Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 25800.
Appalto e le nuove opere richieste dal committente qualificabili come varianti in corso d’opera
In tema di appalto, le nuove opere richieste dal committente sono qualificabili come varianti in corso d’opera, che l’appaltatore è tenuto ad eseguire, salvo il diritto ad un maggior corrispettivo, se, pur non essendo comprese nel progetto originario, risultano necessarie per l’esecuzione migliore ovvero a regola d’arte dell’appalto, o comunque rientrano nel piano dell’opera stessa, mentre costituiscono lavori extracontrattuali, e richiedono pertanto la stipulazione di un nuovo contratto, se, pur essendo connesse all’opera originaria, presentano un’individualità distinta rispetto alla stessa oppure ne integrano una variazione quantitativa o qualitativa eccedente i limiti di legge.
Ordinanza|| n. 25800. Appalto e le nuove opere richieste dal committente qualificabili come varianti in corso d’opera
Data udienza 9 maggio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: OPERE E LAVORI PUBBLICI – APPALTO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MELONI Marina – Presidente
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34445/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI SASSARI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, n. 440/17, depositata il 20 ottobre 2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2023 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
Appalto e le nuove opere richieste dal committente qualificabili come varianti in corso d’opera
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), in qualita’ di titolare dell’omonima impresa, convenne in giudizio il Comune di Sassari, per sentir dichiarare illegittima la rescissione del contratto di appalto con lo stesso stipulato il (OMISSIS), con la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
Premesso che il contratto aveva ad oggetto lavori di adeguamento delle strutture idrico-fognarie comunali alla L. 5 gennaio 1994, n. 36 ed alla normativa Europea, ed in particolare la ristrutturazione della rete fognaria di alcune zone della citta’, l’attore riferi’ che la consegna dei lavori, inizialmente prevista per il 16 settembre 1998, aveva dovuto essere rinviata, essendo emerso che il computo metrico e l’elenco dei prezzi allegati al contratto non contemplavano i collettori secondari previsti dai grafici del progetto. Aggiunse che in data 11 novembre 1998 l’Amministrazione gli aveva sottoposto un verbale di consegna che egli aveva rifiutato di sottoscrivere, in quanto lo stesso prevedeva la rinuncia a qualsiasi contestazione in ordine al progetto e ai prezzi. A seguito di tale rifiuto, con determinazione del 29 dicembre 1998, il Comune aveva disposto la rescissione del contratto, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 340, all. F, rilevando che, nonostante i chiarimenti forniti, l’impresa appaltatrice aveva insistito nella contestazione del prezzo a base d’asta, in tal modo dimostrando di non voler adempiere il contratto.
Si costitui’ il Comune, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Con sentenza del 29 novembre 2010, il Tribunale di Sassari rigetto’ la domanda, ritenendo sussistente l’inadempimento dell’impresa, la quale, a fronte dell’incompletezza del computo metrico e dell’elenco dei prezzi, cui avrebbe potuto ovviarsi mediante la determinazione di nuovi prezzi, non aveva provveduto ad iscrivere riserva nel registro di contabilita’, ma aveva rifiutato la consegna dei lavori, insistendo sulla natura extracontrattuale delle maggiori opere previste dal progetto.
2. L’impugnazione proposta dallo (OMISSIS) e’ stata rigettata dalla Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 20 ottobre 2017.
Premesso che al contratto di appalto erano allegati i grafici del progetto esecutivo, i quali prevedevano, oltre ai collettori principali, anche due collettori secondari per ogni strada cittadina, con funzione di raccolta delle acque bianche provenienti dalle caditoie stradali e delle acque nere provenienti dalle utenze civili, la Corte ha ritenuto che la mancata previsione dei collettori secondari nel computo metrico e nell’elenco dei prezzi non comportasse un contrasto tra il capitolato d’appalto, l’elenco dei prezzi e gli elaborati progettuali, da dirimersi assegnando la prevalenza ai primi due documenti, ma si risolvesse in una mera incompletezza del secondo, cui avrebbe potuto porsi rimedio attraverso la determinazione di nuovi prezzi.
