente perche’ si discorre qui della oggettiva possibilita’ di riconoscere la falsita’ del bilancio e, con essa, l’insufficienza del patrimonio della societa’ a soddisfarne i debiti: dove cio’ che rileva e’, per l’appunto, il fatto della inintelligibilita’ di quei dati contabili ai fini di palesare la reale situazione economica e finanziaria della societa’.
E, una volta divenuto oggetto del giudizio l’accertamento sul momento di percepibilita’ all’esterno della situazione di insufficienza patrimoniale dell’ente, in forza dell’eccezione dei responsabili, fondata sull’esistenza di bilanci da cui essa avrebbe dovuto ricavarsi, quell’oggetto si estende giocoforza alla evidenza, oppure no, a tal fine dei dati di bilancio: onde non costituisce affatto materia di autonoma eccezione del danneggiato l’esistenza di falsita’ di bilancio impedienti detta percepibilita’.
L’analisi del bilancio societario, pure in una scrupolosa lettura e persino quando presenti perdite, non necessariamente conduce alla conoscibilita’ dell’insufficienza patrimoniale da parte dei creditori: cio’, per la stessa disciplina di redazione del documento contabile, secondo cui, ai sensi dell’articolo 2426 cod. civ., i valori espressi nelle voci di bilancio ben possono non coincidere con quelli di mercato, essendo a volte superiori (come per le rimanenze) o consistentemente inferiori a quelli (come per gli immobili, per i criteri anteriori).
Ne deriva che ancor meno tale conoscibilita’ e’ integrata dal bilancio che presenti utili, il quale, secondo l’id quod plerumque accidit, piuttosto e’ idoneo a fondare l’affidamento dei creditori sulla solidita’ patrimoniale della societa’ e sulla garanzia patrimoniale generica assolta dal suo patrimonio.
Infine, non v’e’ dubbio che la verifica della ricorrenza di elementi oggettivi, conoscibili dai creditori, dai quali risulti l’insufficienza del patrimonio sociale, sia questione di fatto tipicamente rimessa all’accertamento del giudice del merito (Cass. 5 aprile 2013, n. 8426; nonche’ Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204, cit.).
Nella specie, i ricorrenti medesimi non negano l’esistenza di voci di bilancio esposte in violazione dell’articolo 2426 cod. civ., ma affermano come il “patrimonio netto ricostruito” paleso’ un valore negativo: con cio’ stesso confermando come, appunto, fu necessaria una rivalutazione delle poste, divergente da quanto indicato in bilancio, per pervenire ai risultati rettificati di esercizio; rettifica di per se’ non esigibile dal terzo.
Quanto al dedotto omesso esame di fatto decisivo, consistente nella sentenza penale del Tribunale di Palermo n. 242/04, il motivo difetta di specificita’, neppure riportando con chiarezza il contenuto di detta decisione, ne’ illustrando in qualche modo le ragioni della asserita decisivita’ del mero fatto, gia’ sopra esaminato, secondo cui dalla relazione del collegio sindacale al bilancio 1990 sarebbero risultati elementi di squilibrio dello stato patrimoniale.
In conclusione, al riguardo deve essere enunciato il seguente principio di diritto:
“In tema di prescrizione dell’azione di responsabilita’ promossa dai creditori sociali, ai sensi dell’articolo 2394 cod. civ., il bilancio costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della societa’ non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere, onde un bilancio in attivo o in pareggio e’ idoneo ad offrire un’informazione rassicurante ed affidabile. Allorche’, poi, nonostante la relazione dei sindaci al bilancio, in cui si evidenzi l’inadeguatezza della valutazione di alcune voci, l’assemblea deliberi comunque la distribuzione degli utili ai soci ai sensi dell’articolo 2433 cod. civ. senza obiezioni, in quella sede, da parte degli organi sociali di gestione e di controllo, l’idoneita’, o no, di detta relazione sindacale ad integrare di per se’ l’elemento della oggettiva percepibilita’ per i creditori circa la falsita’ dei risultati attestati dal bilancio sociale rimane oggetto di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito”.
