Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 11193.

Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato

Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato, non è dunque necessario che tra gl’interessi delle parti da lui patrocinate sia configurabile un conflitto immediato ed attuale, risultando invece sufficiente un contrasto anche meramente virtuale, ricollegabile all’incompatibilità delle rispettive posizioni sostanziali o processuali, la quale impone al legale di compiere una scelta tra gl’incarichi da assumere, in modo tale da salvaguardare la propria indipendenza nell’adempimento del mandato e da evitare la divulgazione o comunque l’indebito sfruttamento di informazioni di cui sia venuto a conoscenza a cagione del proprio ufficio

Sentenza|| n. 11193. Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato

Data udienza  21 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Disciplinare avvocati – Avvocato – Assunzione di incarico sia per l’attore che per i terzi chiamati in causa dalla convenuta – Conferma della sospensione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente aggiunto

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di sez.

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez.

Dott. MANZON Enrico – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11994/2022 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FIRENZE;

– intimato –

avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 42/22, depositata il 29 aprile 2022;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2023 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato

 

FATTI DI CAUSA

 

1. Con sentenza del 29 aprile 2022, il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato le impugnazioni proposte dall’Avv. (OMISSIS) e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze avverso il provvedimento emesso il 21 febbraio 2000, con cui il Consiglio distrettuale di disciplina aveva irrogato alla professionista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di due mesi, per aver violato gli articoli 9 e 24 del Codice Deontologico Forense, avendo prestato attivita’ professionale a favore sia dell’attore che del terzo chiamato in causa da parte del convenuto, in tal modo determinandosi un conflitto d’interessi quanto meno potenziale.

Il procedimento traeva origine da un esposto presentato da (OMISSIS), il quale aveva riferito che, in un giudizio da lui promosso nei confronti della (OMISSIS) S.a.s. per il recupero di un credito alla stessa ceduto per la riparazione di un’autovettura danneggiata in un incidente stradale, l’Avv. (OMISSIS), alla quale egli aveva conferito mandato, si era costituita anche in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), chiamati in causa dalla societa’ convenuta, in quanto indicati dalla stessa come responsabili dell’appropriazione delle somme versate dall’Assicurazione in adempimento del credito ceduto.

Premesso che l’incolpata aveva ammesso di aver assunto nel medesimo giudizio la difesa sia dell’attore che dei terzi chiamati in causa dalla convenuta, il CNF ha ritenuto sussistente la violazione dell’articolo 24 del Codice Deontologico, alla luce del conflitto d’interesse non solo potenziale, ma reale configurabile tra le parti rappresentate. Ha escluso la fondatezza delle censure sollevate in ordine all’accertamento dei fatti, rilevando che l’addebito era stato considerato provato sulla base dei documenti acquisiti, e ritenendo operante, al riguardo, il principio del libero convincimento del giudice. Ha confermato inoltre l’applicabilita’ della L. n. 239 del 2003, articolo 24 cit. e del § 21, comma 2, sull’Avvocatura della Repubblica Slovacca, in relazione all’articolo 3.2.2 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, anche nel caso in cui il conflitto d’interessi si manifesti successivamente all’assunzione dell’incarico, osservando che la prestazione di attivita’ professionale in conflitto d’interessi costituisce un illecito di pericolo e sottolineando l’ampia prudenza cui deve ispirarsi la condotta dell’avvocato in sede di assunzione dell’incarico, a tutela non solo delle parti, ma anche della dignita’ dell’esercizio professionale e dello affidamento della collettivita’.

In ordine alla sanzione irrogata all’incolpata, il CNF ha escluso che la mancata indicazione dei criteri adottati per la scelta e la quantificazione della stessa comportasse la nullita’ della decisione, evidenziando l’assenza di uno specifico obbligo di motivazione e ritenendo operante un criterio di adeguatezza, in relazione all’offesa arrecata alla dignita’ e al decoro della classe professionale. Ha osservato in proposito che il Consiglio di disciplina si era mantenuto nei limiti della sanzione edittale prevista per la violazione accertata, precisando inoltre che la determinazione della sanzione disciplinare non costituisce il frutto di un mero calcolo matematico, ma di una complessiva valutazione dei fatti.

