Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 11 novembre 2019, n. 28987.
La massima estrapolata:
In tema di azione di rivalsa nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all’utilizzazione di terzi per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione.
Sentenza 11 novembre 2019, n. 28987
Data udienza 2 luglio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26165-2016 proposto da:
(OMISSIS) SPA in persona del rappresentante legale p.t. Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS) SPA, nelle persone dei suoi procuratori speciali, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) da cui e’ rappresentata e difesa;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS) LIMITED, (OMISSIS) LIMITED;
– intimati –
avverso la sentenza n. 3611/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’accoglimento motivo 2;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega.
CONSIDERATO
che:
(OMISSIS) conveniva in giudizio, nel 2005, la casa di cura (OMISSIS) e il dottor (OMISSIS), deducendo di aver subito danni anche non patrimoniali a seguito di un triplice intervento, nel (OMISSIS), poi nel (OMISSIS) e infine nel (OMISSIS), di mastoplastica al seno, inizialmente riduttiva, poi additiva, e infine di revisione chirurgica delle connesse cicatrici, erroneamente eseguito e non rimediato dalle operazioni successive alla prima;
la casa di cura si costituiva chiamando in manleva assicurativa l’ (OMISSIS) e la (OMISSIS) Limited;
il dottor (OMISSIS) si costituiva chiamando in analoga manleva le (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., gia’ (OMISSIS) s.p.a.;
il Tribunale, per quanto qui ancora rileva, accoglieva la domanda per quanto di ragione, dichiarando la responsabilita’ solidale della struttura sanitaria e del medico; condannava la (OMISSIS) in parziale manleva del dottor (OMISSIS); rigettava la domanda di garanzia dello stesso nei confronti delle (OMISSIS), nonche’ quelle analoghe della casa di cura nei confronti dei propri assicuratori;
la Corte di appello confermava la decisione di prime cure osservando, in particolare, che la responsabilita’ del medico si estende automaticamente ex articolo 1228 c.c., alla struttura che se ne e’ avvalsa per i propri fini permettendo l’espletamento della prestazione sanitaria, non potendo al contempo farsi alcuna differenza, quanto alla graduazione delle colpe, tra chi aveva male eseguito gli interventi e chi avrebbe dovuto assicurare un’esecuzione da parte di persona idonea;
avverso questa decisione ricorre per cassazione la (OMISSIS) s.p.a. formulando due motivi;
resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS) s.p.a.;
il processo giunge a pubblica udienza a seguito di ordinanza interlocutoria 22 novembre 2018 n. 30317, evidenziando la natura nomofilattica della questione sul regime dell’azione di rivalsa, ovvero di regresso nelle obbligazioni solidali, riferibile al rapporto tra struttura sanitaria e medico ritenuti responsabili.
RILEVATO
che:
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., poiche’ la Corte di appello avrebbe motivato solo apparentemente sulla mancata graduazione differenziata delle colpe tra casa di cura e medico responsabile, oggetto di specifica domanda sin dal primo grado e poi con motivo di appello relativo all’omissione di pronuncia consumata in prime cure;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione articoli 1298, 1299 e 2055 c.c., poiche’ la Corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare che, poiche’ non era stata addebitata alcuna censurabile condotta causativa alla struttura, non poteva porsi tale posizione sullo stesso piano di quella, colposa ed eziologica, del chirurgo, sicche’ avrebbe dovuto affermarsi, ai fini interni del regresso, l’esclusiva responsabilita’ del medico.
