Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 29 aprile 2020, n. 2724.
La massima estrapolata:
L’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili in una zona in cui per i divieti contenuti negli strumenti urbanistici tale opera non sarebbe realizzabile determina la variazione della destinazione urbanistica della zona e rende conforme alle disposizioni urbanistiche la localizzazione dell’impianto senza la necessità di alcun ulteriore provvedimento di assenso all’attività privata.
Sentenza 29 aprile 2020, n. 2724
Data udienza 27 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Fonti rinnovabili – Impianto di produzione di energia – Realizzazione in una zona in cui non sarebbe realizzabile – Autorizzazione – Conseguenze – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10702 del 2014, proposto da
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Te. Bo., domiciliato presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
Provincia di Torino (ora Città metropolitana di Torino), in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Co., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Società Agricola Ca. Bi. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Ug. Be., Ri. Lu. e Pa. Mi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pa. Mi. in Roma, via (…);
A.R.P.A. Piemonte – Agenzia Regionale per la protezione ambientale, Regione Piemonte, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte Sezione Prima n. 01487/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società Agricola Ca. Bi. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Federico Di Matteo, nessuno è comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con istanza 6 agosto 2010 la Società Agricola Ca. Bi. s.r.l. domandava alla Provincia di Torino il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, per la realizzazione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica e termica alimentato da reflui zootecnici e biomassa vegetale nel territorio del Comune di (omissis).
La Provincia di Torino avviava l’iter procedurale con la convocazione della Conferenza di servizi prevista dal citato art. 12, alla quale intervenivano, oltre a suoi rappresentanti e della società proponente, il Comune di (omissis), l’A.R.P.A. Piemonte e l’A.S.L. TO5.
Il Comune di (omissis) si opponeva al progetto per la vicinanza dell’impianto all’abitato.
In conclusione della seduta, il Dirigente della Provincia di Torino invitava la Società richiedente a presentare integrazioni documentali sulle criticità emerse, riservandosi “di valutare le questioni irrisolte”.
1.1. La richiesta istruttoria, meglio specificata con nota della Provincia di Torino del 1° dicembre 2010, era regolarmente ottemperata dal privato.
Nelle more della definizione del procedimento, il Comune di (omissis), con deliberazione consiliare 30 marzo 2011 n. 44, adottava una variante parziale al piano regolatore finalizzata all’introduzione di distanze minime degli impianti a biogas dagli abitati.
La deliberazione era trasmessa alla Provincia di Torino con nota del 19 aprile 2011.
Con determinazione dirigenziale 17 giugno 2011, la Provincia di Torino rilasciava l’autorizzazione unica alla realizzazione dell’impianto.
2. Insorgeva il Comune di (omissis) che ne domandava l’annullamento al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte; con sentenza 15 febbraio 2012, n. 237 il ricorso era accolto.
Il tribunale riteneva illegittimo il provvedimento per essere stato adottato quando ancora non potevano dirsi conclusi i lavori della conferenza di servizi; gli enti partecipanti, infatti, si erano limitati ad esprimere posizioni interlocutorie, sostanzialmente contrarie al progetto.
In assenza di una volontà ben definita in ordine alla realizzazione dell’impianto, dunque, il responsabile del procedimento, ricevute le integrazioni istruttorie e documentali richieste, avrebbe dovuto sottoporle agli enti coinvolti, riconvocandoli, a tal fine, in nuova seduta.
Tale incombenza era, così, posta a carico della Provincia cui il tribunale richiedeva, altresì, di sottoporre al giudizio della conferenza se potesse essere d’impedimento la variante al piano regolatore con cui erano stati medio tempore introdotti più stringenti limiti di distanza dal centro abitato per la collocazione di impianti di biogas.
2.1. La Provincia di Torino procedeva a riconvocare la conferenza di servizi; nella seduta del 6 aprile 2012 il Comune di (omissis) ribadiva i profili di criticità espressi in precedenza con particolare riguardo al potenziale impatto acustico, odorigeno e in termini di aumento del traffico veicolare che l’impianto poteva determinare sul vicino centro abitato e invitava a tener conto del mancato rispetto delle distanze minime introdotte dalla ricordata variante urbanistica.
All’esito della conferenza, il responsabile del procedimento, considerati i pareri espressi da tutti gli enti partecipanti, dichiarava la conferenza di servizi “favorevolmente conclusa” e con provvedimento 22 maggio 2015 n. 80-20331/2012 rilasciava alla società richiedente l’autorizzazione alla costruzione ed esercizio dell’impianto proposto.
3. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte il Comune di (omissis) impugnava anche il nuovo provvedimento di autorizzazione sulla base di sette motivi integrati da ulteriori quattro motivi aggiunti notificati in corso di causa.
Altri motivi aggiunti erano proposti avverso la nota 4 febbraio 2014 con la quale la Provincia di Torino respingeva la richiesta del Comune, del 22 gennaio 2013, di dichiarare la sopravvenuta inefficacia dell’autorizzazione per mancato avvio dei lavori nel termine di un anno dal suo rilascio della stessa.
3.1. Il giudizio, nel quale si costituiva la Provincia di Torino e la Società agricola Ca. Bi. s.r.l., era concluso dalla sentenza sez. I, 18 settembre 2014, n. 1487, di reiezione del ricorso principale e dei motivi aggiunti. Le spese di lite erano compensate.
Il giudice di primo grado riteneva:
– che il Comune di (omissis) avesse espresso un “puro parere negativo”, e non un “dissenso costruttivo” ai sensi dell’art. 14 – quater l. 7 agosto 1990, n. 241, per l’assenza di indicazioni sulle possibili modifiche da apportare al progetto;
– che, quindi, la Provincia di Torino ben potesse ritenere superabile il predetto dissenso mediante ponderazione delle esigenze comunali di pianificazione e programmazione del territorio con quelle di approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili e che la valutazione finale, di compatibilità dell’impianto con le caratteristiche dell’area del territorio comunale interessata (considerati a tal fine i richiamati approfondimenti tecnici in punto di impatto odorigeno, di traffico e di inquinamento acustico dai quali emergeva l’idoneità del sito ad ospitare l’impianto), fosse ben motivata ed esente da censura;
– che anche le criticità relative all’aumento del traffico veicolare (e del conseguente peggioramento delle condizioni di vivibilità della zona) fossero state ben superate dalla Provincia mediante richiamo alle relazioni prodotte dalla società che stimavano un modesto aumento del traffico, limitato solamente ad alcuni periodi dell’anno, e, comunque, non tale da provocare un peggioramento delle condizioni di vivibilità, senza, peraltro, alcun superamento dei limiti previsti per le immissioni odorifere ed acustiche;
– che la Provincia non fosse tenuta a rimettere gli atti e la decisione al Consiglio dei Ministri, per essere il procedimento de quo integralmente regolato dal d.lgs. n. 387 del 2003, con disposizioni speciali prevalenti su quelle generali e, comunque, perché l’art. 14 – bis l. n. 241 del 1990 riservava tale fase procedimentale solo alle opere interregionali;
– che la variante urbanistica introduttiva di distanze più ampie da rispettare per la localizzazione degli impianti come quello autorizzato, non avrebbe potuto impedire il rilascio dell’autorizzazione per la sua valenza legale di variante allo strumento urbanistico, prevista proprio allo scopo di dar attuazione al principio dello sviluppo sostenibile impedendo agli enti locali di porre limitazioni non presenti nella disciplina statale in sede di pianificazione urbanistica;
– che, infine, l’autorizzazione non avesse perso efficacia per mancato avvio dei lavori nel termine di un anno dal suo rilascio in quanto la società aveva dimostrato l’intendimento di procedere alla costruzione dell’impianto con una serie di attività preparatorie (quali la presentazione di inizio lavori, le notifiche in materia di sicurezza, l’insediamento del cantiere e la realizzazione del piazzale per le opere di scavo).
4. Propone appello il Comune di (omissis); si è costituita la Città metropolitana di Torino (già Provincia di Torino) e la Società agricola Ca. Bi. s.r.l.; le parti intimate hanno presentato memorie ex art. 73, comma 1, Cod. proc. amm.
All’udienza pubblica del 27 febbraio 2020 la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
1. Nei primi due motivi di appello il Comune di (omissis) ripropone, in forma di critica alla sentenza di primo grado, le ragioni, già esposte nei motivi di ricorso, per le quali la Provincia di Torino non avrebbe potuto rilasciare alla Società Ca. Bi. s.p.a. l’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003.
