Il giudicato, che va interpretato alla stregua di una norma giuridica, si forma non solo sulle questioni oggetto di puntuale pronuncia nel dispositivo, ma anche su quelle espressamente trattate e decise, che delle stesse rappresentino presupposti logici e necessari e s’intendano, pertanto, implicitamente decise

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 13 giugno 2018, n. 15383.

La massima estrapolata:

Il giudicato, che va interpretato alla stregua di una norma giuridica, si forma non solo sulle questioni oggetto di puntuale pronuncia nel dispositivo, ma anche su quelle espressamente trattate e decise, che delle stesse rappresentino presupposti logici e necessari e s’intendano, pertanto, implicitamente decise.
In particolare, il giudicato sostanziale si forma su tutto cio’ che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto, i quali rappresentino le premesse necessarie ed il fondamento logico giuridico della pronuncia, spiegando, quindi, la sua autorita’ non solo nell’ambito della controversia e delle ragioni fatte valere dalle parti (c.d. giudicato esplicito), ma estendendosi necessariamente al c.d. giudicato implicito, cioe’ agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione.
Il giudicato, inoltre, copre il dedotto ed il deducibile in relazione all’oggetto della domanda; ragion per cui, una volta accolta la domanda, la cosa giudicata non si limita alle eccezioni proposte, ma si estende a quelle proponibili (ossia che si sarebbero potuto proporre e che invece non lo furono). In altri termini, la preclusione del dedotto e deducibile – sempre che la deduzione della questione finisca con il rimettere in discussione il contenuto del precedente accertamento – consiste nel fatto che il giudicato sostanziale impedisce non soltanto di riproporre le questioni gia’ decise, ma anche di sollevare questioni che non si siano fatte valere in precedenza, le quali, in quanto comprese nell’oggetto del processo anteriore, all’interno di quest’ultimo erano prospettabili e rilevanti.

Ordinanza 13 giugno 2018, n. 15383

Data udienza 30 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5627/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 3982/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/01/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.
RILEVATO
che:
1. Prima di ripercorrere, sia pure in via di sintesi, lo svolgimento dei due giudizi di merito che hanno preceduto il presente giudizio di legittimita’, appare opportuno dar atto di altri due giudizi di merito (conclusisi rispettivamente con sentenze nn. 1054/2003 e 2226/12, entrambe emesse dalla Corte di appello di Milano, entrambe non impugnate ed entrambe passate in giudicato), intercorsi tra le parti.
2. Precisamente, la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1054/03, ha confermato la sentenza n. 1276/98 con la quale il Tribunale di Como aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) (che si erano sposati il 2/12/1974), ma, in riforma della stessa, ha anche stabilito che:
“dichiara che l’importo di Lire 1.058.000.000 e di franchi svizzeri 626,73, dal (OMISSIS) trasferiti da conti comuni su conti personali nell’anno 1994, non cessarono di far parte, per effetto dei trasferimenti stessi, della comunione legale”.
3. Quanto al giudizio di merito, avente ad oggetto lo scioglimento della comunione legale tra i coniugi e conclusosi con la sentenza n. 2226/12 della Corte di appello di Milano, si precisa quanto segue:
3.1. Nel 2004 la (OMISSIS) conveniva in giudizio il suo ex consorte (OMISSIS) – dato atto di aver gia’ prelevato dalla comunione denaro e beni mobili per un totale di Euro 209.939,73 – domandava la condanna del convenuto, ai sensi dell’articolo 192 c.c., alla reintegrazione del patrimonio comune nello stato in cui trovava nel dicembre 1993.
In particolare, nel libello introduttivo, la (OMISSIS) domandava: a) la condanna del (OMISSIS) alla restituzione del denaro, che lo stesso aveva prelevato dai conti correnti e dai conti di gestione titoli, che essi coniugi avevano in comune, per un importo complessivo di Euro 680.109,52 (pari alla meta’ della somma: al) del deposito di 1.058.000.000 delle vecchie Lire presso la (OMISSIS) sul c/c n. (OMISSIS), cointestato ad entrambi i coniugi, deposito trasferito dal (OMISSIS) sul conto corrente di quest’ultimo n. 22016 della medesima banca; a2) del deposito di Euro 402.191,49 presso la (OMISSIS), sul conto titoli n. 620192, intestato ai coniugi, deposito trasferito dal (OMISSIS) presso la (OMISSIS); a3) del deposito di 797.000.000 delle vecchie Lire sul conto titoli- acceso presso la (OMISSIS), trasferito dal convenuto presso la Roma Fides in data 9/3/1994);
b) il rimborso della somma di Euro 208.356,91, corrispondente al 50% delle spese sostenute, in regime di comunione, per la ristrutturazione e l’arredamento della casa coniugale, di proprieta’ esclusiva del convenuto.
In definitiva, la (OMISSIS), detratto quanto gia’ prelevato dalla comunione, chiedeva la condanna dell’ex consorte al pagamento dell’importo complessivo di Euro 678.526,70 (risultante dal seguente calcolo: 680.109,52 + 208.356,91 = 888.66,43 209.939,73 = 678.526,70).