2. Avverso la predetta sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Consiglio dell’Ordine non ha svolto attivita’ difensiva.

Per la decisione del ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, che ha prorogato fino alla data del 30 giugno 2023 l’applicazione delle disposizioni di cui al Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34, articolo 221, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 e di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, commi 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e comma 9-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 111 Cost., degli articoli 39, 88, 106, 112 e 269 c.p.c., dell’articolo 54 c.p., degli articoli 1, 9 e 24 del Codice Deontologico Forense, in relazione al R.Decreto Legge 27 novembre 1933, n. 1578, articolo 56 e del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articoli 59 e 63 nonche’ l’apparenza della motivazione, osservando che, nel ritenere sussistente il conflitto d’interessi, la sentenza impugnata non ha considerato da un lato che lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) non avevano avanzato alcuna pretesa reciproca, dal momento che la somma versata dalla Compagnia di assicurazione era confluita nel conto corrente della (OMISSIS), unica destinataria della domanda di restituzione, e dall’altro che, in quanto riconducibile alla fattispecie della garanzia impropria, la chiamata in causa del terzo non comportava l’automatica estensione della domanda proposta nei confronti della convenuta. Precisato inoltre che, nelle more del procedimento disciplinare, il (OMISSIS) e’ stato assolto dall’imputazione di appropriazione indebita, aggiunge che al momento del conferimento dell’incarico da parte dello (OMISSIS) il conflitto d’interessi non era prevedibile, essendo stato causato dalla condotta processuale della (OMISSIS), la quale aveva promosso nei confronti del terzo un distinto giudizio avente identici petitum e causa petendi, in tal modo determinando una litispendenza, a fronte della quale essa ricorrente non aveva ritenuto corretto rimettere il mandato, non potendosi l’attore permettere un altro difensore e non risultando la linea difensiva dello stesso incompatibile con quella del terzo. Sostiene inoltre che, avendo entrambe le parti manifestato la volonta’ di confermare il mandato conferito, la prosecuzione dell’incarico difensivo doveva ritenersi conforme ai § 18 e 22 della L. n. 239 del 2003 sull’Avvocatura della Repubblica Slovacca ed agli articoli 3.2.2, 3.2.3 e 3.2.4 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, che impongono all’avvocato il dovere di seguire le disposizioni del cliente.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli articoli 24 e 111 Cost., degli articoli 39, 88, 106, 112, 269 e 295 c.p.c., degli articoli 1, 9 e 24 del Codice Deontologico Forense, in relazione al R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56 del Regio Decreto n. 37 del 1934, articoli 59 e 63 nonche’ l’apparenza della motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di esaminare le circostanze imprevedibili che giustificavano la condotta addebitatale, nonche’ d’individuare la condotta che in concreto sarebbe risultata doverosa. Premesso che la conferma dei mandati ricevuti imponeva la prosecuzione di entrambi gl’incarichi difensivi, avendo le parti manifestato la volonta’ di non provvedere alla nomina di un difensore diverso, sostiene che, ai fini della configurabilita’ del conflitto d’interesse, non assumevano alcun rilievo le conseguenze della sua condotta, ed in particolare l’intervenuta sospensione del giudizio, la quale era stata determinata da un’errata applicazione degli articoli 39 e 295 c.p.c. da parte del Giudice di pace e dalla condotta processuale della (OMISSIS), che aveva preteso due volte il pagamento della stessa somma, e non avrebbe potuto essere evitata mediante la rinuncia al mandato e la nomina di un altro difensore.

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3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 2, 3 e 111 Cost., degli articoli 39, 88, 106, 112, 269 e 295 c.p.c., degli articoli 1, 2 e 22 del Codice Deontologico Forense, in relazione al R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56 e del Regio Decreto n. 37 del 1934, articoli 59 e 63 nonche’ l’eccesso di potere per disparita’ di trattamento, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di sanzionare la condotta tenuta dal difensore della (OMISSIS), configurabile come abuso del processo, e per aver applicato una sanzione interdittiva sproporzionata e contraria al principio di giustizia sostanziale, nonche’ idonea ad incidere sulla capacita’ di essa ricorrente di provvedere al mantenimento dei figli minori.