Così nel primo motivo (“Violazione del giudicato – art. 21 septies legge 241/90. Violazione di legge in relazione all’art. 14 della legge 241/90 e s.m.i.. Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, carenza e/o insufficienza istruttoria e di motivazione. Sviamento”), lamenta che: a) la conferenza di servizi si era conclusa con la prevalenza di pareri negativi alla realizzazione dell’impianto, poiché erano stati acquisiti, ma risultavano ininfluenti, i pareri delle amministrazioni non intervenute, mentre erano non determinanti quello della parte privata e della provincia procedente; b) il suo dissenso non era immotivato perché non si era detta contraria alla realizzazione dell’impianto, ma solo ne aveva richiesto la realizzazione in campagna e non a ridosso del centro abitato; c) la politica comunitaria di incentivazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili non poteva prevalere sulle scelte comunali di pianificazione e programmazione, specialmente ove l’ente locale avesse, come nel caso di specie, rimarcato la propria contrarietà alla realizzazione dell’impianto per la sua stretta vicinanza al centro abitato.
Nel secondo motivo dell’appello (“Violazione di legge in relazione all’art. 12 comma 3 e 4 d. Lgs. 29 dicembre 2003 n. 387. Violazione delle regole di comparazione degli interessi. Eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria, parzialità dell’istruttoria e della motivazione”), la critica alla sentenza di primo grado è di non aver adeguatamente approfondito, anche mediate istruttoria, le carenze segnalate nella motivazione del provvedimento impugnato in punto di corretto apprezzamento dell’aumento del traffico veicolare e del peggioramento delle condizioni di vivibilità della zona ed aver, invece, ritenuto convincente la documentazione fornita dal privato proponente.
2. I motivi sono infondati.
2.1. Per quanto non possa dirsi, come fa la sentenza di primo grado, che il Comune di (omissis) abbia espresso un “dissenso immotivato”, per aver, invece, esposto varie ragioni di contrarietà alla realizzazione dell’impianto, tutte latamente riconducibili all’impatto dell’opera sul territorio comunale, cionondimeno, è corretto ritenere che la Provincia procedente non avrebbe potuto concludere i lavori della conferenza negando l’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003.
2.2. La conferenza di servizi prevista dal 4° comma del richiamato art. 12, infatti, va svolta “nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni”; l’art. 14 – ter l. n. 241 del 1990, nella formulazione vigente al momento dei fatti di causa, prevedeva, al comma 6-bis, che: “All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui ai commi 3 e 4, l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, può adire direttamente il Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 26, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152; in tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che costituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti o, comunque, invitate a partecipare ma risultate assenti alla predetta conferenza”.
La conferenza di servizi risulta caratterizzata, dunque, da una struttura dicotomica, articolata in una fase che si conclude con la determinazione della conferenza con valenza endoprocedimentale, ed in una successiva fase che si conclude con l’adozione del provvedimento finale, con valenza esoprocedimentale ed esterna, riservata all’Autorità procedente previa valorizzazione delle risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti ivi espresse, regola, quest’ultima, dal contenuto flessibile, in quanto resta ferma l’autonomia del potere provvedimentale dell’Autorità, purchè dotato di adeguata motivazione (cfr. Cons. Stato, sez, V, 12 novembre 2018, n. 6342, VI, 21 ottobre 2013, n. 5084).
2.3. La Provincia di Torino ha chiaramente esposto, nell’atto conclusivo della conferenza di servizi, la ragione ed il modo per superare le criticità indicate dal Comune di (omissis), in punto di impatto visivo, acustico ed odorigeno dell’opera, di incremento del traffico veicolare, di contrasto con le distanze minime imposte dalla variante urbanistica approvata.
Nel complesso la Provincia ha tenuto conto delle legittime preoccupazioni espresse dal Comune di (omissis) per gli effetti, pregiudizievoli per il territorio e la cittadinanza interessata, potenzialmente derivanti dalla realizzazione di un impianto di biogas, e saputo dimostrare, servendosi della documentazione fornita dagli uffici tecnici ed dagli enti specializzati, come dette preoccupazioni fossero, in definitiva, infondate, ovvero, laddove avessero un effettivo riscontro, superabili con apposite prescrizioni.
In sostanza, la Provincia ha correttamente preso atto che la volontà emersa in sede di conferenza di servizi non era quella di impedimento definitivo alla realizzazione dell’impianto, il quale, al contrario, era ritenuto assentibile sia pure alla luce delle considerazioni riportate dagli organi tecnici, e non, invece, come ipotizza il Comune per la sempre dovuta prevalenza del principio di derivazione comunitaria, di massima diffusione di impianti di energie rinnovabili sulle esigenze di pianificazione comunale.
