Attività di gestione e smaltimento dei rifiuti

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 25 novembre 2019, n. 47822.

Massima estrapolata:

In tema di attività di gestione e smaltimento dei rifiuti, di cui all’art. 256 d. Igs. 152/2006, il conferimento di specifici incarichi a soggetti terzi non determina in alcun modo la cessazione o l’esautoramento dei poteri demandati all’amministratore di una società che gli impongono, secondo quanto sancito dall’art. 2392 cod. civ., di conservare il patrimonio sociale, impedire che si verifichino danni per la persona giuridica ed assolvere con la necessaria diligenza i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto, i quali si traducono, ove ad altri venga demandata la gestione di determinate attività, nell’esercizio di un puntuale dovere di vigilanza volto ad impedire lo svolgimento di attività illecite o comunque di verificare il corretto adempimento delle incombenze assegnate agli eventuali incaricati o collaboratori. A differenza della delega che comporta il subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento fermo restando, comunque, l’obbligo di vigilanza sul corretto esercizio della delega, il conferimento dell’incarico mantiene, invece, inalterati i poteri così come gli obblighi gravanti sul titolare della posizione di garanzia che risponde in prima persona dell’inosservanza degli obblighi connessi alla carica, comunque derivanti dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo delle attività demandate ai terzi. Pertanto, l’amministratore di diritto di una società risponde del reato di gestione non autorizzata di rifiuti anche nel caso in cui la gestione societaria sia, di fatto, svolta da terzi, gravando sul primo, quale legale rappresentante, i doveri positivi di vigilanza e di controllo sulla corretta. 

