Appalti e certificazione di qualità

Consiglio di Stato, Sentenza|22 luglio 2021| n. 5513.

Appalti e certificazione di qualità.

Dalla piana lettura dell’art. 87 del d.lgs. n. 50/2016, si evince che il legislatore non ha indicato le condizioni alle quali le amministrazioni aggiudicatrici debbano attenersi nel richiedere ai partecipanti alle procedure di gara le certificazioni, ma si è limitato a prescrivere che le norme prese a riferimento siano quelle dei sistemi di garanzia delle qualità basate sulle norme europee e – soprattutto – che il rispetto di tali qualità sia certificato da organismi accreditati, ivi inclusi gli organismi certificatori accreditati che operano in altri Stati membri. Il delineato sistema normativo, pur prevedendo una certificazione “tipica di qualità” rilasciata da organismi accreditati, impone alle stazioni appaltanti il riconoscimento dei certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri e di consentire a determinate condizioni agli operatori economici di dimostrare che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste, rispondendo all’esigenza di favorire la più ampia partecipazione alle gare degli operatori economici in condizioni di parità e di non discriminazione. Si deve quindi riconoscere alle imprese partecipanti a gare d’appalto di provare con ogni mezzo ciò che costituisce oggetto della certificazione richiesta dalla stazione appaltante, pena altrimenti l’introduzione di una causa amministrativa di esclusione in contrasto con una chiara disposizione di legge.

Sentenza|22 luglio 2021| n. 5513. Appalti e certificazione di qualità

Data udienza 20 maggio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Appalti – Certificazione di qualità – Previsione, nella lex specialis, di ulteriori certificazioni rispetto a quelle indicate nella normativa di rango primario – Coerenza – Modalità gestionali dell’impresa

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5797 del 2020, proposto da
Co. S.r.l. e Or. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Va. Zi., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
A.M.A.C.O. s.p.a. – Azienda per la Mobilità nell’Area Cosentina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fe. Fr., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
nei confronti
Si. s.p.a. e La To. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Ma. Fa. e Fu. In. La Ve., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
R.T.I. Si./La To., Is. di Vi. Pr. A.N.C.R. S.r.l., Is. di Vi. Po. Se. S.r.l., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (Sezione prima), 1 luglio 2020, n. 1196, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.M.A.C.O. s.p.a. – Azienda per la Mobilità nell’Area Cosentina, di Si. s.p.a. e di La To. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 maggio 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Zi., Fr. e In. La Ve., i quali dichiarano di non avere interesse alla pubblicazione del dispositivo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO

1.Le società Co. S.r.l. e Or. S.r.l., che avevano partecipato, la prima quale mandante e la seconda quale mandataria, del relativo RTI, alla procedura di gara indetta da A.M.A.CO. S.p.A. per l’affidamento triennale (2019 – 2022) del “servizio di vigilanza armata della sede A.M.A.CO. S.p.A. servizi accessori” (gara, suddivisa in due lotti, e precisamente il lotto 1, avente oggetto il Servizio di vigilanza armata e attività ausiliaria di E. 278,000, ed il lotto 2 concernente il Servizio trasporto e contazione valori, per l’importo di E. 25.800, per un totale di E. 303.800,00, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, di cui 70 punti all’offerta tecnica e 30 a quella economica), classificandosi al secondo posto, hanno impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, l’aggiudicazione della predetta gara in favore del RTI Si. S.p.a. – Is. di Vi. Pr. La To. S.r.l., giusta determina n. 83 del 19 dicembre 2019, n. 83, in una con tutti gli atti connessi, collegati e conseguenti, ivi compreso il disciplinare di gara, limitatamente alle previsioni contenute nell’art. 9.1, lett. E), e 9.2, relative alle “Certificazioni” ed all’attribuzione del relativo punteggio.
1.1. Con tre articolate censure, rubricate rispettivamente, la prima “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 87 d.lgs. n. 50/2016. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9.1 e 9.2 del disciplinare di gara. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione”; la seconda “Violazione e/o falsa applicazione del r.d. 18.06.1931, n. 773 (tulps), del r.d. 06.05.1940, n. 635, del d.m. 01.12.2010, n. 269 e del d.m. 04.06.2014, n. 115. Eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di istruttoria. Violazione dei principi di concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità. Illegittimità degli artt. 9.1 e 9.2 del disciplinare di gara per contrasto con le citate disposizioni” e la terza “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 30 e 95 del d.lgs. n. 50/2016, nonché delle linee guida Anac n. 2. Violazione dei principi di concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità. Eccesso di potere per contraddittorietà, ingiustizia manifesta e difetto di istruttoria. Illegittimità degli artt. 9.1 e 9.2 del disciplinare di gara per contrasto con le citate disposizioni”, le ricorrenti hanno in sintesi lamentato, per un verso, l’erronea attribuzione al R.T.I. aggiudicatario dei punteggi per le certificazioni “Salute e Sicurezza sul lavoro” OHSAS 180010 – UNIISO 45001 e “Ambientale” UNIENISO14001, a loro avviso non valutabili, perché rilasciate da enti non accreditati, e, per altro verso, l’illegittima previsione della lex specialis di punteggi per le predette certificazioni, estranee o comunque non pertinenti al servizio oggetto di affidamento.