3.2. In quel procedimento si costituiva il (OMISSIS), il quale sosteneva che le restituzioni ex articolo 192 c.c., non sono dovute allorquando, come nel caso di specie, si tratti di somme che un coniuge ha prelevato dal patrimonio comune per l’adempimento di obbligazioni contratte ai sensi dell’articolo 186 c.c., posto che si sarebbe trattato o di obbligazioni assunte congiuntamente dai coniugi ex articolo 186, lettera d), oppure di obbligazioni contratte, anche dal singolo coniuge, nell’interesse della famiglia ai sensi dell’articolo 186 c.c., lettera e), (in comparsa conclusionale sosteneva che potevano anche ravvisarsi i presupposti per l’applicabilita’ dell’articolo 186 c.c., lettera a) e b)).
In particolare la difesa del convenuto evidenziava che i prelievi lamentati dalla (OMISSIS) erano relativi a somme costituite in pegno o a favore dell’impresa (OMISSIS), costituita nel 1982 quale impresa familiare ex articolo 230 bis c.c., o a favore della (OMISSIS), cui i coniugi non avevano partecipato direttamente; tali prelievi, a detta del (OMISSIS), erano stati poi effettivamente destinati a coprire l’esposizione debitoria dell’impresa familiare.
Quanto al credito vantato dalla (OMISSIS) per le spese di ristrutturazione della villa adibita ad abitazione coniugale e per l’acquisto degli arredi, il (OMISSIS) contestava l’an ed il quantum della pretesa attorea, sostenendo che la moglie aveva comunque gia’ asportato beni di valore superiore a quelli lasciati.
Infine, il (OMISSIS) affermava che alla quota della (OMISSIS) dovevano essere imputati, ex articolo 192 c.c., i prelievi effettuati da quest’ultima per fini diversi da quelli previsti dall’articolo 186 c.c., prelievi che dalla documentazione da lui prodotta risultavano complessivamente di importo superiore a quello ammesso dall’attrice in atto di citazione.
3.3. Il Tribunale di Como, con sentenza parziale n. 1286/2006, stabiliva che l’importo di 1.058.000.000 delle vecchie Lire – depositato sul conto corrente, cointestato ad entrambi i coniugi, n. (OMISSIS) presso la (OMISSIS) e poi trasferito su un conto corrente personale del (OMISSIS) – era stato effettivamente da quest’ultimo sottratto alla comunione legale e che non poteva invocarsi nella specie l’articolo 186 c.c..
Pertanto, il Tribunale di Como condannava il (OMISSIS) alla restituzione in favore della (OMISSIS) di meta’ di detto importo ex articolo 192 c.c..
Per quanto qui di interesse, il Tribunale di Como osservava testualmente in sentenza (p. 4):
“In relazione al deposito di Lire 1.058.000.000, gia’ esistente presso (OMISSIS), dalla documentazione in atti emerge che detto importo era stato costituito in pegno da entrambi i coniugi a garanzia delle obbligazioni di (OMISSIS). In data 8.3.1994 tale somma e’ stata trasferita sul conto corrente personale di (OMISSIS), su iniziativa di quest’ultimo, con costituzione di pegno analogo a quello preesistente. Il 17.1.2002 il (OMISSIS) ha chiesto il trasferimento della somma presso la (OMISSIS) – filiale di (OMISSIS) e l’ha autorizzata ad investire in quote di fondo monetario. Infine, dette quote sono state vendute dal (OMISSIS) e l’importo ricavato e’ stato accreditato sul c/c n. (OMISSIS) di (OMISSIS). Quest’ultima e’ pero’ soggetto diverso da (OMISSIS), a favore della quale i coniugi avevano costituito congiuntamente l’originario pegno sul deposito di Lire 1.058.000.000. L’accredito dell’importo ricavato dalla vendita delle quote del fondo comune, acquistate dal solo convenuto sul conto di (OMISSIS), impresa familiare, non puo’ dunque dirsi realizzazione del pegno costituito dai coniugi a favore di (OMISSIS). Inoltre non si evince da alcun documento ne’ e’ stato dedotto e provato dal convenuto, che la Banca abbia escusso il pegno costituito dai coniugi…..”.
Su tali premesse fattuali, il Tribunale proseguiva affermando (pp. 5-6):
“Escluso che nel caso di specie sia invocabile l’articolo 186 c.c., lettera d), occorre esaminare se l’accredito della somma in questione sul conto corrente della (OMISSIS), costituita in impresa familiare ex articolo 230 bis c.c., possa configurarsi come adempimento di un’obbligazione contratta nell’interesse della famiglia ai sensi dell’articolo 186 c.c., lettera c), (…) ma delle obbligazioni assunte nell’ambito dell’impresa non possono rispondere i beni della comunione ex articolo 186 c.c., perche’ l’azienda del singolo coniuge non fa parte della comunione legale (…) quindi ad un’impresa familiare, che nel caso concreto non risulti contemporaneamente rientrare nella previsione di cui all’articolo 177, lettera d), si applica la normativa di cui all’articolo 230 bis c.c., che non prevede un obbligo dei familiari di rispondere delle obbligazioni dell’impresa (…) applicando i principi in esame alla (OMISSIS), impresa familiare ex articolo 230 bis c.c., si deve ritenere che la copertura delle esposizioni della medesima nei confronti delle banche ed il pagamento dei suoi debiti nei confronti di altri soggetti non possono farsi rientrare nella previsione dell’articolo 186 c.c., lettera c), perche’ altrimenti sarebbe come dire che dei debiti dell’impresa familiare, proprio perche’ familiare, risponde sempre e comunque la comunione legale, mentre si e’ visto che, se l’azienda non e’ coniugale ai sensi dell’articolo 177 c.c., lettera d), dei debiti della medesima deve rispondere il coniuge imprenditore e non anche il familiare collaboratore. Quest’ultimo subira’ indirettamente le conseguenze dell’esistenza di passivita’ e risultati negativi dell’azienda familiare in sede di determinazione degli utili e degli incrementi a lui spettanti”.