Cio’ posto, e rilevato che l’impresa, invece di esercitare il diritto alla risoluzione del contratto, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063, articolo 14 e dalla L. 11 febbraio 1994, n. 109 per l’ipotesi in cui l’appaltatore non intenda eseguire i lavori aggiuntivi sulla base degli originari prezzi contrattuali, aveva rifiutato di sottoscrivere il verbale di consegna, pretendendo comunque di essere considerata legittimata alla realizzazione dell’opera, in qualita’ di aggiudicataria dell’appalto, la Corte ha ritenuto che, in quanto contraddittorio e comunque contrario alle norme che disciplinano l’appalto, tale comportamento giustificasse la rescissione del contratto da parte del Comune. Ha aggiunto che, ove avesse voluto contestare la contabilizzazione del corrispettivo o comunque avanzare pretese a maggiori compensi o indennizzi, l’impresa non avrebbe potuto rifiutarsi di prendere in consegna i lavori, ma avrebbe dovuto provvedere all’iscrizione di apposita riserva nel registro di contabilita’, ai sensi del Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350, articoli 53, 54 e 64.
La Corte ha escluso inoltre che l’Amministrazione avesse rifiutato di procedere ad una revisione del prezzo, rilevando che il direttore dei lavori aveva proposto una soluzione progettuale diversa, che avrebbe consentito il completamento dell’opera nel rispetto dei costi preventivati, e ritenendo che tale soluzione, che comportava una variazione dei costi inferiore alla soglia del 5%, rientrasse nello jus variandi spettante all’Amministrazione, dal momento che l’ipotetico errore contenuto nel progetto esecutivo non pregiudicava neppure in parte la realizzazione dell’opera e non determinava un incremento nello stanziamento cui l’Amministrazione era vincolata. Ha rilevato infine che il rifiuto della consegna dei lavori e la mancata iscrizione della riserva da parte dell’impresa avevano impedito al direttore dei lavori di promuovere una nuova deliberazione di spesa, ai fini della formazione della volonta’ del Comune secondo le regole dell’evidenza pubblica e dell’adozione di una delibera di autorizzazione a contrarre con l’attestazione della copertura finanziaria.
Appalto e le nuove opere richieste dal committente qualificabili come varianti in corso d’opera
3. Avverso la predetta sentenza lo (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., ed in subordine della L. n. 2248 del 1865, all. F, articolo 340, comma 2, rilevando che, nel confermare la legittimita’ della rescissione del contratto, la sentenza impugnata ha preso in esame ragioni diverse da quelle addotte a fondamento della relativa determinazione, avendo fatto riferimento al suo rifiuto di sottoscrivere il verbale di consegna dei lavori, fatto valere dal Comune soltanto nella comparsa conclusionale depositata in primo grado, anziche’ alle contestazioni da lui sollevate in ordine alla conformita’ dell’elenco dei prezzi al progetto dell’opera.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ed in subordine la violazione del Regio Decreto n. 350 del 1895, articoli 10 e 11 e dell’articolo 1337 c.c., osservando che, nel ritenere illegittimo il rifiuto da lui opposto alla sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori, la Corte territoriale non ha tenuto conto del contenuto di quest’ultimo, recante una rinuncia al diritto di formulare riserve, ne’ del tentativo di coartare la volonta’ dell’impresa, posto in essere dall’Amministrazione attraverso la predisposizione del predetto verbale.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la nullita’ della sentenza impugnata per apparenza o illogicita’ della motivazione, ed in subordine la violazione dell’articolo 1362 c.c., osservando che, nel ritenere che le maggiori opere richieste fossero comprese nel contratto, nonostante la mancata inclusione delle stesse nell’elenco dei prezzi e nel computo metrico, la Corte territoriale ha conferito rilievo preminente al progetto, in contrasto con l’articolo 13 del contratto di appalto, omettendo di verificare se lo stesso fosse in contrasto con gli altri documenti, e limitandosi a dare atto della compatibilita’ dei collettori secondari con l’opera programmata, mai contestata da esso ricorrente.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, articolo 136 della L. n. 2248 del 1865, all. F, articolo 344 della L. n. 109 del 1994, articolo 25 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, nonche’ la nullita’ della sentenza impugnata per contraddittorieta’ della motivazione, sostenendo che, nel ritenere ammissibile la determinazione di nuovi prezzi e l’esercizio dello jus variandi e del diritto di recesso, la Corte territoriale non ha considerato che gli stessi postulano un accordo sul contenuto iniziale del contratto, nella specie insussistente. Aggiunge che le varianti richiedono l’approvazione della relativa perizia, mai intervenuta nel caso in esame, mentre il diritto di recesso presuppone un aumento delle opere in misura superiore a un quinto dell’importo del contratto, rimasto escluso in primo grado.
