Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 17 luglio 2018, n. 33046.
Sentenza 17 luglio 2018, n. 33046
Data udienza 25 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabin – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della liberta’ di Milano il 21/09/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Perla Lori, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della impugnata ordinanza;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale della liberta’ di Milano, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, ha applicato a (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere, perche’ gravemente indiziato del delitto di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
A (OMISSIS), in particolare, e’ contestato di aver assicurato consapevolmente supporto logistico al sodalizio criminale attraverso la sede della ditta (OMISSIS), a lui riconducibile, benche’ formalmente intestata alla compagna; detta struttura avrebbe costituito uno stabile luogo di incontro tra gli appartenenti all’associazione, al cui interno si sarebbero svolte periodiche riunioni nel corso delle quali si sarebbero affrontati argomenti essenziali per la sopravvivenza del gruppo – quali l’analisi delle condizioni di mercato per la commercializzazione della sostanza stupefacente, l’attivita’ necessaria per eludere le investigazioni, l’organizzazione e la predisposizione di strumenti volti ad eludere la esecuzione di eventuali provvedimenti coercitivi – (Fatti commessi da “almeno aprile 2016 e tutt’ora permanenti”).
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge in riferimento agli articoli 268, 273 – 310 c.p.p..
Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere inammissibile la eccezione difensiva relativa alla nullita’/inutilizzabilita’ del contenuto delle conversazioni intercettate, derivante dal diniego di consentire all’indagato di accedere ai file – audio delle captazioni.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione al reato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, e vizio di motivazione.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle ravvisate esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Quanto al primo motivo, secondo il Tribunale, il caso di specie, relativo ad appello proposto ai sensi dell’articolo 310 c.p.p., dal pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto di richiesta cautelare, sarebbe differente da quello in cui il Giudice per le indagini preliminari emetta il titolo cautelare e l’indagato abbia interesse alla proposizione del riesame: il diritto di accesso ed alla conoscenza dei file audio, contenenti le registrazioni di comunicazioni o conversazioni intercettate ed utilizzate, sarebbe riconosciuto solo in tale ultimo caso.
Evidenzia il difensore che: a) a seguito della proposizione dell’atto di appello, il P.M. procedette alla separazione della posizione di altri coindagati e chiese per questi, nel separato procedimento, la perizia trascrittiva delle intercettazioni nonche’ il giudizio immediato c.d. cautelare; b) all’udienza camerale fissata, ai sensi dell’articolo 310 c.p.p., il 21/09/2017, egli rilevo’ la omessa trasmissione dei supporti magnetici su cui erano state registrare le conversazioni e chiese, alternativamente, che il Tribunale non utilizzasse i brogliacci, nonche’ le trascrizioni della polizia giudiziaria, ovvero concedesse termine al P.M. per la produzione dei supporti; c) il Tribunale rigetto’ entrambe le richieste; d) di aver chiesto al pubblico ministero il successivo 18/10/2017 di accedere ai supporti relativi alle intercettazioni; e) la Procura della Repubblica accolse la richiesta, condizionandola, tuttavia, all’autorizzazione del G.I.P. del procedimento separato, in quanto i files – audio erano nella disponibilita’ del perito nominato in quel procedimento per la trascrizione delle conversazioni f) di non aver avuto accesso, alla data della presentazione del ricorso per cassazione, ai nastri in questione.
Sulla base di tale quadro di riferimento, assume il difensore che il Tribunale avrebbe violato l’articolo 268 c.p.p., e vi sarebbe stata una lesione del proprio diritto di difesa, essendo (OMISSIS) destinatario di una misura custodiale fondata su conversazioni intercettate al cui contenuto originario, l’indagato, nonostante le reiterate richieste, non avrebbe avuto accesso.
3. Il motivo di ricorso e’ infondato, per ragioni diverse da quelle indicate dal Tribunale dell’appello.
Secondo il Tribunale di Milano, il diritto di accesso ai files audio delle conversazioni intercettate il cui uso, sulla base delle trascrizioni della polizia giudiziaria, viene richiesto per l’emissione in sede di appello – proposto dal pubblico ministero – per la emissione di un’ordinanza cautelare, non sarebbe riconosciuto, in quanto detto diritto presupporrebbe sempre l’esistenza di un provvedimento custodiale e la materiale utilizzazione delle conversazioni intercettate da parte del giudice.
4. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 336 del 2008, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 268 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.
Ha chiarito la Corte come in caso di incidente cautelare, il pubblico ministero possa depositare, a supporto della richiesta di misura restrittiva della liberta’ personale, non le registrazioni ma solo i “brogliacci”, ossia i verbali nei quali la polizia giudiziaria abbia trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate e come, tuttavia, l’ascolto diretto delle conversazioni non possa essere surrogato dalle trascrizioni eseguite, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria.
L’accesso diretto alle registrazioni, secondo il Giudice delle leggi, puo’ essere, infatti, necessario per valutare l’effettivo significato probatorio dei dialoghi intercettati, “perche’ la qualita’ delle registrazioni puo’ non essere perfetta, perche’ risultano spesso rilevanti le pause, l’intonazione della voce etc.”.
L’interesse difensivo, in assenza di una perizia trascrittiva, si appunta sull’accesso diretto tutte le volte in cui si ritiene di dover verificare la genuinita’ delle trascrizioni fatte dalla polizia giudiziaria ed utilizzate dal pubblico ministero, cioe’ la conformita’ del trascritto con il captato.
Si e’ affermato che la possibilita’ per il pubblico ministero di depositare solo i brogliacci, se giustificata dall’esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalita’ che il codice assegna alle misure cautelari, non puo’ tuttavia limitare il diritto della difesa ad accedere alla prova diretta, considerato, altresi’, che le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza vengono meno a seguito delle comunicazioni poste a base della misura.
In tale contesto, la Corte Costituzionale ha chiarito che “e’ necessario affermare in modo univoco che nella fattispecie normativa oggetto del presente giudizio, riferentesi alla tutela del diritto di difesa in relazione ad una misura restrittiva della liberta’ personale gia’ eseguita, i difensori devono avere il diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate a corredo di quest’ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria. Il diritto all’accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni medesime” (cosi’ testualmente la sentenza).
Dunque, un incondizionato diritto di accesso nei casi in cui il titolo cautelare sia emesso sulla base di conversazioni, le cui registrazioni non siano poste a disposizione dell’indagato ed il cui contenuto sia riportato “per derivazione” dalla trascrizioni della polizia giudiziaria.
5. Il Collegio non ignora che la Corte costituzionale, nell’occasione, ha: a) chiarito come non sussista per il Pubblico ministero un obbligo di depositare i file audio all’atto della richiesta di misura, ritenendo anzi legittima, sulla base della giurisprudenza di legittimita’, l’assenza di un tale obbligo; b) espressamente richiesto, quale presupposto del diritto del difensore ad accedere ai file, che le relative intercettazioni siano state “utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare”, gia’ eseguito.
Proprio tale ultimo presupposto, richiamato anche dalla Corte di cassazione (Sez. 3, n. 4865 del 13/12/2012, dep. 2013, Tarantino, Rv. 254744), e’ stato posto a fondamento della decisione del Tribunale di Milano di rigettare la richiesta della difesa di accesso ai files audio in caso di appello del pubblico ministero avverso il rigetto di richiesta cautelare, atteso che in detta ipotesi la misura cautelare, diversamente dall’ipotesi considerata dalla Corte costituzionale, “non e’ stata emessa” ed eseguita e quelle conversazioni intercettate non sono state utilizzate.
6. Si tratta di un profilo che, tuttavia, deve essere esaminato tenendo conto della particolare struttura del procedimento cautelare avente ad oggetto l’appello del pubblico ministero avverso il rigetto da parte del g.i.p. della richiesta di applicazione della misura.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, nell’ambito di un articolata motivazione, hanno chiarito come la “atipicita’” dell’appello del p.m. avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta cautelare, sia costituita dal fatto che quando il tribunale e’ investito dell’appello del p.m. il thema decidendum non e’ costituito dal mero controllo dei punti devoluti dall’impugnante, ma si estende alla verifica di tutti i presupposti richiesti per l’adozione della misura cautelare. (Sez. U, n. 8 del 31/03/2004, Donelli, ampiamente in motivazione).