2.4. – Come detto, la sentenza impugnata ancora il dies a quo della prescrizione alla data di emersione della perdita nel bilancio del 1993.
Nel concludere che non e’ stata dimostrata la conoscibilita’ dell’insufficienza patrimoniale in epoca antecedente al deposito del bilancio del 1993, la corte del merito ha in tal modo complessivamente motivato il proprio apprezzamento delle circostanze di fatto circa la mancata dimostrazione dell’assunto, pervenendo a ritenere indimostrata l’esistenza e l’oggettiva conoscibilita’ anteriore di una situazione di effettiva perdita della garanzia patrimoniale generica per i creditori.
La corte territoriale ha tratto il proprio convincimento da un’unitaria valutazione di tutte le circostanze acquisite, in via documentale, agli atti del giudizio, la quale non richiede la discussione di ogni singolo elemento o la confutazione di tutte le contrarie argomentazioni difensive (e multis, Cass. 18 marzo 2015, n. 5423; 10 dicembre 2014, n. 25977; 4 marzo 2011 n. 5229).
Se, dunque, da un lato, la corte ha fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui la prescrizione decorre dal momento in cui l’insufficienza patrimoniale si e’ oggettivamente manifestata come rilevante per l’azione esperibile dai creditori, dall’altro lato ha esercitato in concreto il suo potere discrezionale, insindacabile in questa sede, laddove ha reputato non raggiunta la prova gravante sugli amministratori e sindaci di allegare e dimostrare un momento anteriore di decorrenza della prescrizione.
Il fatto di grave mala gestio consiste proprio nell’occultamento, in occasione della redazione ed approvazione dei bilanci anteriori al 1993, delle passivita’, che avrebbero comportato gravi perdite; mentre fu necessario l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio appunto per evidenziare la perdita reale.
Per ogni altro rilievo, i ricorrenti, attraverso le censure in esame e pur lamentando la violazione di norme di diritto o l’omesso esame di fatti decisivi della controversia, mirano in realta’ inammissibilmente a contrapporre a tali valutazioni la propria interpretazione delle medesime circostanze, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento.
3. – Quinto motivo concernente l’eccezione ex articolo 1227 cod. civ..
Il quinto motivo e’ infondato.
La corte territoriale ha disatteso l’eccezione di cui all’articolo 1227 cod. civ., comma 1, sollevata dai convenuti in relazione alla reiterata concessione di finanziamenti ad opera delle banche, essendo l’azione esercitata dalla curatela a tutela dell’intero ceto creditorio.
In tal modo, la decisione impugnata non cade nel vizio di omessa pronuncia, in cui sarebbe incorsa, nell’assunto del ricorrente, per il fatto di non aver considerato come “la maggior parte” dei creditori fosse consapevole della situazione societaria e che sussisteva il loro fatto colposo concorrente, ai sensi dell’articolo 1227 cod. civ., commi 1 e 2: la corte del merito ha, al contrario, esaminato la questione ed ha ampiamente motivato al riguardo.
Parimenti inconsistente il vizio di violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia, la quale deve sostanziarsi nella totale carenza di considerazione di domanda o eccezione sottoposta all’esame del giudicante: mentre, al contrario, il vizio non ricorre, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita, ne’ si tratti di domande o eccezioni autonome, ma di meri presupposti fattuali di quelle, come tali senz’altro inclusi nella statuizione giudiziale, con la quale la corte territoriale ha riesaminato l’intero materiale probatorio, confermando sul punto la decisione di primo grado.
4. – Sesto motivo concernente la liquidazione del danno.
Il sesto complesso motivo e’ infondato, in ogni sua parte.
Il giudice del merito ha ravvisato il danno al patrimonio sociale, in tal modo non piu’ idoneo alla garanzia patrimoniale generica per i creditori, nel fatto che gli amministratori, con condotta resa possibile dall’inadeguata vigilanza dell’organo di controllo, abbiano deliberatamente appostato voci false in bilancio, in modo da far risultare un (invece inesistente) risultato positivo, cui e’ di conseguenza derivata la distribuzione ai soci di importi non costituenti effettivo utile, ma, in sostanza, depauperando la societa’ per gli importi corrispondenti.
