Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 17 maggio 2018, n. 21882.
La massima estrapolata:
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e’ sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale.
Sentenza 17 maggio 2018, n. 21882
Data udienza 5 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo – Presidente
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere
Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/05/2017 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAVICH GIUSEPPE;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PICARDI ANTONIETTA, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS) che riportandosi ai motivi del ricorso ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Roma, in data 8 maggio 2017, ha confermato la condanna alla pena di due anni di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa pronunziata dal Tribunale di Roma in data 6 dicembre 2016, all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di (OMISSIS), per il reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commesso in (OMISSIS), previo riconoscimento dell’ipotesi di lieve entita’ di cui al citato articolo 73, comma 5, con attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, nonche’ applicata la diminuente per il rito.
Al (OMISSIS) e’ addebitata la cessione di due quantitativi di cocaina (rispettivamente pari a grammi 0,79 e 0,5) a (OMISSIS), nonche’ la detenzione a fini di cessione di un ulteriore, modico quantitativo (gr. 0,6 lordi) di cocaina all’interno della propria autovettura, e di un piu’ consistente quantitativo della stessa sostanza (grammi 39,8) presso l’abitazione che egli divideva con la madre.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il (OMISSIS), per il tramite del suo difensore di fiducia.
Il ricorso consta di due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo l’esponente lamenta vizio di motivazione in riferimento alla riconducibilita’ soggettiva all’imputato di tutte le condotte a lui ascritte: in specie, il solo possesso delle chiavi di casa dell’abitazione della madre ha condotto ad attribuire al (OMISSIS) anche la detenzione del quantitativo di stupefacente rinvenuto in detta abitazione. Per di piu’, alla luce della consulenza tecnica sulla sostanza stupefacente, il grado di purezza dei singoli quantitativi di cocaina rinvenuti e’ significativamente diverso, cosi’ come diversi sono i materiali usati per il confezionamento, di tal che neppure puo’ affermarsi la comune provenienza degli stessi da un unico quantitativo principale. Su tali aspetti la motivazione della sentenza impugnata e’ del tutto carente, pur a fronte degli specifici rilievi formulati nell’atto d’appello.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio: pur a fronte di una richiesta di riduzione della pena, formulata nell’ultimo motivo d’appello, la Corte distrettuale non ha fornito adeguata motivazione della propria contraria statuizione; e cio’ sebbene la pena (prescindendo dalla diminuente per il rito) sia prossima al massimo edittale, e nonostante il dato ponderale dello stupefacente sequestrato consenta di affermare che la condotta dell’odierno ricorrente e’ stata di minima offensivita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato, oltreche’ teso in buona parte a sottoporre a scrutinio di legittimita’ una rivalutazione del materiale probatorio, che si risolve in questioni di mero fatto demandate in via esclusiva al giudizio di merito.
Invero, la Corte di merito ha fatto buon governo dei principi in tema di valutazione del compendio probatorio e indiziario, con particolare riguardo alla riferibilita’ soggettiva al (OMISSIS) del quantitativo principale di cocaina rinvenuto presso l’abitazione intestata alla madre, di cui pero’ lo stesso imputato deteneva le chiavi all’interno della stessa autovettura di sua proprieta’ a bordo della quale gli operanti rinvenivano un ulteriore quantitativo di cocaina. Un altro collegamento fra gli esiti della perquisizione domiciliare e l’accertata attivita’ di spaccio del (OMISSIS) e’ costituito dal rinvenimento del materiale di confezionamento, costituito da materiale cartaceo ritagliato in cerchi, dello stesso tipo di quello con cui era stato confezionato l’involucro destinato dal (OMISSIS) alla cessione che si consumava sulla strada.
A fronte del percorso argomentativo seguito dalla Corte distrettuale, improntato a logicita’, completezza e coerenza, va richiamato il principio in base al quale, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis, vds. Sez. U, Sentenza n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; e, piu’ di recente, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). E’ altresi’ utile richiamare il principio, affermato anch’esso dalla giurisprudenza apicale di legittimita’ (Sez. U, Sentenza n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794) in base al quale l’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.
2. E’, del pari, manifestamente infondato il secondo motivo di lagnanza.
Puo’ ribadirsi qui il principio in base al quale la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e’ sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (cosi’, recentemente, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 271243).
Nella specie, a prescindere dal fatto che la pena finale (sia pure per effetto della diminuente del rito) si colloca attorno ai valori medi edittali, deve sottolinearsi che la Corte di merito ha adeguatamente valorizzato e illustrato gli elementi che connotano, nel caso di specie, la gravita’ del fatto e la personalita’ del soggetto, si’ da giustificare appieno il trattamento sanzionatorio a lui applicato.
Sul punto deve infatti evidenziarsi che i diversi quantitativi di cocaina sequestrati al (OMISSIS) consentivano di ricavare, nel loro complesso, un non trascurabile numero di dosi medie singole (almeno 175) e nonostante cio’, ed a fronte delle complessive emergenze probatorie (deponenti per un’attivita’ di spaccio non occasionale del prevenuto), il reato e’ stato inquadrato nell’ipotesi di lieve entita’; inoltre, non puo’ trascurarsi la pessima biografia penale del giudicabile, accuratamente illustrata nella sentenza impugnata, e cio’ indipendentemente dall’avvenuto bilanciamento in equivalenza della recidiva specifica reiterata e infraquinquennale a lui contestata.
A cio’ deve aggiungersi che solo per un evidente errore il reato ascritto al (OMISSIS) e’ stato considerato come unico, e non sono stati ravvisati nell’imputazione ne’ il concorso formale, ne’ il reato continuato, sebbene i plurimi quantitativi di cocaina da lui ceduti, o detenuti in luoghi distinti, fossero certamente di diversa provenienza, come rivelano gli esiti della consulenza tecnica menzionata nella sentenza (sul punto si rimanda a Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, Righetti e altri, Rv. 262421): percio’, ove fosse stata correttamente contestata la pluralita’ di reati, la mancata esclusione della recidiva ex articolo 99 c.p., comma 4, avrebbe necessariamente implicato un aumento della pena base nella misura minima di un terzo, ai sensi dell’articolo 81 c.p., comma 4.
In considerazione di quanto precede, nonche’ della motivazione sufficientemente ampia resa dalla Corte di merito in punto di trattamento sanzionatorio, la lagnanza dell’esponente si appalesa percio’ del tutto priva di pregio.
3. Alla declaratoria d’inammissibilita’ consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
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