L’eventuale accoglimento dell’impugnazione del p.m. determina, infatti, l’emissione dell’ordinanza impositiva, la quale deve contenere tutti gli elementi indicati nell’articolo 292 c.p.p.; in questi casi, invero, il tribunale della liberta’ diviene il giudice funzionalmente competente all’adozione del provvedimento restrittivo e, come tale, e’ vincolato al rispetto degli analitici presupposti per l’esercizio del potere cautelare.
I poteri “anche nel merito” del giudice investito dell’appello del p.m. si estendono necessariamente alla verifica di tutti i presupposti che possono giustificare l’emissione della misura cautelare; il tribunale, cioe’, funge, in tal caso, non solo come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale e’ affidato il potere-dovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, onde verificare la puntuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli articoli 273, 274, 275, 278, 280 e 287 c.p.p., e, all’esito di siffatto scrutinio, di adottare, eventualmente, il provvedimento genetico della misura che, secondo lo schema di motivazione previsto dall’articolo 292, risponda ai criteri di concretezza e attualita’ degli indizi e delle esigenze cautelari, nonche’ a quelli di adeguatezza e proporzionalita’ della misura (cosi’ le Sezioni unite).
In quest’ottica, si e’ osservato in dottrina, solo il pubblico ministero puo’ valutare l’opportunita’ e la plausibilita’ dell’investire un altro giudice della vicenda, sicche’ i motivi formulati fissano le ragioni del disaccordo con la decisione reiettiva del g.i.p. e determinano l’area dell’originaria domanda cautelare dalla quale il tribunale della liberta’ non puo’ discostarsi.
Si e’ evidenziato, in maniera condivisibile, che la difesa, che pure astrattamente ha interesse a contrastare la richiesta del pubblico minsitero, non ha tuttavia il mezzo per provocare in via diretta il controllo del giudice su taluni profili avendo, in definitiva, ottenuto dal g.i.p. una decisione favorevole.
Nei suoi riguardi, tuttavia, non sembra possa operare alcuna decadenza dal potere di far valere – nell’unica sede possibile – le proprie doglianze “Non sembra dunque lecito dubitare che a quest’ultima (al pari di quanto avviene, a ben vedere, nell’ipotesi di appello avverso l’ordinanza applicativa di una misura interdittiva della quale non e’ ammesso il riesame: Cass., Sez. 6, 26.5.1992, Ciccone, rv. 191318) sia consentito, dopo avere esaminato gli atti su cui si fonda l’ordinanza appellata e nel contraddittorio camerale, produrre a favore del proprio assistito la documentazione relativa a materiale informativo, sia preesistente che sopravvenuto, acquisito anche all’esito di investigazioni difensive ai sensi degli articoli 321 bis e 391 octies c.p.p., e comunque idoneo a contrastare gli specifici motivi di gravame del pubblico ministero, ovvero a dimostrare, piu’ in generale, che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilita’ della misura cautelare richiesta” (Cosi’ le Sezioni unite).
7. Dunque, un contraddittorio pieno, anticipato, volto a dimostrare l’inesistenza delle condizioni e dei presupposti per l’applicabilita’ della misura cautelare.
La riconosciuta possibilita’ per la difesa di interloquire su ognuno e ciascuno dei profili cautelari permette di ricondurre a razionalita’ un sistema che, diversamente, non consentirebbe un’effettiva revisione critica nel merito del provvedimento cautelare; quest’ultimo, infatti, risulterebbe costituito dal sovrapporsi di due distinte valutazioni non controllabili dall’interessato, se non nei ristretti limiti consentiti dall’esperibilita’ del ricorso per cassazione.
Ammettendo, invece, il pieno dispiegarsi delle garanzie difensive, nelle forme del “contraddittorio anticipato” sull’applicazione della misura, si consente all’indagato/imputato di avere una sede dove contrastare il “merito” del provvedimento e, nello stesso tempo, trova giustificazione l’esclusione del rimedio del riesame, poiche’ l’udienza camerale in appello appare assistita da congrue garanzie.
