Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 25 luglio 2018, n. 35445.
La massima estrapolata:
Il Dirigente della Polizia Ferroviaria (Polfer, specialità della Polizia di Stato), che pure si qualifica come tale esibendo il relativo tesserino, che è in possesso dell’abbonamento ferroviario pur non intendendo usufruire del servizio di trasporto ferroviario, ma che si rifiuta di esibire al controllore il titolo di viaggio, oltrepassa il varco ed urta con il proprio corpo quello del ferroviere, di corporatura meno robusta, facendolo cadere a terra, risponde del reato di resistenza punito dall’articolo 337 del Codice penale. Per integrare tale reato, infatti, è sufficiente una condotta quale quella tenuta nell’occasione, connotata dall’intenzionalità dello spintonamento con il corpo al fine di impedire lo svolgimento del controllo dei titoli di viaggio necessari per fruire del servizio di trasporto, da parte del ferroviere incaricato del relativo servizio.
Sentenza 25 luglio 2018, n. 35445
Data udienza 26 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente
Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere
Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere
Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/03/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito, per la parte civile, l’Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) EREDE (OMISSIS) il quale ha concluso chiede il rigetto e ha depositato conclusioni scritte e la nota spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20/2/2015 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Napoli in data 9/12/2013 nei confronti di (OMISSIS), riteneva assorbito il reato di cui al capo B), riqualificato ai sensi dell’articolo 581 c.p., nel delitto di resistenza sub A) e concesse le circostanze attenuanti generiche rideterminava la pena.
1.1. A seguito di ricorso dell’imputato la Corte di Cassazione con sentenza n. 35669/2017 del 06/06/2017 annullava con rinvio la sentenza impugnata.
Premesso che i giudici di appello avevano sottolineato che, secondo la ricostruzione consentita dalle testimonianze acquisite, era da ritenersi accertato che il (OMISSIS) aveva oltrepassato il varco, rifiutandosi di esibire al (OMISSIS) il titolo di viaggio e di giustificare il proprio comportamento, dopo di che il (OMISSIS) lo aveva inseguito e si era posto dinanzi a lui, che, continuando a procedere, lo aveva fatto cadere a terra, ha precisato che dalla testimonianza di (OMISSIS) era emerso che il (OMISSIS) non aveva spinto con le braccia ma aveva urtato col proprio corpo quello del (OMISSIS), che era di corporatura meno robusta e che nel caso di specie era stata ravvisata l’ipotesi della resistenza non in ragione di una semplice condotta di rifiuto o di resistenza passiva, bensi’ in ragione di uno spintonamento.
Ha, quindi, evidenziato che risultava in tale ottica evidente la carenza di motivazione sul punto giacche’ era mancata una “puntuale analisi della condotta di spintonamento e del suo concreto significato nello specifico contesto dell’azione, sia sotto il profilo oggettivo dell’esplicazione di una forza preponderante di tipo oppositivo, diversa dal semplice insistere in un’azione passiva di rifiuto, sia sotto quello soggettivo della specifica finalizzazione di quella condotta ad impedire il legittimo compimento dell’atto inerente al servizio, in luogo di una non volontaria interferenza di direzione, associata alla diversa conformazione fisica e al conseguente impatto sul controllore”.
1.2. La Corte di Appello, pronunziando in sede di rinvio, in parziale riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Napoli in data 9/12/2013 nei confronti di (OMISSIS), riteneva assorbito il reato di cui al capo B), riqualificato ai sensi dell’articolo 581 c.p., nel delitto di resistenza sub A) e concesse le attenuanti generiche rideterminava la pena.
Le rilevare che sia il (OMISSIS) che i colleghi (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito in dibattimento che il (OMISSIS) spingeva con il corpo il controllore (OMISSIS), facendolo cadere a terra non senza precisare che il (OMISSIS) aveva una stazza fisica imponente rispetto a quella della p.o. ha precisato che la condotta in questione integrava gli estremi del reato di resistenza a pubblico ufficiale sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo in quanto il contesto complessivo dell’azione consentiva di desumere che l’urto del corpo del (OMISSIS) da parte del (OMISSIS) non era stato accidentale ne’ frutto della repentinita’ dell’azione del (OMISSIS) nel pararsi dinanzi al (OMISSIS) ne’ ancora conseguenza di una mera azione passiva di rifiuto ma una azione intenzionalmente diretta mediante esplicazione di energia fisica ad impedire lo svolgimento del controllo da parte dell’incaricato di pubblico servizio.
2. Contro detta pronunzia propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato formulando tre motivi:
a. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli articoli 192, 530, 546 e 627 c.p.p., nonche’ articolo 337 c.p..
Lamenta che la corte territoriale aveva disatteso il dictum del Supremo Collegio ed, in particolare, aveva omesso di valutare adeguatamente il contenuto della deposizione del teste (OMISSIS) attribuendo alla stessa un valore probatorio diverso da quello posseduto.