Se questa e’ la ricostruzione della vicenda, non rileva, contrariamente a quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, se i singoli crediti abbiano poi trovato ammissione nel passivo fallimentare: posto che il curatore agisce per la reintegrazione di quella garanzia patrimoniale, dispersa in forza della condotta gestoria inadempiente, al fine di renderla ancora atta alla soddisfazione del ceto creditorio.
Del pari priva di pregio la pretesa di ravvisare un vizio di extrapetizione, inquadrando la fattispecie nel risarcimento in forma specifica ex articolo 2058 cod. civ.: per definizione riservato a reintegri diversi dal denaro.
Infine, non si e’ formato un giudicato sulla statuizione del tribunale, relativa al pagamento degli interessi e della rivalutazione, essendo stata l’intera questione riproposta al giudice d’appello e dal medesimo interamente esaminata; mentre il debito da risarcimento del danno costituiva un debito di valore, come tale considerato dalla sentenza impugnata (e multis, Cass. 21 aprile 2010, n. 9439; Cass. 22 giugno 2007, n. 14573).
5. – Settimo motivo concernente omesso esame fattuale.
Il settimo motivo e’ inammissibile, per difetto di specificita’, trattandosi di questione nuova o non trattata nella sentenza e il ricorso non e’ autosufficiente, omettendo i ricorrenti di individuare il luogo ed il tempo della particolare deduzione, onde non se ne puo’ neppure valutare ora la decisivita’ e l’avvenuta sottoposizione alla discussione delle parti.
6. – Ottavo motivo concernente la notifica a (OMISSIS).
L’ottavo motivo e’ infondato.
Con riguardo all’eccezione di mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’ex amministratore (OMISSIS), la sentenza impugnata ha condiviso le valutazioni del tribunale, secondo cui la notificazione dell’atto di citazione introduttivo ha conseguito il suo scopo, ai sensi dell’articolo 156 cod. proc. civ., comma 3; ad abundantiam, la corte ha poi ritenuto l’efficacia sanante della costituzione del convenuto, avvenuta nel procedimento cautelare in corso di causa.
La prima motivazione, che e’ corretta, e’ dunque idonea a fondare la decisione.
Al convenuto in questione fu infatti tentata una prima notifica dell’atto di citazione nel marzo 1998, non andata a buon fine per essersi il medesimo trasferito; quindi, fu notificato l’atto di citazione in data 8 luglio 1998, il quale era completo, ma recava il refuso della data di prima comparizione, rimasta quella originariamente indicata dall’attrice (26 giugno 1998) e, poi, il verbale della medesima prima udienza, con il rinvio alla udienza successiva.
Orbene, nonostante tale svolgimento dei fatti processuali, il contraddittorio fu pienamente instaurato, senza nessuna violazione del diritto di difesa, essendo stato il convenuto reso edotto delle domande attoree e della nuova udienza fissata, in modo tale da elidere la prima indicazione e mettere in grado il convenuto medesimo di spiegare tempestivamente tutte le sue difese, appunto con riguardo alla nuova udienza all’uopo indicata.
Cio’ si conforma all’orientamento di questa Corte, il quale reputa che la nullita’ della citazione per omessa o errata indicazione dell’udienza di comparizione davanti al giudice adito si verifica soltanto nel caso in cui detta indicazione manchi del tutto o, per la sua incompletezza, risulti tanto incerta da non rendere possibile al destinatario dell’atto individuare, con un minimo di diligenza e buon senso, la data che si intendeva effettivamente indicare, con la conseguenza che, ove non ricorra propriamente questa eventualita’, la citazione deve essere considerata valida.
Onde l’errata indicazione della data dell’udienza di comparizione (perche’, ad esempio, anticipata rispetto a quella della notifica) non integra un’ipotesi di nullita’ della citazione ogni qual volta l’errore sia riconoscibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, di modo che il convenuto possa facilmente rendersi conto dell’esatta data dell’udienza predetta (cfr. Cass. 14 marzo 2014, n. 6008, non massimata; Cass. 22 giugno 2011, n. 13691; Cass. 30 marzo 2006, n. 7523; Cass. 19 maggio 2006, n. 11780; Cass. 27 agosto 2002, n. 12546).