Rilevato che:
preliminarmente deve sottolinearsi, in relazione alle eccezioni sollevate in controricorso, che il gravame e’ rispettoso dei requisiti di ammissibilita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., nn. 3 e 6, desumendosi per quanto di utilita’ la vicenda processuale ed essendo riportato quanto necessario alla specificita’ delle censure;
nel merito cassatorio, il primo motivo e’ infondato;
la Corte territoriale ha motivato sul punto in discussione, affermando che, quanto alla graduazione delle colpe, non poteva farsi differenza tra l’esecuzione causalmente rilevante e colposa del medico e la condotta della casa di cura che, in ragione del contratto di spedalita’, era garante della prestazione e avrebbe dovuto fare si’ che fosse eseguita da persona in grado di porla in essere;
il percorso logico e giuridico e’ quindi sussistente e decifrabile, sebbene da ricostruire diversamente secondo quanto si sta per spiegare scrutinando il secondo motivo;
il secondo motivo e’ infondato nei sensi di cui sotto;
1. la corretta identificazione del contenuto e dei limiti dell’azione di rivalsa, piuttosto che di regresso, esercitata dalla struttura sanitaria nei confronti del medico in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 24 del 2017 non puo’ prescindere da un preliminare quanto funzionale esame critico degli ordinari presupposti e della corretta qualificazione di tale rimedio nel diritto delle obbligazioni e dell’illecito;
2. la rivalsa, anche in campo sanitario – a differenza del diritto di regresso, che propriamente presuppone la nascita di una obbligazione, avente il medesimo titolo, in capo ai condebitori solidali a seguito dell’integrale adempimento dell’obbligazione da parte di uno di essi – viene comunemente, sebbene non correttamente, ricondotta al presupposto di un’attribuzione ovvero ripartizione della responsabilita’ per inadempimento, imputata al debitore e al suo ausiliario, in via solidale;
3. l’analisi dell’istituto prescinde, naturalmente, dalle ipotesi in cui sia ravvisabile, nel singolo caso di specie, una responsabilita’ autonoma e indipendente della struttura rispetto alla condotta colpevole del sanitario (come accade, per fare un esempio, nell’ipotesi di infezioni nosocomiali contratte nel corso del ricovero dal paziente);
4. la piu’ frequente ricostruzione dell’istituto, oggi peraltro smentita testualmente dal disposto della L. n. 24 del 2007, articolo 7, comma 1, – la struttura sanitaria che, nell’adempimento della “propria” obbligazione, si avvalga dell’opera degli esercenti la professione sanitaria, risponde ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c. – sovrappone, erroneamente, una fattispecie di responsabilita’ diretta per fatto proprio ex articolo 1228 c.c., dell’ente impersonale (che si serve di ausiliari quale strumento di attuazione dell’obbligazione contrattuale verso il paziente) pur sempre fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario (il che ne esclude la configurabilita’ in termini di responsabilita’ oggettiva: se non e’ accertata la colpa dell’ausiliario, la domanda risarcitoria sara’ rigettata (salva, per quanto poc’anzi specificato, una autonoma responsabilita’ “organizzativa” della struttura stessa), con la responsabilita’ indiretta per fatto altrui (concordemente ritenuta di tipo oggettivo) dell’imprenditore per i fatti dei propri dipendenti, disciplinata dall’articolo 2049 c.c.;
si tratta dunque di fattispecie astratte radicalmente differenti per morfologia ed effetti;
nel primo caso (articolo 1228 c.c.) l’attivita’ dell’ausiliario e’ incardinata nel programma obbligatorio originario che e’ diretto a realizzare, e per la cui realizzazione il debitore contrattuale si e’ necessariamente avvalso dell’incaricato, essendogli naturalisticamente preclusa, ipso facto, attesa la natura giuridica di ente, ogni possibilita’ di adempimento “diretto” (cio’ che esclude altresi’ la configurabilita’, nella specie, dell’istituto dell’adempimento dell’obbligo altrui, da parte del sanitario, ex articolo 1180 c.c.): si se vuole, ma solo descrittivamente, si tratta dell’emersione di obblighi protettivi rispetto al contesto contrattuale – a prescindere, cioe’, da una distinta responsabilita’ autonoma, anche aquiliana, dell’incaricato;
nel secondo caso (articolo 2049 c.c.), la condotta pregiudizievole non si traduce propriamente nella mancata o inesatta esecuzione in un contenuto obbligatorio del committente verso un creditore, quanto piuttosto nello svolgimento di mansioni dannose per un terzo privo di una pregressa relazione qualificata con il debitore, ferma la naturalistica alterita’ dei soggetti imputabili dell’illecito (il preponente, il preposto): e proprio per cio’ si richiede la preposizione e l’occasionalita’ necessaria (Cass., Sez. U., 16/05/2019, n. 13246) per la configurazione di una responsabilita’ (concordemente ritenuta oggettiva) del “dominus”;
come accennato nell’incipit di questo §4, la sopravvenuta L. n. 24 del 2007, al di la’ dei peculiari contenuti delle singole disposizioni espressione della discrezionalita’ regolatoria del legislatore, costituisce, nella cornice della specialita’ della materia, indice ermeneutico d’indirizzo a supporto della ricostruzione qui esposta e che muove dalle appena indicate premesse;
