Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 novembre 2021| n. 40274.
Ai fini del concorso nel delitto di strage, è sufficiente un contributo limitato alla sola fase preparatoria e di organizzazione logistica del reato materialmente commesso da altri concorrenti, non occorrendo la conoscenza dell’identità di chi agirà, delle modalità esecutive della condotta e dell’identità della vittima, purchè vi sia la consapevolezza dell’idoneità della propria azione a mettere in pericolo una pluralità di persone e del suo collegamento ad una più ampia progettazione delittuosa, finalizzata alla realizzazione di almeno un omicidio di rilevante impatto sul territorio. (Fattispecie relativa alla strage di via D’Amelio, in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità dell’imputato in concorso per aver procurato, dopo specifica e mirata ricerca, una autovettura rubata e targhe false, nonché la strumentazione indispensabile per collegare i dispositivi destinati a provocare l’esplosione, nella consapevolezza di contribuire, sia pure nella fase preparatoria, ad un attentato dinamitardo nella pubblica via).
Sentenza|8 novembre 2021| n. 40274. Ai fini del concorso nel delitto di strage
Data udienza 5 ottobre 2021
Integrale
Tag – parola: Strage, devastazione in concorso e Fabbricazione e porto di esplosivo – Reati associativi – Criminalità organizzata – Processo Borsellino – bis a carico di Madonia e altri – Motivazioni – Ratio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. SCARLINI Enrico V.S. – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
nonche’, nel procedimento a carico dei predetti, dalle parti civili:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/11/2019 della CORTE di ASSISE di APPELLO di CALTANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO;
Uditi in pubblica udienza l’Avvocato Generale presso questa Corte di cassazione Piero Gaeta, che ha concluso per il rigetto del ricorso nell’interesse di (OMISSIS) e per l’inammissibilita’ dei ricorsi degli altri imputati e delle parti civili; l’Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi delle parti civili rappresentate e ha depositato conclusioni e nota spese; l’Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi delle parti civili rappresentate e ha depositato conclusioni e nota spese; l’Avv. (OMISSIS), per le parti civili rappresentate, nonche’ quale sostituto dell’Avv. (OMISSIS), per le parti civili da questi rappresentate, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi degli imputati, depositando conclusioni e note spese; l’Avv. (OMISSIS), per le parti civili rappresentate, nonche’ quale sostituto dell’Avv. (OMISSIS) e dell’Avv. (OMISSIS), per le parti civili da questi rappresentate, che ha depositato conclusioni e note spese; l’Avv. (OMISSIS), per il Centro studi e iniziative culturali (OMISSIS) Onlus, che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata, depositando conclusioni e nota spese; l’Avv. (OMISSIS) dell’Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso, per le parti civili rappresentate, per l’inammissibilita’ dei ricorsi, depositando conclusioni e nota spese; l’Avv. (OMISSIS), per i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha concluso – anche quale sostituto dell’Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) – per l’accoglimento dei ricorsi; l’Avv. (OMISSIS), quale sostituto dell’Avv. (OMISSIS), che ha concluso, per il ricorrente (OMISSIS), per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata il 20/04/2017, la Corte di assise di Caltanissetta dichiarava:
– (OMISSIS) responsabile dei seguenti reati:
a) strage aggravata e continuata in concorso (articolo 61 c.p., nn. 6 e 10, articoli 81 e 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1, articolo 422 c.p.; L. n. 203 del 1991, articolo 7; L. n. 15 del 1980, articolo 1), perche’, quale mandante, in ragione del suo ruolo di reggente del mandamento di Resuttana e della sua consequenziale appartenenza alla commissione provinciale di Palermo di cosa nostra, organo di governo del predetto sodalizio criminale, in concorso con: (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente capo e sostituto capo del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente capo e sostituto capo del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) e (OMISSIS) (capi del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) (capo del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente capo mandamento e reggente del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) (capo del mandamento della (OMISSIS)); (OMISSIS) (deceduto) e (OMISSIS) (rispettivamente capo mandamento e reggente del mandamento di (OMISSIS) lato); (OMISSIS) (capo del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) (capo del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) (capo del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) (capo del mandamento di (OMISSIS)); (OMISSIS) (capo del mandamento di (OMISSIS)); tutti, pure appartenenti alla predetta commissione provinciale, presieduta da (OMISSIS), nonche’ in concorso con i componenti della commissione regionale di cosa nostra di cui lo stesso (OMISSIS) era il capo ed altresi’ con altri soggetti che curarono l’attivita’ preparatoria ed esecutiva della strage di (OMISSIS):
partecipava a varie riunioni della commissione provinciale di (OMISSIS) di (OMISSIS) dal 1989 sino al 1991, ed in specie a quella tenutasi in (OMISSIS) fra la fine di novembre e il 13 dicembre dell’anno 1991, in cui veniva deliberata l’esecuzione di un programma stragista che prevedeva, fra l’altro, l’uccisione del Dott. (OMISSIS); con cio’ consentendo l’esecuzione del delitto anche nel territorio del mandamento di (OMISSIS), di cui faceva parte la (OMISSIS), luogo in cui poi l’attentato fu in effetti eseguito.