Sentenza 25 novembre 2019, n. 47822

Data udienza 31 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 30.1.2018 della Corte di Appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Molino Pietro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS) il quale si e’ riportato ai motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 30.1.2018 la Corte di Appello di Brescia ha integralmente confermato la condanna a 20 giorni di reclusione resa all’esito del giudizio di primo grado dal Tribunale di Bergamo nei confronti di (OMISSIS), ritenuto responsabile del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, articolo 76, comma 3 per aver falsamente attestato, in qualita’ di legale rappresentante della s.r.l. (OMISSIS), societa’ operante nel settore dell’imprenditoria edile, nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio indirizzata all’ARPA ed ai Comuni interessati, redatta ai sensi del Decreto Legge n. 69 del 2003, articolo 41 bis, 3 comma, che il materiale da scavo pari a 2000 mc era stato interamente utilizzato e trasportato presso i siti di destinazione per il loro smaltimento, essendo invece stato smaltito altrove (capo 1), nonche’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a) e comma 2 per aver trasportato e smaltito in luogo non identificato materiale impropriamente qualificato come rocce da scavo, ma di fatto costituito da rifiuti in quanto non trattato secondo la normativa vigente (capo 2).
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo contesta la configurabilita’ dei reati in contestazione deducendo, in relazione al vizio motivazionale, che l’imputato si sia limitato a sottoscrivere, quanto ai dati quantitativi e numerici afferenti l’utilizzo del materiale da scavo, le comunicazioni proveniente dallo studio di geologia “(OMISSIS)” di (OMISSIS) e dall’impresa (OMISSIS) cui aveva commissionato le attivita’ di utilizzo e smaltimento dei rifiuti, qualificati dalla stessa sentenza come non pericolosi e sul cui operato non aveva alcun obbligo di vigilanza. Eccepisce che in ogni caso non vi era alcuna prova della dispersione dei rifiuti assunta dalla sentenza posto che la mail della ditta (OMISSIS) su cui si fonda l’ipotesi accusatoria era priva di sottoscrizione e di data certa e che in ogni caso non vi era neppure la prova del dolo ne’ per il capo 1)1 stante l’erroneita’ dei dati trasfusi nella comunicazione, ne per il capo 2), avendo egli conferito a terzi la gestione dei materiali di risulta. Contesta la sussistenza di accordi economici tra le discariche ed il (OMISSIS), che non poteva avere alcun interesse a stringere accordi in tal senso essendo semmai le ditte incaricate dello smaltimento ad avere quale possibile obiettivo l’abbattimento dei prezzi e il risparmio dei costi per incrementare i propri margini di guadagno. Fa presente comunque di aver intrapreso specifiche iniziative legali nei confronti dei titolari delle ditte incaricate per ottenere in sede civile il risarcimento dei danni subiti.
2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articoli 42, 47 e 48 c.p., di essere stato indotto in errore, nel sottoscrivere la comunicazione di avvenuto utilizzo dai soggetti incaricati della predisposizione delle dichiarazioni ex Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 41 bis (Dott. (OMISSIS)) e dello smaltimento dei materiali (ditta (OMISSIS)), come comprovato nella nota di delucidazione redatta da (OMISSIS) in data 8.8.2016.
2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 131 bis c.p., che lo smaltimento in contestazione, in quanto opera di terzi, non consentiva di desumere il ruolo centrale rivestito dall’imputato nella commissione del reato, avendo costui ricoperto una posizione del tutto marginale, tale da configurare la lieve offensivita’ del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente attenendo entrambi alla responsabilita’ dell’imputato che assume invece aver conferito a terzi l’attivita’ di gestione e smaltimento dei rifiuti da cui scaturiscono i reati contestatigli, incorrono nella censura di inammissibilita’, compendiandosi in censure fattuali e comunque generiche che si sviluppano in assenza del necessario confronto argomentativo con i puntuali rilievi spesi al riguardo dalla Corte distrettuale.
La prospettazione difensiva sostenuta innanzi ai giudici del gravame, secondo la quale l’imputato sarebbe stato inconsapevole vittima dell’attivita’ decettiva posta in essere dai titolari delle ditte incaricate della gestione dei rifiuti che gli avrebbero trasmesso dati numerici difformi da quelli effettivi relativamente al quantitativo del materiale da scavo riutilizzato, dal (OMISSIS) meramente recepiti e percio’ riversati nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio indirizzata all’ARPA, riveste contenuti del tutto diversi dall’errore di battitura, inizialmente propugnato in primo grado, che il ricorrente tenta di reintrodurre nella presente sede di legittimita’, nonostante non fosse stato mai devoluto con l’atto di appello, sul quale percio’ i giudici bresciani non si sono, correttamente, mai pronunciati. Il diverso rilievo che riveste l’inganno perpetrato ai suoi danni rispetto ad una mera svista materiale in cui il prevenuto sarebbe incorso in prima persona nella trasmissione dei dati avendo indicato 2.000 mc il quantitativo del materiale da scavo oggetto di reimpiego in luogo dei 1.000 mc effettivi, tesi quest’ultima puntualmente confutata dal giudice di prime cure in ragione del fatto che vi era la prova documentale di un quantitativo riutilizzato ben inferiore ai 1.000 mc, tale da escludere che vi fosse un errore materiale nei termini indicati, non consente la surrettizia reintroduzione innanzi a questa Corte delle giustificazioni, peraltro di stampo esclusivamente congetturaleie come tali implicanti suggestioni di natura fattuale, la cui disamina e’ inibita nel giudizio di legittimita’. Occorre percio’ rilevare come le argomentazioni spese dalla Corte bresciana finiscano per non trovare alcuna specifica confutazione nel ricorso in esame, che si limita a fornire una lettura alternativa delle risultanze istruttorie in termini di mero dissenso valutativo rispetto alle conclusioni raggiunte dalla sentenza impugnata sulla base di una motivazione intrinsecamente logica e fondata su corretti principi giuridici.