In sostanza, non viene integrata la nullita’ della citazione, tutte le volte in cui l’errata indicazione della data dell’udienza di comparizione, perche’ anticipata rispetto a quella di notificazione, integri una inesattezza che sia immediatamente riconoscibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, con errore meramente materiale, in relazione al quale il soggetto destinatario possa facilmente rendersi conto del medesimo e, quando la causa sia stata iscritta a ruolo, facilmente attivarsi per conoscere la data esatta di comparizione, anziche’ – sottraendosi, anche inconsapevolmente, al dovere di lealta’ processuale di cui all’articolo 88 cod. proc. civ. – omettere tanto ogni accertamento, quanto la stessa costituzione in giudizio, per poi inopinatamente eccepire la nullita’ della citazione sul presupposto della mancanza di certezza della data di comparizione, nonostante tale certezza potesse e dovesse essere facilmente acquisita (cosi’ Cass. 27 agosto 2002, n. 12546).
Il principio di buona fede, in sostanza, dovendo improntare anche la condotta processuale delle parti, non permette sia premiata una condotta che ad esso non si conformi.
7. – Motivi del ricorso dei sindaci concernenti i limiti dei loro doveri e responsabilita’.
7.1. – I primi quattro motivi del ricorso degli ex sindaci (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti volti a circoscrivere i poteri di controllo e la specifica responsabilita’ dei sindaci di societa’, possono essere congiuntamente trattati, proponendo argomenti fra loro connessi.
Sostengono i ricorrenti che ne’ la procedura, ne’ la sentenza hanno indicato quali attivita’ i sindaci avrebbero potuto porre in essere per impedire il fatto gestorio pregiudizievole, dato che essi non hanno nessun potere sanzionatorio e repressivo, ma possono solo rilevare i fatti gestori riscontrati nella relazione al bilancio; i sindaci non avevano, all’epoca dei fatti, il potere di denunzia al tribunale, come invece affermato dalla corte del merito; negli anni 1993-1995, quando quasi per intero fu cagionato il danno, essi non erano piu’ in carica, mentre per gli anni 1990-1992 gli ammortamenti erano conformi a legge ed e’ provato come i due sindaci avessero diligentemente evidenziato lo stato di squilibrio patrimoniale della societa’.
Nessuna di queste censure coglie nel segno.
7.2. – Mentre sono inammissibili i profili riguardanti il fatto (come la pretesa di riproporre in questa sede l’assunto secondo cui il danno fu prodotto solo negli anni 1993-1995: in contrasto con gli accertamenti fattuali della sentenza impugnata), o il vizio di motivazione insufficiente non piu’ denunziabile (quarto motivo), occorre operare alcune puntualizzazioni in punto di diritto.
Non ha pregio la configurazione ristretta dei poteri e dei doveri del collegio sindacale, illustrata nel ricorso.
La riforma del diritto societario ha espressamente indicato, all’articolo 2403 cod. civ., l’esigenza del controllo, da parte dei sindaci, “sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla societa’ e sul suo concreto funzionamento”.
Ma gia’ prima della riforma i doveri di controllo imposti ai sindaci dagli articoli 2403 cod. civ. e ss. erano configurati con ampiezza ed estesi a tutta l’attivita’ sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali: non il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, operando attivamente per mutare condotte reputate non conformi a legge (cfr. Cass. 24 marzo 1999, n. 2772; 28 maggio 1998, n. 5287).
Invero, l'”obbligo di controllo” accomuna una pluralita’ di soggetti, ciascuno avente proprie funzioni nell’organismo societario (amministratori non esecutivi, indipendenti, sindaci, revisori, comitato per il controllo interno, organismo di vigilanza di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle societa’ quotate di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 154-bis, ecc.). Scopo di questo sistema di controlli e’ la massima garanzia sull’osservanza delle regole di corretta amministrazione.
