Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2812.
La massima estrapolata:
Ai fini della sanabilità di un abuso edilizio è irrilevante il richiamo alla temporaneità del vincolo disatteso in quanto le opere eseguite, nel mancato rispetto della concessione edilizia, possono essere sanate solo se non siano in contrasto con le norme urbanistiche al momento della loro realizzazione, in presenza a quel tempo di detto vincolo.
Sentenza 4 maggio 2020, n. 2812
Data udienza 16 aprile 2020
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Interventi edilizi – Zona sottoposta a vincolo – Natura temporanea – Sanabilità – Natura temporanea – Irrilevanza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 5968/2013, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali – MIBAC e dalla Soprintendenza BAP per le province di Lecce Brindisi e Taranto, in persona dei rispettivi titolari pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…),
contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del TAR Puglia – Lecce, sez. I, n. -OMISSIS-/2013, resa tra le parti e concernente il decreto con cui la Soprintendenza appellante ha annullato il nulla-osta paesaggistico in sanatoria, rilasciato dal Comune di-OMISSIS- al sig.-OMISSIS-;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 16 aprile 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo;
Rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5, del D.L.n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia amministrativa;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Il sig. -OMISSIS- realizzò sine titulo un fabbricato di civile abitazione, sito in-OMISSIS- (LE), loc. -OMISSIS- e destinata ad abitazione estiva, in area ricadente in zona (omissis) del PDF e soggetta al vincolo paesaggistico ex l. 29 giugno 1939 n. 1497 (DM 14 novembre 1974) ed a meno di m 300 dal mare, soggetta, quindi, al regime di salvaguardia ex art. 51, I co. lett. f) della l.r. Puglia 31 maggio 1980 n. 56.
Con istanza prot. n. 2397 del 28 marzo 1986, il sig.-OMISSIS- chiese per tal edificio il condono edilizio ex l. 28 febbraio 1985 n. 47, versando gli importi previsti.
Con nota prot. n. 10185 (n. 50-6) del 6 aprile 2000, il Sindaco di-OMISSIS- rilasciò al sig.-OMISSIS-, su conforme parere della CEC, il n. o. in sanatoria ex art. 32 della l. 47/1985 per l’edificio condonando, in quanto esso “…per tipologia adottata, non costituisce alterazione dell’ambiente circostante…”. Trasmesso tal n. o. al controllo della Soprintendenza BAAS di Bari, quest’ultima, con decreto prot. n. 10185 del 20 aprile 2000, annullò il provvedimento comunale. Tanto perché, ricadendo l’opera entro la fascia di rispetto prevista dal citato art. 56, I co., lett. f) della l.r. 56/1980 e non rientrando in alcuna delle esenzioni colà indicate, tal provvedimento fu emanato in violazione di legge e fu “… del tutto privo di motivazione, limitandosi semplicemente ad affermare che l’intervento abusivo, per tipologia adottata, non costituisce alterazione dell’ambiente circostante…”, di talché “… la costruzione abusiva, realizzata in una zona… compresa nella fascia di profondità dei 300 metri dal confine del Demanio Marittimo, non è condonabile, ai sensi dell’art. 33 della legge 47/85, in quanto in contrasto con il vincolo di inedificabilità di cui all’art. 51 lett. “f”…”.
2. – Avverso tal provvedimento insorse allora il sig.-OMISSIS- avanti al TAR Lecce, col ricorso NRG
-OMISSIS-/2000, deducendo in punto di diritto: 1) – l’applicazione retroattiva della sopravvenuta norma ex artt. 151 e 164 del D.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, espressamente richiamata nel decreto gravato, mentre la pratica di condono andava regolata dalle norme vigenti al momento dell’istanza; 2) – l’erroneità del giudizio reso dall’intimata Soprintendenza, perché i poteri sub-delegati al Comune riguardarono il rilascio dei titoli edilizi ordinari e di quelli in sanatoria ex art. 13 della l. 47/1985, donde la pienezza della competenza del Sindaco a rilasciare il n. o. paesaggistico in caso di condono e, quindi, la legittimità della verifica ex post d’un modesto intervento edilizio che ben s’inserì nel contesto naturale dell’area, fermi in ogni caso l’avvenuta sanatoria postuma di altri interventi già realizzati nella stessa area vincolata e l’erroneo riferimento ad un vincolo d’inedificabilità assoluta; 3) – l’anacronistica, quanto inutile descrizione (visto che l’annullamento del n. o. comunale si basò su tutt’altre ragioni) dell’area vincolata da parte della Soprintendenza che ben avrebbe potuto compiere un accertamento per accorgersi come lo stato di fatto fosse ben diverso e trasformato da quello descritto nel decreto di vincolo.