D’altronde – e in questo modo è data risposta anche ad altra censura riproposta dall’appellante – la precedente sentenza del TAR Piemonte n. 237 del 2012 aveva contestato alla Provincia proprio di non aver consentito l’emersione di una precisa volontà in sede di conferenza, avendone interrotto lo svolgimento quando ancora doveva discutersi dei pareri tecnici acquisiti, ed, ancora, aveva imposto di prendere in considerazione tutti i vincoli, ivi compresi quelli derivanti dalla variante urbanistica approvata, potenzialmente impeditivi dell’autorizzazione.
La Provincia, dunque, lungi dal porsi in contrasto con il precedente giudicato, ne ha dato piena attuazione.
2.4. Oppone, però, l’appellante, nel secondo motivo, che dal calcolo del numero dei passaggi dei mezzi necessari all’approvvigionamento dell’impianto, considerati con le caratteristiche abitative della zona di attraversamento, si avrebbe un impatto del traffico veicolare non certo di scarso rilievo.
I pareri tecnici sarebbero, inoltre, inattendibili come dimostrato dal contrasto tra le indicazioni del numero di passaggio giornalieri secondo la valutazione di impatto acustico e secondo lo studio sull’impatto del traffico veicolare sul territorio.
2.5. L’argomento non convince, e comunque, la critica non trova rispondenza nei documenti versati in atti.
Preliminarmente occorre dire che la Provincia, nella valutazione dell’impatto veicolare, non si è limitata ad un mero calcolo matematico – rispetto al quale si potrebbe dubitare del criterio utilizzato – ma ha espresso più ampie considerazioni circa le caratteristiche dell’area interessata, di carattere agricolo, e per questo, con densità abitativa inferiore alla media comunale e intensità di traffico veicolare tendenzialmente bassa, anche in ragione dell’assenza di attività industriali e/o artigianali di rilievo.
Da simile rilievo è agevole qui concludere che l’area potrebbe sorreggere l’incremento del traffico veicolare anche se, per ipotesi, non fosse quello di due o tre mezzi l’ora nei mesi di approvvigionamento delle biomasse di cui riferisce la Provincia riportato negli atti impugnati.
Si aggiunga che il parere di Agri-geo studio associato in cui è contenuto lo “Studio sull’incidenza del traffico ed eventuale proposta di mitigazione e sistemazione delle strade” – dal quale, peraltro, l’appellante trae i dati che utilizza a sostegno della sua tesi – riferisce esattamente della quantità di tonnellate di materiale trasportate ad ogni viaggio ed indica il numero di viaggi necessari all’approvvigionamento dell’impianto per ciascun materiale utilizzato (mais, tricale, sorgo, ed altri), ed è per questo pienamente attendibile anche per la scelta di spalmare il numero di viaggi per i mesi dell’anno a seconda della maggiore o minore affluenza delle materia e defluenza dei prodotti dall’impianto.
Non pare, infine, corretto parlare di contrasto tra i due pareri; la valutazione di impatto acustico è meno dettagliata nella determinazione dei passaggi veicolari di quanto lo sia lo studio sull’impatto del traffico veicolare, ma i dati risultano mediamente corrispondenti.
3. Nel terzo motivo d’appello il Comune di (omissis) trascrive integralmente il quarto, quinto, sesto e settimo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, per poi, nella parte finale, dolersi della loro reiezione da parte del giudice di primo grado con motivazioni che definisce “non congrue” o “inconferenti” o “per altri aspetti contraddittorie”.
3.1. Siffatte censure sono inammissibili perché prive del carattere di specificità richiesto ai motivi di appello dall’art. 101, comma 1, cod. proc. amm. (per limitarsi alle più recenti, Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2020, n. 1751; VI, 11 marzo 2020, n. 1745; V, 5 marzo 2010, n. 1605; II, 2 marzo 2020, n. 1491).
Le contestazioni sono rivolte al capo di sentenza reiettivo dei motivi sulla violazione dei criteri di localizzazione degli impianti di biogas fissati dalla delibera di variante assunta dal Comune di (omissis) con delibera consiliare il 30 marzo 2011, n. 44 e dalle norme di attuazione (3.3.11 e 3.3.11 bis) del PRG comunale contenenti prescrizioni sulle distanze dalle aree di insediamento urbano per le “vasche e lagoni di raccolta di liquami” e per “lo stoccaggio di insilati e biomasse vegetali non legnose”.