Assume che la corte territoriale non aveva considerato che dall’effettivo contenuto della deposizione del teste (OMISSIS) era univocamente emerso che il (OMISSIS) era caduto per terra solo ed esclusivamente in ragione della differenza di stazza corporea, sicche’ era stata disattesa la pronunzia della Cassazione la quale aveva evidenziato che dalla ricostruzione probatoria era emerso l’assenza di spintonamento/impiego di forza attiva.
Osserva che era evidente il deficit di motivazione in punto di verifica della sussistenza del dolo specifico di cui all’articolo 337 c.p.;
b. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli articoli 516, 521 e 522 c.p.p., nonche’ articolo 337 c.p..
Deduce che dal corpo della motivazione risultava evidente come non poteva ritenersi dimostrata la realizzazione della condotta cristallizzata nel capo di imputazione dove di parlava di una “colluttazione” con il controllore ferroviario;
c. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli articoli 192, 530, 546 e 627 c.p.p., nonche’ articolo 337 c.p..
Osserva che, come dedotto nei motivi di appello, non poteva ritenersi integrata la condotta di cui all’articolo 337 c.p., in quanto l’imputato si era limitato a “non fermarsi” e la caduta del (OMISSIS) era stata provocata unicamente dalla differenza di stazza con il (OMISSIS) il quale a fronte della condotta della p.o., che si era parata dinanzi a lui, si era limitato a proseguire il suo cammino, non potendosi parlare ne’ di corsa ne’ di fuga.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile stante la manifesta infondatezza delle censure formulate.
Occorre premettere che il sindacato di legittimita’ non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensi’ la verifica della struttura logica del provvedimento e non puo’ quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Ne’, la Suprema Corte puo’ trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato puo’ essere sottoposto al controllo del giudice di legittimita’, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214).
In tema di sindacato del vizio di motivazione non e’ certo compito del giudice di legittimita’ quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito ne’ quello di “rileggere” gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione e’ compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l’obbligo di motivazione e’ stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti dai quali e’ stato tratto il proprio convincimento, la decisione non e’ censurabile in sede di legittimita’.
3.1. Va, ancora, rilevato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita’ delle fonti di prova e’ devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita’ degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimita’ della Corte Suprema. Si e’ in particolare osservato che non e’ sindacabile in sede di legittimita’, salvo il controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 – dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
Deve, inoltre, essere ricordato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non e’ tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia’ ed altri, Rv. 254107).
4. Nella specie la sentenza in questione ha evidenziato che andava confermata la ricostruzione dei giudici di primo grado in quanto erano emersi elementi univoci, sulla scorta di quanto riferito dal (OMISSIS) nonche’ dai testi escussi, idonei a confermare che il (OMISSIS) aveva posto in essere una condotta intenzionalmente diretta, mediante esplicazione di energia fisica, ad impedire lo svolgimento del controllo da parte dell’incaricato del pubblico servizio.
La corte territoriale con motivazione logica, adeguata e saldamente ancorata alle risultanze istruttorie ha, in particolare, evidenziato che “la volonta’ dell’imputato di opporsi all’attivita’ di controllo legittimamente svolta dall’incaricato di pubblico servizio, emerge con evidenza dalla condotta tenuta dal (OMISSIS) sin dalla prima fase della vicenda allorquando l’imputato ha superato il varco di controllo senza fermarsi per poi ribadire al controllore che lo seguiva che non poteva impedirgli di passare perche’ stava camminando sul suolo pubblico. Tutto cio’ consente serenamente di affermare che sebbene il (OMISSIS) non abbia utilizzato le mani per spingere il (OMISSIS) ma lo abbia spinto con il proprio corpo andandogli contro in tale condotta sia ravvisabile non una mera resistenza passiva ma il dispiego di forza diretta a neutralizzare intenzionalmente l’azione del controllore, come tale rientrante nel paradigma normativo di cui all’articolo 337 c.p.”.
Si tratta, dunque, di motivazione congrua e corretta, del tutto coerente con gli evidenziati elementi fattuali e rispettosa del dictum della Cassazione, sicche’ le censure formulate con tutti e tre motivi di impugnazione sopra indicati, di mero fatto, devono essere ritenute inammissibili in quanto surrettiziamente tese ad ottenere una nuova rivalutazione del merito.
5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilita’ consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila.
Il ricorrente va, pure, condannato al pagamento delle spese del grado liquidate in favore della parte civile Elvira (OMISSIS), quale erede della persona offesa Eduardo (OMISSIS), in Euro 3.510,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15%, CPA ed IVA.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, altresi’, il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo grado da Elvira (OMISSIS) quale erede di Eduardo (OMISSIS) che liquida in Euro 3.510,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15%, CPA ed IVA.
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