 

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In effetti le ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità degli atti di gara quanto alla scelta di valorizzare eccessivamente, in asserita violazione del principio di proporzionalità, certificazioni diverse da UNI 10981:2000, l’unica che la normativa di settore (ex d.m. 1 dicembre 2010, n. 269 e d.m. 4 giugno 2014, n. 115) ricomprende tra i requisiti minimi di qualità degli istituti di vigilanza (solo una sarebbe la certificazione obbligatoria mentre tutte le altre non erano coerenti con l’oggetto dell’appalto, sì da rendere illegittima la lex specialis di gara), dando eccessivamente peso ad un requisito soggettivo non pertinente con l’oggetto del servizio, in contrasto col criterio di aggiudicazione che mira ad attribuire il servizio all’offerta oggettivamente migliore sotto il profilo tecnico- qualitativo; l’assegnazione dei punteggi alle certificazioni possedute (per le quali l’art. 9 del disciplinare di gara prevedeva l’attribuzione di un punteggio massimo pari a 12 punti) sarebbe stata anche eccessiva e sproporzionata con lesione della libertà di concorrenza.
2. L’adito Tribunale, nella resistenza dell’intimata A.M.A.C.O. S.p.A. e di Si. S.p.A. e dell’Is. di Vi. Pr. La To. S.r.l., rispettivamente mandataria e mandante del costituendo r.t.i. aggiudicatario, che hanno spiegato anche ricorso incidentale (lamentando vizi relativi all’avvalimento utilizzato dalle ricorrenti che avrebbe dovuto comportarne la loro esclusione dalla gara o comunque il riconoscimento di un punteggio inferiore a quello effettivamente conseguito), ha respinto il ricorso principale, ritenendo infondate le censure sollevate, ed ha dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse quello incidentale.
3. Con rituale e tempestivo atto di appello le originarie ricorrenti hanno chiesto la riforma della predetta sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di un unico articolato motivo di gravame, rubricato “Illogicità, carenza, contraddittorietà, erroneità e infondatezza della decisione. Violazione della disciplina applicabile e travisamento dei fatti. Violazione e/o falsa applicazione ed interpretazione, in particolare, degli artt. 30, 87 e 95 del d.lgs. n. 50/2016 e della direttiva n. 765/2008/ce, nonché delle linee guida Anac n. 2. Violazione e/o falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 9.1 e 9.2 del disciplinare di gara; dell’art. 3 legge n. 241/1990; del r.d. 18.06.1931, n. 773 (tulps), del r.d. 06.05.1940, n. 635, del d.m. 01.12.2010, n. 269 e del d.m. 04.06.2014, n. 115; dei principi di concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità: illegittimità degli artt. 9.1 e 9.2 del disciplinare di gara per contrasto con le citate disposizioni”.
Le appellanti hanno sostanzialmente riproposto le censure sollevate in primo grado coi tre ricordati motivi di ricorso, a loro avviso malamente apprezzate, erroneamente esaminate ed ingiustamente respinte con motivazione lacunosa ed affatto convincente.
4. Hanno resistito al gravame A.M.A.C.O. S.p.A. nonché Si. S.p.A. e Is. di Vi. Pr. La To. S.r.l., che ne hanno dedotto l’infondatezza, chiedendone il rigetto.
5. Con ordinanza n. 5658 del 25 settembre 2020 è stata dichiarata l’improcedibilità dell’istanza cautelare proposta dalle appellanti in ragione della loro espressa rinuncia (stante l’intervenuta sottoscrizione del contratto, con subentro delle controinteressate, dal 1 settembre 2020, nel servizio gestito dalle appellanti).
6. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le appellanti e l’amministrazione appellata hanno ritualmente illustrato con apposite memorie le rispettive tesi difensive e all’udienza del 20 maggio 2021, tenuta da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