4.1. questa Corte ha chiarito (Cass., 05/07/2017, n. 16512) che, poiche’ nella fattispecie di cui all’articolo 2049 c.c. i due soggetti, il padrone ed il commesso, rispondono per titoli distinti ma uno solo di essi e’ l’autore del danno, non si verifica l’ipotesi del concorso nella produzione del fatto dannoso e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio secondo i criteri fissati dall’articolo 2055 c.c. Non essendo configurabile alcun apporto propriamente causale del preponente alla verificazione del danno, ferma la corresponsabilita’ solidale nei confronti del danneggiato, il preponente responsabile – in estensione della tutela del terzo – per il fatto altrui, puo’ agire in regresso contro l’effettivo autore del fatto per l’intero e non “pro quota”;
e’ stato in particolare affermato che, sebbene la norma di cui all’articolo 2055 c.c., comma 2, non detti alcuna disciplina del regresso nell’ipotesi di concorso tra responsabili senza colpa e colpevoli, deve riconoscersi che, dovendo escludersi in tal caso la possibilita’ di ripartire l’onere del risarcimento tra i coobbligati in proporzione a distinte colpe e quindi di attribuire al responsabile per fatto altrui (come il committente), per definizione estraneo alla produzione dell’evento dannoso, una qualsiasi porzione dell’onere nei rapporti interni col responsabile diretto del fatto dannoso, il responsabile mediato o indiretto, che ha risarcito il danno in ragione della solidarieta’ verso il danneggiato, potra’ logicamente esercitare l’azione di regresso, nei confronti dell’autore immediato del danno, per l’intera somma pagata (Cass., 05/09/2005, n. 17763; conforme Cass., 01/12/2016, n. 24567 e Cass., 08/10/2008, n. 24802, ma gia’ Cass. 12/02/1982, n. 856);
ne’ in specie contraddice questa ricostruzione Cass. 27/07/2011, n. 16417, che si occupa del diverso caso dell’azione di regresso proposta dai corresponsabili solidali del commesso, nella misura determinata dalla gravita’ della colpa di quest’ultimo, nei confronti del committente;
quanto sopra spiega perche’ in questa ipotesi vi sia regresso per l’intero, e la necessita’ di differenziare la fattispecie di cui all’articolo 1228 c.c.;
cio’ proprio perche’, in questo secondo e differente caso, la responsabilita’ di chi ha volontariamente incaricato l’ausiliario, e organizzato attraverso questo incarico l’esecuzione della propria obbligazione per i fini negoziali perseguiti, e’, appunto, per fatto proprio, e non altrui;
5. sulla base di tali premesse, in tema di responsabilita’ medica, appaiono prospettabili, in astratto, tre diverse soluzioni, al fine di identificare i limiti quantitativi dell’azione di rivalsa:
a) danno da “malpractice” medica addebitato alla sola struttura, senza diritto di rivalsa nei confronti del medico, quando la condotta degli ausiliari si ritenga inserita, senza deviazioni, nel percorso attuativo dell’obbligazione assunta, collocandosi “tout court” nell’area del rischio dell’impresa sanitaria (in proposito, sia pur senza esplorare il tema, Cass., 04/03/(OMISSIS), n. 4400, discorre opportunamente d’immedesimazione organica del medico nella struttura ospedaliera, sia pure, nell’ipotesi, di natura pubblica). Tale soluzione, che troverebbe un suo giuridico fondamento nei sistemi di responsabilita’ cd. “no cumul” (inammissibilita’ del cumulo tra responsabilita’ contrattuale e aquiliana, considerata quest’ultima “assorbita” nell’impegno contrattuale), non pare peraltro predicabile in un ordinamento che non esclude il cumulo, con conseguente possibilita’ di apprezzamento della condotta del medico come rilevante sul piano risarcitorio in quanto integrante, in tesi, un illecito extracontrattuale, se non autonomamente contrattuale, non assorbito dalla sua integrale riconducibilita’ nei confini del programma terapeutico obbligatorio assunto dalla struttura nei confronti del paziente. Infatti, quest’opzione e’ smentita, sia pur indirettamente, dalla novella del 2017, che disciplina in modo esplicito (articolo 9) la rivalsa della struttura nei confronti del sanitario responsabile a titolo aquiliano, sia pur entro ben precisi limiti al contempo come logico – non operanti, nel caso di struttura privata, per l’esercente la professione sanitaria che “presti la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale ovvero che si avvalga della stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente” (articolo 9, comma 6, ultimo periodo e articolo 10, comma 2, della legge citata);
b) danno da “malpractice” addebitata, in sede di rivalsa, al solo sanitario nel caso di colpa esclusiva di quest’ultimo nella produzione dell’evento di danno – soluzione oggi significativamente esclusa in modo testuale dalla menzionata riforma del 2017, che non prevede, peraltro, effetti retroattivi con diritto di rivalsa integrale per l’intero importo risarcitorio corrisposto al danneggiato dalla struttura, facendo cosi’ ricadere, sia pur indirettamente, l’intera obbligazione risarcitoria sull’operatore sanitario, al pari di quanto legittimamente predicabile in una corrispondente vicenda di corresponsabilita’ solidale di tipo contrattuale tra coobbligati;