4. Sulla base dei predetti motivi, la ricorrente propone anche istanza di sospensione dell’esecutorieta’ della sentenza impugnata, ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 36, comma 7, ribadendo l’insussistenza del conflitto d’interessi, in considerazione della posizione assunta dai suoi rappresentati e della conferma del mandato da parte degli stessi, ed insistendo sull’omessa valutazione di circostanze idonee ad escludere l’illiceita’ o la punibilita’ del suo comportamento, anche in relazione alla condotta processuale tenuta dalla controparte. Prospetta inoltre, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso, l’eventualita’ di una vanificazione degli effetti della decisione, in virtu’ della durata della sanzione irrogata, destinata ad essere interamente espiata nelle more del giudizio d’impugnazione, e dell’incidenza della stessa sull’adempimento dei suoi obblighi familiari e sugl’interessi dei soggetti da lei rappresentati.

5. La coincidenza delle ragioni dedotte a sostegno della predetta istanza con le censure mosse alla sentenza impugnata consente peraltro di procedere direttamente all’esame di queste ultime, la cui infondatezza comporta, oltre al rigetto del ricorso, anche la reiezione della domanda di sospensione.

Com’e’ noto, le decisioni del CNF in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi a queste Sezioni Unite, ai sensi del R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56, comma 3, (riprodotto, in parte qua, nella L. n. 247 del 2012, articolo 36, comma 6, recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonche’ ai sensi dell’articolo 111 Cost., per vizio di motivazione: pertanto, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravita’ ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non possono costituire oggetto del controllo di legittimita’, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, a meno che non si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso rispetto a quello per il quale e’ stato conferito (cfr. Cass., Sez. Un., 31/07/2018, n. 20344; 2/15/2016, n. 24647). E’ stato precisato che, nell’ambito del predetto controllo, la violazione delle regole poste dal Codice Deontologico Forense non e’ deducibile ex se, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma solo in quanto si colleghi agl’indicati vizi di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge, ossia ad una delle ragioni per le quali l’articolo 36, comma 6 L. n. 247 cit. consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione: ai fini della valutazione demandata al CNF, il predetto Codice non riveste infatti un autonomo carattere normativo, configurandosi piuttosto come un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono dati per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la liberta’, la sicurezza e la inviolabilita’ della difesa (cfr. Cass., Sez. Un., 17/05/2021, n. 13168; 25/06/2013, n. 15873).

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5.1. Nella specie, la regola di comportamento di cui e’ stata contestata l’inosservanza e’ costituita dall’articolo 24 del Codice Deontologico, ai sensi del quale “l’avvocato deve astenersi dal prestare attivita’ professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale”. La finalita’ di tale disposizione, come specificato dal comma 2, consiste essenzialmente nel salvaguardare l’indipendenza dell’avvocato, garantendone la liberta’ da pressioni o condizionamenti di qualsiasi genere, anche correlati ad interessi riguardanti la propria sfera personale. In quest’ottica, il comma 3 precisa che “il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico”. L’accento in tal modo posto sulla possibile interferenza tra l’accettazione di un nuovo incarico professionale e l’adempimento di un altro mandato precedentemente ricevuto, nonche’, in linea piu’ generale, tra l’attivita’ svolta dall’avvocato e gl’interessi dell’assistito, ha indotto queste Sezioni Unite ad affermare che, nei rapporti tra avvocato e cliente, la nozione di conflitto d’interessi non puo’ essere riferita restrittivamente alla sola ipotesi in cui l’avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza del consenso di quest’ultimo, ma comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi rispetto al proprio assistito (cfr. Cass., Sez. Un., 12/03/2021, n. 7030).