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DIRITTO

7. Occorre premettere che la controversia è in realtà imperniata esclusivamente sulla legittimità della previsione del disciplinare di gara che all’art. 9.1. ha previsto, tra gli altri criteri di valutazione dell’offerta tecnica, al punto E), le “Certificazioni”, stabilendo l’attribuzione di 3 punti per ciascuna delle seguenti certificazioni in corso di validità possedute dai concorrente: a) certificazione “Qualità” UNI EN ISO9001; b) certificazione “Salute e Sicurezza sul lavoro” OHSAS 18001 o UNI 1S0 45001; c) certificazione “Ambientale” UNI EN ISO 14001; d) certificazione “Sicurezza delle informazioni” UNI CEI EN ISO/IEC 27001. La lex specialis di gara stabiliva, dunque, di attribuire un punteggio massimo di 12 punti per l’elemento delle certificazioni.
Secondo le originarie ricorrenti, ora appellanti, la stazione appaltante avrebbe erroneamente riconosciuto come valide ed utilizzabili, ai fini dell’attribuzione del relativo punteggio, le certificazioni “Salute e sicurezza sul lavoro” OHSAS 18001 o UNIISO 45001 e “Ambientale” UNI EN ISO 14001, dichiarate possedute dalle imprese facenti parti del RTI aggiudicatario, Si. S.p.A. e Is. di Vi. Pr. La To. s.r.l., benché dette certificazioni fossero state rilasciate da L.L.-C, società di diritto ceco, e Di. Ce. Se., società di diritto svizzero, non accreditate, né registrate presso Accredia, e non abilitate al rilascio di certificazioni 18001 e 14001 per il settore 35 (quello oggetto della gara di cui si tratta).
Sotto altro profilo la previsione del riconoscimento del punteggio per il possesso di tali certificazioni sarebbe illegittima sia perché si tratterebbe di certificazioni estranee e non pertinenti al servizio oggetto della gara di affidamento, sia perché il punteggio previsto (12 punti sui cento complessivi o sui 70 dell’offerta tecnica), proprio per la non pertinenza di tali certificazioni, finirebbe per alterare irragionevolmente il confronto competitivo.
8. L’appello è infondato e deve essere respinto, non meritando la sentenza impugnata le censure che le sono state appuntate.