c) danno da “malpratice” ripartito tra struttura e sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest’ultimo, salvo i casi, del tutto eccezionali, di inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute: si pensi al sanitario che esegua senza plausibile ragione un intervento di cardiochirurgia fuori della sala operatoria dell’ospedale (per utili spunti in tal senso, sia pure in sicuramente diversa, la gia’ citata Cass., Sez. U., 16/05/2019, n. 13246, in cui e’ affermato che lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni e agito per finalita’ esclusivamente personali o egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purche’ la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalita’ necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui e’ titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalita’ adeguata e in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo o illecito, non ne integrino uno sviluppo oggettivamente anomalo);
6. e’ convincimento del Collegio che l’ultima delle soluzioni prospettate risulti la piu’ conforme a diritto;
7. dovendo escludersi l’ipotesi che il giudizio di rivalsa integri gli estremi di un’ordinaria azione da inadempimento del contratto che lega la struttura sanitaria al medico, posto che, come ricostruito, tale profilo contrattuale non risulta assorbente rispetto alle implicazioni della responsabilita’ medica verso terzi, i criteri generali della relativa quantificazione non possono che essere ricondotti, sia pure in modo complessivamente analogico, al portato degli articoli 1298 e 2055 c.c., a mente dei quali il condebitore in solido che adempia all’intera obbligazione vanta il diritto di rivalersi, con lo strumento del regresso, sugli altri corresponsabili, secondo la misura della rispettiva responsabilita’ In presenza di un unico evento dannoso astrattamente imputabile a piu’ soggetti, sia in tema di responsabilita’ contrattuale che extracontrattuale, per ritenere tutti i soggetti tenuti ad adempiere all’obbligo risarcitorio e’ sufficiente, per costante giurisprudenza di questa Corte, in base ai principi sul concorso di concause nella produzione dell’evento, che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno (da ultimo, Cass. 6 dicembre 2017, n. 29218);
7.1. al riguardo va ulteriormente premesso che, secondo il costante orientamento di questa Corte in tema di responsabilita’ solidale dei danneggianti, l’articolo 2055 c.c., comma 1, richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a piu’ persone, ancorche’ le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilita’ di ciascuna di tali persone e anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilita’ contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicita’ del fatto dannoso considerata dalla norma dev’essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come – ovvero si astrae dalla – identita’ delle norme giuridiche da essi violate (Cass., 1701/2019, n. 1070, Cass., 16/12/2005, n. 27713);
per sovrapponibili ragioni e’ stato affermato che, quando un medesimo danno e’ provocato da piu’ soggetti per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili in solido, non tanto sulla base dell’estensione alla responsabilita’ contrattuale della norma dell’articolo 2055 cod. civ., dettata per la responsabilita’ extracontrattuale, quanto perche’, sia in tema di responsabilita’ contrattuale che di responsabilita’ aquiliana, se un unico evento dannoso e’ imputabile a piu’ persone, al fine di ritenere la responsabilita’ di tutte nell’obbligo risarcitorio, e’ sufficiente – in base ai principi che regolano il nesso di causalita’ e il concorso di piu’ cause efficienti nella produzione dell’evento, dei quali l’articolo 2055, c.c., costituisce un’esplicitazione – che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (Cass., 30/03/2010, n. 7618, Cass., 09/11/2006, n. 23918);
8. cio’ posto, in linea di principio, la misura del regresso in parola varia a seconda della gravita’ della rispettiva colpa e dell’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate. Dell’articolo 2055 c.c., il comma 3 detta, peraltro, una presunzione “iuris tantum” di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori solidali, che impone al “solvens” di provare la diversa misura delle colpe e della derivazione causale del sinistro: “l’interesse sara’ dell’attore se pretenda il rimborso di una somma superiore alla meta’; sara’ del convenuto se intende opporsi ad una richiesta pari alla meta’, opponendo la propria totale assenza di colpa ovvero il grado inferiore di questa, poiche’ trattasi di fatto impeditivo della presunzione di pari concorso di colpa” (Cass., 10/02/2017, n. 3626);
9. dal suo canto, l’articolo 1298 c.c., detta la regola secondo la quale l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori in parti che si presumono eguali, “se non risulti diversamente”;
10. in questa cornice, e riprendendo le premesse poc’anzi poste, va rimarcato come il medico operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attivita’, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non puo’ essere agevolmente “isolata” dal piu’ ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso e’ parte integrante, mentre il gia’ citato articolo 1228 c.c., fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla liberta’ del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalita’ prescelte, secondo la struttura di responsabilita’ da rischio d’impresa (“cuius commoda eius et incommoda”) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilita’ organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse;
