Al fine del rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 26 febbraio 2020, n. 1415.

La massima estrapolata:

Pur in presenza di condanne penali, al fine del rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 del d.lgs. n. 286/98, in presenza di legami familiari, è necessaria una concreta valutazione di altri e ulteriori elementi quali la durata del soggiorno, l’inserimento sociale, nonché l’inserimento familiare e lavorativo dell’istante.

Sentenza 26 febbraio 2020, n. 1415

Data udienza 6 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5682 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato El. Pe., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti, con la quale era respinto il ricorso proposto per l’annullamento del decreto della Questura di Grosseto inerente il diniego della domanda per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti l’Avvocato El. Pe. e l’Avvocato dello Stato Ma. Vi. Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con decreto del 16 luglio 2018, la Questura di Grosseto ha respinto la domanda dell’odierno appellante relativa al rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, in quanto, a carico dell’istante, risultava una condanna penale risalente al -OMISSIS- 2018 alla pena di due anni di reclusione con interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e curatela e interdizione temporanea ai pubblici uffici per un anno e otto mesi, per i reati di cui all’art 609 bis c.p. (violenza sessuale in danno di una minorenne) e all’art. 582, comma 1, c.p. (lesioni personali).
Con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierno appellante, ha chiesto l’annullamento del suddetto decreto nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, lamentando, in sintesi, il difetto di istruttoria e di motivazione per avere l’amministrazione valutato la sola ed isolata condanna, peraltro risalente al 2011, senza tenere in conto della situazione personale nel suo complesso. Lo stesso, infatti, è in Italia da tanti anni, ha sempre lavorato e ha -OMISSIS-.
Il Tribunale di prime cure respingeva il ricorso con la sentenza appellata, ritenendo che seppur la condanna penale ostativa non escluda una valutazione complessiva della situazione dell’istante, nel caso di specie, tale valutazione è stata svolta dall’Amministrazione nella parte in cui si legge nel provvedimento che “i familiari dello straniero risultano presenti nel territorio nazionale da epoca ben anteriore al reato di cui trattasi” e che ciò “è indice della pericolosità sociale dello stesso, che si è reso responsabile di un grave episodio, proprio in danno dei componenti della sua famiglia con la conseguenza della perdita tutoria dichiarata in sentenza”.
Avverso la sentenza è stato proposto appello per i seguenti motivi: irragionevolezza, illogicità manifesta, eccesso di potere.
Secondo la prospettazione dell’appellante, infatti, l’Amministrazione prima ed il Tribunale di primo grado poi, avrebbero affermato in modo apodittico l’esistenza di un automatismo ostativo al rilascio del permesso sulla sola base di una condanna penale, peraltro appellata, tralasciando di valutare la durata del soggiorno sul territorio nazionale dello straniero, il suo inserimento sociale, familiare e lavorativo, valutazione fondamentale ai sensi dell’art. 9, comma 4 del d.lgs. 286/1998.
In particolare, la motivazione del giudice di prime cure sarebbe infondata in fatto ed in diritto in quanto in presenza di figli minori, nati successivamente alla commissione di un delitto ritenuto ostativo, sarebbe indispensabile valutare se tale evento abbia svolto un’efficace azione di deterrenza.
Considerata l’esistenza di una famiglia e di una attività lavorativa, quindi, nel bilanciamento tra l’esigenza di sicurezza sociale e l’esistenza dei legami familiari, dovrebbe prevalere la tutela di questi ultimi in mancanza della dimostrazione della pericolosità sociale attuale dell’interessato. A tal proposito, nel richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte sul punto, parte appellante specifica che per ritenere il soggetto socialmente pericoloso sarebbe necessario valutare una serie di elementi tali da condurre alla convinzione che effettivamente il soggetto continui a delinquere.
Nel caso di specie alcuna valutazione sarebbe stata effettuata circa il permanere della pericolosità sociale del ricorrente, considerato che il fatto contestato risale al 2011, mentre la domanda del permesso per soggiornanti di lungo periodo è del 2017 e che durante questo periodo il ricorrente ha lavorato regolarmente e ha creato una famiglia conducendo regolarmente in affitto un’abitazione.
In ogni caso, parte appellante chiede, in via subordinata, che gli venga riconosciuto il diritto ad altro titolo di soggiorno.
Si è costituito il Ministero dell’Interno in data 10 luglio 2019 presentando successiva memoria in data 26 agosto 2019 per resistere all’istanza cautelare, allegando la relazione del dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Grosseto per l’Avvocatura dello Stato e il provvedimento di diniego della Questura di Grosseto.
In sede cautelare, questo Consiglio ha accolto la relativa istanza con l’ordinanza n. -OMISSIS- in considerazione della situazione familiare.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 6 febbraio 2020.