L’adito TAR, con sentenza n. -OMISSIS- del 29 gennaio 2013, accolse solo il terzo mezzo di gravame, in quanto: a) ebbe natura di vincolo d’inedificabilità assoluta, ma temporanea quello stabilito dall’art. 51, I co, lett. f) della l.r. 56/1980 (valido, infatti, fino all’emanazione dei PTP), non assimilabile ai vincoli ex art. 33 della l. 47/1985; b) esso fu più limitato di questi ultimi e fu teso a consentire il condono sul presupposto che esso sarebbe potuto venir meno in futuro o esser sostituito da un vincolo relativo e, quindi, dalla possibilità d’un giudizio di compatibilità dell’intervento sanando con la tutela paesaggistica; c) la Soprintendenza, invece di fondare l’annullamento del n. o. sindacale sul mero rilievo dell’insistenza del manufatto a meno di m 300 dalla costa, avrebbe dovuto motivare congruamente circa l’incompatibilità del manufatto con le primarie esigenze di tutela del paesaggio, cosa, questa, non accaduta e causa d’illegittimità dell’impugnato decreto.
Appellarono così il MIBAC e consorte, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza gravata per non aver colto che: A) – il vincolo ex art. 51, I co., lett. f) della l.r. 56/1980, esistente prima del commesso abuso da condonare, non si trasformò in uno relativo per il sol fatto d’essere ad tempus, essendo irrilevante che il divieto potesse venir meno per effetto di successive scelte del piano urbanistico; B) – ai fini dell’applicazione dell’art. 33 della l. 47/1985, l’unico parametro di riferimento fu la norma che, nelle more dell’adozione del piano urbanistico, pose un divieto assoluto di edificazione in funzione di salvaguardia delle future scelte della P.A., sicché la liceità o meno dell’insediamento edilizio (e la sua sanabilità ) andava verificata rispetto alla legislazione vigente al tempo della sua realizzazione, non ai possibili contenuti d’una futura disciplina urbanistica, cui la legge affì dò il compito di definire l’an, il quando e il quomodo dell’edificazione all’interno della fascia costiera; C) – vi fu una continuità tra il vincolo d’inedificabilità assoluta stabilito per lo stesso ambito territoriale dall’art. 51, I co., lett. f) della l.r. 56/1980 e quello posto dall’art. 3.07.04 delle NTA del PTP sulle nuove opere edilizie. Il sig.-OMISSIS-, intimato ritualmente, non s’è costituito nel presente giudizio.
All’udienza del 16 aprile 2020, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
3. – L’appello è fondato e va accolto, per le considerazioni qui di seguito indicate.
Nel valutare natura ed effetti del vincolo, che fu vera e propria norma di salvaguardia a termine, di cui all’art. 51, I co., lett. f) della l.r. 56/1980, questo Consiglio, già da tempo (cfr. Cons. St., V, 2 ottobre 2006 n. 5725, fattispecie relativa al PRG di Bari), sancì il principio per cui “Ai fini della sanabilità di un abuso edilizio è irrilevante il richiamo alla temporaneità del vincolo disatteso in quanto le opere eseguite, nel mancato rispetto della concessione edilizia, possono essere sanate solo se non siano in contrasto con le norme urbanistiche al momento della loro realizzazione, in presenza a quel tempo di detto vincolo”.
Tanto perché il citato art. 51, I co., lett. f) della l.r. 56/1980 pose in effetti un vincolo di assoluta inedificabilità, ancorché a termine, entro la fascia di m 300 dal confine del demanio marittimo (cfr.