5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione del giudicato interno e la nullita’ della sentenza impugnata per contraddittorieta’ della motivazione, osservando che, nel ritenere sussistenti i presupposti per l’esercizio dello jus variandi, la Corte territoriale non ha considerato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto superata la soglia del 5% dei lavori, incorrendo peraltro in contraddizione, dal momento che il dibattito in corso in ordine alla natura extracontrattuale delle maggiori opere richieste presupponeva proprio l’avvenuto superamento del predetto limite.
6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e la nullita’ della sentenza impugnata per contraddittorieta’ della motivazione, rilevando che la Corte territoriale ha frainteso la censura proposta con il quinto motivo di gravame, avendo erroneamente ritenuto che lo stesso avesse ad oggetto l’ingiustificato rifiuto dell’Amministrazione di riconoscere la necessita’ della revisione del prezzo dell’appalto, ed e’ incorsa in contraddizione, avendo nel contempo negato che il Comune non volesse adeguare il prezzo.
Appalto e le nuove opere richieste dal committente qualificabili come varianti in corso d’opera
7. Il primo motivo, con cui si fa valere il vizio di ultrapetizione, per avere la sentenza ritenuto legittima la rescissione del contratto per ragioni diverse da quelle addotte a sostegno della determinazione del 29 dicembre 1998, e’ infondato.
E’ pur vero, infatti, che, come affermato da questa Corte in materia di appalto di opere pubbliche, nel giudizio avente ad oggetto la risoluzione del contratto disposta autoritativamente ed unilateralmente ai sensi della L. n. 2248 del 1865, all. F, articolo 340 la valutazione della legittimita’ dell’operato della stazione appaltante, o comunque del contegno complessivo delle parti, dev’essere condotta entro i limiti delle ragioni addotte e dei comportamenti dalle stesse tenuti nello svolgimento del rapporto, non essendo consentito, in ragione dell’immutabilita’ della causa petendi, ne’ all’Amministrazione di modificare le ragioni del provvedimento di rescissione, ne’ all’appaltatore di modificare quelle addotte per contestarne la legittimita’, e neppure al giudice di sostituirle d’ufficio (cfr. Cass., Sez. I, 20/11/2015, n. 23813). Nella specie, tuttavia, le questioni esaminate dalla sentenza impugnata riguardano proprio la fondatezza delle ragioni addotte dal Comune a sostegno del provvedimento di rescissione, la cui legittimita’ e’ stata correttamente vagliata alla luce contestazioni sollevate dal ricorrente e delle condizioni stabilite nel contratto di appalto, nonche’ del comportamento complessivamente tenuto dalle parti a seguito dell’emersione delle difformita’ tra gli elaborati progettuali, il computo metrico e l’elenco dei prezzi.
Come si evince dalla lettura del provvedimento, testualmente riportato nella narrativa del ricorso, la rescissione del contratto fu infatti disposta a causa del rifiuto dell’appaltatore di adempiere il contratto al prezzo stabilito in sede di aggiudicazione, da lui ritenuto non remunerativo, per effetto di omissioni progettuali che rendevano necessari ulteriori lavori, non previsti dal computo metrico e dall’elenco dei prezzi. Tali contestazioni furono ribadite nell’atto di citazione, in cui l’attore sostenne la legittimita’ del proprio rifiuto di firmare il verbale di consegna dei lavori, confermando la propria insoddisfazione per i chiarimenti forniti dall’Amministrazione nel corso degli incontri che avevano fatto seguito alla constatazione delle predette omissioni e le proprie perplessita’ in ordine al contenuto del verbale, la cui sottoscrizione avrebbe comportato, a suo avviso, un’arbitraria modifica del progetto. La questione sottoposta all’esame della Corte territoriale consisteva pertanto nello stabilire se le difformita’ riscontrate giustificassero il predetto rifiuto, risultando di portata tale da rendere impossibile l’esecuzione del contratto alle condizioni concordate, e quindi da imporne lo scioglimento senza conseguenze a carico dell’appaltatore, oppure se, come sostenuto dall’Amministrazione, l’appaltatore avesse l’obbligo di eseguire ugualmente i lavori, con l’introduzione di varianti progettuali idonee a contenere l’aumento dei costi nell’ambito delle somme a disposizione, ferma restando la possibilita’ di ottenere il riconoscimento di maggiori corrispettivi mediante il ricorso agli strumenti di tutela previsti dalla disciplina in materia di appalti pubblici.