In tal senso e’ significativa l’affermazione delle Sezioni unite che fanno riferimento ad un contraddittorio, anticipato, non differito alla esecuzione della misura; il contraddittorio anticipato, in assenza di contrarie esigenze, sostituisce nell’ambito di un’unica udienza, un contraddittorio a segmenti, frazionato in cui, alla emissione del provvedimento da parte del g.i.p., consegue l’interrogatorio e il giudizio di riesame.
In caso di appello del p.m. avverso il rigetto della richiesta cautelare, tuttavia, il contraddittorio anticipato, per essere effettivo deve avere lo stesso contenuto, la stessa portata, lo stesso ambito di quello che avrebbe se la misura fosse adottata dal G.i.p. e la parte proponesse riesame.
Questo spiega l’affermazione della dottrina secondo cui l’esclusione del giudizio di riesame avverso la misura applicata in sede di appello cautelare risiede nella illogicita’ di un secondo intervento dello stesso organo al fine di valutare l’esistenza dei presupposti originari applicativi del provvedimento restrittivo.
Ne discende, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale di Milano, che non pare in contrasto con i principi indicati dalla Corte costituzionale, riconoscere alla difesa che, in presenza dell’appello del p.m. avverso il rigetto della richiesta cautelare, ha interesse nell’ambito di un contraddittorio anticipato ma effettivo, a contestare l’esistenza dei presupposti legittimanti l’applicazione della misura cautelare, a richiedere l’accesso ai file audio, il cui contenuto e’ posto a fondamento della richiesta della misura “per trascinamento”, cioe’ sulla base delle trascrizioni della polizia giudiziaria.
Inequivoco, d’altronde, quanto alla portata dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 336 del 2008, e’ l’affermazione relativa alla loro applicabilita’ a “tutti i rimedi previsti dalle norme processuali” ed in tal senso si esprimono anche le Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, in motivazione).
Una opzione interpretativa alternativa potrebbe essere quella di consentire alla difesa, per correggere tali distonie, di proporre, eventualmente anche nella pendenza del ricorso per cassazione, la proposizione di un’istanza di revoca per contestare la sussistenza “ab origine” dei presupposti cautelari e chiedere in tale sede l’accesso ai file audio delle conversazioni intercettate.
E’ noto che con la revoca non e’ inibita la possibilita’ di sindacare anche la sussistenza originaria dei presupposti della misura cautelare, ma tale possibilita’ – rimedio, strutturalmente si aggiunge a quella di verifica davanti al tribunale della liberta’ ma non sostituisce quest’ultima, come invece accadrebbe se non si consentisse alla difesa di esercitare davanti al tribunale dell’appello un contraddittorio simile a quello che eserciterebbe in sede di riesame.
8. Ne consegue che deve essere riconosciuto alla parte il diritto di accedere ai file audio su cui sono registrare le conversazioni intercettate e poste a fondamento dell’appello del pubblico ministero avverso il rigetto da parte del g.i.p. della richiesta cautelare.
Il diritto alla acquisizione della copia puo’ concernere solo le intercettazioni i cui esiti captativi siano stati posti a fondamento della richiesta della emissione del provvedimento cautelare, non altri, ne’ riguarda diversi esiti captativi che concernono persone diverse dall’indagato e che non rilevano al fine di valutare la posizione indiziaria di quest’ultimo.
9. Quanto alle modalita’ con cui il diritto in questione deve essere esercitato, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito con la sentenza “Lasala”, come, a fronte del riconoscimento del diritto incondizionato di cui si e’ detto, sia stato configurato “un obbligo per il pubblico ministero, a richiesta della parte, di completa discovery del mezzo di prova utilizzato ai fini della imposizione della misura cautelare”.
Anche nel caso di appello del pubblico ministero avverso il rigetto della richiesta cautelare, quindi, l’indagato, ricevuta la comunicazione della proposizione dell’appello e della fissazione da parte del Tribunale della udienza camerale, deve richiedere tempestivamente al pubblico ministero l’accesso ai file su cui sono state registrate le conversazioni e deve farlo in modo che il pubblico ministero possa adempiere prima della celebrazione dell’udienza (cfr., seppur in tema di riesame, Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, Rv. 246908).
Ammesso il diritto dell’indagato di accedere ai file – audio sulla base dei quali il p.m. propone appello avverso il rigetto della richiesta da parte del Gip, la parte deve chiedere al Pubblico ministero di conoscere le registrazioni poste alla base del provvedimento richiesto, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali.
