Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 4 luglio 2019, n. 4586.
La massima estrapolata:
Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell’appartenenza del bene accessorio e del bene principale in proprietà al medesimo soggetto, nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità al bene principale, e non al proprietario di esso.
Sentenza 4 luglio 2019, n. 4586
Data udienza 21 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8042 del 2009, proposto da
Ca. No., rappresentato e difeso dagli avvocati Na. Gi. e Ma. Ce. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Associati Studio Gr. in Roma, corso (…);
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annalisa Minucci, Maria At. Lo., An. Sa. e Fr. De Sa., con domicilio eletto presso lo studio Maria Athena Lorizio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 01711/2008, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Gi. Pa., su delega di Na. Gi., e Gi. Mo., su delega di Am. At. Lo.;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. III, con la sentenza 2 luglio 2008, n. 1711, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale parte appellante per l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Firenze n. 7024 del 3.11.1994 con cui è stato ingiunto al ricorrente di procedere alla demolizione di opere abusivamente realizzate nonché al ripristino dello stato dei luoghi.
Secondo il TAR, sinteticamente:
– le opere edilizie realizzate sine titulo oggetto dell’impugnato ordine di demolizione rientrano nell’ambito di una serie di abusi eseguiti in tempi progressivi ed insistono in un’area gravata dal vincolo paesaggistico ex lege n. 1497-1939 oltrechè da vincolo cimiteriale previsto dall’art. 338 del Testo Unico delle leggi sanitarie;
– il fabbricato in questione, per la natura dei materiali impiegati, per la notevole consistenza del manufatto, costituisce un struttura autonomamente utilizzabile e soprattutto un nuovo, aggiuntivo volume che va ad alterare in modo significativo e permanente l’assetto urbanistico-edilizio della zona e tale tipo di costruzione è certamente soggetta al preventivo rilascio del provvedimento abilitatorio;
– il vincolo cimiteriale abbia carattere assoluto, valevole per ogni singolo fabbricato e per ogni tipo di costruzione, lì dove, in particolare il divieto di edificazione posto a tutela della natura e della salubrità dei luoghi, non opera alcuna distinzione tra manufatti;
– l’individuazione dell’area di pertinenza della res abusiva non deve necessariamente compiersi al momento dell’adozione del provvedimento di demolizione, ben potendo avvenire nel successivo momento dell’accertata inottemperanza.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità per i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 7 L. n. 47-1985, erronea interpretazione dei dati fattuali e/o documentali rilevanti acquisiti in giudizio, insufficienza della motivazione su di un punto decisivo (riproposizione dei primi due motivi dedotti davanti al Giudice di primo grado);
– violazione di legge per errata applicazione art. 7 L. n. 47-1985 ed art. 338 T.U. leggi sanitarie, eccesso di potere per erronea interpretazione dei dati fattuali e/o documentali acquisiti in giudizio, insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia;
– violazione di legge, erronea applicazione dell’art. 7 L. n. 47-1985, omessa pronuncia su un punto determinante della controversia, violazione del principio di corrispondenza chiesto/pronunciato.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato, chiedendo la reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 21 maggio 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il presente giudizio verte sulla legittimità dell’ordinanza comunale n. 7024 del 3 novembre 1994 di demolizione e rimessa in pristino relativa alla “nuova costruzione in muratura con copertura in coppi e tegole a falda unica e struttura portante in legno”.
Parte appellante contesta l’applicazione della sanzione demolitoria sul presupposto che le opere realizzate abusivamente fossero pertinenze dell’immobile principale e pertanto soggette ad autorizzazione e non a concessione.
Tale interpretazione non può essere condivisa.
Infatti, il manufatto abusivamente realizzato non poteva essere ‘considerato pertinenza in quanto si trattava di un locale costruito in aderenza ad altro edificio (peraltro anch’esso abusivo) e presentava le caratteristiche tipiche di un immobile destinato ad un uso autonomo.
Sulla nozione di pertinenze, si deve ricordare che la giurisprudenza della Sezione ha affermato che in materia edilizia, possono essere qualificate come pertinenze le opere prive di una autonoma destinazione e che esauriscono la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul complessivo carico urbanistico.
Questo Consiglio di Stato ha, infatti, costantemente ritenuto che ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un nuovo volume (Consiglio di Stato, sez. VI n. 5128-2017, sez. IV n. 615-2012).
Pertanto, non si ha pertinenzialità con la creazione di un nuovo volume che incide sul carico urbanistico, poiché nell’ordinamento nazionale vige il principio generale per cui sia necessario dotarsi del Permesso di Costruire quando si tratti di un “manufatto edilizio” (Consiglio di Stato, sez. VI n. 3952-2014).
In ambito edilizio, quindi, manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dall’edificio precedente/principale, ovvero quando sia realizzata una qualsiasi opera che ne alteri la sagoma, come ad esempio una tettoia.
Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio è . necessaria la presenza del requisito soggettivo dell’appartenenza del bene accessorio e del bene principale in proprietà al medesimo soggetto, nonché del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità al bene principale, e non al proprietario di esso (Cass. Civile, Sez. II, 6 settembre 2002, n. 12983).
Tali caratteristiche di pertinenzialità, come bene messo in luce nella sentenza impugnata, nella specie non sussistevano.
2. In secondo luogo occorre ribadire che i manufatti di cui è causa non erano conformi alla disciplina edilizio – urbanistica comunale, in quanto il lotto in cui ricadono era oggetto di vincolo cimiteriale, disciplinato dall’art. 24 delle N.T.A. del P.R.G. allora vigente e dell’art. 62 delle N.T.A. del P.R.G. adottato con deliberazione n. 604-93 (doc. Comune di primo grado nn. 6 e 7).
Trattandosi, nel caso di specie, di un utilizzo dell’area in contrasto con la disciplina del Piano Regolatore allora vigente, non poteva quindi ritenersi applicabile il disposto dell’art. 7 L. n. 94-1982 che estendeva il regime di autorizzazione gratuita anche alle “opere costituenti pertinenze”, unicamente a condizione che si trattasse di interventi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti.
Pertanto non risultava assolutamente possibile applicare al caso di specie l’equazione “regime autorizzatorio = sanzione pecuniaria”, come invece vorrebbe parte appellante.
3. Deve inoltre osservarsi, come bene ha evidenziato il TAR, che le opere abusive in esame si trovano in zona di rispetto cimiteriale, ovvero ad una distanza inferiore al fissato limite di rispetto al cimitero di Quarto e la disciplina di cui all’art. 338 del Testo Unico delle leggi sanitarie vieta l’edificazione in fascia di rispetto di manufatti che per inamovibilità e incorporazione al suolo costituiscono delle costruzioni edilizie, con la conseguenza che il fabbricato dell’appellante è del tutto incompatibile con la disciplina di tutela in questione.
Il vincolo cimiteriale, come è noto, ha carattere assoluto, valevole per ogni singolo fabbricato e per ogni tipo di costruzione trattandosi di un divieto di edificazione posto a tutela della natura e della salubrità dei luoghi, per cui non opera alcuna distinzione tra manufatti, riguardando anche gli eventuali manufatti (in ipotesi) pertinenziali.
4. Sotto altro profilo, occorre rilevare che l’art. 7 della L. n. 47-1985 dispone che il Sindaco, accertata la esecuzione di opere in assenza di concessione, deve ingiungere la demolizione della res abusiva ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Nel caso di specie i manufatti in oggetto, oltre ad essere totalmente abusivi, in quanto mai assentiti dall’Amministrazione Comunale, risultavano altresì (come detto) in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, in quanto insistenti su una zona soggetta a vincolo cimiteriale regolamentata, nonché in zona E1 disciplinata dall’art. 54, Parco Storico della Collina, il che li rendeva del tutto insuscettibili di sanatoria.
Pertanto, l’ordine di demolizione emanato dall’Amministrazione Comunale, si appalesava come “atto dovuto”, per il quale costituiva sufficiente motivazione il richiamo alle ragioni di pubblico interesse sottese al ripristino dell’assetto urbanistico violato.
In effetti l’accertamento di opere abusive non può avere altro esito se non l’insorgere del potere – dovere del Sindaco di applicare la conseguente misura sanzionatoria finalizzata alla spontanea demolizione o rimozione dei manufatti illecitamente realizzati.
Deve pertanto ritenersi la piena legittimità e congruità dell’ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Firenze che ha correttamente evidenziato la sussistenza del pubblico interesse al ripristino dell’assetto urbanistico violato, risultando in ogni caso motivata “per relationem” in riferimento al richiamato rapporto informativo della Polizia Municipale in data 1.10.1994.
5. Peraltro, deve evidenziarsi che il limite indicato dall’art. 7 L. n. 47-1985, ovvero quello che vieta di superare il limite di “dieci volte la superficie utile abusivamente costruita”, è stato rispettato atteso che, dal calcolo della superficie dei manufatti abusivamente realizzati, deriva una superficie pari a mq. 14,3 quindi la superficie massima oggetto di acquisizione è stata correttamente indicata in 143 mq.
Inoltre, l’individuazione dell’area di pertinenza della “res abusiva” non deve necessariamente compiersi al momento dell’emanazione dell’ingiunzione di demolizione, bensì nel provvedimento successivo con il quale viene accertata l’inottemperanza e si procede all’acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune ai sensi dell’art. 7 L. n. 47-1985.
Peraltro, l’ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive non è tenuta ad indicare la superficie dell’area di sedime da acquisire in caso di inottemperanza, in quanto tale dato deve essere contenuta nell’atto di acquisizione a pena di illegittimità di quest’ultimo, che costituisce titolo per l’immissione in possesso dell’opera e per la trascrizione nei registri immobiliari.
6. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda,
Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore della parte appellata, spese che liquida in euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere
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