Il tribunale ha motivatamente spiegato: a) che l’autorizzazione unica di cui all’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 costituisce, per espressa previsione normativa, variante allo strumento urbanistico onde le disposizioni dettate in ambito urbanistico non possono essere d’impedimento alla realizzazione degli impianti e b) che il corretto inserimento degli impianti nell’ambiente è preservato dalle linee – guida cui fa riferimento l’ultimo comma dell’articolo 12 da adottarsi in Conferenza unificata contenenti l’approvazione dei criteri in base ai quali le Regioni possono indicare aree e siti non idonei all’installazione degli impianti; infine, c) che le disposizioni sulla distanza delle vasche di raccolta di liquami o stalle dagli abitati sono dettate in relazione agli allevamenti e non alla realizzazione di impianti di biogas poiché in essi le vasche sono incorporate all’interno dell’impianto.
A tali puntuali considerazioni l’appellante non oppone alcuna specifica contestazione che possa indurre a diverso convincimento in ordine ai motivi proposti, ma si limita ad esprimere la sua insoddisfazione verso la decisione assunta.
3.2. L’unica specifica contestazione contenuta nel motivo d’appello riguarda il passaggio nel quale il tribunale ritiene inapplicabile la delibera della Regione Piemonte 30 gennaio 2012, n. 6-3315, sull’individuazione delle aree e dei siti non idonei all’installazione ed esercizio di impianti per la produzione elettrica alimentati da biomasse, in quanto riferibile alle sole domande pervenute dopo il 30 gennaio 2012.
Oppone l’appellante, al riguardo, che ad assumere rilevanza debba essere non la data di presentazione della domanda ma quella di conclusione del procedimento, che, in questo caso, sarebbe avvenuto in epoca successiva alla data di entrata in vigore della delibera.
Anche in questo caso, però, la censura è, prima ancora che infondata, non centrata considerato che il giudice di primo grado ha inteso affermare che è la stessa delibera regionale a definire il dies ad quem della sua applicabilità alle domande presentate dal giorno successivo alla sua approvazione, onde l’appellante avrebbe dovuto contestare la decisione di primo grado sotto tale specifico profilo. Ad ogni buon conto, nel merito, è confermato che la delibera regionale, alla lett. b) del dispositivo stabilisce che “il presente provvedimento si applica a tutte le istanze presentate dal giorno successivo alla sua approvazione”.
3.3. Considerazioni analoghe in punto di inammissibilità valgono per il quarto motivo di appello nel quale sono integralmente trascritti i primi motivi aggiunti e solo nell’ultima parte giudicata non esauriente la trattazione delle censura, senza, peraltro alcuna precisazione circa i punti ritenuti non adeguatamente approfonditi.
Anche di tale motivo, dunque, ne va dichiarata l’inammissibilità .
V’è, al termine dell’esposizione, poi, una critica sulla portata dell’effetto di variante riconosciuto dall’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 387 del 2003 all’autorizzazione unica, che, secondo l’appellante, non potrebbe giustificare il trasferimento all’autorità delegata al rilascio dell’autorizzazione di competenze nella gestione del territorio e nella rappresentanza delle istanze locali, unitamente alla salvaguardia delle condizioni di vita.
Al riguardo, anche a voler superare la genericità della censura, va rammentato che la giurisprudenza ha precisato che l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili in una zona in cui per i divieti contenuti negli strumenti urbanistici tale opera non sarebbe realizzabile determina la variazione della destinazione urbanistica della zona e rende conforme alle disposizioni urbanistiche la localizzazione dell’impianto (Cons. Stato, V, 15 gennaio 2020, n. 377; V, 13 marzo 2014, n. 1180, anche in presenza di parere negativo del Comune), senza la necessità di alcun ulteriore provvedimento di assenso all’attività privata.
Tale effetto legale non comporta deroga al riparto di competenze e, segnatamente, alle competenze dei Comuni nel governo del territorio necessariamente coinvolti, invece, nella conferenza di servizi e tenuti in detta sede ad esercitare le prerogative di tutela dell’ordinato assetto urbanistico (e, in generale, degli interessi della comunità di riferimento), senza, però, che ne possa per ciò solo venire paralizzata l’azione amministrativa, nel caso, come quello qui esaminato, in cui il Comune opponga ragioni di impedimento superabili dall’Autorità procedente.