Tale questione non poteva essere risolta senza valutare da un lato il contenuto dei documenti contrattuali e l’incidenza delle variazioni proposte dall’Amministrazione, e dall’altro la conformita’ del comportamento concretamente tenuto da quest’ultima e dall’appaltatore al canone di cui all’articolo 1375 c.c.: il potere, riconosciuto alla stazione appaltante dalla L. n. 2248 del 1865, all. F, articolo 340 di rescindere unilateralmente ed autoritativamente il contratto di appalto non esclude infatti la necessita’ di valutare la condotta delle parti alla stregua dei doveri di correttezza e buona fede che devono presiedere all’esecuzione del contratto, i quali impongono di escludere la sussistenza dell’inadempimento allorche’ il comportamento tenuto dal debitore, pur integrando un fatto astrattamente idoneo a giustificare la risoluzione del rapporto, appaia in concreto conforme ai predetti doveri, dovendosi ricondurre tale verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello, oggettivo, della condotta inadempiente (cfr. Cass., Sez. I, 23/03/2023, n. 8282; 23/11/2015, n. 23868).
8. Nella specie, e’ proprio una valutazione comparativa del comportamento delle parti, condotta alla stregua delle norme che disciplinano l’esecuzione degli appalti pubblici e del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, ad avere indotto la Corte territoriale a ritenere ingiustificato il rifiuto opposto dal ricorrente alla sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori, con la conseguenza che deve ritenersi infondato anche il secondo motivo, riguardante la legittimita’ del predetto rifiuto.
Rilevato infatti che l’appaltatore pretendeva di essere considerato legittimato all’inizio dei lavori e di procedere alla realizzazione dell’opera, senza procedere alla sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori, nel quale avrebbe potuto legittimamente formulare le proprie riserve, a tutela del diritto al riconoscimento dei maggiori corrispettivi pretesi, la sentenza impugnata ha considerato tale comportamento non solo intrinsecamente contraddittorio, ma anche contrastante con le norme che regolano gli appalti, ritenendo pertanto giustificata la determinazione del Comune di procedere alla rescissione del contratto, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, articolo 340: tale affermazione si pone perfettamente in linea con la disciplina dettata dal Regio Decreto n. 350 del 1895, articoli 10 e 11 e dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 10 i quali prevedono la sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori quale adempimento essenziale non solo ai fini della constatazione dello stato dei luoghi e della verifica della conformita’ degli stessi alle risultanze del progetto in base al quale dev’essere realizzata l’opera commissionata, ma anche ai fini della decorrenza del termine fissato per l’ultimazione dei lavori, individuando tale atto come una delle sedi in cui l’appaltatore puo’ far valere le proprie pretese, mediante l’iscrizione di riserve ai sensi del Regio Decreto n. 350 cit., articolo 54.
Nessun rilievo puo’ assumere, in contrario, la circostanza, fatta valere dal ricorrente, che nel verbale sottoposto alla sua firma si desse atto del superamento dei dubbi da lui precedentemente manifestati in ordine alle modalita’ di collegamento degli allacci privati e delle caditoie stradali al collettore principale e del riconoscimento da parte sua della congruita’ e remunerativita’ del prezzo di aggiudicazione, non essendo stati allegati ne’ dimostrati specifici comportamenti dell’Amministrazione volti a coartare la sua volonta’, in modo tale da impedirgli di modificare le predette dichiarazioni o di correggerne la portata mediante la formulazione di riserve volte ad ottenere il riconoscimento di maggiori corrispettivi per i lavori non riportati nel computo metrico e nell’elenco dei prezzi.
Appalto e le nuove opere richieste dal committente qualificabili come varianti in corso d’opera
9. Non merita accoglimento neppure il terzo motivo, avente ad oggetto la natura contrattuale o extracontrattuale delle maggiori opere richieste.