Cosi’ compiendo atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumita’, nonche’ concorrendo a determinare la morte di (OMISSIS), magistrato, e degli agenti di scorta della Polizia di Stato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nonche’ lesioni a diverse persone e la devastazione di beni immobili e mobili.
Commettendo il reato in concorso con piu’ di cinque persone, durante il tempo in cui si sottraeva all’esecuzione di un provvedimento restrittivo, in danno di Pubblici Ufficiali, al fine di agevolare l’attivita’ del sodalizio mafioso ed altresi’ per fini terroristici.
In Palermo, fra la fine di novembre e il 13 dicembre 1991 e sino al 19 luglio 1992. Con la recidiva reiterata e specifica.
b) devastazione in concorso (articolo 61 c.p., nn. 2 e 6, articolo 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1, articolo 419 c.p., L. n. 203 del 1991, articolo 7, L. n. 15 del 1980, articolo 1), per avere, nella qualita’ indicata nel capo che precede, agendo in concorso con le persone indicate nel medesimo capo di contestazione e con le condotte descritte nello stesso capo, facendo uso di sostanze esplosive, compiuto fatti di devastazione, consistenti nell’avere:
– – distrutto e reso inservibili le autovetture: Fiat Croma tg. (OMISSIS) di proprieta’ del Ministero di Grazia e Giustizia, (OMISSIS); Fiat Croma tg. (OMISSIS) di proprieta’ del Ministero dell’Interno, Questura, (OMISSIS); Fiat Croma tg. (OMISSIS) di proprieta’ di Enti riconosciuti di (OMISSIS); Fiat 126 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente (OMISSIS); Fiat Uno tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Mitsubishi Pajero tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Uno tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Seat Ibiza tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Panda tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS) e residente a (OMISSIS); Alfa Romeo Giulietta tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS) e residente a (OMISSIS); Fiat Croma tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Triumph Acclaim tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat 126 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat 126 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Austin Rover tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Ford Fiesta tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nata e (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Citroen AX tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), residente in (OMISSIS); Fiat 126 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat 127 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Uno tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat 500 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Nissan Patrol tg. (OMISSIS) di proprieta’ della (OMISSIS) s.n.c., amministratore unico (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Citroen Ibiza tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Panda tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Uno tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Panda tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Uno tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Autobianchi Y10 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat 500 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Citroen BX tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Audi tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Opel tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) s.n.c., con sede in (OMISSIS); Innocenti tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat 126 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS); Autobianchi Y10 tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Fiat Uno tg: (OMISSIS) di proprieta’ della (OMISSIS) Rds, di (OMISSIS) con sede a (OMISSIS); Volkswagen Polo tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Volkswagen Polo tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS) nato a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Seat Martella tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), residente a (OMISSIS); Opel Corsa tg. (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), nata a (OMISSIS), residente a (OMISSIS) deceduta;
– distrutto, deteriorato o reso, comunque, in tutto o in parte inservibili, le strutture murarie, gli infissi e le altre parti degli immobili prospicienti la (OMISSIS) e le vie circostanti appartenenti a: (OMISSIS), nate a (OMISSIS), residente a (OMISSIS); (OMISSIS) S.a.s. di (OMISSIS) con sede in (OMISSIS), nella persona di (OMISSIS), nato a (OMISSIS) rappresentante legale della societa’ e inquilino del citato locale di proprieta’ di (OMISSIS), domiciliato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS) affittuario dell’abitazione di proprieta’ di (OMISSIS) sita in (OMISSIS); (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS) S.p.A. per l’immobile sito in (OMISSIS) utilizzato come sede della (OMISSIS) S.p.A. nella persona di (OMISSIS), nato a (OMISSIS) nella qualita’ di responsabile dell’Ufficio Provveditorato e Immobili della (OMISSIS).