Sulla base di queste premesse logico-giuridiche e sempre per quanto qui interessa, il Tribunale di Como perveniva (p. 15) alle seguenti conclusioni “deve escludersi che i prelievi effettuati dal (OMISSIS) abbiano costituito adempimento delle obbligazioni previste dall’articolo 186 c.c..
Conseguentemente il convenuto e’ tenuto a rimborsare all’attrice la meta’ degli importi prelevati dai conti comune, come previsto dall’articolo 192 c.c., comma 1.
In particolare (OMISSIS), secondo le quantificazioni indicate in atti e mai contestate dal convenuto, vanta i seguenti crediti: Euro 273.205,70 corrispondente al 50% dell’importo di Lire 1.058.000.000 (pari ad e 546.411,40) depositato presso (OMISSIS) International”.
3.4. Il (OMISSIS) proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Como deducendo l’illegittimita’ della pronuncia e/o comunque intrinseca ingiustizia della stessa nella parte in cui, sulla base di un erroneo esame delle risultanze istruttorie, aveva ritenuto, a suo carico, un obbligo di restituzione con riferimento al deposito presso il CC (OMISSIS) (OMISSIS) (facendo anche riferimento a quanto emerso dal lodo arbitrale emesso nell’ambito di un diverso giudizio promosso nei suoi confronti dalla (OMISSIS)).
3.5. In quel giudizio di appello si costituiva (OMISSIS).
3.6. La sentenza del Tribunale di Como veniva confermata dalla Corte di appello di Milano con pronuncia 2226/2012.
Per quanto qui di interesse, la Corte territoriale osservava testualmente in sentenza (pp. 3-4):
“… l’appellante si lamenta che il Tribunale sia incorso in un vizio logico giuridico di fondo consistito nel non aver compreso che, dalla documentazione prodotta, emergeva che il deposito in parola non fosse mai entrato nella comunione legale dei coniugi per la semplice ragione che l’importo di L. 1.058.000,000; non era mai stato nella proprieta’ dell’Ing. (OMISSIS), ma sarebbe stato di esclusiva proprieta’ di (OMISSIS), soggetto estraneo alla comunione.
A sostegno di tale assunto, allega all’atto di appello una serie di documenti dal n. 3 in poi, mai prodotti in primo grado.
Tale produzione deve dichiararsi inammissibile, come eccepito da controparte, trattandosi di documentazione nuova, che avrebbe potuto essere prodotta in primo grado.
…l’appellante in verita’ unitamente alla documentazione nuova, introduce altresi’ fatti ed eccezioni diversi da quelli forniti in primo grado per contrastare le domande avverse… la Corte ritiene che con tale prospettiva si sia introdotta in appello un’eccezione nuova, non rilevabile d’ufficio e come tale inammissibile ex articolo 345 c.p.c..
Non si tratta infatti ne’ di mere difese dirette alla negazione dell’altrui pretesa, ne’ di diversa qualificazione giuridica dei fatti rappresentati in primo grado, ma di un’eccezione che introduce una diversa prospettazione dei fatti posti a fondamento dell’eccezioni svolte in primo grado, avendo in tal modo il (OMISSIS) ampliato l’ambito della controversia, con conseguente violazione del principio del doppio grado di giurisdizione e della lealta’ del contraddittorio”.
4. Tanto premesso in relazione ai due distinti giudicati intervenuti tra le parti, occorre ora ripercorrere sinteticamente lo svolgimento del giudizio di merito, definito con la sentenza n. 3982/2015 della Corte di appello di Milano, per cui e’ ricorso.
4.1. Nel 2012 il (OMISSIS) conveniva in giudizio la propria ex consorte (OMISSIS) chiedendo;
-in via principale, che la convenuta fosse condannata al pagamento in suo favore della somma di Euro 462.500,00, pari al 50% delle somme la lui restituite a (OMISSIS); nonche’ che venisse disposta la compensazione parziale del suo credito con il residuo credito della convenuta, nascente dalle sentenze del Tribunale di Como di cui in narrativa;
– in via subordinata, articolava le suddette richieste ex articolo 2041 c.c..
In punto di fatto, il (OMISSIS) deduceva che il deposito di Lire 1.058.000.000 (di cui la sua ex moglie aveva ottenuto la sua condanna a restituire ex articolo 192 c.c., la meta’) dallo stesso, non era mai in realta’ entrato nella comunione legale dei coniugi per la semplice ragione che quell’ importo non era mai stato nemmeno nella sua proprieta’: infatti, i fondi per cui era controversia, in precedenza depositati presso (OMISSIS) e da sempre vincolati a garanzia delle esposizioni debitorie di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), erano di esclusiva spettanza e titolarita’ di (OMISSIS).