Nel caso di specie, dalla stessa ricostruzione offerta dal ricorrente, emerge che (OMISSIS), ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza camerale ai sensi dell’articolo 310 c.p.p., non avanzo’ alcuna richiesta di accesso ai file audio al Pubblico ministero: solo all’udienza, chiese al Tribunale il rinvio della trattazione ovvero la inutilizzabilita’ degli atti.
Ne discende l’infondatezza del motivo di ricorso.
10. Non diversamente, e’ infondato il secondo motivo di ricorso.
Secondo il Giudice per le indagini preliminari ed il Tribunale della liberta’, sulla base delle intercettazioni, relative anche ai singoli reati-fine e dei servizi di osservazione, deriverebbe un quadro di gravita’ indiziaria in ordine alla esistenza di un struttura associativa, la cui prova sarebbe inferibile: a) dal contesto nel cui ambito si verificarono i fatti sussunti nel capo 5) della imputazione provvisoria e che condussero ad un ingente sequestro di sostanza stupefacente di tipo marijuana; b) dalla omogeneita’ e serialita’ delle modalita’ operative anche per tutti gli altri reati – fine, la cui valenza dovrebbe essere interpretata in stretta correlazione con il fatto di cui alla imputazione provvisoria sub 5) (il gruppo si sarebbe rifornito, in piu’ occasioni, di rilevanti quantita’ di droga che poi avrebbe trasportato e ceduto in altre parti del territorio – Catania, Calabria, Lombardia -); c) dalla diffusivita’ sistemica dei rapporti tra determinati soggetti e dalla ripartizione di ruoli tra essi; d) dalla esistenza di luoghi usati dal gruppo come basi logistico – operative, quali la sede della impresa (OMISSIS), riconducibile a (OMISSIS); e) dalla predisposizione di comuni accorgimenti idonei a scongiurare eventuali attivita’ di captazione della conversazioni; f) dalla esistenza di un comune contabilita’ degli affari; g) dalla pianificazione delle future indeterminate attivita’ criminali; h) dai continui riferimenti contenuti nelle conversazioni alla esistenza di una pluralita’ di soggetti e alla esistenza di ulteriori comuni interessi criminali; i) dall’obiettivo ruolo di riferimento di (OMISSIS) tra i soggetti e dal suo coinvolgimento diretto nei reati – fine contestati.
In tale contesto, con specifico riferimento alla posizione di (OMISSIS), il Tribunale della liberta’, preso atto che la difesa non aveva contestato l’esistenza dell’associazione, quanto, piuttosto la partecipazione dell’indagato al sodalizio, ha spiegato quale fosse il ruolo del ricorrente, il supporto logistico fornito da questi al gruppo criminale attraverso la sede della (OMISSIS), il senso delle conversazioni intercettate, i collegamenti tra (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri soggetti coinvolti nell’attivita’ illecita del gruppo, il significato degli incontri, numerosi, che i soggetti in questione avevano presso la sede della impresa indicata, la consapevolezza da parte del ricorrente dell’attivita’ illecita e del suo essere all’interno di una struttura organizzata.
Si e’ evidenziato, quanto al quadro indiziario, a) come l’impresa (OMISSIS) fosse formalmente intestata alla moglie di (OMISSIS), ma sostanzialmente riconducibile a quest’ultimo; b) il significato dell’incontro avvenuto il 27/12/2016 presso la (OMISSIS), tra (OMISSIS) ed altri coindagati per ragioni legate al traffico di droga; c) il contenuto di alcune conversazioni intercettate e, in particolare, di quella del 5/03/3017, intercorsa tra (OMISSIS) e tale (OMISSIS) (altro associato), in cui quest’ultimo avrebbe fatto riferimento al sequestro di droga di 116 Kg e come, nell’occasione, (OMISSIS) si sarebbe mostrato consapevole e coinvolto negli accadimenti; d) il senso e la portata di una serie di elementi relativi ai rapporti tra lo stesso (OMISSIS), il (OMISSIS) ed altri coindagati (incontro del 27/12/2016 presso la impresa tra alcuni esponenti del gruppo); e) il fatto che, quando, in un dato momento, (OMISSIS) apprese delle indagini in corso, egli comunico’ subito la circostanza a (OMISSIS) e si reco’ proprio presso la (OMISSIS) per fare “bonificare” la sua auto (in tal senso vi sarebbe anche un video filmato relativo ad un incontro tra lo stesso (OMISSIS) ed il (OMISSIS) avvenuto il 18/05/2017 presso la (OMISSIS)).
