Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 13 giugno 2018, n. 27187.
La massima estrapolata:
La confisca di cui all’articolo 322-ter c.p., puo’ essere disposta in caso di condanna per il delitto di peculato o per altri delitti specificamente previsti, tra i quali non rientra quello di abuso di ufficio. Di conseguenza, la relativa statuizione deve essere annullata, quale indefettibile conseguenza della ridefinizione giuridica di cui si e’ detto.
Sentenza 13 giugno 2018, n. 27187
Data udienza 13 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 27/09/2016 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dr. Cardia Delia, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente alla condanna per il reato relativo alla violazione delle misure di prevenzione, per l’annullamento con rinvio limitatamente al reato contestato come peculato, per una nuova valutazione della qualificazione giuridica del fatto, e per l’inammissibilita’ nel resto del ricorso;
uditi, per il ricorrente, gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso entrambi per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 27 settembre 2016, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma di quella di primo grado pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari di Forli’, all’esito di giudizio abbreviato, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilita’ di (OMISSIS) per i delitti di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria, di violazione delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi imposte con l’applicazione di una misura di prevenzione personale, nonche’ di peculato, e, ritenendo le condotte di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria contestate ai capi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater e 2-quinquies costituire un unico reato, ha rideterminato la pena in un anno, sei mesi e venti giorni di reclusione. La Corte d’appello di Bologna, inoltre, con la medesima sentenza, ha confermato la condanna di (OMISSIS) al risarcimento dei danni in favore della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, pur riducendo l’importo liquidato a titolo di provvisionale, ed ha confermato la confisca della somma di Euro 36.667,62 a carico del medesimo imputato, corrispondente all’importo del profitto del reato di peculato.
Il delitto di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria, di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, si assume commesso mediante omissione. Precisamente, (OMISSIS), quale amministratore giudiziario della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, nominato nel procedimento penale e poi in quello di prevenzione, non avrebbe impedito ad (OMISSIS) ed ai suoi familiari, amministratori dell’impresa appena indicata, di erogare finanziamenti equivalenti ad anticipazioni di fondi nell’interesse ed in favore: a) della ” (OMISSIS) s.r.l.” per un totale di Euro 44.431,11, tra il 2008 e l’agosto 2009 (capo 2 della rubrica); b) del ” (OMISSIS)”, per un totale di Euro 6.554,62, fino al 6 agosto 2009 (capo 2-bis della rubrica); c) della ” (OMISSIS) s.r.l.”, per un totale di Euro 38.939,96, tra il 2006 ed aprile 2007 (capo 2-ter della rubrica), e, poi, per un totale di Euro 12.240,00, nel dicembre 2007 (capo 2-quater della rubrica); d) della ” (OMISSIS)”, per un totale di Euro 80.760,00, tra il gennaio ed il dicembre 2007 (capo 2-quinquies della rubrica). Le operazioni di finanziamento avvenivano acquistando crediti vantati da societa’ finanziarie nei confronti della ” (OMISSIS) s.r.l.”, del ” (OMISSIS)”, della ” (OMISSIS) s.r.l.” e della ” (OMISSIS)” in relazione alla concessione di automezzi in leasing, mediante rinuncia parziale a conseguire il diretto pagamento di crediti vantati dalla “(OMISSIS) s.r.l.” verso le societa’ finanziarie: i crediti della “(OMISSIS) s.r.l.” nei confronti delle societa’ finanziarie nascevano dalla cessione a queste ultime di automezzi che, a loro volta, le societa’ finanziarie concedevano in leasing alle ditte di trasporto sopra precisate; l’entita’ economica degli atti di rinuncia corrispondeva all’importo del “maxi-canone” iniziale che le imprese finanziate avrebbero dovuto corrispondere alle societa’ finanziarie per i contratti di leasing.
Il delitto di violazione delle prescrizioni imposte con il provvedimento applicativo di misure di prevenzione, di cui alla L. n. 1423 del 1956, articolo 9, comma 2, (ed oggi al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2), ed aggravato a norma dell’articolo 61 c.p., n. 9, si assume integrato anch’esso per omissione. (OMISSIS), quale amministratore giudiziario della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, nominato nel procedimento penale e poi in quello di prevenzione, nel periodo compreso tra il 29 giugno 2009 ed il 13 gennaio 2012, non avrebbe impedito ad (OMISSIS) ed ai suoi familiari, amministratori dell’impresa appena indicata, di violare le prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi, e, segnatamente, di compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione della “(OMISSIS) s.r.l.” al di fuori di ogni controllo da parte del Tribunale e del giudice delegato alla procedura di prevenzione, nel corso della quale era stata disposta la confisca di tutte le quote e dell’intero patrimonio aziendale dell’impresa.
Il delitto di peculato, infine, ha riguardo a condotte attive: (OMISSIS), quale amministratore giudiziario della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, nominato nel procedimento penale e poi in quello di prevenzione, tra il (OMISSIS), si sarebbe appropriato della somma di Euro 35.677,62, giacente sui conti correnti dell’impresa, affidati alla sua custodia e gestione, al di fuori di qualsiasi autorizzazione o disposizione del Tribunale o del giudice delegato alla procedura di prevenzione, imputandole al pagamento di parcelle relative a competenze professionali concernenti la predisposizione dei bilanci e delle attivita’ connesse con riferimento alla societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” per gli anni 2008 e 2009, ed alla societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, per gli anni 2009 e 2010.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, con un unico atto, gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), quali difensori di fiducia di (OMISSIS), articolando sei motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla configurabilita’ del reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria mediante le operazioni in concreto realizzate.
Si deduce che il reato non e’ configurabile perche’ non risulta erogato alcun finanziamento da parte della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” in favore delle quattro imprese indicate nei capi di imputazione (” (OMISSIS) s.r.l.”, ” (OMISSIS)”, ” (OMISSIS) s.r.l.” e ” (OMISSIS)”).
Si rappresenta che la sentenza impugnata e’ incorsa in “un sostanziale travisamento dei fatti”: i contratti di leasing documentano che le parti contraenti – “(OMISSIS) s.r.l.”, quale fornitore degli automezzi, societa’ finanziarie concedenti gli stessi ed utilizzatori finali dei veicoli – avevano regolato i loro rapporti con contratti sottoscritti congiuntamente, e facendo ricorso all’istituto della delegazione di pagamento, disciplinata dal codice civile (articolo 1269 e ss.), prevedendo che gli utilizzatori fossero delegati ad eseguire il pagamento del “maxi-canone” direttamente al fornitore “(OMISSIS) s.r.l.”; tali pagamenti, poi, erano avvenuti in denaro o mediante consegna di effetti cambiari a breve scadenza, ovvero ancora mediante compensazione con crediti vantati dagli utilizzatori nei confronti del fornitore per precedenti vendite effettuate dai primi al secondo, la “(OMISSIS) s.r.l.”, di uno o piu’ automezzi usati. Si osserva che l’istituto della delegazione non trasferisce il credito dal delegante al delegatario, ne’ implica l’assunzione di un’obbligazione del delegato nei confronti del delegatario: si tratta di un mero meccanismo di pagamento, che consente anche di proporre l’eccezione della compensazione, stante la regola fissata dall’articolo 1271 c.c., comma 1, secondo cui il delegato puo’ opporre al delegatario le eccezioni relative ai suoi rapporti con questo. Si osserva, ancora, che la soluzione non muta se si vuole evocare l’istituto della surrogazione quale effetto del pagamento da parte di “(OMISSIS) s.r.l.” alle societa’ finanziarie dei “maxi-canoni” dovuti dagli utilizzatori: invero, la “(OMISSIS) s.r.l.” aveva prestato, con atto scritto, fideiussione nei confronti delle societa’ finanziarie concedenti a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni degli utilizzatori nei confronti di queste; di conseguenza, “(OMISSIS) s.r.l.”, essendo tenuta al pagamento del debito degli utilizzatori nei confronti delle societa’ finanziarie concedenti, era anche surrogata di diritto, a norma dell’articolo 1203 c.c., nella posizione del creditore, una volta effettuato l’adempimento.
Si osserva, poi, che gli utilizzatori hanno versato alla “(OMISSIS) s.r.l.” esattamente le somme da esse dovute alla societa’ finanziaria delegante, e che le cambiali emesse nell’ambito di questi rapporti sono state tutte rilasciata in favore della societa’ e non dei suoi amministratori, ossia (OMISSIS) ed i suoi familiari: i titoli emessi in favore di questi ultimi, ed oggetto della contestazione di appropriazione indebita per la quale (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno chiesto ed ottenuto l’applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p., attengono ad operazioni diverse da quelle oggetto di contestazione, relative a vendite di automezzi usati effettuate dalla societa’. Si aggiunge, inoltre, che nei confronti di (OMISSIS) e’ stata disposta l’archiviazione in
ordine all’ipotesi di concorso nei reati di appropriazione indebita commessi da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che nessun elemento emerge per ipotizzare “vendite sotto costo” di automezzi dagli utilizzatori alla “(OMISSIS) s.r.l.” o da questa alle societa’ finanziarie, che, in ogni caso, il tipo di operazioni appena descritto non da’ luogo a finanziamenti, e che, ancora, le proposte effettuate dalla societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” a societa’ finanziarie di concedere beni in leasing a clienti poco affidabili non costituiscono erogazioni di finanziamenti. Si sintetizza cosi’ il contenuto economico dei rapporti tra la societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” e le imprese destinatarie dei beni in leasing: la prima alienava alle societa’ finanziarie per il leasing automezzi nuovi; dal prezzo di vendita erano decurtate, mediante rinunce parziali del credito, sia le somme corrispondenti al valore di altri mezzi conferiti a “(OMISSIS) s.r.l.” dal soggetto interessato all’acquisto del bene, ossia l’utilizzatore finale, sia le somme corrispondenti a cambiali consegnate da quest’ultimo, ma incassate successivamente. Si conclude che le rinunce parziali al credito non erano quindi strumenti di finanziamento, ma strumenti di adeguamento del contratto di leasing, che doveva necessariamente fare riferimento all’intero valore del bene messo a disposizione, al rapporto sussistente tra il venditore, la “(OMISSIS) s.r.l.”, e gli utilizzatori finali, ossia le ditte di trasporto ” (OMISSIS) s.r.l.”, ” (OMISSIS)”, ” (OMISSIS) s.r.l.” e ” (OMISSIS)”.