4.2. La (OMISSIS) non si costituiva ed il giudizio si svolgeva in contumacia della stessa.
4.3. Il Tribunale di Como, con sentenza n. 1595/2014, rigettava le domande di (OMISSIS) e, in considerazione della mancata costituzione della convenuta (che rimaneva contumace) nulla disponeva sulle spese.
In particolare il Giudice di prime grado riteneva che le argomentazioni dedotte dal (OMISSIS) e la documentazione dallo stesso prodotta, confliggevano con la sentenza passata in giudicato che aveva condannato il (OMISSIS) a pagare alla (OMISSIS) la meta’ dell’importo di Lire 1.058.000.000 a titolo di restituzione ex articolo 192 c.c..
4.4. Il (OMISSIS) proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Como, articolando 3 motivi (precisamente: l’erronea valutazione in ordine alla formazione del giudicato con riguardo alla domanda di condanna al pagamento formulata; l’omessa pronuncia in ordine alla domanda ex articolo 1203 c.c., n. 3; l’omesso esame delle risultanze documentali ed istruttorie) e chiedendo, in integrale riforma della sentenza di primo grado e previa ammissione dei mezzi istruttori gia’ dedotti e li’ riproposti, la condanna dell’appellata al pagamento in suo favore della somma di Euro 462.500,00 (pari alla meta’ delle somme dallo lui restituite a (OMISSIS)) quale terzo surrogato nei diritti di detto creditore ex articolo 1203 c.c., n. 3 o, in subordine, ex articolo 2041 c.c..
In particolare, il (OMISSIS), in sede di atto di appello, nel trattare congiuntamente i primi due motivi, osservava che:
– il lodo arbitrale intervenuto tra lui e (OMISSIS) (che aveva acclarato la provenienza dei fondi originariamente depositati sul c/c intestato ai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) da disponibilita’ riferibili a (OMISSIS)) risultava pronunciato in data 17/3/2008 e, quindi, successivamente non solo alla sentenza 1286/2006 del Tribunale di Como, ma anche all’introduzione del giudizio d’appello avverso la stessa concluso con la sentenza n. 2226/12 della Corte d’Appello di Milano. Pertanto, soltanto successivamente aveva avuto la disponibilita’ delle prove che avevano consentito di acclarare il reale svolgimento dei fatti;
– la produzione delle disposizioni di bonifico di cui ai docc. 21 e 22 del fascicolo di primo grado acclarava che lui aveva integralmente restituito le somme dovute a (OMISSIS) in virtu’ del predetto Lodo Arbitrale e, conseguentemente, il fatto che lui si era surrogato, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1203 c.c., n. 3, nei diritti spettanti allo stesso Consorzio nei confronti della stessa Sig.ra (OMISSIS).
4.5. La Corte territoriale con la sentenza impugnata rigettava l’appello proposto da (OMISSIS) e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza del Tribunale di Como n. 1595/2014.
La Corte territoriale in motivazione rigettava i primi due motivi e riteneva assorbito (dal rigetto dei precedenti motivi) il terzo motivo d’appello, in particolare osservando l’inammissibilita’ della domanda formulata ex articolo 2041 c.c., in quanto in luogo di tale azione sussidiaria, il (OMISSIS) ben avrebbe potuto richiedere l’accertamento della non appartenenza alla comunione legale della somma in questione, resistendo alle domande restitutorie svolte dalla (OMISSIS) ex articolo 192 c.c..
4.6. Il (OMISSIS) presentava ricorso avverso la sentenza della Corte territoriale n. 3982/15, articolando due motivi di doglianza.
4.7. Anche nel presente giudizio di legittimita’ la (OMISSIS) non si costituiva.
4.8. In vista dell’odierna adunanza camerale, nell’interesse del (OMISSIS), veniva depositata memoria con la quale il ricorrente si costituiva a mezzo di nuovo difensore e, richiamando integralmente le deduzioni formulate in ricorso, evidenziava come quelle, poste a fondamento del primo motivo, fossero avvalorate da plurime decisioni della Suprema Corte, intervenute anche successivamente alla notifica del ricorso, mentre quelle, poste a fondamento del secondo motivo (pp. 28-31), erano avvalorate da una recente sentenza di questa Corte, applicabile nella specie, rivestendo i fatti di cui alle pp. 29-30 del ricorso introduttivo (pronuncia del lodo arbitrale parziale e definitivo nella controversia insorta tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) ed avvenuta restituzione degli importi dovuti in virtu’ delle predette decisioni dal Cartoni al (OMISSIS)) la qualifica di “nuovi e posteriori eventi”, che avevano inciso sul modo di essere del diritto deciso.