Orbene, talune conformazioni della struttura societaria comportano, inoltre, doveri di controllo particolarmente intensi: come allorche’ si tratti di societa’ a ristretta base familiare o, appunto, di societa’ cooperativa, ove soggetta ad influenze esterne anche pregiudizievoli per la societa’ stessa.
Si puo’ configurare, quindi, una duplice responsabilita’ dei sindaci, che rispondono per fatto proprio o per concorso omissivo al dovere di controllo sugli amministratori.
La responsabilita’ omissiva del sindaco resta una responsabilita’ per fatto proprio colpevole: espunta anche dal diritto civile la responsabilita’ oggettiva, per fatto altrui o da mera “posizione”, deve sussistere la condotta almeno colposa e il nesso causale col danno, essendo responsabilita’ per fatto e colpa propri.
Dovendosi il comportamento dei sindaci ispirare al dovere di diligenza proprio del “mandatario” ex articolo 2407 cod. civ., comma 1, vecchio testo, ed essere improntato ai principi di correttezza e buona fede, esso non si esaurisce nell’espletamento delle attivita’ specificamente indicate dalla legge, ma comporta l’obbligo di adottare ogni altro atto – pur non tipizzato – necessario al diligente assolvimento dell’incarico: quali, come questa Corte ha da tempo indicato, la segnalazione all’assemblea delle irregolarita’ di gestione riscontrate e persino, ove ne ricorrano gli estremi, la segnalazione al pubblico ministero per consentirgli di formulare la richiesta ai sensi dell’articolo 2409 cod. civ. (Cass. 11 novembre 2010, n. 22911; 17 settembre 1997, n. 9252), posto che, ante riforma, non era prevista la legittimazione attiva della denunzia al tribunale per l’organo di controllo.
E si e’ condivisibilmente affermato come l’inosservanza del dovere di vigilanza comporta la responsabilita’ dei sindaci, laddove essi non abbiano rilevato una rilevante violazione altrui, o non abbiano adeguatamente reagito di fronte ad atti di dubbia legittimita’ e regolarita’ (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204, cit.; Cass. 13 giugno 2014, n. 13517; v. pure Cass. 13 giugno 2014, n. 13518); e che sussiste il nesso di causalita’ tra la condotta omissiva dei sindaci ed il danno, quando essi non abbiano formulato rilievi critici su poste di bilancio palesemente ingiustificate o non abbiano esercitato poteri sostitutivi che, secondo l’id quod plerumque accidit, avrebbero condotto ad una piu’ sollecita dichiarazione di fallimento (Cass. 14 ottobre 2013, n. 23233).
A fronte di iniziative contra legem da parte dell’organo amministrativo di societa’ per azioni, i sindaci hanno dunque l’obbligo di porre in essere, con tempestivita’, tutti gli atti necessari e di utilizzare ogni loro potere di sollecitazione e denuncia, interna ed esterna alla societa’: sino a pretendere dagli amministratori le azioni correttive necessarie, non essendo sufficiente limitarsi ad una blanda, inefficace critica.
In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della societa’ per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dalla legge.
7.3. – Nei casi in cui risulti compromessa l’integrita’ del patrimonio sociale e si verifichi l’insufficienza del medesimo a soddisfarli, in particolare, la responsabilita’ sussiste nei confronti dei creditori sociali; il nesso causale va provato da parte attrice, secondo l’accertamento rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.
Nell’ambito dell’azione di responsabilita’ promossa nell’interesse dei creditori – che questa Corte reputa extracontrattuale (Cass., sez. un., 23 gennaio 2017, n. 1641, da ultimo) – l’onere di provare la colpa grava sulla procedura.
L’elemento della colpa rileva in due accezioni: colpa nella conoscenza, allorche’ il sindaco non rilevi colposamente la condotta inadempiente dell’organo gestorio; e colpa nell’attivazione, se, pur a conoscenza dei fatti, ometta, almeno per colpa, di esercitare prontamente ed efficacemente i suoi poteri impeditivi, sopra indicati.