11. ne consegue che, se la struttura si avvale della “collaborazione” dei sanitari persone fisiche (utilita’) si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati (danno): la responsabilita’ di chi si avvale dell’esplicazione dell’attivita’ del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non gia’ in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensi’ nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (Cass., 27/03/2015, n. 6243), realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l’avvalimento dell’attivita’ altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr. Cass., 06/06/ 2014, n. 12833);
12. ne consegue, anche in questa chiave, l’impredicabilita’ di un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti del medico, in quanto, diversamente opinando, l’assunzione del rischio d’impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva, nel solo rischio d’insolvibilita’ del medico cosi’ convenuto dalla stessa;
13. tale soluzione deve incontrare un limite laddove si manifesti un evidente iato tra (grave e straordinaria) “malpractice” e (fisiologica) attivita’ economica dell’impresa, che si risolva in vera e propria interruzione del nesso causale tra condotta del debitore (in parola) e danno lamentato dal paziente;
14. per ritenere superata la presunzione di divisione paritaria “pro quota” dell’obbligazione solidale evincibile, quale principio generale, dagli articoli 1298 e 2055 c.c., non basta, pertanto, escludere la corresponsabilita’ della struttura sanitaria sulla base della considerazione che l’inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, ma occorre considerare il duplice titolo in ragione del quale la struttura risponde solidalmente del proprio operato, sicche’ sara’ onere del “solvens” dimostrare non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell’evento dan. noso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalita’, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilita’ sul piano dei rapporti interni;
15. tale conclusione e’ stata di recente avvalorata, sia pure “parte qua”, da questa stessa Corte, la quale ha specificato che l’accertamento del fatto di inadempimento imputato al sanitario non fa venire meno i presupposti ne’ della responsabilita’ della struttura ai sensi dell’articolo 1228 c.c. (posto che l’illecito dell’ausiliario e’ requisito costitutivo della responsabilita’ del debitore), ne’ della responsabilita’ della stessa struttura ai sensi dell’articolo 1218 c.c., spettando alla struttura l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, “onere che va tenuto fermo anche in relazione ai rapporti interni tra condebitori solidali proprio al fine di verificare se la presunzione pro quota paritaria possa dirsi superata” (Cass. 05/07/2017, n. 16488);
16. in assenza di prova (il cui onere grava sulla struttura sanitaria adempiente) in ordine all’assorbente responsabilita’ del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile “malpractice”, dovra’, pertanto, farsi applicazione del principio presuntivo di cui sono speculare espressione l’articolo 1298 c.c., comma 2 e l’articolo 2055 c.c., comma 3;
17. infine va ribadito che, nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, la graduazione delle colpe puo’ essere domandata anche in vista della rivalsa seppure non ancora esercitata (Cass., 20/12/2018, n. 32930, Cass., 25/07/2006, n. 16939, Cass., 05/10/2004, n. 19934);
18. per completezza d’indagine, va infine osservato come la responsabilita’ della struttura sanitaria destinata a scaturire “ex se” da un’attivita’ che impone – dovendo conformarsi a criteri di organizzazione e gestione certamente distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico – l’adozione di uno stringente “standard” operativo, vada a modellarsi secondo criteri di natura oggettiva, a differenza di quanto invece predicabile con riferimento all’attivita’ del singolo sanitario, ai sensi dell’espressa disposizione di cui alla L. n. 24 del 2017, articolo 7, comma 1 ove si discorre di responsabilita’ scaturente “dalle condotte dolose o colpose di quest’ultimo”, in assenza delle quali (e salvo quanto sopra evidenziato), nessun addebito potra’ essere legittimamente mosso alla struttura, a conferma della bonta’ della ricostruzione teorica che la vede responsabile “per fatto proprio” dell’agire dei suoi dipendenti;
19. Puo’ formularsi il seguente principio di diritto: “in tema di danni da “malpractice” medica nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, nell’ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilita’ dev’essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d’inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata”;
20. nella fattispecie in scrutinio, la struttura sanitaria (privata) ricorrente, che ha pacificamente pagato la danneggiata in corso di giudizio, non deduce ne’ di aver provato ma neppure di aver allegato specificatamente l’imprevedibile e del tutto dissonante “malpractice” medica nei termini ricostruiti, sicche’ la censura va rigettata;
21. spese compensate attesi i profili di novita’ delle ricostruzioni nomofilattiche esposte.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Spese compensate.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, la Corte da’ atto che il tenore del dispositivo e’ tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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