CONSIDERATO
che:
1. I motivi di ricorso – che qui si trattano congiuntamente per la loro stretta connessione – non sono fondati.
1.1. Nel primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’articolo 360, n. 4, la nullita’ della sentenza impugnata e del procedimento; nonche’, in relazione all’articolo 360, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto sussistere una preclusione all’accoglimento delle sue domande per effetto del giudicato esterno, formatosi in virtu’ della sentenza n. 1286/2006 del Tribunale di Como e della sentenza n. 2226/12 della Corte di appello di Milano.
Il ricorrente fa presente (p. 19) che – proprio poiche’ la Corte di appello di Milano nella citata sentenza n. 2226/12 che aveva ritenuto che in quel giudizio di appello lui aveva prodotto documentazione nuova ed aveva formulato eccezione nuova con la quale aveva “ampliato l’ambito della controversia” (e, dunque, tardivamente) – lui, “traendo le debite conseguenze dalla succitata decisione della Corte di appello”, aveva introdotto il diverso giudizio di merito, nel quale sono per l’appunto intervenute dapprima la sentenza n. 1595/2014 del Tribunale di Como e poi la sentenza della Corte territoriale n. 3982/15, oggetto di ricorso.
Il ricorrente – dopo aver riportato alcuni passi salienti della sentenza di primo grado (pp. 9, 10,11 e 13) e della sentenza di secondo grado (p. 14) – si lamenta che quest’ultima avrebbe violato e falsamente applicato l’articolo 2909 c.c..
Cio’ in quanto: secondo la giurisprudenza di legittimita’, la capacita’ espansiva del giudicato presuppone che i due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico; mentre, nel caso di specie, l’oggetto del giudizio di merito definito dalla sentenza n. 2226/2012 della Corte d’Appello di Milano (comunione legale dei coniugi ed applicabilita’ ai beni componenti la stessa, nel caso di specie, del disposto di cui all’articolo 186 c.c.) sarebbe del tutto distinto dall’oggetto del giudizio di merito definito dalla sentenza impugnata (mandato di deposito fiduciario dei fondi appartenenti a (OMISSIS) – conseguentemente accertamento dell’obbligo di restituzione degli stessi al depositante avente diritto – adempimento di tale obbligo da parte sua (OMISSIS) e conseguente sua surrogazione nei diritti dell’originario creditore ex articolo 1203 c.c., n. 3).
Pertanto, la Corte territoriale nella sentenza impugnata (recante n. 3982/2015) avrebbe erroneamente invocato l’efficacia di giudicato esterno, derivante dalla sentenza 2226/2012 della Corte di appello di Milano, rispetto alla materia oggetto del contendere.
1.2. Nel secondo motivo il ricorrente (OMISSIS) deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza e del procedimento, nonche’, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto la sussistenza di preclusione derivante da giudicato implicito.
Secondo il ricorrente, il fatto costitutivo del diritto da lui azionato (ex articolo 1203 c.c., n. 3) dovrebbe individuarsi (non gia’ nei fatti che portarono alla costituzione del deposito fiduciario presso (OMISSIS) di Lussemburgo, ma): a) nell’avvenuto accertamento della titolarita’ di detto deposito in capo a (OMISSIS), in virtu’ del Lodo Arbitrale parziale pronunciato in data 1/8/2007; b) nella quantificazione definitiva delle somme dovute in restituzione a mezzo del Lodo Arbitrale definitivo, pronunciato in data 17/3/2008; c) nel fatto che lui aveva effettivamente restituito gli importi dovuti in virtu’ di dette decisioni a (OMISSIS) in data 31/7/2008.
Tutti detti eventi – in quanto si erano verificati in data successiva al deposito della sentenza n. 1286/2006 del Tribunale di Como – erano stati dedotti nel successivo giudizio d’appello avverso la stessa e – poiche’ la loro introduzione in quel giudizio di appello era stata ritenuta inammissibile per violazione dell’articolo 345 c.p.c. – erano stati correttamente introdotti nel giudizio di merito definito dalla sentenza impugnata.
D’altronde, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata – secondo la quale le decisioni arbitrali sarebbero “sospette in quanto assunte sulla base di conclusioni del tutto coincidenti delle parti” – si fonderebbe “su una carente ed erronea valutazione delle predette decisioni arbitrali”, in quanto la motivazione del Lodo definitivo darebbe conto dell’attivita’ istruttoria svolta, a riprova di un contraddittorio reale tra lui ed il (OMISSIS).
2. Occorre ora ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudicato, che va interpretato alla stregua di una norma giuridica (Sez. 3, sent. n. 3453 del 18/1/2012), si forma non solo sulle questioni oggetto di puntuale pronuncia nel dispositivo, ma anche su quelle espressamente trattate e decise, che delle stesse rappresentino presupposti logici e necessari e s’intendano, pertanto, implicitamente decise (Sez. 3, sent. n. 11356 del 19/01/2006).
In particolare, il giudicato sostanziale si forma su tutto cio’ che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto, i quali rappresentino le premesse necessarie ed il fondamento logico giuridico della pronuncia, spiegando, quindi, la sua autorita’ non solo nell’ambito della controversia e delle ragioni fatte valere dalle parti (c.d. giudicato esplicito), ma estendendosi necessariamente al c.d. giudicato implicito, cioe’ agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione (Sez. 1, sent. n. 24594 del 23/11/2005, Rv. 584335-01).