Riguardo al reato di cui al capo 1) non puo’ essere fondatamente evocata l’induzione in errore nella sottoscrizione della dichiarazione ex Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 41 bis a fronte della mancanza di riscontri in ordine alla trasmissione da parte dei titolari delle ditte specializzate di dati diversi da quelli relativi al materiale da scavo effettivamente impiegato e comunque del fatto che era stato lo stesso (OMISSIS) a rendere e a sottoscrivere in prima persona la dichiarazione indirizzata all’ARPA, da tale condotta derivando direttamente la sua responsabilita’ personale per i dati difformi da quelli reali ivi attestati.
Quanto al reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256 rilievo certamente dirimente ed invece negletto dalla difesa e’ quello secondo il quale l’eventuale conferimento delle mansioni afferenti all’attivita’ di gestione e smaltimento dei rifiuti alle ditte indicate non determina il venir meno della posizione di garanzia istituzionalmente rivestita dall’imputato quale legale rappresentante della societa’ che quei rifiuti produceva. Il conferimento di specifici incarichi a soggetti terzi non determina in alcun modo la cessazione o l’esautoramento dei poteri demandati all’amministratore di una societa’ che gli impongono, secondo quanto sancito dall’articolo 2392 c.c., di conservare il patrimonio sociale, impedire che si verifichino danni per la persona giuridica ed assolvere con la necessaria diligenza i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto, i quali si traducono, ove ad altri venga demandata la gestione di determinate attivita’, nell’esercizio di un puntuale dovere di vigilanza volto ad impedire lo svolgimento di attivita’ illecite o comunque di verificare il corretto adempimento delle incombenze assegnate agli eventuali incaricati o collaboratori.
A differenza della delega che comporta il subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento fermo restando, comunque, l’obbligo di vigilanza sul corretto esercizio della delega (Sez. 4, n. 39158 del 18/01/2013 – dep. 23/09/2013, Zugno e altri, Rv. 256878), il conferimento dell’incarico mantiene, invece, inalterati i poteri cosi’ come gli obblighi gravanti sul titolare della posizione di garanzia che risponde in prima persona dell’inosservanza degli obblighi connessi alla carica, comunque derivanti dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo delle attivita’ demandate ai terzi. Come gia’ affermato da questa Corte, l’amministratore di diritto di una societa’ risponde, infatti, del reato di gestione non autorizzata di rifiuti anche nel caso in cui la gestione societaria sia, di fatto, svolta da terzi, gravando sul primo, quale legale rappresentante, i doveri positivi di vigilanza e di controllo sulla corretta gestione della medesima societa’ in virtu’ della carica ricoperta (Sez. 3, n. 25047 del 25/05/2011 – dep. 22/06/2011, Piga, Rv. 250677).
2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche per il terzo motivo che, risolvendosi nella pedissequa reiterazione del motivo di appello, non si confronta con le ragioni esposte nella sentenza impugnata: la mancanza di specificita’ del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, la quale) non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, cade nel vizio di mancanza di specificita’, conducente, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 – dep. 21/02/2013, Leonardo, Rv. 254584).
La posizione marginale rivendicata dal ricorrente nel reato di smaltimento dei rifiuti, che perpetua l’equivocita’ delle doglianze svolte nei motivi gia’ esaminati alla luce della posizione di garanzia da costui ricoperta, teste’ chiarita, tralascia integralmente le argomentazioni spese dalla Corte distrettuale che ha escluso la particolare tenuita’ dell’offesa sul rilievo dell’ingente quantita’ del materiale illecitamente smaltito e della conseguente potenziale dispersione nell’ambiente del medesimo. Tale valutazione, stante la linearita’ e l’intrinseca coerenza della motivazione che la sorregge, e’ insindacabile nella presente sede di legittimita’, dovendo essere considerato che il reato di attivita’ di gestione di rifiuti non autorizzata e’ un reato di pericolo, sicche’ la valutazione in ordine all’offesa al bene giuridico protetto va retrocessa al momento della condotta secondo un giudizio prognostico “ex ante”, essendo irrilevante l’assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione (Sez. 3, n. 19439 del 17/01/2012, Miotti, Rv. 252908). In questo delicato settore del diritto penale, il compito del giudice di merito si risolve in un accertamento diretto a verificare, specialmente nell’interpretazione dei reati formali e di pericolo presunto, che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato dalla disposizione incriminatrice, traducendosi l’offesa al bene giuridico protetto, costituito dal disvalore derivante dalla messa in pericolo dell’ambiente, in un nocumento potenziale dello stesso, che viene soltanto minacciato. In difetto di qualsivoglia deduzione sulla concreta inoffensivita’ delle condotte, il motivo in esame non puo’ essere ritenuto ammissibile.
Il motivo e’ comunque altresi’ manifestamente infondato atteso che le due violazioni ascritte all’imputato, seppur avvinte dal vincolo della continuazione, confliggono con i parametri richiesti dall’articolo 131 bis c.p., configurando anche il reato continuato un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 19159 del 29/03/2018 – dep. 04/05/2018, Fusaro, Rv. 273198 in una fattispecie in tema di abuso edilizio, in cui la S.C. ha escluso l’occasionalita’ dell’azione illecita sulla base della continuazione diacronica tra i singoli reati, posti in essere in momenti distinti, e della pluralita’ delle disposizioni di legge violate).
Tenuto conto della sentenza del 13.6.2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’” all’esito del ricorso consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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