In tema di appalto, questa Corte ha infatti affermato che le nuove opere richieste dal committente sono qualificabili come varianti in corso d’opera, che l’appaltatore e’ tenuto ad eseguire, salvo il diritto ad un maggior corrispettivo, se, pur non essendo comprese nel progetto originario, risultano necessarie per l’esecuzione migliore ovvero a regola d’arte dell’appalto, o comunque rientrano nel piano dell’opera stessa, mentre costituiscono lavori extracontrattuali, e richiedono pertanto la stipulazione di un nuovo contratto, se, pur essendo connesse all’opera originaria, presentano un’individualita’ distinta rispetto alla stessa oppure ne integrano una variazione quantitativa o qualitativa eccedente i limiti di legge (cfr. Cass. Sez. II, 12/05/2016, n. 9767). A tale principio si e’ correttamente attenuta la Corte territoriale, la quale, nell’escludere la natura extracontrattuale dei maggiori lavori richiesti dall’Amministrazione, ha rilevato innanzitutto che i collettori secondari non riportati nel computo metrico e nell’elenco dei prezzi erano previsti dal progetto esecutivo dell’opera, della quale rappresentavano un completamento, ha richiamato inoltre la valutazione espressa dal c.t.u. nominato in primo grado, il quale li aveva ritenuti annoverabili nella categoria delle varianti inevitabili, in quanto dovute ad errori od omissioni progettuali lievi, inidonei a pregiudicare la realizzazione dell’opera, ed ha concluso pertanto per l’inapplicabilita’ del principio di prevalenza del capitolato d’appalto e dell’elenco dei prezzi, previsto dal contratto per l’ipotesi di contrasto tra gli stessi ed i disegni progettuali.
Il predetto accertamento, implicando la ricostruzione della comune intenzione delle parti, cristallizzata nel contratto di appalto, si configura come un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimita’ esclusivamente per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per incongruenza o illogicita’ della motivazione. Tali vizi non possono ritenersi fondatamente dedotti dal ricorrente, il quale, nel ribadire l’estraneita’ dei lavori in questione all’oggetto dell’appalto, non e’ in grado d’indicare lacune argomentative o incongruenze del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, insistendo sulla difformita’ dei documenti contrattuali, senza riuscire pero’ a dimostrare l’autonomia dei collettori secondari rispetto alla rete fognaria e la loro incompatibilita’ con il progetto dell’opera. La lettura combinata dei documenti contrattuali prospettata dalla sentenza impugnata, implicando la valorizzazione del collegamento esistente tra il progetto e gli altri allegati ed il rifiuto di una considerazione atomistica degli stessi, si pone d’altronde in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimita’ in tema d’interpretazione del contratto, secondo cui il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, ponendo le singole clausole in correlazione tra loro e procedendo al loro coordinamento, a norma dell’articolo 1363 c.c., dal momento che per “senso letterale delle parole” deve intendersi l’intera formulazione della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte (cfr. Cass., Sez. lav., 26/02/2009, n. 4670; Cass., Sez. III, 28/08/2007, n. 18180; Cass., Sez. I, 22/02/2007, n. 4176), ivi compresa la documentazione che la correda, la quale puo’ contribuire a chiarire la portata delle espressioni usate dalle parti e ad individuare l’oggetto delle rispettive prestazioni. Tale criterio riveste una particolare importanza proprio in riferimento al contratto di appalto, la cui interpretazione non puo’ prescindere da una valutazione integrata del progetto dell’opera commissionata e degli altri allegati tecnici, indispensabile per poter attribuire una portata concreta alle clausole riportate nella parte normativa, la cui autonoma considerazione non consentirebbe altrimenti di cogliere la reale intenzione delle parti: non a caso, come rilevato dalla sentenza impugnata, l’articolo 3 del contratto stipulato tra le parti richiamava, ai fini dell’individuazione dell’opera da realizzare, il progetto redatto dai tecnici incaricati dal Comune, il capitolato speciale d’appalto e l’elenco dei prezzi unitari, i quali, per espressa previsione, costituivano parte integrante e sostanziale delle condizioni concordate, da tenersi quindi in conto nella ricostruzione della volonta’ delle parti.
