Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 20 marzo 2019, n. 1855.
La massima estrapolata:
L’ art. 10, comma 15, del decreto del Ministero dell’interno n. 161 del 23 aprile 2004 in materia di capitalizzazione delle misure di assistenza economica in favore dei collaboratori di giustizia fissi un importo-base della capitalizzazione, rapportandola alla durata di due anni delle misure di assistenza economica, consentendo tuttavia l’ampliamento della base di calcolo (“fino a cinque anni”), sulla scorta di una valutazione di carattere tipicamente discrezionale, in presenza di documentati e concreti progetti di reinserimento socio-lavorativo.
Sentenza 20 marzo 2019, n. 1855
Data udienza 21 febbraio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8321 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Di Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il Cons. Ezio Fedullo e uditi l’Avvocato Vi. Di Me., per la parte appellante, e l’Avvocato dello Stato Ti. Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza appellata, il T.A.R. Lazio ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso la delibera adottata dalla Commissione Centrale ex art. 10 l. n. -OMISSIS- in data 25 luglio 2013, nella parte in cui dispone la capitalizzazione delle misure di assistenza finalizzate al reinserimento sociale del suddetto, quale familiare di collaboratore di giustizia inserito nel relativo programma di protezione, limitandone la misura ad un periodo di due anni in luogo di cinque.
Il ricorrente, premesso di avere presentato alla predetta Commissione, in vista della fuoriuscita dal programma, un progetto di reinserimento socio-lavorativo, finalizzato ad ottenere misure straordinarie di sostegno economico ai sensi dell’art. 10, comma 15, del D.M. n. 161 del 23 aprile 2004 n. 161 e dell’art. 13 del D.L. n. 8 del 15 gennaio 1991, ovvero l’erogazione di una somma di denaro pari all’importo dell’assegno di mantenimento per la durata riferita ad un periodo di cinque anni, ottenendone riscontro negativo, lamentava i plurimi profili di illegittimità inficianti, a suo dire, il provvedimento impugnato.
Il T.A.R., dopo aver evidenziato che la somma a titolo di capitalizzazione viene ordinariamente riferita a due anni delle misure di assistenza e, soltanto in presenza di un concreto progetto, la stessa può essere calcolata fino a cinque anni, rilevato che il ricorrente aveva prospettato al Servizio di protezione l’acquisto di un immobile del costo di euro 90.000, specificando che la differenza tra la capitalizzazione e il valore di acquisto sarebbe stata coperta mediante contributo concessogli dal -OMISSIS-, e che la Commissione centrale aveva disposto l’erogazione della capitalizzazione in misura biennale, per un importo di euro 31.600, ha affermato che la Commissione medesima ha legittimamente quantificato l’erogazione “nella misura ordinariamente disposta e confacente alle necessità del soggetto inserito nel programma, in conformità alla disposizione regolamentare di cui all’art. 15, comma 10, del D.M. 161/2004 e dei principi sopra riportati, anche tenuto conto della collateralità della relazione tra il ricorrente e il collaboratore nel cui programma di protezione è stato inserito”.
Mediante i motivi di appello, viene lamentata la carenza motivazionale inficiante la sentenza appellata, così come il provvedimento della Commissione Centrale, quanto al riconoscimento in favore dell’interessato della capitalizzazione di sole due annualità, in luogo delle cinque previste in caso di presentazione di un progetto di vita.
L’Avvocatura dello Stato si oppone all’accoglimento dell’appello.
Tanto premesso, l’appello è meritevole di accoglimento.
Oggetto della controversia è il quantum della capitalizzazione delle misure di assistenza economica spettanti all’appellante all’atto della fuoriuscita dal programma di protezione, nel quale era stato inserito in quanto fidanzato di -OMISSIS-, beneficiario principale del programma.
