Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 23 maggio 2018, n. 23077.
La massima estrapolata:
Nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, non va attivata la procedura prevista dall’art. 12, comma 2, del medesimo d.lgs., secondo cui, per i reati in precedenza perseguibili d’ufficio, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso decreto, il pubblico ministero o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, è tenuto ad informare la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela.
Sentenza 23 maggio 2018, n. 23077
Data udienza 9 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. RAGO Geppino – rel. Consigliere
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
contro la sentenza del 05/05/2015 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Pratola Gianluigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
FATTO E DIRITTO
1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, riqualificato il reato di cui all’articolo 314 c.p. – per il quale (OMISSIS) era stato condannato dal Tribunale di Napoli – in quello di cui all’articolo 646 c.p., lo dichiarava estinto per intervenuta prescrizione.
Contro la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’articolo 336 c.p.p. in quanto, in mancanza di querela da parte delle persone offese, la Corte avrebbe dovuto dichiarare la non procedibilita’.
2. Il ricorso e’ inammissibile essendo la censura manifestamente infondata.
In punto di fatto, va premesso che l’imputato – direttore dell’ufficio postale di (OMISSIS) – venne tratto a giudizio per due capi d’imputazione aventi ad oggetto sempre il medesimo fatto, ossia l’essersi appropriato di somme di cui aveva la disponibilita’ per ragioni del servizio che svolgeva: il primo per il reato di cui all’articolo 314 c.p. (capo sub 1); il secondo per il reato di cui agli articoli 56 e 314 c.p. (capo sub 2).
Il Tribunale di Napoli, riqualifico’ il reato di cui agli articoli 56 e 314 c.p. in quello di tentata truffa aggravata dall’articolo 61 c.p., n. 11 e lo condanno’ per il reato di peculato, reato, invece, che, come si e’ detto, la Corte di Appello – dopo averlo a sua volta riqualificato in quello di cui all’articolo 646 c.p. – dichiaro’ estinto per prescrizione.
Alla stregua di quanto si e’ appena illustrato, e’ allora del tutto evidente che l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 11 – essersi appropriato delle somme di cui aveva la disponibilita’ per ragioni di servizio – correttamente ritenuta dal tribunale per il capo sub 2), deve ritenersi contestata, sebbene implicitamente, anche per il capo sub 1) per la semplice ragione che il fatto e’ sempre il medesimo traendo la sua origine dalla circostanza che l’imputato pote’ appropriarsi delle somme di cui al capo d’imputazione solo in virtu’ del fatto che di quelle somme ne aveva la disponibilita’ per ragioni di servizio: il che integra, appunto, gli estremi di cui all’articolo 61 c.p., n. 11 che rende il reato perseguibile d’ufficio ex articolo 646 c.p., comma 3.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi anche a seguito del novellato articolo 646 c.p. (ex Decreto Legislativo n. 36 del 2018, articolo 10 entrato in vigore il 09/05/2018) ora procedibile a querela (salvo per l’ipotesi di cui al nuovo articolo 649 bis c.p.) da accertarsi con la procedura di cui all’articolo 12 Decreto Legislativo cit., in quanto:
a) risulta dagli atti che le Poste Italiane si erano costituite parte civile nel procedimento penale a carico dell’imputato, sebbene, successivamente alla costituzione, “abbandonava il processo e non rassegnava le proprie conclusioni” (cfr. sentenza di primo grado): si deve, quindi, applicare quella consolidata giurisprudenza secondo la quale “nei reati perseguibili a querela di parte, la persona offesa puo’ esprimere la volonta’ di punizione senza l’impiego di formule particolari, ed il giudice puo’ desumerne la sussistenza anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, sicche’ tale volonta’ puo’ essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile”: ex plurimis Cass. 19077/2011 Rv. 250318; Cass. 29205/2016 riv 267619, rimanendo del tutto irrilevante la circostanza che la suddetta parte civile, successivamente alla costituzione, non avesse piu’ coltivato l’azione civile;
b) il principio secondo il quale “la pretesa punitiva non puo’ avere ingresso o non puo’ essere proseguita se facciano difetto le condizioni all’uopo stabilite dalla legge, e di conseguenza prima della questione relativa all’applicazione della causa estintiva del reato si presenta quella della procedibilita’ o proseguibilita’ dell’azione penale” e’ applicabile soltanto nel caso di contemporanea sussistenza, allo stato degli atti, sia di una causa di impromuovibilita’ o di improseguibilita’ dell’azione penale, sia di una causa di estinzione del reato. Qualora, invece, tale coesistenza o concorso non sia attuale ma solo potenziale, vale la regola dell’immediata declaratoria posta dall’articolo 152 c.p.p. (rectius: ora articolo 129 c.p.p.) con la conseguenza che, in caso di coesistenza (attuale e non solo potenziale) fra una causa di estinzione del reato ed una causa di improseguibilita’ dell’azione penale (ad es. diniego di autorizzazione a procedere) va data prevalenza a questa seconda causa”: in terminis SS.UU. 5540/1982 Rv. 154076 (in motivazione).
Pertanto, essendo stata gia’ dichiarata la prescrizione al momento dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo cit., prevale la gia’ dichiarata causa di estinzione di estinzione.
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile alla stregua del seguente principio di diritto: “relativamente al reato di cui al novellato articolo 646 c.p. gia’ perseguibile d’ufficio ove fosse contestata l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 11, non va attivata la procedura di cui all’articolo 12, comma 2 Decreto Legislativo cit., ove la persona offesa si sia costituita parte civile – restando irrilevante che la parte civile abbia successivamente abbandonato il processo – ed il reato sia stato comunque gia’ dichiarato prescritto nel giudizio di merito”.
3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.
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