In proposito, merita di essere posta in risalto anche la funzione assegnata al computo metrico e all’elenco dei prezzi, i quali definiscono la qualita’ e la quantita’ delle lavorazioni occorrenti per la realizzazione dell’opera, cosi’ come descritta nel progetto esecutivo, ed i relativi costi, ai fini della formulazione di un preventivo attendibile, da porre a fondamento della delibera di approvazione della spesa e dell’individuazione dei mezzi per farvi fronte, nonche’ della determinazione del prezzo da porre a base della gara per l’aggiudicazione dell’appalto. Cio’ conferma per un verso la necessita’ di una valutazione complessiva di tali elaborati, ma non significa, per altro verso, che la predetta determinazione, una volta avvenuta, risulti immutabile, essendo espressamente prevista la possibilita’ d’introdurre delle varianti, non solo in dipendenza di modifiche o addizioni al progetto originario, rese necessarie dalle circostanze di cui alla L. n. 109 del 1994, articolo 25 ivi compresi errori od omissioni del progetto esecutivo idonei a pregiudicare la realizzazione o l’utilizzazione della opera (al riguardo, v. anche il Regio Decreto n. 350 del 1895, articolo 20 e il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 14), ma anche in relazione alla necessita’ di eseguire lavorazioni non contemplate dal contratto o adoperare materiali diversi da quelli previsti (Regio Decreto n. 350 del 1895, articolo 21, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 13): a tali varianti l’appaltatore non puo’ opporsi, essendogli riconosciuta la facolta’ di recedere dal contratto soltanto nel caso in cui comportino un aumento dei lavori d’importo superiore ad una determinata percentuale di quello originario o risultino comunque tali da alterare la sostanza dell’opera, ed essendo altrimenti tenuto ad assoggettarvisi, salvo il diritto al pagamento di un maggiore corrispettivo a termini di contratto (Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 14).
Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l’incompletezza del computo metrico e dell’elenco dei prezzi allegati al contratto di appalto, non recanti l’indicazione delle lavorazioni necessarie per la realizzazione dei collettori secondari e dei relativi costi, non impedisse l’esecuzione del contratto, essendo i collettori previsti dal progetto, e potendosi porre rimedio alla predetta omissione attraverso la predisposizione di una variante e la determinazione di nuovi prezzi, nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge: non puo’ condividersi, in contrario, l’insistenza del ricorrente sulla interpretazione letterale della clausola contenuta nell’articolo 13 del contratto, che prevedeva, in caso di difformita’, la prevalenza delle previsioni del capitolato d’appalto e dell’elenco prezzi su quelle dei disegni progettuali, trattandosi di un criterio che, in quanto posto evidentemente a salvaguardia del costo preventivato dell’opera, poteva trovare applicazione esclusivamente in presenza di errori o omissioni di portata tale da imporre la predisposizione di varianti idonee a determinare il superamento dei limiti di legge.
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10. Sulla base delle considerazioni che precedono, deve ritenersi infondato anche il quarto motivo, riguardante la legittimita’ della variante proposta dal direttore dei lavori.
La sentenza impugnata ha infatti accertato che, al fine di comporre il contrasto insorto tra le parti in ordine ai maggiori lavori da eseguire per la realizzazione dell’opera commissionata, il direttore dei lavori aveva proposto una soluzione alternativa, consistente nella realizzazione di un collegamento tra gli allacci fognari e le caditoie che, pur risultando diverso da quello previsto dal progetto, avrebbe consentito il completamento dell’opera nel rispetto dei costi gia’ preventivati; la praticabilita’ di tale soluzione era stata confermata dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, il quale, pur evidenziandone la difformita’ da quella prevista dal progetto approvato, aveva ritenuto che la stessa comportasse una variazione dell’importo originario dei lavori non superiore al 5%: sulla base di tale accertamento, la Corte territoriale ha correttamente concluso per l’illegittimita’ del rifiuto dell’appaltatore di sottoscrivere il verbale di consegna dei lavori, osservando che tale comportamento aveva impedito al direttore dei lavori di provvedere alla predisposizione ed all’approvazione di una perizia di variante.