 

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8.1. Esigenze logico – sistematiche inducono ad esaminare innanzitutto la doglianza concernente la contestata legittimità della previsione del riconoscimento del punteggio per le ricordate certificazioni di qualità che, secondo le appellanti, sarebbe stata sbrigativamente respinta dal Tribunale invocando erroneamente la discrezionalità della stazione appaltante, laddove la questione concerneva in realtà la estraneità e la non pertinenza con l’oggetto della gara di quelle certificazioni e la sua intrinseca contraddittorietà sia quanto al combinato disposto della normativa di riferimento (R.D. 18 giugno 1931, n. 773; R.D. 6 maggio 1940, n. 635; DD.MM. 1 dicembre 2010, n. 269, e 4 giugno 2014, n. 115), secondo cui tra i requisiti minimi di qualità degli istituti di vigilanza è previsto il possesso della certificazione di conformità UNI 10891, sia quanto alla stessa previsione del predetto punto E) del disciplinare di gara, secondo cui l’oggetto/scopo delle certificazioni avrebbe dovuto essere coerente con l’oggetto dell’appalto.
La tesi non merita favorevole considerazione.
E’ da rilevare che le certificazioni di qualità danno atto delle specifiche caratteristiche di una determinata impresa con riferimento alla attività che essa svolge (ed alle concrete modalità esecutive), garantendo di per sé l’affidabilità dell’impresa stessa; esse in definitiva, in relazione ad una serie di norme elevante a standard di riferimento, non hanno riguardo all’attività esterna dell’impresa, oggetto del contratto da stipulare all’esito della gara, ma alla componente gestionale dell’impresa e ai suoi moduli organizzativi.
Ciò chiarito, la circostanza, neppure contestata dall’amministrazione appellata e dal RTI aggiudicatario, che per i servizi di vigilanza la normativa di rango primaria, citata dalle appellanti, già preveda, per altro tra i requisiti minimi, il possesso di una determinata certificazione di qualità (UNI 10891), non preclude affatto alla stazione appaltante di richiedere nella lex specialis ai concorrenti il possesso di ulteriori certificazioni di qualità, in quanto, proprio in considerazione del contenuto di quest’ultime (cui si è in precedenza accennato), ciò costituisce concreta e corretta applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento cui deve essere ispirata l’azione della pubblica amministrazione per curare gli interessi pubblici a lei affidati dalla legge.

 

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D’altra parte la coerenza delle ulteriori certificazioni di qualità richieste deve essere apprezzata non già rispetto all’oggetto del contratto da stipulare, ma piuttosto in relazione all’attività obiettivamente svolta dai concorrenti ed in relazione a tale profilo non può negarsi la coerenza delle certificazioni possedute dalla imprese facenti parti del RTI aggiudicatario (certificazione “Salute e sicurezza sul lavoro” e certificazione “Ambientale”), attenendo queste alle normali modalità gestionali dell’impresa (che non possono che riflettersi anche sull’esecuzione dell’appalto oggetto di affidamento).
Non è invero superfluo evidenziare, con riguardo più in generale alle certificazioni previste dagli atti di gara, che il codice dei contratti pubblici favorisce, nell’impiego del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’inserimento di criteri in grado di favorire il rispetto del diritto dei lavoratori, della sicurezza e salubrità nei posti di lavoro: difatti, in linea generale, l’art. 30, comma 1, stabilisce che: “Il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico”; con specifico riferimento ai criteri di valutazione dell’offerta, l’art. 95, comma 6, prevede che tra essi possono rientrare: “a) la qualità, che comprende pregio tecnico, caratteristiche estetiche e funzionali, accessibilità per le persone con disabilità, progettazione adeguata per tutti gli utenti, certificazioni e attestazioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, quali OSHAS 18001, caratteristiche sociali, ambientali, contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto, caratteristiche innovative, commercializzazione e relative condizioni; “.
Correttamente pertanto il tribunale ha ritenuto legittima tale contestata previsione facendo riferimento all’ampia discrezionalità della stazione appaltante, i cui limiti sono notoriamente indicati in linea generale nella non illogicità, non irragionevolezza e non arbitrarietà e, con riferimento ai procedimenti ad evidenza pubblica, nella proporzionalità e nel rispetto dei principi di concorrenza, che nel caso di specie non risultano manifestamente violati. Infatti costituisce costante indirizzo giurisprudenza l’affermazione secondo cui nell’ambito delle procedure di affidamento da aggiudicarsi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la scelta dei criteri di valutazione delle offerte operata dalla stazione appaltante, ivi compreso il peso da attribuire a singoli elementi, specificamente indicati nella lex specialis, è espressione dell’ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l’interesse pubblico, come tale sindacabile in sede di legittimità solo allorché sia manifestamente illogica, abnorme ed irragionevole e i criteri non siano trasparenti ed intellegibili (in tal senso ex multis Cons. di Stato, Sez. V, 13 novembre 2019, n. 7805; Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2018, n. 2602).
Non risulta in concreto illogica, né irragionevole, la scelta dell’amministrazione appaltante di valorizzare negli atti di gara il possesso di ulteriori certificazioni, riguardanti interessi generali (ambiente, sicurezza dei lavoratori, sicurezza dei dati), certamente apprezzabili anche con riferimento all’attività oggetto dell’appalto.