11. In tale ampia trama argomentativa deduce invece il difensore che il Tribunale avrebbe errato nell’attribuire valenza indiziaria agli elementi in questione, che sarebbero invece probatoriamente neutri.
Si sostiene che: a) i locali della (OMISSIS) fino al dicembre del 2016 non fossero stati mai stati utilizzati per ragioni inerenti al traffico di droga; b) lo stesso (OMISSIS), per accedere ai locali della ditta, avesse necessita’ di rivolgersi ad un comune conoscente, tale (OMISSIS); c) la conversazione del 5/03/2017 sarebbe stata interpretata in maniera illogica; d) (OMISSIS), anche dopo aver appreso delle indagini, non avrebbe cambiato utenza telefonica e avrebbe continuato a lavorare.
12. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’ in tema di limiti di sindacabilita’ dei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito. Il controllo di legittimita’ e’ circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicita’ evidenti, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv.261400; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2012 (dep. 2013), Siciliano, Rv. 251761; Sez. 6, n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840). L’erronea valutazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza ex articolo 273 c.p.p., e delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., e’ dunque rilevabile in Corte di cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge ovvero in una mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimita’, in particolare, non riguarda ne’ la ricostruzione di fatti, ne’ l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono ammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Micciche’, Rv. 262948; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo ed altro, Rv. 265244; Sez. 1, n. 1769 del 23.03.1995, Ciraolo, Rv. 201177).
13. In applicazione dei principi indicati il provvedimento impugnato e’ immune da vizi.
Le argomentazioni difensive non si confrontano con la motivazione dell’ordinanza, sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove, ai singoli elementi, evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.
Il Tribunale ha spiegato a pag. 7 dell’ordinanza perche’ le riunioni presso la (OMISSIS) furono monitorate solo dal dicembre del 2016, ha chiarito in maniera logica il senso della conversazione del 27/12/2016, ha fatto riferimento al coinvolgimento del ricorrente in altri “fronti illeciti”.
Il difensore non ha spiegato in nessun modo perche’ sarebbe manifestamente illogico il ragionamento probatorio del Tribunale, quale sarebbe il significato alternativo che dovrebbe essere attribuito agli incontri reiterati di persone che trafficavano in droga presso la sede dell’impresa di (OMISSIS), perche’ persone coinvolte in gravi fatti delittuosi avrebbero dovuto parlare di ingenti quantita’ di droga con un soggetto, (OMISSIS), estraneo, quale sarebbe il senso alternativo delle conversazioni valorizzate sul piano indiziario, quale sarebbe stata la ragione per la quale (OMISSIS) avrebbe dovuto consentire quegli incontri presso la sua azienda per “bonificare” le autovetture di altri soggetti, perche’ i soggetti coinvolti nel traffico di droga, appreso della esistenza di indagini, sentirono l’esigenza di avvertire (OMISSIS).
Ne discende l’infondatezza, al limite della inammissibilita’, del motivo
14. A conclusioni simili deve giungersi anche per quel che concerne il terzo motivo di ricorso.
Il Tribunale ha valorizzato, in maniera logica e coerente, il ruolo cruciale ricoperto dall’indagato, la sua pervicacia nell’attivita’ illecita nonostante gli arresti ed i sequestri di droga compiuti, la sua ritenuta affidabilita’ da parte degli altri partecipi, il coinvolgimento in altre attivita’ illecite.
Si e’ spiegato perche’ ogni altra misura cautelare sarebbe inadeguata in considerazione dello spessore criminale del ricorrente.
A fronte di tali specifici argomenti, il difensore ha richiamato in senso critico singoli termini utilizzati dal Tribunale senza, tuttavia, dedurre alcunche’, limitandosi a generiche asserzioni che non intaccano la trama argomentativa dl provvedimento impugnato.
15. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 28 reg. esec. c.p.p..
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