La giurisprudenza piu’ recente e’ pervenuta inoltre ad una rimeditazione del principio, enunciato da pronunce piu’ risalenti, che escludeva la configurabilita’ di una violazione dei canoni di correttezza, lealta’ e deontologia professionale in caso di assunzione, da parte dell’avvocato, del patrocinio di soggetti portatori d’interessi solo potenzialmente contrastanti, ritenendo necessaria, al predetto fine, l’esistenza in concreto di un conflitto tra le parti (cfr. Cass., Sez. Un., 15/10/2002, n. 14619; 20/01/1993, n. 645): in contrario, e’ stato infatti valorizzato il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, richiamandosi l’orientamento che, in tema di mandato ad litem, ritiene inammissibile la costituzione in giudizio di piu’ parti a mezzo del medesimo procuratore, ogni qualvolta tra le stesse sia configurabile un conflitto d’interessi anche solo virtuale, ravvisando nel contemporaneo svolgimento di attivita’ difensiva in favore di soggetti portatori d’istanze contrastanti una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, costituzionalmente tutelati (cfr. Cass., Sez. Un., 12/03/2021, n. 7030; Cass., Sez. I, 23/ 03/2018, n. 7363; Cass., Sez. III, 14/07/2015, n. 14634; 25/06/2013, n. 15884). Tale ampliamento della nozione di conflitto d’interessi trova d’altronde conforto nella disciplina dettata dall’articolo 3 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, il quale dispone, in modo piu’ specifico rispetto all’articolo 24 del Codice italiano, che “l’avvocato non puo’ fornire consulenza, rappresentare o difendere piu’ di un cliente per la medesima controversia” non solo “qualora vi sia un conflitto”, ma anche nel caso in cui sussista “il serio rischio di un conflitto tra gli interessi di tali clienti”, aggiungendo che “l’avvocato non puo’ accettare un incarico da un nuovo cliente” non solo, come previsto dall’articolo 24 del Codice Deontologico Forense, “nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente” o “la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente”, ma anche “qualora vi sia il rischio di violazione del segreto sulle informazioni comunicate da un precedente cliente o se la conoscenza degli affari del precedente cliente da parte dell’avvocato fornirebbe al nuovo cliente un ingiusto vantaggio”.

Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato, non e’ dunque necessario che tra gl’interessi delle parti da lui patrocinate sia configurabile un conflitto immediato ed attuale, risultando invece sufficiente un contrasto anche meramente virtuale, ricollegabile all’incompatibilita’ delle rispettive posizioni sostanziali o processuali, la quale impone al legale di compiere una scelta tra gl’incarichi da assumere, in modo tale da salvaguardare la propria indipendenza nell’adempimento del mandato e da evitare la divulgazione o comunque l’indebito sfruttamento di informazioni di cui sia venuto a conoscenza a cagione del proprio ufficio.

5.2. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l’assunzione da parte della ricorrente dell’incarico di assistere, nel giudizio promosso dallo (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), sia l’attore che i terzi chiamati in causa dalla convenuta comportasse un conflitto d’interessi (definito peraltro non meramente potenziale, ma reale), e quindi l’obbligo di astenersi dalla contemporanea prestazione di attivita’ professionale in favore di entrambe le parti, a pena di violazione dello articolo 24 del Codice Deontologico Forense.

Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato

E’ pur vero, infatti, che, in quanto fondata non gia’ sull’individuazione del (OMISSIS) e della (OMISSIS) come responsabili dell’inadempimento del contratto di prestazione d’opera avente ad oggetto la riparazione dell’autovettura di proprieta’ dell’attore, ma sull’appropriazione delle somme dovute dall’assicuratore a titolo d’indennizzo per il sinistro in cui il veicolo era rimasto coinvolto, e quindi su un rapporto sostanziale distinto ed autonomo rispetto a quello posto a fondamento della domanda principale, la citazione in giudizio dei terzi era configurabile come chiamata in garanzia impropria, la quale, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimita’, non determina l’automatica estensione al terzo della domanda proposta dall’attore, a tal fine occorrendo un’apposita richiesta (cfr. Cass., Sez. VI, 1/06/2021, n. 15232; Cass., Sez. III, 15/01/2020, n. 516; 5/03/2013, n. 5400). La necessita’ di tale iniziativa non consente tuttavia di escludere la configurabilita’ di un conflitto d’interessi tra l’attore ed i terzi chiamati, quanto meno dal momento della citazione in giudizio di questi ultimi, avendo gli stessi interesse non solo a resistere alla domanda proposta nei loro confronti dalla (OMISSIS), ma, ancor prima, a sostenere le ragioni della convenuta nei confronti dello (OMISSIS), al fine di evitare che l’accoglimento della domanda principale potesse comportare l’imposizione a loro carico dell’obbligo di rivalerla dell’importo che essa fosse stata eventualmente condannata a restituire all’attore.