 

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È appena il caso di aggiungere che anche le Linee Guida n. 2 dell’ANAC (di cui alla Delibera ANAC n. 424 del 2 maggio 2018), richiamate nell’appello, affermano che, “sebbene limitato deve essere, di regola, il peso attribuito ai criteri di natura soggettiva o agli elementi premianti, ad esempio non più di 10 punti sul totale, considerato che tali elementi non riguardano tanto il contenuto dell’offerta ma la natura delle offerente”, si possa, tuttavia, “attribuire un punteggio maggiore in relazione alla specificità dei servizi”; precisando altresì che “Nella valutazione delle offerte possono essere valutati profili di carattere soggettivo introdotti qualora consentano di apprezzare meglio il contenuto e l’affidabilità dell’offerta o di valorizzare caratteristiche dell’offerta ritenute particolarmente meritevoli; in ogni caso, devono riguardare aspetti, quali quelli indicati dal Codice, che incidono in maniera diretta sulla qualità 7 della prestazione”.
Il limite di 10 punti è indicato a mero titolo esemplificativo, oltre a dover essere parametrato sul punteggio totale: ne segue che nella gara in esame il peso conferito alle certificazioni è del 12 per cento (e non del venti per cento come dedotto da parte appellante), certamente conforme a quello suggerito dalle Linee Guida n. 2, sì da non alterare la gara, né da violare i principi posti a presidio delle procedure ad evidenza pubblica, non risultando perciò incongruo, né prestandosi a distorsioni del meccanismo di aggiudicazione.
Del resto costituisce mera petizione di principio l’affermazione delle appellanti secondo cui la richiesta di ulteriori certificazioni costituirebbe una restrizione del mercato e della concorrenza, dal momento che di tanto non è stata fornita alcuna prova neppure a livello meramente indiziario; ciò senza tener conto che, sotto il profilo della proporzionalità e della ragionevolezza, quella previsione risulta coerente con l’adeguata tutela dell’interesse pubblico perseguito mediante il contratto da stipulare all’esito della gara.
8.2. Ugualmente da rigettare è l’altro profilo di doglianza sollevato dalle appellanti secondo cui per le ulteriori certificazioni di qualità sarebbe stato prevista l’attribuzione di un punteggio tale da alterare il corretto confronto concorrenziale.

 

Appalti e certificazione di qualità

 