DIRITTO

I – L’appello è infondato per i motivi di seguito esposti.
II – L’istante lamenta, in sintesi, l’insufficienza del solo richiamo alla condanna penale per giustificare il provvedimento di diniego, essendo al contrario necessaria una valutazione complessiva della situazione personale che sarebbe mancata da parte della Questura e del Tribunale di prime cure.
È orientamento consolidato dalla giurisprudenza di questo Consiglio che, pur in presenza di condanne penali, al fine del rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 del d.lgs. n. 286/98, in presenza di legami familiari, sia necessaria una concreta valutazione di altri e ulteriori elementi quali la durata del soggiorno, l’inserimento sociale, nonché l’inserimento familiare e lavorativo dell’istante (Cons. Stato, sez. III, 11 ottobre 2016, n. 4192; ex plurimis, Cons. St., sez. III, 25 maggio 2012, n. 3095; Cons. St., sez. III, 13 settembre 2013, n. 4539 nonché, da ultimo, Cons. St., sez. III, 13 marzo 2015, n. 1342; Cons. Stato, Sez. III, 29 aprile 2015, n. 2184).
Nel caso che occupa, tale valutazione, con particolare riferimento ai legami familiari, sarebbe stata effettuata in maniera erronea. Infatti, a dire dell’appellante, il giudice di prime cure nella sentenza impugnata, richiamando il provvedimento gravato, avrebbe commesso lo stesso errore della Questura nella parte cui considera che “i familiari dello straniero risultano presenti nel territorio nazionale da epoca ben anteriore al reato di cui trattasi”, e che “il nucleo familiare non è stato da deterrente alla commissione di più reati”. A ben vedere, al contrario, i figli di parte appellante sono nati nel -OMISSIS-, in epoca successiva alla commissione del reato, risalente al 2011 e dalla loro nascita, l’appellante non risulta essere coinvolto in nuovi procedimenti penali.
III – La prospettazione di parte appellante non può essere condivisa sia per quanto concerne la ricostruzione in fatto sia per la valutazione giuridica.
Sotto il primo aspetto, infatti, rileva che l’appellante omette di evidenziare come in realtà, seppure i figli sono nati successivamente alla commissione del fatto reato, la costituzione della famiglia – come rilevato dall’Amministrazione correttamente – preesisteva, risalendo -OMISSIS-. Sicché la valutazione di disvalore compiuto dalla Questura risulta, ad un attento esame proprio della fase del merito, non inciso dal vizio dedotto dalla parte appellante.
IV – Inoltre, questo Collegio ritiene di aderire all’orientamento affermato in una recente pronuncia di questa stessa Sezione, in un caso ana, in relazione alla gravità dei reati di cui si tratta e alla non invocabilità – nella specie – dei legami familiari. In quella fattispecie, è stato ritenuto legittimo il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, opposto allo straniero condannato per il reato di violenza sessuale ex art. 609-bis, comma 3, c.p., anche in assenza di una valutazione riguardante la natura e l’effettività dei vincoli familiari, “in quanto la valutazione di pericolosità sociale in concreto è implicitamente ma univocamente riferita alla condanna definitiva per fatti, riconosciuti dallo stesso interessato, incompatibili con i principi costituzionali che impongono alla Repubblica di garantire la libertà, la dignità e l’integrità fisica di ogni persona…”, (Cons. Stato, III sez., 29 novembre 2019, n. 8175).
Nel caso di specie, è irrilevante la mancanza della definitività della condanna, in quanto l’art. 9 del T.U. Immigrazione, è chiaro nello stabilire che nel valutare la pericolosità si tiene conto anche “di eventuali condanne non definitive”, per i reati di cui all’art. 380 c.p.p. e limitatamente ai delitti non colposi, per i reati di cui all’art. 381 c.p.p.
Tale pronuncia appena richiamata ricalca, del resto, alcuni precedenti in cui, dando rilievo alla particolare gravità di taluni reati, si afferma che l’obbligo di motivazione possa riposare sulla peculiarità del fatto reato: “è legittimo il provvedimento di diniego del Questore che, in presenza di condanne per reati di particolare gravità, ai fini della pericolosità sociale, si sia limitato a sottolineare, ai fini del diniego, la particolare gravità dei reati senza spiegare perché gli interessi familiari fossero stati considerati subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato. In particolari casi, connotati da condanne penali per reati di notevole gravità ed allarme sociale, l’obbligo di motivazione sul bilanciamento (con i legami familiari) può essere basato anche sulla gravità del reato, sussistendo una soglia di gravità oltre la quale il comportamento criminale essendo oggettivamente intollerabile per il paese ospitante, non può mai bilanciarsi con quello privato alla vita familiare”,(Cons. Stato, sez. III, 29 marzo 2019, n. 2083; Cons. Stato Sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1161; 4 maggio 2018 n. 2654).
V – In merito alla possibilità del rilascio di un permesso di soggiorno ad altro titolo valgono, coerentemente le medesime motivazioni già sviluppate. AI sensi degli artt. 4 comma 3, e 5 comma 5 del T.U. Immigrazione, pur essendo necessaria, in presenza di legami familiari, una valutazione complessiva discrezionale volta ad accertare il positivo inserimento dello straniero nella società italiana e la sua pericolosità sociale (Cons. Stato, sez. III, 1 marzo 2017, n. 950), occorre tuttavia tener conto del particolare disvalore del reato commesso nel caso di specie.
VI – Per quanto sin qui considerato, l’appello deve essere respinto ed in ragione della soccombenza l’appellante deve essere condannato al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, determinate in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), in favore dell’Amministrazione resistente.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto, conferma la sentenza -OMISSIS- del 2019.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, determinate in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), in favore dell’Amministrazione resistente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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