Si deduce, ancora, che non e’ configurabile il reato di esercizio abusivo dell’attivita’ finanziaria, innanzitutto perche’ le operazioni in contestazione risultano attuate nei confronti di soli quattro soggetti, sicche’, nel caso in esame, non ricorre lo svolgimento di un’attivita’ rivolta ad una pluralita’ indeterminata di soggetti, e poi perche’, nell’ambito delle operazioni in contestazione, non e’ stato applicato nessun prezzo maggiorato rispetto ai valori di mercato.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’articolo 40 c.p. e Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla configurabilita’ del reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria in forma omissiva.
Si deduce che la norma di cui all’articolo 40 c.p., comma 2, non e’ applicabile, non sussistendo uno specifico obbligo di garanzia dell’amministratore giudiziario con riferimento al reato di abusivo esercizio dell’attivita’ finanziaria attribuibile all’amministratore della societa’ sottoposta a sequestro; al piu’, erano configurabili i reati di cui agli articoli 334, 335 e 388 c.p., connessi alla specifica posizione del custode giudiziario. In ogni caso, poi, l’omissione rilevante a norma dell’articolo 40 c.p. attiene ai reati di evento e non ai reati mera condotta (si cita Sez. 3, n. 37756 del 25/06/2014, ma anche Sez. 6, n. 771 del 31/10/2006, dep. 2007, Rv. 235790), ed il reato di abusivo esercizio dell’attivita’ finanziaria e’ reato di mera condotta.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli articoli 648 e 597 c.p.p. e articolo 157 c.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo al mancato rilievo della prescrizione.
Si deduce che la declaratoria di prescrizione con riferimento alle operazioni in favore della ” (OMISSIS) s.r.l.” e della ” (OMISSIS)” (capi 2-ter, 2-quater e 2-quinquies) e’ stata impedita dall’unificazione delle condotte in un unico reato, e che, pero’, tale soluzione si pone in contrasto con la decisione di primo grado, non impugnata sul punto, che aveva ritenuto sussistere distinti reati in relazione alle singole operazioni, ed e’ deteriore per l’imputato.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’articolo 40 c.p. e L. n. 1423 del 1956, articolo 9, nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla configurabilita’ del reato di violazione delle prescrizioni imposte da un provvedimento applicativo di misura di prevenzione personale.
Si deduce, innanzitutto, che non e’ rilevabile nel sistema una posizione di garanzia rispetto ad una misura di prevenzione personale. Si aggiunge, inoltre, che non vi sono elementi idonei ad affermare l’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo in capo al ricorrente.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’articolo 314 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla configurabilita’ del reato di peculato.
Si deduce che le somme incassate attengono ad attivita’ effettivamente compiute, come del resto non e’ contestato, e che l’autorizzazione ai relativi pagamenti non era necessaria alla luce della disciplina all’epoca vigente.
Si osserva, innanzitutto, che la disciplina di cui alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-octies, commi 4, 5, 6 e 7, prevede l’autorizzazione del giudice solo per la liquidazione dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario, e che la disciplina di cui alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-sexies, commi 4 e 12, prevede l’autorizzazione del giudice solo per l’utilizzo di tecnici ai fini dello svolgimento dell’incarico di custodia, e consente all’amministratore giudiziario di occuparsi dell’ordinaria amministrazione per importi compresi nell’ammontare fissato dal giudice delegato.
Si segnala, poi, che il ricorrente svolgeva il ruolo di amministratore della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” in quanto nominato dall’assemblea dei soci, posto che la nomina ad amministratore giudiziario atteneva esclusivamente alle quote della persona giuridica; questa nomina, del resto, e’ sicuramente legittima anche alla luce della nuova disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 41, comma 6: la disposizione appena citata prevede il potere per l’amministratore giudiziario di convocare l’assemblea per la sostituzione degli amministratori previa autorizzazione del giudice delegato, ed evidenzia che la carica di amministratore della societa’ resta nettamente distinta da quella di amministratore giudiziario. Si rappresenta, inoltre, che la nomina ad amministratore della societa’ non puo’ essere ritenuta caducata dal successivo sequestro di prevenzione, perche’ detto provvedimento non determina alcuna conseguenza diretta ed automatica per la composizione degli organi societari. Si segnala, quindi, che, nelle societa’ a responsabilita’ limitata, gli atti di conferimento dell’incarico professionale per la redazione dei bilanci, come di qualunque incarico professionale, sono di competenza dell’amministratore dell’ente, quale era appunto (OMISSIS), atteso quanto disposto dagli articoli 2475 e 2479 c.c..
Si osserva, a questo punto, che l’attivita’ di redazione e deposito dei bilanci e delle dichiarazioni fiscali esula completamente dallo svolgimento dell’incarico di amministratore delle quote e del patrimonio sociale conferito dal Tribunale, che non e’ certo vietato all’amministratore di una societa’ di conferire incarichi per l’attivita’ di redazione e deposito dei bilanci e delle dichiarazioni fiscali, che gli atti compiuti in conflitto di interesse da un amministratore di societa’ non sono nulli, semmai annullabili ex articolo 2745 c.c., e che il compenso percepito dal ricorrente e’ stato calcolato applicando i valori medi della tariffa professionale dei dottori commercialisti.
Si aggiunge, infine, che la L. n. 575 del 1965, articolo 2-sexies, comma 12, articolo 2-septies, comma 1 e articolo 2-octies riconoscono all’amministratore giudiziario il potere di compiere di iniziativa e senza autorizzazione del giudice delegato tutti gli atti di ordinaria amministrazione e di sostenere le spese necessarie mediante prelievo delle somme nella disponibilita’ della procedura.
2.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’articolo 322-ter c.p., comma 1, nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla legittimita’ della confisca.
Si deduce che la sentenza di primo grado ha disposto la restituzione della somma alla societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, e che, quindi, vi e’ incompatibilita’ di questa statuizione con quella della confisca.
3. In data 29 gennaio 2018, sono stati depositati motivi nuovi, sempre a firma degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS).
Si deduce che la fattispecie concernente la violazione delle prescrizioni imposte con il provvedimento applicativo di misure di prevenzione, siccome relativa alle prescrizioni di vivere onestamente e di violare le leggi, non e’ configurabile, alla luce di quanto enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 40076 del 27/04/2017, il cui insegnamento e’ stato poi ripreso da Sez. 4, n. 42332 del 09/05/2017.
4. All’udienza del 26 febbraio 2018, la Corte ha pronunciato ordinanza con la quale ha invitato le parti ad interloquire in ordine alla possibile qualificazione giuridica in termini di abuso di ufficio della imputazione di cui al capo 5-ter.
5. In data 28 marzo 2018, e’ stata presentata memoria a firma degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), articolata in tre punti.
5.1. Nel primo punto si deduce la non configurabilita’ dei reati di peculato e di abuso di ufficio, per avere il ricorrente agito nello svolgimento dell’incarico, di natura privatistica di amministratore delle societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” e “(OMISSIS) s.r.l.”.
Si rappresenta che l’amministratore giudiziario di quote di una societa’ sequestrata non e’ anche amministratore della societa’, ma puo’ diventarlo solo per effetto di una delibera dell’assemblea, e che, ove assuma tale funzione, non e’ tenuto a soggiacere ad alcuna autorizzazione da parte dell’Autorita’ giudiziaria. Si osserva che in questo senso depongono sia il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 41, come vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 161 del 2017, sia, per l’epoca precedente, il Decreto Ministeriale 27 marzo 1990, articolo 5, cosi’ come confermato dalla giurisprudenza (si cita Sez. 1, n. 1032 del 14/02/2000, Frascati, Rv. 215375) e dalla dottrina.
Si rileva poi che il ricorrente e’ stato nominato dal G.i.p. custode giudiziario di tutte le quote societarie di “(OMISSIS) s.r.l.” e “(OMISSIS) s.r.l.” ed ha, successivamente, previa autorizzazione del giudice competente, convocato le assemblee delle due societa’. Si aggiunge che le due assemblee, in data 7 aprile 2006, hanno revocato i precedenti amministratori e nominato per tale carica il medesimo ricorrente, il quale ha continuato lo svolgimento di tale compito anche dopo il sequestro delle quote e del patrimonio aziendale delle due imprese da parte del Tribunale sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione. Si segnala, quindi, che l’imputato, proprio nell’esercizio dell’incarico, ha provveduto alla tenuta della contabilita’, alla redazione dei bilanci ed agli adempimenti fiscali obbligatori, percependo i compensi calcolati sulla base delle tariffe professionali. Si osserva, ancora, che le due societa’ non svolgevano un pubblico servizio, che le delibera di nomina del 7 aprile 2006 non sono mai state revocate, e che, secondo la giurisprudenza, il sequestro di prevenzione non determina, di per se’, mutamento degli organi societari (si cita, in particolare, Sez. 1 civ., n. 7147 del 30/05/2000).
5.2. Nel secondo punto si deduce la non configurabilita’ dei reati di peculato e di abuso di ufficio, per insussistenza della violazione di legge o dell’obbligo di astensione e comunque dell’elemento psicologico.
Si rappresenta che le disposizioni di cui alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-octies, commi 4, 5, 6 e 7, regolano il compenso spettante all’amministratore giudiziario, ma non il compenso ad un professionista che abbia prestato la propria opera in favore della societa’: quest’ultimo rientra fra le spese necessarie o utili di cui alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-octies, comma 1, le quali sono sostenute dall’amministratore senza necessita’ di autorizzazione scritta da parte del giudice delegato, richiesta invece dalla L. n. 575 del 1965, articolo 2-sexies, comma 12 e articolo 2-septies, comma 1, solo per gli atti di straordinaria amministrazione o per altri atti nominativamente indicati. Si aggiunge, inoltre, che e’ prassi seguita dagli amministratori giudiziari presso il Tribunale di Reggio Calabria di liquidare i compensi per le prestazioni relative alla contabilita’ ed alla redazione dei bilanci di societa’ sequestrate, ed agli adempimenti fiscali per le stesse, al di fuori del procedimento di liquidazione dell’amministratore giudiziario, come risulta dai verbali delle investigazioni difensive in atti. Si osserva, quindi, che deve escludersi qualunque illegittimita’ o, comunque, l’elemento soggettivo del reato.