Nessun rilievo puo’ assumere, in contrario, la circostanza che, nel procedimento penale avviato nei confronti del (OMISSIS) a seguito della querela presentata dalla (OMISSIS), sia rimasta esclusa la responsabilita’ dell’imputato per il reato di appropriazione indebita contestatogli: anche a voler prescindere dalla mancata precisazione delle ragioni che l’hanno determinato, il successivo proscioglimento del terzo non puo’ considerarsi idoneo ad escludere la configurabilita’ del conflitto d’interessi, la cui sussistenza, pur dovendo essere accertata in concreto, va valutata con riguardo non gia’ alla fondatezza delle pretese reciprocamente avanzate dalle parti, ma al contrasto che la formulazione delle stesse oggettivamente determina sul piano delle rispettive posizioni processuali, ed alla conseguente incompatibilita’ della contemporanea prestazione di assistenza in favore di entrambe.

5.3. Quanto poi alla prevedibilita’ del conflitto d’interessi, la stessa, lungi dall’essere esclusa, trova ulteriore conferma nella circostanza, fatta valere dalla ricorrente, che, anteriormente alla chiamata del (OMISSIS) e della (OMISSIS) nel giudizio promosso dallo (OMISSIS), la (OMISSIS) aveva provveduto ad agire autonomamente nei confronti del terzo, per ottenere la restituzione dell’importo di cui lo stesso si era, a suo dire, indebitamente appropriato: per un verso, infatti, la diversita’ del titolo e dell’oggetto della domanda separatamente proposta dalla (OMISSIS), rispetto a quelli della pretesa successivamente avanzata dallo (OMISSIS), non poteva considerarsi sufficiente ad escludere l’incompatibilita’ delle ragioni da quest’ultimo fatte valere rispetto a quelle dedotte dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), e quindi delle posizioni processuali assunte dalla ricorrente nei due giudizi, la cui contemporanea pendenza avrebbe dovuto indurre l’Avv. (OMISSIS) ad astenersi dal patrocinio di una delle parti da lei difese; per altro verso, l’identita’ dei petita e delle causae petendi delle domande proposte dalla (OMISSIS) nei due giudizi consente di escludere che, al momento dell’accettazione del mandato conferitole dallo (OMISSIS), la ricorrente non fosse in grado di rendersi conto dell’interferenza dello stesso con quello conferitole dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), e quindi della necessita’ di declinare almeno uno degli incarichi ricevuti.