Il giudicato, inoltre, copre il dedotto ed il deducibile in relazione all’oggetto della domanda; ragion per cui, una volta accolta la domanda, la cosa giudicata non si limita alle eccezioni proposte, ma si estende a quelle proponibili (ossia che si sarebbero potuto proporre e che invece non lo furono). In altri termini, la preclusione del dedotto e deducibile – sempre che la deduzione della questione finisca con il rimettere in discussione il contenuto del precedente accertamento – consiste nel fatto che il giudicato sostanziale impedisce non soltanto di riproporre le questioni gia’ decise, ma anche di sollevare questioni che non si siano fatte valere in precedenza, le quali, in quanto comprese nell’oggetto del processo anteriore, all’interno di quest’ultimo erano prospettabili e rilevanti (Sez. 3, sent. n. 25214 del 6/5/2015).
3. Di tali principi di diritto gia’ aveva fatto buon governo il Giudice di primo grado che, nella sentenza 30/9/2014 (riportata integralmente nella sentenza impugnata 6/10/2015):
-aveva premesso che: a) il (OMISSIS), gia’ nel giudizio di appello avverso la sentenza n. 1286/2006 del Tribunale di Como, aveva sostenuto la tesi per cui l’importo di 1.058.000.000 delle vecchie Lire, depositato sul c/c n. (OMISSIS), cointestato ad entrambi i coniugi, presso la (OMISSIS) sarebbe stato in realta’ del tutto estraneo alla comunione legale dei coniugi; b) detta tesi era stata riproposta anche nel nuovo instaurato giudizio di merito, nel quale il (OMISSIS) aveva sostenuto che la somma di 1.058.000.000 delle vecchie Lire (non era sua e della moglie, ma) era di proprieta’ esclusiva di (OMISSIS) ed era stata depositata sul conto corrente cointestato ai coniugi solo fiduciariamente; e che tale circostanza era stata confermata dal lodo arbitrale emesso l’1/8/2007 fra lui e la (OMISSIS) (che, su conforme conclusioni delle parti, aveva accertato in capo a quest’ultimo la titolarita’ dei fondi giacenti presso (OMISSIS) s.p.a.);
– aveva ritenuto che, essendo gia’ passate in giudicato sia la sentenza 1054/2003 che la sentenza 2226/2012 della Corte di appello – la tesi attorea non poteva essere accolta, in quanto:
a) la decisione arbitrale non poteva essere opposta alla (OMISSIS), che al giudizio arbitrale era rimasta estranea;
b) se era vero che il lodo arbitrale era intervenuto soltanto nel 2007 era altrettanto vero che i fatti sui quali lo stesso si fondava erano “ben antecedenti alla stessa instaurazione del giudizio rg. 2377/2004 avanti al Tribunale di Como”; in quel giudizio il (OMISSIS) non soltanto non aveva messo in discussione l’appartenenza della somma alla comunione legale ma aveva anche svolto le sue difese, dando per presupposta detta circostanza; i fatti, sui quali si era fondato il lodo, erano tutti anteriori al giudizio di primo grado rg. 2377/04, con la conseguenza che i relativi documenti avrebbero potuto essere prodotti in quel giudizio (cosa che invece non era avvenuta, per cui correttamente il giudice di appello aveva dichiarato inammissibile la nuova produzione); il giudice di appello aveva altresi’ evidenziato che le nuove difese del (OMISSIS) contrastavano con quanto dallo stesso sostenuto nell’ancor precedente giudizio di separazione (tanto che la Corte di appello, nel riformare la sentenza di separazione, con sentenza n. 1054/2003, aveva stabilito “dichiara che l’importo di 1.058.000.00o e di franchi svizzeri 627,73, dal (OMISSIS) trasferiti da conti comuni su conti personali nell’anno 1994, non cessarono di far parte, per effetto dei trasferimenti stessi, della comunione legale”);
c) il (OMISSIS) non poteva superare le preclusioni nelle quali era incorso nel suddetto giudizio (nel quale si era formato il giudicato) instaurando un nuovo giudizio per ottenere una sentenza confliggente con quelle gia’ emesse (e passate in giudicato);
d) l’autorita’ della sentenza n. 2226/2012 della Corte di appello di Milano, ancor prima del suo passaggio in giudicato, avrebbe potuto essere invocata in quel giudizio di merito ai sensi dell’articolo 337 c.p.c. (che consente la sospensione del giudizio ogniqualvolta tra quest’ultimo ed altro giudizio vi sia un rapporto di pregiudizialita’ ed il giudizio pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato);
e) la sentenza n. 1286/2006 del Tribunale di Como, confermata dalla Corte di appello di Milano con sentenza n. 2226/12, gia’ passata in giudicato, aveva accertato l’appartenenza alla comunione legale dei coniugi della somma di Lire 1.058.000.000, depositata sul c/c n. (OMISSIS), cointestato ad entrambi i coniugi, presso la (OMISSIS) ed aveva condannato il (OMISSIS) a pagare alla (OMISSIS) la meta’ di detto importo, a titolo di restituzione ex articolo 192 c.c.
f) tale accertamento e tale condanna sarebbero stati stravolti in quel giudizio, nel quale il (OMISSIS) chiedeva di accertare, invece, che tale somma non era mai appartenuta ai coniugi, ma solamente a (OMISSIS), e domandava la condanna della moglie a restituirgli la meta’ di detto importo; il (OMISSIS), infatti, avendo gia’ restituito l’intero importo in discussione a (OMISSIS), aveva chiesto la condanna della (OMISSIS) a restituirgli la meta’ del predetto importo, essendosi surrogato nei diritti del Consorzio; ma tale richiesta era inammissibile, in quanto confliggeva irrimediabilmente con il giudicato delle sentenze sopra richiamate.