7.4. – La corte del merito, dopo avere elencato i fatti di mala gestio accertati in capo agli amministratori operativi e gli episodi di inadempimento ai loro doveri – in particolare relativi alla errata valutazione degli ammortamenti e delle immobilizzazioni in bilancio, operati in violazione dei principi contabili – ha affermato che essi sono stati la conseguenza di scelte errate dell’organo amministrativo e sono stati resi possibili dalla mancanza di un adeguato controllo interno da parte dei sindaci, in quanto, in tal modo, fu cagionato un progressivo impoverimento del patrimonio netto, in misura equivalente alle risorse finanziarie ingenti distribuite ai soci, quali fittizi utili di esercizio, per gli anni 1990 e 1991.
Quanto ai sindaci, rileva la corte territoriale che essi nelle relazioni ai bilanci 1991 e 1992 (il primo a firma (OMISSIS) e (OMISSIS), il secondo (OMISSIS) e (OMISSIS)) denunciarono uno squilibrio della struttura patrimoniale e finanziaria e l’esigenza di un risanamento, ma nulla fecero in realta’ per assicurare l’adempimento dell’obbligo gestorio di procedere a corrette valutazioni, a norma dell’articolo 2426 cod. civ.: i sindaci diedero comunque parere favorevole ai bilanci 1990 e 1991, quando fu operata l’indebita appostazione e distribuzione di utili solo apparentemente conseguiti. Onde sussiste il nesso causale con il loro omesso controllo, mentre neppure fu mai sollecitata l’attenzione dell’assemblea dei soci o del pubblico ministero, ai fini della denunzia ex articolo 2409 cod. civ..
Se, dunque, da un lato la corte del merito si e’ posta pienamente nel solco tracciato dai principi esposti, dall’altro lato gli accertamenti in fatto operati non sono piu’ sindacabili in questa sede.
In particolare, non corrisponde alla corretta lettura della decisione impugnata che i sindaci avrebbero dovuto proporre la denunzia al tribunale, ai sensi dell’articolo 2409 cod. civ., essendosi la corte del merito limitata a rilevare il loro potere-dovere di denunzia al p.m. perche’ avanzasse la relativa richiesta, secondo il sistema anteriore alla riforma ex Decreto Legislativo n. 6 del 2003.
In una vicenda come la presente, caratterizzata dalla redazione dei bilanci, da parte degli amministratori, senza il rispetto dei principi contabili e protrattasi nel tempo, la responsabilita’ risiede nel fatto di non avere proficuamente reagito alle modalita’ escogitate dall’organo gestorio, al fine di procedere comunque alla distribuzione ai soci di utili inesistenti.
8. – Quinto motivo concernente i criteri di redazione del bilancio.
Il quinto motivo e’ inammissibile, risolvendosi in una questione di fatto.
Esso censura la sentenza impugnata, per avere ritenuto violato l’articolo 2426 cod. civ. nella redazione dei bilanci societari da parte dell’organo amministrativo, sostenendo i ricorrenti che, invece, la societa’ avrebbe correttamente operato gli ammortamenti nella misura minima consentita dal codice civile, proprio perche’ gli impianti venivano utilizzati per non piu’ del 50% della loro capacita’, come i convenuti avevano dimostrato, spiegandone le ragioni.
La sentenza impugnata ha accertato l’esistenza, da un lato, di minori ammortamenti materiali, e, dall’altro lato, della capitalizzazione illegittima di costi.
Sotto il primo profilo, ha riscontrato l’errata valutazione degli ammortamenti in bilancio operati in violazione dei principi contabili, in quanto non si e’ tenuta in debito conto l’effettiva “vita utile” del bene: il fine improprio di tale contabilizzazione fu quello di consentire la distribuzione degli utili ai soci (quale sorta di conguaglio del prezzo per il conferimento dell’uva). Ha, infatti, accertato la corte del merito che nelle relazioni sulla gestione ai bilanci del 1990 e del 1991, redatte dagli amministratori, si riferisce come il calcolo delle quote di ammortamento delle immobilizzazioni fu effettuato al 50% dei coefficienti massimi di legge “onde venire incontro alle esigenze di soci” e “onde non penalizzare ulteriormente i soci”.