5.3. Nel terzo punto si deduce l’insussistenza di una condotta di appropriazione o, comunque, di abuso di ufficio.
Si rileva che il reato di peculato non e’ configurabile per il solo mancato rispetto delle procedure previste per l’effettuazione di spese nell’interesse dell’amministrazione (si cita Sez. 6, n. 29617 del 19/05/2016, Piermarini, Rv. 267795). Si rappresenta, inoltre, che, alla data della prima fattura, il 7 luglio 2009, era stata gia’ adottata la confisca in primo grado, e che, quindi, a norma della L. n. 575 del 1965, articolo 2-nonies, la vigilanza sull’attivita’ gestoria non spettava piu’ al giudice delegato, bensi’ all’amministrazione finanziaria: era percio’ applicabile il Decreto Ministeriale 27 marzo 1990, articolo 5, secondo il quale “ove l’oggetto (della confisca) sia un’azienda (…) i rapporti giuridici connessi all’amministrazione della (stessa) vengono regolati dalle norme del codice civile”. Si aggiunge che l’attivita’ relativa alla tenuta della contabilita’, alla redazione dei bilanci ed agli adempimenti fiscali di una societa’ e’ obbligatoria per legge, quindi non certamente riconducibile alla straordinaria amministrazione, e che non si dubita dell’effettivo svolgimento delle prestazioni o della misura dei compensi, contenuti nella media della tariffa professionale.
Si osserva, ancora, che il reato di abuso di ufficio non e’ configurabile perche’ il ricorrente, nel liquidarsi i compensi oggetto di contestazione, non ha agito nella veste di pubblico ufficiale, perche’ difetta il requisito della doppia ingiustizia, perche’ le norme procedurali indicate nell’imputazione non sono pertinenti, in quanto relative alla liquidazione e pagamento del compenso dell’amministratore giudiziario, perche’ la “presunta violazione” attiene a disposizioni di carattere procedimentale, e perche’ nessuna norma vieta all’amministratore di una societa’ di affidare al proprio studio l’incarico per gli adempimenti di bilancio e tributari relativi all’ente.
6. All’udienza del 13 aprile 2018, stante il parziale mutamento del Collegio rispetto all’udienza del 26 febbraio 2018, si e’ proceduto a nuova relazione e le parti hanno nuovamente formulato ed illustrato le rispettive conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato nelle parti relative al reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria, mentre e’ fondato nella parte concernente la configurabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2. Inoltre, il fatto ritenuto in sentenza come peculato deve essere riqualificato a norma dell’articolo 323 c.p., con conseguente necessita’ di procedere a nuova valutazione ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio e della conferma o meno della confisca.
2. Le censure formulate nel primo motivo di ricorso attengono alla configurabilita’ del reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria in relazione ai fatti di cui ai capi di imputazione sub 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater e 2-quinquies.
2.1. L’esame delle critiche appena indicate richiede, preliminarmente, l’individuazione del significato della nozione di “attivita’ finanziarie” e dell’inciso “nei confronti del pubblico”, entrambi per come evocati dal Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 132.
La disposizione appena citata, nel testo vigente all’epoca dei fatti, al comma 1, primo periodo, recita: “Chiunque svolge, nei confronti del pubblico, una o piu’ attivita’ finanziarie previste dall’articolo 106, comma 1, senza essere iscritto nell’elenco previsto dal medesimo articolo, e’ punito (…)” (il testo attualmente in vigore, per effetto del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, dispone: “Chiunque svolge, nei confronti del pubblico, una o piu’ attivita’ finanziarie previste dall’articolo 106, comma 1, in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 107 o dell’iscrizione di cui all’articolo 111 ovvero dell’articolo 12, e’ punito (…)”).
2.1.1. La nozione di “attivita’ finanziarie” trova una specificazione normativa mediante il rinvio al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 106, comma 1.
Questa previsione, nel testo vigente fino all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, stabiliva: “L’esercizio nei confronti del pubblico delle attivita’ di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi e’ riservato ad intermediari finanziari iscritti in un apposito elenco tenuto dall'”UIC” (pressoche’ immutata appare essere rimasta la disciplina nella parte relativa alla attivita’ di concessione di finanziamenti).
Il riferimento, in particolare, alla “concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma” consente di ritenere che, per il legislatore, non rilevano le specifiche forme giuridiche adottate, bensi’ la “sostanza” concreta delle operazioni effettuate.
Questa soluzione, d’altro canto, sembra trovare un’ulteriore conferma nella disciplina regolamentare di specificazione, espressamente prevista dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 106, comma 4, e fissata dapprima dal Decreto Ministeriale 6 luglio 1994 del Ministro del Tesoro, e, poi, dal successivo Decreto Ministeriale 17 febbraio 2009 del Ministro del Tesoro, n. 29. In particolare, sia il Decreto Ministeriale 6 luglio 1994, articolo 2, sia il Decreto Ministeriale 17 febbraio 2009, articolo 3, recanti la rubrica, il primo, “Attivita’ di finanziamento sotto qualsiasi forma” e, il secondo, “Attivita’ di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”, adottano una indicazione estremamente aperta ed onnicomprensiva delle operazioni rilevanti. Precisamente, il Decreto Ministeriale 6 luglio 2004, articolo 2 dispone: “1. Per attivita’ di finanziamento sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma. Tale attivita’ ricomprende, tra l’altro, ogni tipo di finanziamento connesso con operazioni di: a) locazione finanziaria; b) acquisto di crediti; c) credito al consumo, cosi’ come definito dall’articolo 121 del testo unico, fatta eccezione per la forma tecnica della dilazione di pagamento; d) credito ipotecario; e) prestito su pegno; f) rilascio di fidejussioni, avalli, aperture di credito documentarie, accettazioni, girate nonche’ impegni a concedere credito. Fanno eccezione le fideiussioni e altri impegni di firma previsti nell’ambito di contratti di fornitura in esclusiva e rilasciati unicamente a banche e intermediari finanziari.” (il testo del Decreto Ministeriale 17 febbraio 2009, articolo 3 e’ pressoche’ identico).
Anche la giurisprudenza di legittimita’ si e’ ripetutamente espressa per una interpretazione ampia della nozione di “attivita’ finanziarie” di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132. Ad esempio, sono state ritenute “attivita’ finanziarie” rilevanti ai fini della integrazione della fattispecie in questione anche quelle costituite dal rilascio di fideiussioni (Sez. 5, n. 48537 del 07/10/2011, Ceresa, Rv. 251539, nonche’ Sez. 5, n. 23996 del 04/02/2009, Marino, Rv. 244088), pure se le stesse siano state concesse a titolo gratuito (cosi’, espressamente, all’esito di un’approfondita analisi, Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, Kienesberger, Rv. 269616). Sempre in una prospettiva attenta al dato “sostanziale” delle operazioni economiche realizzate, e’ stato ritenuto configurabile il reato di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 nei confronti di chi aveva fornito a credito merci necessarie per lo svolgimento dell’attivita’ di impresa, praticando prezzi superiori al valore effettivo e concedendo agli acquirenti ripetute dilazioni di pagamento (Sez. 2, n. 47559 del 27/11/2012, Cardo, Rv. 253941).
2.1.2. L’inciso “nei confronti del pubblico”, poi, implica, secondo la prevalente giurisprudenza, che l’attivita’ finanziaria, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di destinatari, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti (cfr. tra le tante: Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, Kienesberger, Rv. 269616; Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, dep. 2016, Di Silvio, Rv. 266164; Sez. 2, n. 47559 del 27/11/2012, Cardo, Rv. 253941).
Si tratta di un indirizzo ritenuto condivisibile dal Collegio, anche con le precisazioni che l’attivita’ deve essere svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale, e che, pero’, non e’ necessario il perseguimento di uno scopo di lucro o, comunque, di un obiettivo di economicita’ (per la sottolineatura di tali profili v. Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, Kienesberger, Rv. 269616). Questa soluzione, infatti, appare in linea anche con la disciplina regolamentare di specificazione prevista dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 106, comma 4, e, segnatamente, il Decreto Ministeriale del Ministro del Tesoro del 6 luglio 1994, e, poi, con il Decreto Ministeriale 17 febbraio 2009 del Ministro del Tesoro, n. 29. In particolare, da un lato, il Decreto Ministeriale 6 luglio 1994, articolo 5, comma 1, evidenzia la rilevanza dell’aspetto della “professionalita’”, disponendo: “Le attivita’ indicate negli articoli 2, 3 e 4 sono esercitate nei confronti del pubblico qualora siano svolte nei confronti di terzi con carattere di professionalita’” (il testo del Decreto Ministeriale 17 febbraio 2009, articolo 9 e’ pressoche’ identico). Dall’altro, poi, non vi e’ nessuna disposizione legislativa o regolamentare che richiede il requisito dello “scopo di lucro” o dell’obiettivo di “economicita’”, e tale scelta e’ coerente con la possibilita’ che l’attivita’ di finanziamento, in se’ gratuita, sia strumentale alla realizzazione di piu’ complesse operazioni economiche.
2.2. I fatti ritenuti integrare il reato di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 sono stati puntualmente ricostruiti nella sentenza impugnata.
In particolare, si premette che la societa’ alla quale sono riconducibili le attivita’ in contestazione, la “(OMISSIS) s.r.l.”, operava nel settore della vendita degli automezzi ad uso commerciale ed industriale, in collaborazione con alcune societa’ di leasing, in particolare con ” (OMISSIS)”, ed era concessionaria per le vendite in Emilia Romagna ed in Calabria per ” (OMISSIS)”;
amministratore unico della “(OMISSIS) s.r.l.” era (OMISSIS), arrestato il 16 marzo 2006 per vari reati, tra cui quelli di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, di impiego di denaro, beni o utilita’ di provenienza illecita, e di intestazione fittizia di beni. Si rappresenta, poi, che, sempre il 16 marzo 2006, veniva disposto il sequestro preventivo di tutti i beni mobili ed immobili intestati ad (OMISSIS), nonche’ alla moglie ed ai due figli del medesimo, e che con decreto dell’11 aprile 2008 veniva disposto sequestro di prevenzione dei beni indicati, ed in particolare, di tutto il patrimonio aziendale e dell’intero capitale sociale delle societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, “(OMISSIS)”, e “(OMISSIS) 2006”; nei successivi sviluppi, mentre il sequestro preventivo era revocato per l’assoluzione di (OMISSIS) nel processo penale, il sequestro di prevenzione era seguito da provvedimento di confisca emesso il 12 marzo 2009. Si segnala, quindi, che l’odierno ricorrente, (OMISSIS), era stato nominato amministratore giudiziario e custode della “(OMISSIS) s.r.l.” gia’ nel 2006, in relazione al sequestro penale, ed era stato poi nominato amministratore giudiziario e custode delle quote societarie e dei beni societari di “(OMISSIS) s.r.l.”, ” (OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, in relazione al sequestro di prevenzione, con il decreto dell’11 aprile 2008.