Alla stregua di quanto già osservato in precedenza sul contenuto (e sulla conseguente connessa ratio) delle certificazioni di qualità consegue che la previsione del punteggio attribuibile alle ulteriori certificazioni di qualità piuttosto che alterare in negativo, restringendolo, il confronto concorrenziale, lo esalta consentendo la scelta del contraente sul concorrente che abbia standard qualitativi obiettivamente superiori, così garantendo nel miglior modo possibile il corretto perseguimento dell’interesse pubblico.
Infine la tesi delle appellanti dell’eccessivo peso attribuito dal disciplinare di gara al possesso delle certificazioni di qualità (di cui si discute) costituisce frutto di un mero giudizio soggettivo e personale, smentita dalla mera obiettiva constatazione che il punteggio massimo attribuibile per il punto E) (certificazioni) dell’art. 9.1. del disciplinare è di soli 12 punti sui 70 previsti per l’offerta tecnica (e sui 100 previsti complessivamente), del tutto coerente ed adeguato con il contenuto e la ratio di quelle certificazioni, più volte richiamato.
8.3. Appurata la legittimità della clausola in questione deve essere esaminata la doglianza relativa all’avvenuta valutazione e all’attribuzione del relativo punteggio alle certificazioni “Salute e sicurezza sul lavoro” OHSAS 18001 o UNIISO 45001 e “Ambientale” UNI EN ISO 14001, dichiarate possedute dalle imprese facenti parti del RTI aggiudicatario, Si. s.p.a. e Is. di Vi. Pr. La To. s.r.l., benché le stesse fossero state rilasciate da L.L.-C, società di diritto ceco, e Di. Ce. Se., società di diritto svizzero, non accreditate, né registrate presso Accredia, e non abilitate al rilascio di certificazioni 18001 e 14001 per il settore 35 (quello oggetto della gara di cui si tratta), il che secondo le appellanti ne avrebbe dovuto determinare la non valutabilità.
Anche sul punto la sentenza di primo grado, ancorché concisa, risulta corretta
L’art. 87 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Certificazioni della qualità”) stabilisce, sia quanto al rispetto delle norme di garanzia della qualità, compresa l’accessibilità per le persone con disabilità (comma 1), sia quanto al rispetto di determinati sistemi o norme di gestione ambientale (comma 2), che le stazioni appaltanti, quando richiedono la presentazione dei relativi certificati rilasciati da organismi indipendenti, si riferiscono innanzitutto ai sistemi della qualità fondati sulla serie di norme europee in materia (comma 1) ovvero al sistema dell’Unione di ecogestione a audit (EMAS) o altri sistemi di gestione ambientale nella misura in cui sono conformi all’art. 45 del regolamento (CE) n. 1221/2009 o ancora ad altre norme di gestione ambientale fondate su norme europee o internazionali in materia (comma 2) certificati da organismi accreditati (comma 1) ovvero accreditati per lo specifico scopo ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.

 

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Il predetto articolo, costituente diretta applicazione del generale principio di equivalenza, ammette poi che “le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri” e aggiunge che esse “ammettono parimenti altre prove relative all’impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità, qualora gli operatori economici interessati non avessero la possibilità di ottenere tali certificati entro i termini richiesti per motivi non imputabili agli stessi operatori economici, a condizione che gli operatori economici dimostrino che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste” (comma 1), contemplando anche una previsione analoga al comma 2 per le certificazioni di qualità ambientale.
Come si evince dalla piana lettura della norma in esame, il legislatore non ha indicato le condizioni alle quali le amministrazioni aggiudicatrici debbano attenersi nel richiedere ai partecipanti alle procedure di gara le certificazioni, ma si è limitato a prescrivere che le norme prese a riferimento siano quelle dei sistemi di garanzia delle qualità basate sulle norme europee e – soprattutto – che il rispetto di tali qualità sia certificato da organismi accreditati, ivi inclusi gli organismi certificatori accreditati che operano in altri Stati membri.
Il delineato sistema normativo che, pur prevedendo una certificazione “tipica di qualità” rilasciata da organismi accreditati, impone alle stazioni appaltanti il riconoscimento dei certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri e di consentire a determinate condizioni agli operatori economici di dimostrare che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste, risponde all’esigenza di favorire la più ampia partecipazione alle gare degli operatori economici in condizioni di parità e di non discriminazione.