4. Con ultimo motivo d’appello la sentenza è censurata per “Violazione di legge in relazione agli artt. 7, 8 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione delle prescrizioni contenute nella autorizzazione unica n. 124-29885/2012 del 20 luglio 2012 rilasciata ai sensi dell’art. 12 D.Lgs. 387/03 alla Società Agricola Ca. Bi. s.r.l.. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti, irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà “: il giudice avrebbe erroneamente respinto i secondi motivi aggiunti diretti a contestare il (provvedimento di) rigetto dell’istanza del Comune finalizzata ad ottenere la declaratoria di inefficacia dell’autorizzazione per mancato avvio dei lavori nel termine previsto del 10 luglio 2013.
4.1. Il giudice di primo grado, in effetti, ha ritenuto di non dover annullare il provvedimento per mancata comunicazione del preavviso di rigetto poiché quella del Comune non era una posizione di interesse alla partecipazione al procedimento e, comunque, perché l’autorizzazione non era divenuta inefficace avendo l’impresa intrapreso, entro l’anno dalla comunicazione dell’autorizzazione, talune attività – presentazione di inizio lavori, notifiche in materia di sicurezza, l’insediamento del cantiere, la realizzazione del piazzale per le opere di scavo – qualificate come “avvio dei lavori” dalla Provincia con apprezzamento non censurabile.
4.2. Il Comune appellante oppone che la declaratoria di inefficacia dell’autorizzazione consegue ad un nuovo procedimento di suo sicuro interesse avendone presentato istanza di avvio, e, che, d’altra parte, il giudice non avrebbe considerato che, subordinando l’efficacia dell’autorizzazione all’avvio dei “lavori di realizzazione dell’impianto” entro l’anno, la Provincia avrebbe inteso far riferimento alle opere visibili, di trasformazione del suolo e installazione delle strutture, e, principalmente alle opere edili, pacificamente non iniziate dalla società nel termine imposto.
5. Il motivo è infondato, ma la motivazione della sentenza va precisata nei termini che seguono.
5.1. Come evidenziato dall’appellante, la questione va affrontata alla luce della clausola contenuta nell’autorizzazione per la quale la stessa “perde efficacia se i lavori per la realizzazione dell’impianto non sono avviati entro un anno dal rilascio e conclusi entro i 2 anni successivi, salvo proroga motivata espressamente richiesta dall’impresa”.
Secondo il Comune, non avendo la società compiuto nel termine annuale “opere di scavo o/e di cemento armato”, i lavori non potevano ritenersi avviati e l’autorizzazione era non più efficace; la Provincia ha ritenuto, invece, essere stati avviati i lavori con le attività preparatorie effettuate dalla società .
5.2. Ritiene il Collegio che la posizione della Provincia – e con essa quella del giudice di primo grado – sia condivisibile: non v’è ragione per intendere “i lavori di realizzazione dell’impianto”, al cui avvio entro l’anno era subordinata la perdurante efficacia dell’autorizzazione, in senso restrittivo come riferito alle sole opere edilizie, dovendosi invece propendere, data anche la complessità della realizzazione dell’impianto, per una interpretazione ampia, nel senso che fosse necessario dimostrare l’effettivo intento di dar seguito all’ottenuta autorizzazione anche attraverso attività prodromiche, quali, appunto, l’avviamento del cantiere, peraltro, avvenuta, in tal caso con opere visibili come il posizionamento di container da utilizzare quale ricovero per attrezzi e personale e la costruzione del piazzale per la movimentazione del macchinari.
5.3. Quanto alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, a prescindere dalla posizione del Comune che certo era interessato ai suoi esiti, vale evidenziare che la richiesta del Comune di (omissis) alla Provincia non può essere considerata vera e propria “istanza” ma solo mero sollecito, nella collaborazione tra amministrazioni, all’esercizio dei poteri di controllo cui l’amministrazione è tenuta ex officio; si è fuori, pertanto, dall’ambito di applicazione del preavviso di rigetto, il quale è dovuto ai sensi dell’art. 10 – bis l. 7 agosto 1990, n. 241 solo in caso di procedimento “ad istanza di parte” in senso stretto.
6. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado integralmente confermata.
7. La peculiarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione delle spese anche del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra tutte le parti in causa le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Federico Di Matteo – Consigliere, Estensore
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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