Per quanto attiene, specificamente, alle operazioni ritenute integranti il reato di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, si rileva, innanzitutto, che l’attivita’ posta in essere dalla “(OMISSIS) s.r.l.” era caratterizzata da costanti ben precise: -) “(OMISSIS) s.r.l.” cedeva uno o piu’ mezzi alla societa’ finanziaria; -) la societa’ finanziaria cedeva in leasing i mezzi all’utilizzatore, il quale si impegnava a pagare piu’ rate, delle quali la prima di importo superiore alle successive, e percio’ definita “maxi-canone”; -) la “(OMISSIS) s.r.l.”, dopo la sottoscrizione del contratto di leasing tra societa’ finanziaria e utilizzatore, interveniva ad anticipare l’importo del cd. “maxi-canone” alla societa’ finanziaria, mediante rinuncia al credito nei confronti della stessa, derivante dalla cessione dei mezzi, per un importo pari al cd. “maxi-canone”;) “(OMISSIS) s.r.l.”, a seguito dell’operazione appena descritta, diventava creditore dell’utilizzatore per l’importo del cd. “maxi-canone”; -) il credito della “(OMISSIS) s.r.l.” nei confronti degli utilizzatori era regolato o mediante permuta a compensazione o mediante rilascio di effetti cambiari.
Si osserva, poi, in particolare, che: a) le operazioni effettuate da “(OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2 della rubrica), eseguite tra il 31 gennaio 2008 ed il 2 dicembre 2008, avevano ad oggetto anticipazioni, e, quindi, finanziamenti, per un valore di 44.431,11 Euro, in relazione a tre automezzi, con restituzione alla prima societa’ dell’importo anticipato, in due occasioni, mediante la cessione a compensazione di automezzi usati, e, la terza volta, mediante il rilascio di effetti cambiari, peraltro datati 6 agosto 2009; b) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-bis della rubrica), eseguite tra il 22 aprile 2009 ed il 6 agosto 2009, avevano ad oggetto anticipazioni, e, quindi, finanziamenti, per un valore di 6.554,62 Euro, in relazione ad un trattore, con restituzione alla prima societa’ dell’importo anticipato mediante il rilascio di effetti cambiari, incassati in data 6 agosto 2009; c) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-ter della rubrica), eseguite tra il 13 dicembre 2006 ed il 14 aprile 2007, avevano ad oggetto anticipazioni, e, quindi, finanziamenti, per un valore di 38.939,96 Euro, in relazione a due automezzi, con restituzione alla prima societa’ dell’importo anticipato in gran parte, e precisamente per 36.139,96 Euro, mediante il rilascio di effetti cambiari, incassati in data 14 aprile 2007; d) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-quater della rubrica), eseguite tra il 4 dicembre 2007 ed il 31 dicembre 2007, avevano ad oggetto anticipazioni, e, quindi, finanziamenti, per un valore di 12.240,00 Euro, in relazione ad un trattore, con restituzione alla prima societa’ dell’importo anticipato mediante la cessione a compensazione di un automezzo usato per 30.000,00 Euro, seguito, poi, in data 31 dicembre 2007, dalla registrazione dell’importo di 30.000,00 Euro per “tornati effetti”, a completo storno della fattura per l’indicata cessione; e) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-quinquies della rubrica), eseguite tra l’11 gennaio 2007 ed il 31 dicembre 2007, avevano ad oggetto anticipazioni, e, quindi, finanziamenti, per un valore complessivo di 80.760,00 Euro, in relazione a due automezzi, con restituzione alla prima societa’ dell’importo anticipato, in parte mediante il rilascio di effetti cambiari, incassati in data 8 marzo 2007, e in parte mediante un giroconto collegato alla cessione di un automezzo effettuata dalla seconda societa’ a vantaggio della prima.
Muovendo da questi dati di fatto, la Corte d’appello conclude che l’attivita’ realizzata da “(OMISSIS) s.r.l.” rientra nella sfera delle “attivita’ finanziarie” di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132.
Si rappresenta, in particolare, che vicende estremamente significative sono la rinuncia di “(OMISSIS) s.r.l.” al credito nei confronti della societa’ finanziaria per l’importo corrispondente al cd. “maxi-canone” che l’utilizzatore doveva pagare a titolo di prima rata di corrispettivo per il contratto di leasing, e la contestuale costituzione, in favore della medesima “(OMISSIS) s.r.l.”, di una posizione creditoria, per un identico importo, nei confronti dell’utilizzatore. Si aggiunge che, attraverso queste modalita’ operative, (OMISSIS) riceveva effetti cambiari che, pur se relativi a “(OMISSIS) s.r.l.”, venivano da lui incassati su un conto corrente privato: specificamente, (OMISSIS), tra il 2007 ed il 2009, risultava aver versato sul suo conto titoli ed effetti per 161.760,00 Euro da imprese operanti nel settore dell’autotrasporto, e, tra questi, cambiali della ” (OMISSIS)”, della ” (OMISSIS)” e della ” (OMISSIS)”; in particolare, poi, le cambiali emesse dalla ” (OMISSIS)” riportavano scadenze a partire dal 31 maggio 2009, ed attenevano ad un importo di 9.000,00 Euro, esattamente corrispondente a quello per il quale non era stata trovata documentazione nella contabilita’ della “(OMISSIS) s.r.l.”. Si osserva, quindi, che “(OMISSIS) s.r.l.” aveva dato luogo a flussi finanziari con carattere di sistematicita’ nei confronti di un numero di utenti potenzialmente vasto, al di fuori di ogni controllo delle Autorita’ di vigilanza, attraverso una “forma organizzata e professionale di esercizio dell’attivita’ imprenditoriale”.
2.3. Alla luce dei principi giuridici indicati e dei fatti esposti nella sentenza impugnata, le conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello in ordine alla sussistenza di condotte di abusivo svolgimento di attivita’ finanziaria risultano corrette.
2.3.1. Per quanto concerne la riconducibilita’ delle condotte accertate alla nozione di “attivita’ finanziarie” rilevanti a norma dell’articolo 106 e, quindi, del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, si e’ osservato che queste ultime debbono essere individuate non in considerazione delle specifiche forme giuridiche adottate, bensi’ in ragione della “sostanza” concreta delle operazioni effettuate.
In questa prospettiva, il compimento di operazioni che, sistematicamente, hanno creato una posizione creditoria della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” nei confronti degli utilizzatori degli automezzi ceduti in leasing da societa’ finanziarie, per un importo pari alla prima e piu’ consistente delle rate che gli utilizzatori si impegnavano a pagare alla societa’ finanziaria, mediante l’eliminazione del corrispondente rapporto di credito-debito tra questi due soggetti, spesso accompagnata dalla concessione di un diverso termine per l’adempimento del debito da parte delle ditte di autotrasporto, collegato al rilascio di cambiali, integra esattamente, nella “sostanza”, la concessione di un finanziamento.
Non rileva, quindi, se il rapporto tra “(OMISSIS) s.r.l.”, societa’ finanziaria e imprese di autotrasporto sia qualificabile, civilisticamente, in termini di delegazione di pagamento o di surrogazione, come deduce il ricorrente: e’ sufficiente considerare che, in concreto, le operazioni compiute consistevano di fatto nella concessione di un finanziamento da “(OMISSIS) s.r.l.” alle imprese di autotrasporto in relazione alla somma da queste dovute alla societa’ finanziaria per la prima e piu’ consistente rata del canone di leasing. Del resto, nel ricorso si segnala che “(OMISSIS) s.r.l.” prestava fideiussione nei confronti delle societa’ finanziarie a garanzia dell’adempimento del debito dell’utilizzatore: come si e’ gia’ rilevato, la prestazione di fideiussioni, anche se effettuata a titolo gratuito, secondo la consolidata giurisprudenza, implica di per se’ svolgimento di attivita’ finanziaria.
Ne’ tale conclusione puo’ essere contestata, in particolare, sul rilievo che gli utilizzatori hanno versato a “(OMISSIS) s.r.l.” le somme che avrebbero dovuto versare alle societa’ finanziarie, o che le cambiali sono state tutte rilasciate in favore della societa’ e non di (OMISSIS), o che la selezione di clienti apparentemente poco affidabili non e’ attivita’ di erogazione di finanziamenti. La prima deduzione, infatti, non tiene conto del dato normativo: come si e’ precedentemente osservato, nessuna disposizione richiede che le “attivita’ finanziarie” rilevanti a norma del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articoli 106 e 132 debbono essere produttive di lucro; e cio’, senza considerare che le “anticipazioni” effettuate da “(OMISSIS) s.r.l.” si inserivano in un contesto di cessioni di automezzi per un valore complessivo ben piu’ significativo, e, quindi, avevano la funzione di agevolare la realizzazione di queste importanti operazioni. La seconda deduzione e’ meramente assertiva, a fronte delle puntuali osservazioni della sentenza impugnata in ordine all’avvenuto incasso di cambiali emesse da ” (OMISSIS)”, ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)” sul conto personale di (OMISSIS); inoltre, se anche i fatti dovessero essere ricostruiti nei termini indicati nel ricorso, non si determinerebbe alcun mutamento della “sostanza” dell’operazione posta in essere. La terza deduzione, ancora, e’ irrilevante: vi e’ stato svolgimento dell’attivita’ finanziaria non perche’ le operazione si sono riferite ad una particolare tipologia di clienti, asseritamente poco solvibili, ma perche’ l’attivita’ e’ consistita in operazioni economiche poste in essere mediante l’anticipazione” della prima rata di canone in favore degli utilizzatori e la successiva restituzione, da parte di questi ultimi, mediante cambiali o cessioni di automezzi in compensazione.
2.3.2. In riferimento alla riconducibilita’ delle condotte accertate ad una attivita’ rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti e realizzata professionalmente, poi, e’ sufficiente prendere in considerazione numero, modalita’, caratteristiche e contesto delle operazioni.
Invero, le operazioni in contestazione si sono svolte nell’arco di un triennio, si sono indirizzate nei confronti di quattro diverse ditte di autotrasporto, hanno riguardato un numero ancor piu’ vasto di forniture di automezzi, hanno avuto ad oggetto importi estremamente significativi, pari complessivamente a circa 180.000,00 Euro, si sono caratterizzate per la costanza delle modalita’ operative ed hanno avute tutte il medesimo presupposto, ossia la strumentalita’ alla fornitura di automezzi, ossia all’attivita’ costituente l’oggetto sociale di “(OMISSIS) s.r.l.”.