4. Dei principi di diritto, sopra richiamati, ha fatto buon governo anche la Corte territoriale che, nella impugnata sentenza 6/10/2015 – confermando integralmente la sentenza del giudice di primo grado (all'”esauriente motivazione” della quale ha fatto espresso richiamo) – dopo aver analiticamente ripercorso il contenuto dei primi due motivi di appello – li ha ritenuti infondati (p. 11).
Invero, la Corte territoriale – nel puntualizzare “i tratti salienti” della sentenza di primo grado – ha ulteriormente rilevato, quanto al precedente giudizio di merito (avente ad oggetto lo scioglimento della comunione legale tra i coniugi e conclusosi con la sentenza n. 2226/12 della Corte di appello di Milano, successivamente passata in giudicato) che:
a) il (OMISSIS) – nel giudizio di primo grado rg. 2377/04, svoltosi davanti al Tribunale di Como – non aveva contestato l’appartenenza alla comunione legale delle somme, ex adverso chieste in restituzione ex articolo 192 c.c., ma aveva eccepito che: i prelievi, lamentati dalla (OMISSIS), erano relativi a somme costituite in pegno (a favore della impresa individuale (OMISSIS), costituita nel 1982, impresa familiare ex articolo 230 bis c.c., ovvero a favore della (OMISSIS)); tali prelievi erano poi stati effettivamente destinati a coprire l’esposizione debitoria dell’impresa familiare; pertanto, l’obbligo di restituzione era escluso ai sensi dell’articolo 192 c.c., in quanto le somme prelevate sarebbero state destinate all’adempimento delle obbligazioni previste dall’articolo 186 c.c., trattandosi di obbligazioni assunte congiuntamente dai coniugi ex articolo 186 c.c., lettera d), oppure di obbligazioni contratte, anche dal singolo coniuge, nell’interesse della famiglia, ai sensi dell’articolo 186 c.c., lettera e), (in comparsa conclusionale, il (OMISSIS) aveva anche sostenuto la configurabilita’ dei presupposti per l’applicabilita’ delle disposizioni di cui all’articolo 186 c.c., lettera a) e lettera b));
b) l’assunto del convenuto non era stato condiviso dal Tribunale di Como, che, con sentenza parziale n. 1286/2006 aveva stabilito che: l’importo di Lire 1.058.000.000, depositato su conto corrente cointestato ad entrambi i coniugi (quello n. (OMISSIS), aperto presso la (OMISSIS)) e poi trasferito su un conto corrente personale del (OMISSIS) (quello n. (OMISSIS), aperto sulla medesima banca) era stato effettivamente sottratto da quest’ultimo alla comunione legale; e, pertanto, non poteva invocarsi, nel caso di specie, l’articolo 186 c.c.; c) il (OMISSIS), nel proporre appello avverso la suddetta sentenza del Tribunale di Como, aveva sostenuto che: detta somma era del tutto estranea alla comunione legale e di esclusiva appartenenza alla (OMISSIS) (che, al termine di complesse operazioni finanziarie, ne aveva ottenuto la disponibilita’ a seguito dell’erogazione di un finanziamento agevolato ex lege 21 maggio 1981, n. 240, in seguito dal consorzio integralmente rimborsato); tuttavia, per motivi di elusione fiscale, i fondi erano stati fiduciariamente intestati ai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) (come peraltro era stato riconosciuto dal lodo arbitrale emesso l’1.8.2007 tra lui e (OMISSIS));
– l’assunto dell’appellante non era stato condiviso dalla Corte di appello di Milano che con sentenza n. 2226/2012, nel confermare la sentenza di parziale del Tribunale di Como, aveva osservato che: il (OMISSIS) aveva “introdotto in appello un’eccezione nuova, non rilevabile d’ufficio e come tale inammissibile ex articolo 345 c.p.c.. Non si tratta infatti ne’ di mere difese dirette alla negazione dell’altrui pretesa, ne’ di diversa qualificazione giuridica di fatti rappresentati in primo grado, ma di un’eccezione che introduce una diversa prospettazione dei fatti a fondamento delle eccezioni svolte in primo grado”; le nuove difese del (OMISSIS) contrastavano non soltanto con la prospettazione di primo grado ma anche con quanto gia’ sostenuto dalla stessa parte nel giudizio di separazione, definito con sentenza n. 1054/2003 della Corte di Appello di Milano (che aveva gia’ accertato e dichiarato “che l’importo di Euro 1.058.000.000… dal (OMISSIS) trasferiti da conti comuni su conti personali nell’anno 1994, non cessarono di far parte, per effetto dei trasferimenti stessi, della comunione legale”).