 

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La giurisprudenza ha infatti chiarito, nell’ambito di giudizi aventi ad oggetto la legittimità di clausole del disciplinare che prescrivevano il possesso di determinate certificazioni aggiuntive rispetto a quelle minime previste, che “…si deve quindi riconoscere alle imprese partecipanti a gare d’appalto di provare con ogni mezzo ciò che costituisce oggetto della certificazione richiesta dalla stazione appaltante, pena altrimenti, in primo luogo, l’introduzione di una causa amministrativa di esclusione in contrasto con una chiara disposizione di legge; ed inoltre la previsione di sanzioni espulsive sproporzionate rispetto alle esigenze delle amministrazioni aggiudicatrici, le quali devono esclusivamente poter confidare sull’effettivo possesso dei requisiti di qualità aziendale o – per venire al caso di specie – sul rispetto delle norme sulla responsabilità sociale delle imprese” (Cons. Stato, Sez. V, 17 aprile 2020, n. 2455; sez. V, 12 novembre 2013, n. 5375).
La tesi degli appellanti circa la non valutabilità dei certificati posseduti dalle imprese facenti parti del RTI aggiudicatario per il fatto di non essere riconosciuti o registrati presso Accredia è pertanto palesemente ed ingiustificatamente contraria e contrastante con la ratio della determinata norma e si espone alla palese violazione proprio di quei principi di concorrenza e parità dei concorrenti invocati a sostegno della illegittimità della previsione.
Non può del resto sottacersi che non è stato neppure contestato che i certificati contestati sono stati effettivamente rilasciati da organismi di valutazione accreditati, secondo il proprio rispettivo diritto interno e presso i propri enti di accreditamento (L.L.-C, società di diritto ceco, e Di. Ce. Se., società di diritto svizzero, rispettivamente accreditati presso Czech Accreditation Institute- CAI e Servizio di Accreditamento Svizzero- SAS, organismi nazionali di accreditamento operanti nella Repubblica Ceca e in Svizzera, firmatari degli accordi multilaterali ex art. 14 del Regolamento CE 765/2008), entrambi facenti parte di EA (European co-operation for Accreditation).

 

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Pertanto correttamente la sentenza di prime cure ha ritenuto idonee ad accertare il sistema di qualità della concorrente le certificazioni possedute dall’aggiudicataria, provenienti da organismi certificatori accreditati che operano in altri Stati.
Giova al riguardo richiamare le pertinenti previsioni applicabili alla fattispecie recate dal menzionato Regolamento CE 765/2008, disciplinante il sistema di accreditamento e certificazione, che all’art. 2 definisce l’organismo nazionale di accreditamento quale “l’unico organismo che in uno Stato membro è stato autorizzato da tale Stato a svolgere attività di accreditamento” (art. 2 del Regolamento CE 765/2008), precisando ulteriormente che per accreditamento deve intendersi “l’attestazione da parte di un organismo nazionale di accreditamento che certifica che un determinato organismo di valutazione della conformità soddisfa i criteri stabiliti da norme armonizzate e, ove appropriato, ogni altro requisito supplementare, compresi quelli definiti nei rilevanti programmi settoriali, per svolgere una specifica attività di valutazione della conformità” (art. 2 del Regolamento CE 765/2008).
Né ancora può accogliersi sotto altro profilo la tesi secondo cui i predetti organismi non sarebbe stati comunque abilitati a rilasciare le certificazioni per il Settore 35, quello asseritamente relativo all’oggetto della gara, sia perché si tratta di una mera affermazione, priva di qualsiasi adeguato supporto probatorio, sia perché – ancora una volta – una simile ricostruzione è in stridente ed insanabile contrasto con la finalità della ricordata disciplina normativa.
8. In conclusione l’appello deve essere respinto.
9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello segnato in epigrafe, lo respinge.
Condanna le appellanti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida forfettariamente in complessivi E. 3000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA, ed altri accessori di legge, se dovuti, in favore di A.M.A.C.O. S.p.A. e in complessivi E. 3000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA, ed altri accessori di legge, se dovuti, in favore di Si. S.p.A. e Is. di Vi. Pr. La To. S.r.l.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Angela Rotondano – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere

 

Appalti e certificazione di qualità

 

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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