3. Le censure formulate nel secondo motivo di ricorso attengono alla configurabilita’ del reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria in forma omissiva, stante la contestazione formulata nei capi di imputazione sub 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater e 2-quinquies.
3.1. L’esame delle critiche appena indicate richiede di verificare se sia configurabile il concorso omissivo nel reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria, e, in caso di risposta affermativa, se l’amministratore giudiziario abbia una posizione di garanzia rispetto alla commissione di tale tipo di reato.
3.1.1. La prima questione e’ collegata alla natura del reato di abusiva attivita’ finanziaria quale reato di mera condotta e muove dalla tesi di carattere generale secondo cui non sarebbe giuridicamente ammissibile il concorso omissivo nei reati di mera condotta.
Il Collegio ritiene, in linea con la giurisprudenza assolutamente prevalente, che non vi siano ostacoli alla configurabilita’ del concorso omissivo nei reati di mera condotta.
Indubbiamente, non mancano precedenti che hanno escluso tale figura giuridica, ad esempio con riferimento ai reati di frode nelle pubbliche forniture (Sez. 6, n. 771 del 31/10/2006, dep. 2007, Baruffa, Rv. 235790) e di uso illecito di beni culturali di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 170 (Sez. 3, n. 37756 del 25/06/2014, Viviani, Rv. 260185). In particolare, queste decisioni, in linea con una parte della dottrina, osservano che l’articolo 40 c.p., comma 2, nello stabilire l’equivalenza tra il non impedire un evento ed il cagionarlo, consente di estendere l’area della punibilita’ per condotte omissive alle sole fattispecie a forma libera, in quanto l’introduzione, da parte del legislatore, di un elemento extracausale nella fattispecie commissiva ha “la funzione di limitare l’equazione normativamente posta fra cagionare e non impedire”.
Numerosissime, pero’, sono le decisioni che hanno espressamente affermato la configurabilita’ del concorso omissivo nei reati di mera condotta. Senza pretesa di esaustivita’, questa soluzione e’ stata affermata in relazione ai reati di frode nelle pubbliche forniture (Sez. 6, n. 28301 del 08/04/2016, Dolce, Rv. 267829, in consapevole contrasto con Sez. 6, Baruffa, cit.), di violazioni edilizie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 1, lettera b), (Sez. 3, n. 4911 del 14/07/2016, dep. 2017, Scarpa, Rv. 269260), di detenzione e porto illegale di armi (Sez. 1, 43273 del 23/09/2013, Confuorto, Rv. 256858), di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia (Sez. 3, n. 47968 del 14/09/2016, D’A., Rv. 268496), di sottrazione di beni sottoposti al vincolo del pignoramento, del sequestro giudiziario o del sequestro conservativo affidati alla custodia di persona diversa dal proprietario (Sez. 6, n. 3704 del 19/11/1998, D’Ilio, Rv. 213429, in riferimento alla fattispecie di cui all’articolo 388 c.p., comma 4, seconda parte, e Sez. 6, n. 466 del 14/03/1967, Casilli, Rv. 104643, con riguardo alla fattispecie di cui all’articolo 334 c.p., comma 1), e di bancarotta fraudolenta (cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, Serpetti, Rv. 263225, e Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261814). Alcune di queste decisioni sottolineano che il concorso omissivo e’ configurabile rispetto a tutti i reati, di evento e di mera condotta, a forma libera e vincolata, in ragione della combinazione dell’articolo 40 c.p., comma 2 e articolo 110 c.p..
Anche parte della dottrina condivide questa soluzione, in particolare osservando che per “evento”, a norma dell’articolo 40 c.p., comma 2, in caso di concorso di persone nell’illecito penale, deve intendersi il “reato”.
Il Collegio ritiene che la soluzione prevalente in giurisprudenza sia condivisibile proprio perche’, nel caso di concorso di persone nel reato, la norma di cui all’articolo 40 c.p., comma 2, deve essere interpretata unitamente a quella di cui all’articolo 110 c.p., che funge da “moltiplicatore” di fattispecie selezionando l’area delle condotte penalmente rilevanti, in relazione a qualsiasi reato, di evento e di mera condotta, a forma libera e vincolata, sulla base del criterio dell’efficienza causale della condotta di ciascun concorrente.
3.1.2. Ammessa la configurabilita’ del concorso omissivo nei reati di mera condotta, resta da verificare se l’amministratore giudiziario di una societa’ possa essere ritenuto destinatario di un obbligo giuridico di impedire condotte integranti il reato di abusiva attivita’ finanziaria.
Anche a questo quesito il Collegio ritiene di dare risposta affermativa.
E’ utile richiamare, innanzitutto, l’elaborazione giurisprudenziale gia’ citata che ha ravvisato la responsabilita’ per omissione degli amministratori e dei liquidatori di societa’ in relazione al reato di bancarotta fraudolenta. In particolare, sembra opportuno segnalare, che l’obbligo giuridico di impedire fatti potenzialmente pregiudizievoli per la societa’, e’ stato ritenuto discendere, in relazione agli amministratori, dalla previsione di cui all’articolo 2392 c.c. (cosi’, specificamente, Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261814, anche per ulteriori citazioni di giurisprudenza), mentre, con riguardo ai liquidatori, dalle previsioni di cui all’articolo 2487-bis c.c., comma 3 e articolo 2489 c.c., comma 2, le quali, rispettivamente, dispongono che gli stessi ricevano in consegna i libri sociali da parte degli amministratori, e rispondano della inosservanza dei propri doveri secondo la disciplina prevista per la responsabilita’ degli amministratori (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 36435 del 14/06/2011, Scuoppo, Rv. 250939, e Sez. 5, n. 8260 del 08/11/2007, dep. 2008, Pirro, Rv. 241749).
E’ importante rilevare, poi, come una specifica posizione di garanzia sia stata riconosciuta, ai fini della responsabilita’ penale per concorso omissivo nei reati commissivi di sottrazione dei beni di cui all’articolo 334 c.p., comma 1 e articolo 388 c.p., comma 4, seconda parte, a carico del custode giudiziario in relazione alla salvaguardia dei beni ad esso affidati (Sez. 6, n. 3704 del 19/11/1998, D’Ilio, Rv. 213429, e Sez. 6, n. 466 del 14/03/1967, Casilli, Rv. 104643).
Del resto, una responsabilita’ per concorso omissivo nel reato commissivo e’ stata espressamente riconosciuta anche a carico del custode nominato dall’autorita’ giudiziaria in relazione a bene sottoposto a sequestro preventivo in sede penale (cosi’ Sez. 4, n. 36728 del 06/04/2004, Salvatori, Rv. 229680).
Una posizione simile a quella dell’amministratore e del liquidatore di societa’, e, soprattutto, omogenea a quella del custode giudiziario risulta essere quella dell’amministratore giudiziario nominato nel corso di una procedura di prevenzione. Invero, la L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 2-sexies, comma 1, ultimo periodo, e successive modifiche, nel testo vigente all’epoca dei fatti, dispone: “L’amministratore ha il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione, sotto la direzione del giudice delegato, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditivita’ dei beni.” (le successive modifiche non hanno significativamente innovato la previsione per quanto di interesse ai fini in esame). Inoltre, la posizione dell’amministratore giudiziario e’ indiscutibilmente quella di garante della legalita’ dell’amministrazione dei beni sequestrati, come si desume, in particolare, dalla disciplina di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 2-septes, e successive modifiche, nel testo vigente all’epoca dei fatti; questa disciplina, infatti, prevede, innanzitutto, uno stretto collegamento tra l’amministratore giudiziario ed il giudice delegato, con l’obbligo per il primo di presentare al secondo, e con la frequenza da questo stabilita, “una relazione periodica sull’amministrazione, esibendo, se richiesto, i documenti giustificativi”, nonche’, anche, la possibilita’ di una revoca dall’incarico “in ogni tempo”, in caso di inosservanza dei doveri o di incapacita’ (anche in questo caso, le successive modifiche non hanno significativamente innovato la previsione per quanto di interesse ai fini in esame).
Puo’ percio’ concludersi che il custode e l’amministratore nominati dall’autorita’ giudiziaria in relazione ad un sequestro penale o di prevenzione, in quanto investiti della custodia, della conservazione e dell’amministrazione dei beni affidatigli, da assicurare nell’osservanza del principio di legalita’, hanno l’obbligo giuridico di impedire condotte di gestione di detti beni in violazione della legge penale.
3.2. Si e’ gia’ detto che, secondo quanto rilevato nella sentenza impugnata, (OMISSIS) era stato nominato amministratore giudiziario e custode della “(OMISSIS) s.r.l.” gia’ nel 2006, in relazione al sequestro penale, ed era stato poi nominato amministratore giudiziario e custode delle quote societarie e dei beni societari di “(OMISSIS) s.r.l.”, ” (OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, in relazione al sequestro di prevenzione, con il decreto dell’11 aprile 2008.
Si deve evidenziare, poi, che la Corte d’appello rappresenta che il ricorrente, sin dal 2007, aveva piena consapevolezza, per averlo espressamente ammesso, che “(OMISSIS) s.r.l.” incassava somme in “nero” in relazione a vendite di automezzi, ed “anticipava” il maxi-canone agli utilizzatori degli automezzi, sia pure mediante permuta a compensazione di veicoli usati. Secondo la Corte d’appello, inoltre, dalle intercettazioni telefoniche emerge che l’imputato: -) era consapevole dell’effettuazione “sotto costo” di alcune vendite, ossia della circostanza che permetteva ad (OMISSIS) di incassare cambiali dei debitori della societa’ su conti privati; -) in una occasione, addirittura, per fare opposizione ad una revocatoria fallimentare, si era spinto a dare “consigli” per superare “discrepanze” di costi da cui si evinceva l’antieconomicita’ di alcune operazioni, inducendo alla formazione di una falsa fattura; -) aveva lasciato “mano libera” ad (OMISSIS) di continuare a gestire “(OMISSIS) s.r.l.”, tanto da autorizzare un’impiegata della societa’ ad apporre la sua firma su documentazione da presentare in banca.
Sulla base di questi dati, il giudice di secondo grado ritiene accertato che (OMISSIS) fosse perfettamente a conoscenza che alcuni clienti, a corrispettivo della “anticipazione” effettuata da “(OMISSIS) s.r.l.” per il pagamento della prima rata del leasing alla societa’ finanziaria, consegnassero cambiali, e che queste, almeno in parte, non finissero sui conti della societa’, bensi’ su quelli personali di (OMISSIS). Osserva, anzi, che la continuativa disponibilita’ del ricorrente ad assecondare le pratiche illecite costituisce anche contributo causalmente rilevante sotto il profilo del concorso morale, quale rafforzamento del proposito criminoso di (OMISSIS).