Non merita consenso l’obiezione sollevata in proposito dalla ricorrente, secondo cui il conflitto sarebbe stato cagionato dall’iniziativa imprevedibilmente assunta dal difensore della (OMISSIS), il quale, chiamando in causa il (OMISSIS) e la (OMISSIS), nel giudizio promosso dallo (OMISSIS), avrebbe determinato la rilevata situazione d’incompatibilita’, alla quale non avrebbe potuto ovviarsi mediante la rinuncia agl’incarichi, avendo i clienti manifestato la volonta’ di continuare ad avvalersi del patrocinio di essa ricorrente e non potendo ella lasciarli privi di difesa. Anche a voler ritenere, in contrasto con quanto osservato in precedenza, che l’incompatibilita’ tra il patrocinio dello (OMISSIS) e quello del (OMISSIS) e della (OMISSIS) sia emersa soltanto in epoca successiva al conferimento dei due incarichi, per effetto della chiamata in causa effettuata dalla (OMISSIS), dovrebbe ugualmente escludersi la possibilita’ di considerare giustificata la prosecuzione dell’attivita’ difensiva in favore di entrambe le parti: la natura incondizionata dell’obbligo di astensione previsto dall’articolo 24 del Codice Deontologico Forense, avente la finalita’ di salvaguardare la dignita’ della professione di avvocato e l’indipendenza nello svolgimento degl’incarichi ricevuti, in funzione di tutela del corretto esercizio del diritto costituzionale di difesa, impone infatti di ritenere, pur in mancanza di un’espressa disposizione in tal senso, che il professionista non possa considerarsi dispensato dalla sua osservanza in virtu’ della mera conoscenza della situazione d’incompatibilita’ da parte del cliente o del consenso dallo stesso prestato alla prosecuzione dell’incarico. In tal senso depone anche la disciplina dettata dall’articolo 3.2.2 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, il quale stabilisce che “l’avvocato non puo’ occuparsi degli affari di due o di tutti i clienti coinvolti qualora intervenga tra loro un conflitto di interessi”: tale disposizione, solo apparentemente ripetitiva di quella prevista dal n. 1 del medesimo articolo, si riferisce in realta’ proprio all’ipotesi in cui la situazione d’incompatibilita’ insorga in epoca successiva al conferimento dell’incarico, e vieta all’avvocato di continuare a svolgere la propria attivita’ in favore di tutti i soggetti coinvolti nel conflitto, senza attribuire alcun rilievo all’eventuale conferma del mandato da parte degl’interessati. Nessun rilievo puo’ assumere, in contrario, la circostanza che ne’ il Codice Deontologico Forense ne’ quello degli Avvocati Europei indichino specificamente gli strumenti per porre rimedio al conflitto d’interessi, risultando evidente che le modalita’ di adempimento dell’obbligo di astensione possono essere le piu’ varie (rifiuto del nuovo incarico, rinuncia a quello precedentemente accettato, dismissione di entrambi gl’incarichi), in relazione alla situazione in concreto determinatasi, senza che dalle stesse derivi una lesione del diritto di difesa, avuto riguardo alle valide ragioni che giustificano il diniego o l’interruzione della prestazione professionale ed alla possibilita’ per il cliente di avvalersi dell’assistenza o della difesa di un altro avvocato.

5.4. Inconferenti risultano invece le considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine agli effetti dell’iniziativa processuale assunta dalla (OMISSIS) mediante la chiamata in causa del (OMISSIS) e della (OMISSIS), ed in particolare alla sospensione del giudizio promosso dallo (OMISSIS), disposta dal giudice a seguito della rilevazione della pendenza dell’altro giudizio separatamente promosso dalla convenuta nei confronti dei terzi chiamati in causa: a tale conseguenza il CNF non ha infatti attribuito alcun rilievo, ai fini della configurabilita’ dell’illecito disciplinare, essendosi limitato a darne atto, nello ambito della ricostruzione dei fatti posta a fondamento della propria decisione, senza tenerne conto ai fini dell’accertamento della sussistenza della violazione e della determinazione della relativa sanzione.

5.5. Inammissibili risultano infine le censure riguardanti l’omessa valutazione della condotta tenuta dal difensore della (OMISSIS), ritenuta qualificabile come abuso del processo, e la sproporzione asseritamente riscontrabile tra la gravita’ della violazione accertata e la sanzione interdittiva irrogata.

In sede d’impugnazione delle decisioni del CNF, non possono infatti trovare ingresso doglianze concernenti il tipo e l’entita’ della sanzione inflitta allo incolpato per la violazione accertata, la cui determinazione e’ rimessa in via esclusiva alla discrezionalita’ dell’organo disciplinare, competente a valutare la natura e la gravita’ dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale, nonche’ ad individuare la sanzione appropriata alla stessa, mediante un giudizio di adeguatezza non sindacabile da questa Corte, se non nei limiti di un controllo di ragionevolezza (cfr. Cass., Sez. Un., 24/01/2020, n. 1609; 17/03/2017, n. 6967; 26/05/2011, n. 11564). Tale giudizio non puo’ ritenersi inficiato, nella specie, dalla mancata considerazione della condotta della controparte, la cui eventuale configurabilita’ come abuso del processo non e’ deducibile ne’ come causa di giustificazione, per la sua idoneita’ a determinare una situazione di necessita’ in presenza della quale la ricorrente non avrebbe potuto non tenere il comportamento addebitatole, ne’ come termine di paragone ai fini dell’individuazione della sanzione applicabile, implicando in entrambi i casi un accertamento di fatto e una valutazione delle risultanze processuali che non possono costituire oggetto di controllo in sede di legittimita’ (cfr. Cass., Sez. Un., 19/10/2011, n. 21584; 4/02/2009, n. 2637).

6. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

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