Cons. St., VI, 12 febbraio 2014 n. 683). Sicché il divieto di condono, previsto dall’art. 33 della l. 47/1985, si applica anche per gli abusi commessi su aree disciplinate dall’art. 51, I co., lett. f) della l.r. 56/1980, al riguardo rilevando la natura ‘eccezionalè della norma sui condoni edilizi, tale da determinarvi l’applicazione dell’art. 14 delle Preleggi, per il quale le leggi “che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati ” (cfr. così Cons. St., VI, 1° agosto 2017 n. 3862; id., II, 21 gennaio 2020 n. 476). Anzi, la Sezione ha avuto modo di chiarire di recente (cfr. Cons. St., VI, 26 settembre 2018 n. 5530, sia pur con riguardo al condono ex art. 39, co. 20 della l. 27 dicembre 1994 n. 724, ma con valenza generale in relazione al regime della c.d. Legge Galasso), che v’è la possibilità dell’accoglimento delle istanze di condono edilizio in presenza dei relativi presupposti, ma solo quando sull’area sia stato violato il vincolo ex art. 1-quinquies del DL 312/1986 (d’inedificabilità relativa dopo la scadenza del termine: cfr. Cons. St., VI, 12 novembre 2014 n. 5549) e non anche quando sia stato violato il vincolo di cui all’art. 51, I co., lett. f), della l.r. 56/1980.
Alla luce di tali parametri, allo stato fermi ed univoci, il Collegio non può se non condividere la tesi attorea, anzitutto con riguardo all’efficacia del vincolo di cui al ripetuto art. 51, I co., lett. f), vigente prima ed al tempo del commesso abuso del sig.-OMISSIS-, il quale, dunque, ricadde sotto la relativa disciplina. Detto vincolo recò una misura di salvaguardia, nonché un vincolo sì temporaneo, però di
inedificabilità assoluta di natura e carattere anzitutto urbanistico-edilizio e poi anche ad effetti di tutela paesaggistica e, lato sensu, ambientale, che lo distinguono dalla natura e finalità dei vincoli introdotti dal citato DL 312/1985 (strictu sensu paesistici). Esso, quindi, non si trasformò in un vincolo d’inedificabilità relativa ex art. 32 della l. 47/1985 per il sol fatto d’essere ad tempus, al più cessando o, meglio, cambiando regime sol quando fu sostituito da quelli, specifici, stabiliti per le singole zone costiere dai piani territoriali paesaggistici.
Né potrebbe esser, anche dopo l’emanazione del PTP relativo all’area costiera per cui è causa, e ciò per un duplice ordine di ragioni. Per un verso, dalla serena lettura della norma regionale -che, pure, pose non poche eccezioni edificatorie (per le aree A, B, C dello strumento urbanistico) a detto regime vincolistico, altrimenti inutilmente rigido- s’evince l’effetto abolitivo che su quest’ultimo si verifica grazie all’entrata in vigore dei PTP, donde la piena efficacia del vincolo stesso per tutti i casi formatisi e definitisi (l’abuso edilizio del sig.-OMISSIS-, illecito istantaneo ad effetti permanenti), fintanto che non intervenne ex nunc il PTP. Per altro verso, le Amministrazioni appellanti fanno notare la continuità di regime tra il vincolo posto ex lege per lo stesso ambito territoriale e quello recato dall’art. 3.07.04 delle NTA del PTP, per cui “… nell’area litoranea… si applicano le seguenti prescrizioni di base: a) non sono autorizzabili piani e/o progetti e interventi comportanti la modificazione dell’assetto del territorio (esclusi quelli finalizzati al recupero/ripristino dei valori paesistico/ambientali), nonché la realizzazione di… qualsiasi nuova opera edilizia…”.
In definitiva, l’appello è da accogliere, mentre le spese del doppio grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 5968/2013 in epigrafe), lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna l’appellato sig. -OMISSIS- al pagamento, a favore delle Amministrazioni appellanti, delle spese del doppio grado di giudizio, che sono nel complesso liquidate in Euro 3.000,00 (Euro tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle parti e delle località indicate nella sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 16 aprile 2020 con l’intervento dei Magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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