3.3. Le conclusioni indicate sono corrette, fermo restando che la contestazione attiene alla responsabilita’ di (OMISSIS) a titolo di concorso omissivo nel reato di abusiva attivita’ finanziaria commesso, in particolare, da (OMISSIS).
Invero, si e’ rilevato che il concorso omissivo nei reati commissivi deve ritenersi configurabile, e che il custode e l’amministratore nominati dall’autorita’ giudiziaria per un sequestro penale o di prevenzione hanno l’obbligo giuridico di impedire condotte di gestione dei beni ad essi affidati in violazione della legge penale.
Si puo’ poi evidenziare che, per quanto descritto nella sentenza impugnata, la posizione del ricorrente era esattamente quella di custode e amministratore giudiziario delle quote societarie e del complesso aziendale di “(OMISSIS) s.r.l.” tra il 2006 ed il 2009, e che le operazioni integranti il reato di abusiva attivita’ finanziaria risultano commesse dal (OMISSIS).
Precisamente, in relazione a quest’ultimo aspetto, risulta accertato che: a) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2 della rubrica) sono state eseguite tra il 31 gennaio 2008 ed il 2 dicembre 2008; b) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-bis della rubrica) sono state eseguite tra il 22 aprile 2009 ed il 6 agosto 2009; c) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-ter della rubrica) sono state eseguite tra il 13 dicembre 2006 ed il 14 aprile 2007; d) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-quater della rubrica) sono state eseguite tra il 4 dicembre 2007 ed il 31 dicembre 2007; e) le operazioni effettuate da ” (OMISSIS) s.r.l.” in favore di ” (OMISSIS)” (capo 2-quinquies della rubrica) sono state eseguite tra l’11 gennaio 2007 ed il 31 dicembre 2007.
4. Le censure formulate nel terzo motivo di ricorso riguardano l’ammissibilita’ della riqualificazione, da parte del giudice d’appello, delle condotte, ritenute in primo grado costituire singoli reati di abusiva attivita’ finanziaria, come un unitario reato a norma del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, con effetti deteriori per l’imputato ai fini della prescrizione.
4.1. L’esame delle critiche appena indicate richiede di verificare se il giudice d’appello abbia il potere di dare una definizione giuridica dei fatti in contestazione diversa da quella accolta in primo grado, anche aggravando la posizione dell’imputato, e, in caso di risposta affermativa, se il reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria possa essere qualificato come reato di durata, e, precisamente, come reato eventualmente abituale.
4.1.1. Ai fini dell’approfondimento della prima questione, e’ utile premettere che costituisce principio consolidato quello secondo cui il rispetto del diritto al contraddittorio e’ assicurato anche quando il giudice di appello provveda alla riqualificazione del fatto direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato puo’ comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo ricorso per cassazione (cosi’, tra le tante, Sez. 2, n. 12612 del 04/03/2015, Bu, Rv. 262778, nonche’ Sez. 2, n. 17782 del 11/04/2014, Salsi, Rv. 259564).
Il problema, piuttosto, si pone quando, per effetto della riqualificazione giuridica del fatto, decorra un diverso termine di prescrizione.
Secondo un diffuso orientamento, non rientra nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 597 c.p.p., comma 3, la previsione della possibile diversita’ del termine di prescrizione del reato, conseguente alla diversa e piu’ grave qualificazione giuridica del fatto contestato operata nella sentenza di appello rispetto a quella data dal giudice di primo grado, perche’ il divieto di reformatio in peius riguarda il solo trattamento sanzionatorio, in senso stretto, stabilito in concreto dal giudice (cfr., in particolare: Sez. 6, n. 32710 del 16/07/2014, Schepis, Rv. 260663; Sez. 1, n. 6116 del 11/12/2013, dep. 2014, Battaglia, Rv. 259466; Sez. 2, n. 26729 del 05/03/2013, Fadda, Rv. 256649; Sez. 1, n. 474 del 17/12/2012, dep. 2013, Presti, Rv. 254207). In termini sostanzialmente analoghi, si afferma che non viola il divieto di reformatio in peius, nel caso di impugnazione del solo imputato, la sentenza d’appello che, ritenendo compiutamente contestata in fatto l’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2, pur non formalmente richiamata dal capo d’imputazione, ne riconosca in concreto la sussistenza al solo fine di escludere la prescrizione del reato (v., tra le altre, Sez. 5, n. 55804 del 29/09/2017, Vitagliano, Rv. 271838, e Sez. 5, n. 38931 del 02/04/2015, Maida, Rv. 265501).
Altre decisioni, tuttavia, precisano che il giudice d’appello puo’ procedere ad una riqualificazione giuridica del fatto di ufficio, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa originariamente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito, e che la nuova definizione non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (cosi’: Sez. 4, n. 23186 del 13/04/2016, Suffer, Rv. 268995; Sez. 2, n. 2884 del 16/01/2015, Peverello, Rv. 262285; Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014, De Vuono, Rv. 260585; Sez. 6, n. 7195 del 08/02/2013, Sema, Rv. 254720).
Ai fini della individuazione della regola da applicare, puo’ essere utile segnalare che, in tutte le decisioni dell’orientamento piu’ restrittivo per i poteri del giudice, il riferimento al computo della prescrizione non ha portato ad alcuna specifica applicazione ostativa alla riqualificazione giuridica del fatto, e che la pronuncia che piu’ compiutamente ha sviluppato gli argomenti a fondamento dell’enunciazione del principio (Sez. 6, Sema, cit.) ha operato una verifica dell’operazione di ridefinizione giuridica effettuata dal giudice di appello alla luce delle affermazioni contenute nella sentenza della Corte EDU, 11/12/2007, Drassich c. Italia.
La decisione della Corte EDU appena citata, tuttavia, ha si’ affermato la rilevanza delle conseguenze della riqualificazione giuridica del fatto in tema di prescrizione ai fini della violazione del diritto di difesa a norma dell’articolo 6, §§ 1 e 3, lettera a) e b), Convenzione EDU, ma avendo riguardo ad una vicenda nella quale la nuova definizione giuridica era avvenuta nel giudizio di cassazione, e per evidenziare che la riqualificazione, in quanto operata in sede di legittimita’, aveva avuto concrete ripercussioni in danno dell’imputato, senza che lo stesso potesse svolgere alcuna attivita’ difensiva sul punto. Ben diversa e’ la situazione in cui la nuova definizione giuridica sia stata adottata dal giudice di appello, e l’imputato possa proporre ricorso per cassazione: in questo caso, e’ pienamente assicurato l’esercizio di attivita’ difensive, posto che all’imputato e’ riconosciuta la possibilita’ non solo di contestare la diversa qualificazione dell’addebito, ma anche, se tale operazione abbia inciso in concreto sulle sue strategie difensive, di evidenziare esigenze istruttorie rilevanti in relazione al diverso contenuto dell’accusa, e di ottenere l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata (cfr. Sez. 3, n. 22296 del 09/03/2017, Bavila, Rv. 269992, e Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014, Destri, Rv. 261047).
Sembra inoltre particolarmente significativo che la Corte EDU, adita ulteriormente per valutare se la nuova decisione della Corte di cassazione nel caso Drassich di confermare la qualificazione giuridica deteriore per l’imputato fosse compatibile con i principi convenzionali, ha escluso qualunque violazione dell’articolo 6, §§ 1 e 3, lettera a) e b), cit. proprio ritenendo sufficiente, per la tutela dei diritti di difesa, la “riapertura” del (solo) giudizio di legittimita’ e la comunicazione dell’informazione della natura e del motivo della nuova accusa esclusivamente ai difensori (Corte EDU, 22/02/2018, Drassich c. Italia).
Una volta che si ritenga rispettato il diritto di difesa anche nella prospettiva convenzionale, puo’ concludersi che la decisione del giudice di appello di dare al fatto, di ufficio, una definizione giuridica piu’ grave che impedisca la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e’ pienamente in linea con la previsione posta dall’articolo 597 c.p.p., comma 3. Invero, questa disposizione, nel fissare il divieto di reformatio in peius in caso di appello del solo imputato, fa espressamente “salva la facolta’ (…) di dare al fatto una definizione giuridica piu’ grave, purche’ non venga superata la competenza del giudice di primo grado”.
4.1.2. Riconosciuto il potere del giudice d’appello di dare una nuova definizione giuridica dei fatti in contestazione diversa da quella accolta in primo grado, anche aggravando la posizione dell’imputato, occorre valutare se il reato di esercizio abusivo di attivita’ finanziaria possa essere qualificato come reato di durata, e se, quindi, le diverse condotte, ritenute in primo grado integranti autonomi illeciti penali, possano essere sussunte in un’unica fattispecie.
Ad avviso del Collegio, la risposta deve essere affermativa.
Invero, come osservato da una precedente pronuncia, il reato di abusiva attivita’ finanziaria integra un reato eventualmente abituale, in considerazione, in particolare, sia del richiamo testuale del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 allo “svolgimento” di un’attivita’, il quale implica la reiterazione di comportamenti, sia dalla necessita’ sistematica di riferire l’attivita’ ad una organizzazione con carattere di professionalita’ (Sez. 5, n. 7986 del 12/11/2009, dep. 2010, Gallo, Rv. 246148; cfr., inoltre, nello stesso senso, Sez. 5, n. 28157 del 03/02/2015, Lande, Rv. 264917, e, soprattutto, Sez. 5, n. 8026 del 14/12/2016, dep. 2017, Manzini, Rv. 269451).
E’ percio’ da ritenere non condivisibile l’opposto orientamento, icasticamente affermato, secondo cui il reato in questione ha natura di reato istantaneo e si consuma con la concessione e l’erogazione di ciascun finanziamento, con conseguente distinta decorrenza del termine di prescrizione in relazione ai singoli episodi di finanziamento (cosi’ Sez. 2, n. 46287 del 28/06/2016, Maltagliati, Rv. 268136, nonche’ Sez. 5, n. 31724 del 04/05/2004, Siccardi, non mass.).
4.2. Ritenuta corretta la riqualificazione dei fatti di cui ai capi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, e 2-quinquies come costituenti un unico reato di abusiva attivita’ finanziaria, deve concludersi che non si e’ verificata alcuna prescrizione.