Come si e’ detto, infatti, l’appaltatore ha l’obbligo di eseguire, alle stesse condizioni previste dal contratto, tutte le variazioni ritenute necessarie ed opportune dall’Amministrazione committente, purche’ non comportino un’alterazione della sostanza dell’opera ne’ un aumento o una diminuzione dei lavori superiore ad un quinto dell’importo originario del contratto; raggiunti questi limiti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 14 l’Amministrazione deve darne comunicazione all’appaltatore, il quale, entro dieci giorni, deve dichiarare per iscritto se intende recedere dal contratto oppure proseguire i lavori ed a quali condizioni, ed in tal caso l’Amministrazione deve rendere note le proprie determinazioni entro i successivi quarantacinque giorni; ove l’appaltatore, dopo aver ricevuto la comunicazione di cui al comma precedente, prosegua i lavori senza chiedere ne’ il recesso ne’ nuove condizioni, le maggiori opere si intendono assunte alle stesse condizioni del contratto; in tal caso, o comunque se non risulti superato il limite del quinto, le variazioni sono valutate ai prezzi di contratto, ma se devono eseguirsi categorie di lavori non previste o impiegarsi materiali per i quali non risulti fissato il prezzo contrattuale, si provvede alla formazione di nuovi prezzi, mediante la procedura disciplinata dal Regio Decreto n. 350 del 1895, articoli 21 e 22. Tali disposizioni prevedono che la determinazione dei prezzi abbia luogo in via principale sulla base di un accordo tra il direttore dei lavori e l’appaltatore, da sottoporre alla approvazione dell’Amministrazione, ed in caso di disaccordo che l’Amministrazione possa ingiungere all’appaltatore l’esecuzione dei lavori sulla base della determinazione compiuta dal direttore dei lavori, avverso la quale l’appaltatore puo’ promuovere la risoluzione della controversia in via ordinaria o arbitrale, ferma restando la necessita’ di provvedere alla formulazione della riserva, secondo le modalita’ previste dal Regio Decreto n. 350 del 1985, articoli 54 e 64.
Alla stregua di tale disciplina, deve escludersi che il contrasto insorto in ordine all’inclusione dei maggiori lavori richiesti nell’oggetto del contratto stipulato con l’Amministrazione giustificasse il rifiuto dell’appaltatore di prendere in consegna i lavori, invece di attendere che si provvedesse alla predisposizione e all’approvazione della perizia di variante, a seguito della quale soltanto, verificata l’incidenza dei maggiori lavori o dei nuovi prezzi sull’importo dell’appalto, avrebbe eventualmente potuto esercitare la facolta’ di recesso accordatagli dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 14 senza che venisse meno il suo diritto al pagamento dei lavori gia’ effettuati, allo stesso prezzo previsto dal contratto, oppure, ove l’importo dei maggiori lavori fosse risultato inferiore ad un quinto di quello dell’appalto, agire in giudizio per la risoluzione della controversia in ordine alla determinazione dei prezzi, ai sensi del Regio Decreto n. 350 del 1895, articolo 21 formulando preventivamente la relativa riserva.
11. E’ poi infondato il quinto motivo, riflettente la violazione del giudicato interno asseritamente formatosi in ordine all’incidenza dei maggiori lavori sull’importo dell’appalto.
Il Tribunale non aveva infatti compiuto alcun accertamento in ordine allo avvenuto superamento del limite al di sotto del quale le maggiori opere richieste non possono considerarsi varianti, ai sensi della L. n. 109 del 1994, articolo 25, comma 3, ma si era limitato ad osservare, richiamando la stima compiuta dal c.t.u., che nessuna delle due soluzioni ipotizzate per porre rimedio alla carenza del computo metrico e dell’elenco dei prezzi comportava un aumento dei lavori superiore ad un quinto dell’importo dell’appalto, e quindi tale da giustificare il recesso dell’appaltatore. Non avendo la sentenza ricollegato alcun effetto al superamento del limite di cui all’articolo 25, comma 3, cit., deve escludersi che al riguardo potesse essersi formato un giudicato interno, ai fini del quale non e’ sufficiente l’accertamento di un fatto, ma occorre che la sentenza rechi una statuizione minima suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, ovverosia una statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un determinato effetto giuridico (cfr. Cass., Sez. III, 19/10/2022, n. 30728; Cass., Sez. II, 17/04/2019, n. 10760; Cass., Sez. VI, 8/10/2018, n. 24783).