La Corte di appello di Milano nella impugnata sentenza dopo aver rilevato che il (OMISSIS), nell’appellare la sentenza 30/9/2014 del Tribunale di Como, aveva riproposto la tesi sostenuta nell’appellare la sentenza parziale 1286/2006 del Tribunale di Como (salvo individuare il lodo nella diversa data del 17/3/2008) – ha confermato la sentenza di primo grado 30/9/2014, osservando che:
– “la pretesa avanzata nel presente giudizio – fondata, sinteticamente, sull’asserita circostanza che la somma di Lire 1.058.000.000 oggetto di causa non appartenesse in realta’ alla comunione legale, ne’ personalmente ad alcuno dei coniugi, ma ad un terzo soggetto, nei cui confronti entrambi i coniugi sarebbero debitori – confligge ictu oculi sia con gli accertamenti compiuti ed esplicati nella parte motiva delle suindicate sentenze (appartenenza della somma in questione alla comunione legale dei coniugi, sua sottrazione indebita da parte del (OMISSIS) e conseguente diritto della (OMISSIS) ad ottenere la restituzione della meta’ di detto importo ai sensi dell’articolo 192 c.c.), sia con il conforme dispositivo di condanna”;
– la tesi dell’appellante era “riassumibile nella circostanza che, non essendo la (nuova) eccezione mossa nel giudizio di gravame avverso la sentenza parziale n. 1286/2006 del Tribunale di Como, stata esaminata dalla Corte d’Appello di Milano perche’ nuova ed inammissibile, allora i fatti posti a suo fondamento sarebbero riproponibili in un nuovo giudizio, in tal caso a giustificazione della pretesa azionata”;
– nel caso di specie tale tesi risultava infondata: “sia perche’ la (attuale) prospettazione attorea e’ palesemente incompatibile con accertamenti gia’ compiuti, coperti dal giudicato, nelle indicate sentenze (oltre che con quanto sempre sostenuto in precedenza dallo stesso (OMISSIS)); sia perche’ dal principio secondo cui l’autorita’ del giudicato copre non solo il dedotto ima anche il deducibile… discende la inattaccabilita’ del giudicato (sia esplicito che implicito) sulla base di fatti (meri fatti o fatti costitutivi di diritti) anteriori al referente temporale del giudicato, cioe’ deducibili nel processo in cui si e’ formato il giudicato ancorche’ non dedotti o, equivalentemente, inammissibilmente dedotti e quindi non esaminati dal giudice di merito”;
– nel caso in esame, “se e’ vero che “il lodo arbitrale (invero piu’ decisioni) su cui l’attore fonda la sua pretesa e’ intervenuto successivamente alla sentenza n. 1286/2006, e’ altrettanto evidente che, come gia’ osservato dal giudice di primo grado, i fatti su cui lo stesso si fonda sono, invece, ben antecedenti alla stessa instaurazione del giudizio avanti al Tribunale di Como rg 237/104″ (essenzialmente verificatisi nei primi anni novanta; cosi’ rettamente la gravata pronuncia)”;
– d’altra parte, anche a voler prescindere dal giudicato, le decisioni arbitrali, come correttamente gia’ rilevato dal giudice di primo grado, non erano comunque opponibili alla (OMISSIS), che ad essi era rimasta del tutto estranea (e, peraltro, erano anche sospette, in quanto assunte “sulla base di conclusioni del tutto coincidenti delle parti”, tanto piu’ che il (OMISSIS), oltre ad essere titolare della impresa individuale (OMISSIS) era anche presidente della (OMISSIS)).
5. In definitiva, nel caso di specie, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che:
– da un lato, la sentenza n. 1286/2006 del Tribunale di Como, confermata dalla Corte di appello di Milano con sentenza n. 2226/12, gia’ passata in giudicato, aveva accertato l’appartenenza alla comunione legale dei coniugi della somma di Lire 1.058.000.000 ed aveva condannato il (OMISSIS) a pagare alla (OMISSIS) la meta’ di detto importo, a titolo di restituzione ex articolo 192 c.c.. Tale accertamento e tale condanna confliggeva con la richiesta, formulata dal (OMISSIS) nei giudizi di merito che hanno preceduto il presente giudizio di legittimita’, di accertare che tale somma era appartenuta (non ai coniugi, ma) solamente a (OMISSIS) con condanna della moglie a restituirgli la meta’ di detto importo;
– dall’altro che, il lodo arbitrale (o i lodi arbitrali) sul quale (o sui quali) il (OMISSIS) fondava la sua pretesa era (o erano) si’ intervenuto (o intervenuti) successivamente alla sentenza n. 1286/2006, ma i fatti su cui lo stesso (o gli stessi) si fondava (o si fondavano) erano ben antecedenti alla stessa instaurazione del giudizio avanti al Tribunale di Como rg 2377/04, essendosi verificati essenzialmente agli inizi degli anni novanta del secolo scorso.
La decisione che precede, in quanto conforme a consolidata giurisprudenza di questa Corte, sopra sinteticamente ricordata, e’ immune da emenda nella presente sede di legittimita’.
Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.
Nulla sulle spese in considerazione della mancata costituzione della convenuta.
Sussistono invece i presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento dell’importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Nulla sulle spese.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.

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