Invero, nel reato eventualmente abituale, ai fini della prescrizione, il termine decorre dal compimento dell’ultimo atto antigiuridico (cosi’, proprio con riferimento al reato di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, Sez. 5, n. 8026 del 14/12/2016, dep. 2017, Manzini, Rv. 269451).
Nella vicenda in esame, come si e’ detto, le condotte risultano protratte sino al 6 agosto 2009. Cio’ posto, la data della prescrizione, ove si considerino esclusivamente le cause interruttive, sarebbe maturata il 6 febbraio 2017. Deve pero’ tenersi conto: a) di due periodi di sospensione per due rinvii di udienza nel processo di appello, su istanza della difesa, uno dal 17 dicembre 2015 al 21 aprile 2016, e l’altro dal medesimo 21 aprile 2016 al 27 settembre 2016, per un tempo complessivamente pari a 9 mesi e 12 giorni; b) di un periodo di sospensione per un rinvio di udienza nel giudizio di cassazione, per adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’associazione di categoria, dal 18 luglio 2017 al 13 febbraio 2017, per un tempo pari a 6 mesi e 26 giorni. Di conseguenza, la prescrizione, alla data della pronuncia della presente sentenza, non e’ ancora decorsa.
5. Le censure formulate nel quarto motivo di ricorso riguardano la configurabilita’ del reato di violazione delle prescrizioni imposte da un provvedimento applicativo di misura di prevenzione personale, previsto dalla L. n. 1423 del 1956, articolo 9, oggi sostituito dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2, come contestato con il capo di imputazione sub 3-3a).
Le stesse sono fondate.
Secondo la ormai consolidata giurisprudenza di legittimita’, che ha fatto seguito alla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 23/02/2017, De Tommaso c. Italia, l’inosservanza delle prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2, il cui contenuto precettivo e’ integrato esclusivamente dalle prescrizioni c.d. specifiche (cosi’ Sez. U, n. 40076 del 27/04/2017, Paterno’, Rv. 270496, e, successivamente, Sez. 4, n. 42332 del 09/05/2017, Scialpi, Rv. 270764).
Nella vicenda in esame, il reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, articolo 9 e’ stato contestato a (OMISSIS) proprio con specifico riferimento alle “violazioni della prescrizione di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, come risulta con immediatezza dalla lettura del capo d’accusa sub 3.-3a).
Deve percio’ concludersi che il fatto oggetto di contestazione nel presente processo come costituente il delitto di cui alla L. n. 1423 del 1956, articolo 9 non e’ previsto dalla legge come reato.
6. Le censure formulate nel quinto motivo di ricorso riguardano la configurabilita’ del reato di peculato in relazione ai fatti di cui al capo di imputazione sub 5, e sono state sviluppate nella memoria depositata il 28 marzo 2018 anche con riferimento alla sussumibilita’ dei medesimi accadimenti nella fattispecie di abuso di ufficio.
6.1. I giudici di merito hanno ritenuto la responsabilita’ di (OMISSIS) a titolo di peculato perche’, quale amministratore nominato nel procedimento di prevenzione in relazione all’intero capitale sociale e a tutti i beni aziendali delle societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” e “(OMISSIS) s.r.l.”, aveva disposto il pagamento a se’ medesimo, senza alcuna autorizzazione, delle seguenti somme di denaro: -) 3.898,72 Euro lordi in data 7 luglio 2009 e 5.242,58 Euro lordi in data 14 ottobre 2010, con prelievo sui conti della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, in relazione allo svolgimento dell’incarico per la predisposizione dei bilanci e delle attivita’, anche fiscali, connesse, rispettivamente, per gli anni 2009 e 2010, con riferimento a tale societa’; -) 12.575,50 Euro lordi in data 14 ottobre 2010 e 13.960,82 Euro lordi in data 15 giugno 2011, con prelievo sui conti della societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, in relazione allo svolgimento dell’incarico per la predisposizione dei bilanci e delle attivita’, anche fiscali, connesse, rispettivamente, per gli anni 2010 e 2011, con riferimento a tale societa’.
La difesa ha evidenziato che: -) gli incarichi per la predisposizione dei bilanci e delle attivita’ connesse erano stati conferiti dal ricorrente a se’ medesimo non quale amministratore della procedura, bensi’ quale amministratore delle due societa’, nominato dalle assemblee sociali appositamente convocate in data 7 aprile 2006, e, quindi, iure privatorum; -) le attivita’ in questione erano state effettivamente svolte ed i compensi percepiti per lo svolgimento di esse erano stati calcolati applicando i valori medi della tariffa professionale dei dottori commercialisti. La sentenza impugnata, peraltro, nel sintetizzare le risultanze esposte nella decisione di primo grado, riporta che l’applicazione dei valori medi della tariffa professionale erano stati aumentati del 50 % per le prestazioni compiute in condizioni di disagio.
6.2. La prima questione che si pone, anche alla luce degli argomenti svolti nel ricorso e nelle memorie, attiene, innanzitutto, alla configurabilita’ della fattispecie di peculato, essendo stato il denaro erogato quale corrispettivo di attivita’ realmente compiute.
Secondo la giurisprudenza di legittimita’, in linea con un esteso orientamento dottrinale, l’utilizzo di denaro pubblico per finalita’ diverse da quelle previste integra il reato di abuso d’ufficio qualora l’atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l’adozione di un impegno di spesa da parte dell’ente; mentre, integra il piu’ grave delitto di peculato l’atto di disposizione del denaro compiuto – in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione meramente “di copertura” formale – per finalita’ esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali dell’ente (cosi’ Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, Fitto, Rv. 271283, nonche’, per pratiche applicazioni del principio, Sez. 6, n. 14978 del 13/03/2009, De Mari, Rv. 243311, e Sez. 6, n. 699 del 20/06/2013, dep. 2014, Rinaldi, Rv. 257766).
Tale indirizzo non risulta in contrasto con il principio affermato con specifico riferimento all’amministratore di beni confiscati nel procedimento di prevenzione, secondo il quale e’ configurabile il reato di peculato quando detto soggetto stipuli a proprio favore polizze assicurative a nome delle societa’ destinatarie del provvedimento di confisca, e con frequenza periodica prelevi, versandole sul proprio conto corrente, somme ad asserito titolo di acconto sul suo compenso professionale, senza munirsi della preventiva e necessaria autorizzazione dell’Agenzia del Demanio (cosi’ Sez. 6, n. 33472 del 22/06/2011, Siciliano, Rv. 250904).
Invero, il principio appena indicato ha ad oggetto il compimento di una attivita’ del tutto estranea alle competenze del soggetto che la esegue, poiche’ l’autoliquidazione di acconti per i compensi connessi all’amministrazione dei beni sequestrati e poi confiscati, non rientra neanche indirettamente nelle attribuzioni dell’amministratore giudiziario. Occorre considerare, in proposito, che, in forza di precise disposizioni normative, la determinazione dei compensi spettanti all’amministratore giudiziario, anche a titolo di acconto, e’ rimessa alla specifica competenza del tribunale, il quale provvede su relazione del giudice delegato (cfr. L. n. 575 del 1965, articolo 2-octies, commi 4 e 5, e successive modifiche, e, oggi, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 42, comma 4), mentre la determinazione relativa ai compensi spettanti per la gestione nella fase successiva alla confisca e’ riservata alle decisioni all’Amministrazione finanziaria (cfr. L. n. 575 del 1965, articolo 2-nonies, comma 3, il Decreto Ministeriale Tesoro 27 marzo 1990, articolo 8 e il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 44).
Nella vicenda in esame, il ricorrente non si e’ autoliquidato compensi (o acconti di compensi) spettantigli a titolo di amministratore giudiziario, o di amministratore per conto dell’Amministrazione finanziaria, in relazione ai quali non aveva alcuna competenza a provvedere. Egli si e’ autoliquidato compensi relativi ad un’attivita’, quella per la predisposizione dei bilanci e delle attivita’, anche fiscali, connesse, riferita all’ordinario funzionamento delle due societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” e “(OMISSIS) s.r.l.”, e svolta per effetto di un incarico di competenza non dell’amministratore giudiziario in quanto tale, bensi’ dell’amministratore delle due persone giuridiche; in proposito, per chiarezza, va rilevato che la distinzione tra le funzioni di amministratore giudiziario di partecipazioni sociali anche maggioritarie e quelle di amministratore della societa’, affermatesi da tempo nella prassi, ha avuto anche formale riconoscimento nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 41, comma 6.
In sintesi, le liquidazioni hanno avuto ad oggetto il pagamento dei compensi per incarichi: -) effettivamente svolti; -) sicuramente necessari per il regolare funzionamento delle societa’ interessate;-) non immediatamente collegati allo svolgimento dell’attivita’ di un amministratore giudiziario di quote sociali e di patrimoni aziendali; -) il cui conferimento, almeno in linea di principio, rientra nell’ambito dell’attivita’ di ordinaria amministrazione di un’impresa, pure se esercitata in forma collettiva. Non puo’ dirsi, percio’, che gli atti di disposizione del denaro indicati in contestazione siano stati compiuti per finalita’ esclusivamente private, o comunque estranee a quelle istituzionalmente riservate all’amministratore giudiziario.
Di conseguenza, in relazione alla fattispecie accertata, deve escludersi la configurabilita’ del delitto di peculato.
6.3. Esclusa la configurabilita’ del delitto di cui all’articolo 314 c.p., occorre esaminare se i fatti accertati siano sussumibili nello schema del reato di abuso d’ufficio.
Secondo un principio consolidato in giurisprudenza, l’articolo 323 c.p. ha introdotto nell’ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, con la conseguenza che l’inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento ove l’agente e’ chiamato ad operare, una specifica disciplina dell’astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero piu’ ridotto di ipotesi o che sia priva di carattere cogente (cosi’, tra le altre, Sez. 6, n. 14457 del 15/03/2013, De Martin Topranin, Rv. 255324, e Sez. 6, n. 7992 del 19/10/2004, dep. 2005, Evangelista, Rv. 231477).
Altrettanto condivisa, pero’, e’ la precisazione secondo cui, ai fini dell’integrazione del reato di abuso di ufficio, anche nel caso di violazione dell’obbligo di astensione, e’ necessario che a tale omissione si aggiunga l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale procurato o del danno arrecato (v., ad esempio, Sez. 6, n. 47978 del 27/10/2009, Calzolari, Rv. 245447, e Sez. 6, n. 26324 del 26/04/2007, Borrelli, Rv. 236857).