Appalto e le nuove opere richieste dal committente qualificabili come varianti in corso d’opera
La qualificazione delle maggiori opere richieste come variante non avrebbe d’altronde comportato alcuna conseguenza ai fini che qui interessano, non consentendo l’esercizio della facolta’ di recesso da parte dell’appaltatore, subordinato al superamento del ben piu’ elevato limite di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 14 ma imponendo soltanto l’approvazione di una perizia di variante, la cui predisposizione fu impedita, come accertato dalla Corte territoriale, proprio dall’ingiustificato rifiuto dell’appaltatore di ricevere la consegna dei lavori, cui fece seguito la rescissione del contratto da parte dell’Amministrazione. Non puo’ infatti condividersi la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui il superamento del limite del 5% dell’importo originario dei lavori avrebbe comportato l’automatica qualificazione delle maggiori opere richieste come lavori extracontrattuali, la cui esecuzione poteva essere legittimamente rifiutata, esulando dagli obblighi assunti mediante la stipulazione del contratto: a tal fine sarebbe risultata necessaria l’insussistenza dei presupposti di fatto richiesti dalla legge per la predisposizione della perizia di variante, la cui ammissibilita’ anche in presenza di errori od omissioni del progetto esecutivo idonei ad impedire la realizzazione o l’utilizzazione dell’opera consente invece di ritenere operante la disciplina dettata dalle norme precedentemente richiamate, che imponeva all’appaltatore di assoggettarsi alla richiesta formulata dall’Amministrazione.
Non puo’ infine ritenersi configurabile, in proposito, il denunciato vizio di contraddittorieta’ della motivazione, ai fini del quale e’ necessaria la sussistenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, tale da impedire l’identificazione del procedimento logico-giuridico seguito per giungere alla decisione, non assumendo invece alcun rilievo il contrasto con le valutazioni compiute dal giudice di primo grado, le quali restano prive di effetto, in quanto interamente assorbite da quelle effettuate dal giudice di appello (cfr. Cass., Sez. lav., 17/08/2020, n. 17196; Cass., Sez. V, 14/02/2014, n. 3594; Cass., Sez. III, 9/02/2004, n. 2427).
12. E’ infine inammissibile il sesto motivo, riflettente il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, per aver pronunciato su un motivo di appello da lui mai proposto.
Com’e’ noto, infatti, l’interpretazione dei motivi di appello costituisce, al pari di quella della domanda giudiziale, un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimita’ esclusivamente per vizio di motivazione (cfr. Cass., Sez. I, 30/08/2007, n. 18310; 16/12/2005, n. 27789; Cass., Sez. lav., 29/07/2003, n. 11667). Tale vizio nella specie non puo’ ritenersi validamente dedotto, essendosi il ricorrente limitato a negare di avere impugnato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto che egli si fosse rifiutato di sottoscrivere il verbale di consegna dei lavori a causa del mancato accoglimento della sua richiesta di procedere alla rideterminazione del corrispettivo dell’appalto, senza tuttavia trascrivere, a corredo della propria censura, i motivi di appello, riportati in modo estremamente sintetico nella narrativa del ricorso, con la conseguenza che risulta impossibile verificare se la questione esaminata dalla sentenza impugnata fosse davvero estranea alle doglianze sollevate in sede di gravame. A cio’ si aggiunga che la tesi ritenuta infondata dalla Corte territoriale corrisponde sostanzialmente a quella sostenuta dal ricorrente in tutto il corso del giudizio, avendo egli fatto valere costantemente la legittimita’ del proprio rifiuto di prendere in consegna i lavori, a causa dell’inadeguatezza del prezzo di aggiudicazione dell’appalto, determinata dalla mancata inclusione nel computo metrico e nell’elenco dei prezzi delle lavorazioni necessarie per la realizzazione dei collettori secondari.
Nessuna contraddizione e’ poi rilevabile nella sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che il Comune, pur avendo rifiutato di procedere alla rideterminazione del corrispettivo dell’appalto, avesse manifestato la propria disponibilita’ a modificare il progetto dell’opera, in modo tale da contenere il costo dei maggiori lavori richiesti nell’ambito dell’importo preventivato: tale affermazione trova infatti spiegazione nel richiamo alla diversa soluzione progettuale elaborata dal direttore dei lavori per favorire una composizione del contrasto insorto tra le parti, la quale, come rilevato dalla Corte territoriale, prevedeva una variazione dei costi che, in quanto inferiore al limite del 5% previsto dalla L. n. 109 del 1994, articolo 25, comma 3, non richiedeva l’approvazione di una perizia di variante, potendo essere realizzata mediante l’utilizzazione delle somme a disposizione.
13. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controri-corrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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