In particolare, lamenta l’appellante che, pur in costanza della presentazione di un progetto di reinserimento sociale, che legittimerebbe la concessione della erogazione in rapporto a cinque anni di durata delle misure di assistenza godute in costanza del programma di protezione (pari ad Euro 64.000,00), la Commissione Centrale ha disposto la liquidazione dell’importo nella misura corrispondente a due anni di durata delle misure medesime (pari ad Euro 31.600,00): ciò senza offrire alcuna giustificazione in ordine alla scelta quantificatoria operata
Il progetto presentato, aggiunge, concerneva l’acquisto di un immobile da adibire a casa di abitazione, avente un costo di acquisto di Euro 90.000,00, e la differenza con l’importo richiesto sarebbe stata colmata dal -OMISSIS-.
Ebbene, deve preliminarmente richiamarsi il disposto dell’art. 10, comma 15, del decreto del Ministero dell’interno n. 161 del 23 aprile 2004, laddove prevede che “la capitalizzazione delle misure di assistenza economica di cui al comma precedente (finalizzate, cioè, ad “agevolare il reinserimento sociale degli interessati”: n. d.e.) avviene, con riferimento ai collaboratori della giustizia, mediante l’erogazione di una somma di denaro pari all’importo dell’assegno di mantenimento, erogato per la durata di due anni. La capitalizzazione può essere riferita ad un periodo fino a cinque anni, in presenza di documentati e concreti progetti di reinserimento socio-lavorativo”.
Non vi è dubbio che la disposizione fissi un importo-base della capitalizzazione, rapportandola alla durata di due anni delle misure di assistenza economica, consentendo tuttavia l’ampliamento della base di calcolo (“fino a cinque anni”), sulla scorta di una valutazione di carattere tipicamente discrezionale, “in presenza di documentati e concreti progetti di reinserimento socio-lavorativo”.
Nella specie, l’Amministrazione ha quantificato, nella misura oggetto di contestazione, la capitalizzazione delle misure di assistenza, senza tuttavia rendere alcuna motivazione a fondamento della determinazione in tal modo operata: così contravvenendo all’obbligo di motivazione che, ai sensi dell’art. 2 l. n. 241/1990, funge da corredo di qualunque provvedimento amministrativo, tanto più se discrezionalmente connotato.
La laconicità motivazionale del provvedimento impugnato è tale – e quindi la sua sussistenza meritevole di condurre all’annullamento dello stesso, in vista delle nuove determinazioni dell’Amministrazione – da precludere anche di comprendere se la suddetta quantificazione sia derivata dal disconoscimento del presupposto legittimante l’erogazione nella misura invocata (connesso, come si è detto, alla “presenza di documentati e concreti progetti di reinserimento socio-lavorativo”, ove l’Amministrazione avesse ritenuto di non considerare tale l’acquisto dell’immobile progettato dall’appellante) ovvero da valutazioni di altro ordine, più direttamente inerenti alla determinazione della misura della capitalizzazione (in rapporto, anche, alla natura e validità del progetto presentato).
Né, infine, alla evidenziata carenza motivazionale del provvedimento impugnato potrebbero sopperire i rilievi contenuti nella sentenza appellata, nel senso che la “misura ordinariamente disposta” sarebbe “confacente alle necessità del soggetto inserito nel programma, in conformità alla disposizione regolamentare di cui all’art. 15, comma 10, del D.M. 161/2004 e dei principi sopra riportati, anche tenuto conto della collateralità della relazione tra il ricorrente e il collaboratore nel cui programma di protezione è stato inserito”: siffatti rilievi integrano infatti, ope iudicis (e senza che nemmeno ne sia fatto cenno nella produzione difensiva dell’Amministrazione), la motivazione del provvedimento impugnato, risolvendosi in una forma di inammissibile attività sostitutiva del giudice nelle valutazioni di merito riservate alla P.A..
L’appello deve quindi essere accolto e conseguentemente annullato, in riforma della sentenza appellata, il provvedimento impugnato in primo grado, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
Sussistono infine, in ragione del vizio riscontrato, giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione appellata.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ………….
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
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