Va peraltro rilevato che l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale procurato o del danno arrecato ricorre non solo quando la condotta si ponga in contrasto con il significato letterale, o logico-sistematico di una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma attributiva del potere esercitato, per realizzare uno scopo personale od egoistico, o comunque estraneo alla P.A., concretandosi in uno “sviamento” produttivo di una lesione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (cosi’ Sez. 6, n. 35597 del 05/07/2011, Barbera, Rv. 250779, nonche’, piu’ in generale, Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251498), o comunque implichi un uso distorto dei poteri funzionali ovvero un cattivo esercizio dei compiti inerenti ad un pubblico servizio (cosi’, proprio con riferimento a condotta posta in essere in violazione del dovere di astensione, Sez. 6, n. 1320 del 13/12/2002, dep. 2003, Ferrini, Rv. 223344).
Nella vicenda in esame, il ricorrente, innanzitutto, quando si e’ autoliquidato i compensi relativi all’attivita’ per la predisposizione dei bilanci e delle attivita’ connesse nell’interesse delle societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” e “(OMISSIS) s.r.l.”, autorizzando il prelievo delle somme dai conti correnti di tali imprese, dei quali aveva l’amministrazione, custodia e gestione in quanto amministratore giudiziario dei relativi patrimoni aziendali, ha agito nell’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale. In effetti, per l’amministratore giudiziario nominato in un procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, la qualifica di pubblico ufficiale, esplicitamente attribuitagli dalla legge a partire dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 35, comma 5, discende, da sempre, indefettibilmente, e primariamente, dai poteri di gestione su beni non propri, quindi autoritativamente, nell’interesse pubblico, ed in forza di un provvedimento giudiziario (per l’attribuzione della qualifica di pubblico ufficiale anche al coadiutore dell’amministratore giudiziario nominato nel procedimento di prevenzione, v. Sez. 6, n. 33724 del 21/06/2010, Cangemi, Rv. 248159).
Il ricorrente, inoltre, nell’autorizzare il pagamento a se stesso dei compensi in questione, ha agito in violazione del dovere generale di astensione fissato in via diretta ed autonomamente rilevante dall’articolo 323 c.p., perche’ si e’ attivato in relazione ad un interesse proprio.
Il ricorrente, ancora, nell’autorizzare il pagamento a se stesso dei compensi in questione, si e’ procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale. Invero, l’amministratore giudiziario nominato in una procedura di prevenzione, per espressa disposizione di legge, ha sempre avuto “il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati (…), anche al fine di incrementare, se possibile, la redditivita’ dei beni medesimi” (cfr. L. n. 575 del 1965, articolo 2-sexies, comma 8, e successive modifiche, anche nei testi vigenti all’epoca delle condotte in contestazione); tale compito, inoltre, in quanto svolto da pubblico ufficiale e sotto lo stretto controllo del giudice delegato, deve innanzitutto assicurare la legalita’ della gestione.
Di conseguenza, l’autorizzazione di pagamenti connessi all’amministrazione di beni sequestrati presupponeva – presuppone – una verifica in ordine alla legittimita’ del titolo di spesa ed alla congruita’ delle somme da corrispondere. Ora, in occasione dell’autorizzazione dei quattro pagamenti, l’amministratore dei beni sottoposti a confisca di prevenzione, se avesse compiuto le predette verifiche, avrebbe constatato l’irregolarita’ del titolo di spesa, perche’ derivante da un incarico conferito direttamente ed immediatamente a se stesso, in modo non trasparente rispetto agli altri possibili interessati, e nell’ambito di una gestione operata pur sempre nell’interesse pubblico. Inoltre, la determinazione degli importi era sicuramente discrezionale, e tale da comportare maggiori o minori costi per la procedura, e, in modo specularmente inverso, minori o maggiori guadagni per il professionista; ne’ la scelta di applicare i valori medi della tariffa professionale (peraltro accompagnata dall’aumento del 50 % per le prestazioni compiute in condizioni di disagio) era l’unica possibile e, stante il mancato confronto con gli altri operatori, nemmeno quella indiscutibilmente piu’ equa.
Puo’ percio’ concludersi che, nella specie, l’esercizio dei poteri pubblici e’ avvenuto, oltre che in violazione dell’obbligo di astensione, anche per realizzare uno scopo personale ed egoistico in contrasto con l’interesse all’imparziale, efficiente ed economico svolgimento della funzione di amministratore di una procedura di prevenzione patrimoniale, e che, quindi, il fatto e’ sussumibile nella figura del reato di abuso d’ufficio.
6.4. La riqualificazione giuridica dei fatti di cui al capo di imputazione sub 5 in termini di abuso d’ufficio, invece che di peculato, non determina la prescrizione dei reati.
Le condotte sono state realizzate, come si e’ detto, nelle date del (OMISSIS), mediante l’autorizzazione e l’effettuazione dei pagamenti relativi alle prestazioni per la societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, nonche’ nelle date del 14 ottobre 2010 e del 15 giugno 2011, mediante l’autorizzazione e l’effettuazione dei pagamenti relativi alle prestazioni per la societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”.
Per il primo episodio, la data della prescrizione, ove si considerino esclusivamente le cause interruttive, sarebbe maturata il 7 gennaio 2017. Tuttavia, cosi’ come gia’ osservato con riferimento al reato di abusiva attivita’ finanziaria, deve tenersi conto: a) di due periodi di sospensione per due rinvii di udienza nel processo di appello, su istanza della difesa, uno dal 17 dicembre 2015 al 21 aprile 2016, e l’altro dal medesimo 21 aprile 2016 al 27 settembre 2016, per un tempo complessivamente pari a 9 mesi e 12 giorni; b) di un periodo di sospensione per un rinvio di udienza nel giudizio di cassazione, per adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’associazione di categoria, dal 18 luglio 2017 al 13 febbraio 2017, per un tempo pari a 6 mesi e 26 giorni. Ne discende che la prescrizione, alla data della pronuncia della presente sentenza, non e’ ancora decorsa.
Per gli altri tre episodi, la data della prescrizione non era maturata il giorno della pronuncia della presente sentenza anche senza considerare i periodi di sospensione.
6.5. La riqualificazione giuridica dei fatti di cui al capo di imputazione sub 5 in termini di abuso d’ufficio, invece che di peculato, impone, pero’, l’annullamento della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio.
La sentenza impugnata, qualificando i fatti di cui al capo di imputazione sub 5 in termini di peculato, e ritenuta la continuazione tra questi, quelli sussunti nella fattispecie di abusiva attivita’ finanziaria e quelli definiti a norma della L. n. 1423 del 1956, articolo 9, aveva correttamente individuato il reato piu’ grave in quello di cui all’articolo 314 c.p..
La nuova definizione giuridica dei fatti di cui al capo di imputazione sub 5 in termini di abuso d’ufficio, e l’esclusione della configurabilita’ del reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, articolo 9, pero’, mutano la situazione normativa rilevante ai fini del giudizio in questione. Invero, il delitto di abuso di ufficio, all’epoca dei fatti, era sanzionato con una pena per la quale il minimo edittale era pari a sei mesi di reclusione ed il massimo edittale era pari a tre anni di reclusione. Il delitto di abusiva attivita’ finanziaria di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132, risulta sanzionato: -) nel periodo compreso tra il 12 gennaio 2006 ed il 18 settembre 2010, con una pena per la quale il minimo edittale era pari ad un anno di reclusione ed Euro 4.130 di multa, ed il massimo edittale era pari ad otto anni di reclusione ed Euro 10.329 di multa; -) a partire dal 19 settembre 2010, con una pena per la quale il minimo edittale e’ pari a sei mesi di reclusione ed Euro 2.065 di multa, ed il massimo edittale e’ pari a quattro anni di reclusione ed Euro 10.329 di multa. Di conseguenza, in ragione dei superiori minimi e massimi edittali, reato piu’ grave e’ quello di abusiva attivita’ finanziaria di cui al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132.
7. Le censure formulate nel sesto motivo di ricorso riguardano la confisca della somma di Euro 35.667,67, disposta ex articolo 322-ter c.p. quale confisca diretta in relazione al delitto di peculato.
Tali censure sono private di oggetto per effetto della riqualificazione dei fatti di cui al capo di imputazione sub 5 in termini di abuso d’ufficio, invece che di peculato.
La confisca di cui all’articolo 322-ter c.p., infatti, puo’ essere disposta in caso di condanna per il delitto di peculato o per altri delitti specificamente previsti, tra i quali non rientra quello di abuso di ufficio. Di conseguenza, la relativa statuizione deve essere annullata, quale indefettibile conseguenza della ridefinizione giuridica di cui si e’ detto.
Piuttosto, occorrera’ valutare se, e in che limiti, sia applicabile, nel caso di specie, la confisca disciplinata dall’articolo 335-bis c.p. – anch’essa obbligatoria, e relativa a tutti i delitti previsti dal Capo 1 del Titolo 2 del Libro 2 del codice penale, e, quindi, anche al delitto di abuso d’ufficio (per l’utilizzabilita’, in linea di principio, dello strumento previsto dall’articolo 335-bis c.p. in riferimento al reato di cui all’articolo 323 c.p., cfr. Sez. 6, n. 2694 del 08/03/2011, Di Tella, Rv. 250726, e Sez. 3, n. 3901 del 03/12/2009, dep. 2010, Quisisano, Rv. 246020) – avendo riguardo alla nozione di cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e di cose che ne sono il prodotto o il profitto.
8. In conclusione, quindi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo 3a-3 perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato, nonche’ con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna per nuovo giudizio ai fini sia della determinazione del trattamento sanzionatorio per i residui reati, sia della confisca, per effetto della riqualificazione dei fatti di cui al capo 5-ter come abuso d’ufficio. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
Il giudice del rinvio individuera’ il reato piu’ grave in ragione dei maggiori minimi e massimi edittali applicabili alle due fattispecie residue, quella di abusiva attivita’ finanziaria e quella di abuso d’ufficio, e valutera’ se, e in quale misura, sia applicabile la confisca disciplinata dall’articolo 335-bis c.p. per il fatto definito a norma dell’articolo 323 c.p., ovviamente fermo restando, in ogni caso, il rispetto del valore di 35.667,67 Euro come limite massimo per la misura che eventualmente si riterra’ di disporre.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 3a-3 perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato.
Qualificati i fatti di cui al capo 5-ter come violazioni dell’articolo 323 c.p. annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla confisca e rinvia per nuovo giudizio su detti punti ad altra sezione della Corte d’appello Bologna.
Rigetta nel resto il ricorso.
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