Il 24 gennaio 1993 anche (OMISSIS) ha confermato l’appostazione di ammortamenti in misura inferiore a quelli necessari, sulla base della stimata vita utile dei cespiti di riferimento.
A partire dal bilancio del 1993, poi, gli ammortamenti sono avvenuti in misura notevolmente superiore rispetto agli anni pregressi, senza che risulti una analitica spiegazione in ordine al mutamento dei criteri di valutazione, in tal modo il bilancio violando ulteriormente il principio contabile che impone la costanza dei criteri, salvo il mutamento delle circostanze da illustrare debitamente. Cio’ e’ confermato dal fatto che il libro dei cespiti ammortizzabili non consente la ricostruzione dei fondi e del valore residuo ammortizzabile, ne’ la corrispondenza ai dati di bilancio, essendo tra l’altro aggiornato solo sino al 31 agosto 1992.
La corte del merito ha respinto anche la tesi secondo cui basterebbe, a giustificare la misura degli ammortamenti, la conformita’ alla Legge Regionale 13 agosto 1979, n. 198, essendo rimasto del tutto indimostrato il presupposto di fatto, relativo all’utilizzo a meta’ regime degli impianti, tale da produrre un “minore logorio”.
Sotto il secondo profilo, ha rilevato la falsificazione dei bilanci in ragione dell’illegittima capitalizzazione come immobilizzazioni di alcuni costi di esercizio, qualificati indebitamente come oneri pluriennali. Con riguardo alla voce “costi da ammortizzare”, la verifica contabile operata ha accertato trattarsi di oneri finanziari correnti provenienti da finanziamenti bancari, onde non si sarebbe potuto capitalizzarli e rinviare ai futuri esercizi l’imputazione relativa a conto economico, ma essi avrebbero dovuto correttamente essere imputati quale costo finanziario dell’esercizio di competenza, con l’effetto immediato di ridurre l’utile di esercizio.
La correzione del criterio ha comportato, per la prima volta nel bilancio chiuso al 31 agosto 1993, l’emersione di perdite, avendo la stessa relazione sulla gestione a quel punto affermato che gli oneri finanziari capitalizzati avrebbero dovuto subire un regolare processo di ammortamento, onde l’esercizio in questione rivela “un risultato economico negativo abnorme”.
In sostanza, la corte del merito ha accertato che, in mancanza dell’adozione degli errati criteri contabili seguiti, i bilanci avrebbero palesato perdite sin dal 1990, laddove invece mostravano l’apparenza di utili d’esercizio, inopinatamente distribuiti ai soci.
A fronte di questo esauriente accertamento in fatto, coerente con le norme che fissano i criteri di redazione del bilancio, neppure ha pregio il motivo con riguardo al presunto onere, che si vuole gravante sul fallimento e da esso non assolto, di provare l’utilizzo pieno degli impianti: esso si scontra con gli accertamenti di fatto operati, ponendosi l’assunto in contrasto – come ha puntualmente rilevato la sentenza impugnata – con gli accertamenti peritali, sia d’ufficio sia di parte, nonche’ con le stesse dichiarazioni contenute nella relazione al bilancio 1993, che adeguo’ infine i criteri a quelli di legge.
9. – Sesto motivo concernente il nesso causale.
Il motivo e’ infondato.
La corte del merito ha ritenuto, applicando i suddetti criteri, responsabili i sindaci ricorrenti per omessa vigilanza e per non aver operato fattivamente per evitare l’illecito gestorio. In particolare, essa ha esaminato partitamente la durata in carica ed il periodo della stessa, concludendo per la responsabilita’ (v. spec. pp. 10 e 24). Dunque, non si ravvisa il vizio di omesso esame denunciato, mentre il concorso causale deriva dall’adeguato accertamento della condotta e del danno derivatone, come gia’ sopra esposto nell’esame dei primi quattro motivi.
10. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi; condanna in solido i ricorrenti principali al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’ in favore del Fallimento controricorrente, liquidate in Euro 13.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori, come per legge; condanna in solido i ricorrenti incidentali al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’ in favore del Fallimento controricorrente, liquidate in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori, come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n.115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali soccombenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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