Con le aggravanti: di aver commesso il reato in concorso con piu’ di cinque persone, al fine di eseguire il delitto di strage di cui al capo a) di contestazione, nel tempo in cui si sottraeva all’esecuzione di un provvedimento restrittivo, al fine di agevolare l’attivita’ dell’associazione di tipo mafioso denominata (OMISSIS), nonche’ per fini terroristici.
In Palermo, il 19 luglio 1992 Con la recidiva reiterata e specifica.
c) fabbricazione, porto e detenzione di esplosivo continuato ed in concorso (articolo 61 c.p., nn. 2 e 6, articolo 81 cpv. c.p., articolo 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1, L. 2 ottobre 1967, n. 895, articoli 1 e 2, e articolo 4, commi 1 e 2, e successive modifiche e Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203, L. n. 15 del 1980, articolo 1) perche’, quale reggente del mandamento di (OMISSIS) e componente della commissione provinciale di (OMISSIS), organo di governo del sodalizio criminale denominato “(OMISSIS)”, con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di commettere il delitto di cui al capo a) e con le condotte ed i correi ivi indicati, concorreva all’illegale fabbricazione del materiale esplosivo e del congegno micidiale utilizzato per la consumazione della strage di (OMISSIS), nonche’ all’utilizzo e quindi alla detenzione ed al porto in luogo pubblico da parte di coloro che dovevano curare le fasi esecutive della strage.
Commettendo il reato in concorso con piu’ di cinque persone, al fine di eseguire il delitto di strage di cui al capo a) di contestazione, durante il tempo in cui si sottraeva all’esecuzione di un provvedimento restrittivo, nonche’ al fine di agevolare l’attivita’ del sodalizio mafioso ed altresi’ per fini terroristici.
In Palermo dal novembre 1991 e sino al 19 luglio 1992. Con la recidiva reiterata e specifica
– (OMISSIS) (in concorso con (OMISSIS), nei cui confronti si procede separatamente) responsabile dei seguenti reati:
d) strage aggravata in concorso (articolo 61 c.p., n. 10, articoli 81 e 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1, articolo 422 c.p.; L. n. 203 del 1991, articolo 7, L. n. 15 del 1980, articolo 1), perche’, quale esecutore materiale, dopo che le commissioni regionale e provinciale di (OMISSIS), organi di governo del sodalizio criminale denominato “(OMISSIS)”, fra la fine di novembre e il 13 dicembre dell’anno 1991 avevano deliberato il programma stragista che prevedeva, fra l’altro, l’uccisione di (OMISSIS), in concorso con i componenti di detta commissione e con altri soggetti che curavano l’attivita’ preparatoria ed esecutiva, tra i quali – oltre a (OMISSIS) – (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (gia’ giudicati), (OMISSIS) (nei confronti del quale si procede separatamente) ed altri appartenenti al mandamento di (OMISSIS) (tra cui (OMISSIS), nel frattempo deceduto), eseguiva, unitamente a (OMISSIS), il furto della Fiat 126 telaio (OMISSIS), di colore rosso immatricolata il 25.10.1985 con targa PA 790936, di proprieta’ di (OMISSIS) ed in uso a (OMISSIS), da utilizzare quale autobomba, nonche’ delle targhe della Fiat 126 targata (OMISSIS), intestata a (OMISSIS) e custodita all’interno dell’officina gestita da (OMISSIS), sita nella (OMISSIS), che dovevano essere apposte sulla prima autovettura per dissimularne la presenza sui luoghi della strage; procurava due batterie e un’antenna necessarie per alimentare e collegare i micidiali dispositivi destinati a far brillare il materiale esplosivo collocato nella Fiat 126 di proprieta’ della (OMISSIS).
Cosi’ compiendo atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumita’, nonche’ concorrendo a determinare la morte di (OMISSIS), magistrato, e degli agenti di scorta della Polizia di Stato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nonche’ lesioni a diverse persone e la devastazione di beni immobili e mobili.
Commettendo il reato in concorso con piu’ di cinque persone, in danno di Pubblici Ufficiali, al fine di agevolare l’attivita’ del predetto sodalizio criminale, nonche’ per fini terroristici.
In (OMISSIS).
e) devastazione in concorso (articolo 61 c.p., n. 2, articolo 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1, articolo 419 c.p., L. n. 203 del 1991, articolo 7, L. n. 15 del 1980, articolo 1), per avere, nelle qualita’ indicate nel capo d), agendo in concorso con le persone indicate nel capo a) e con le condotte loro proprie descritte nel capo a) e quelle di cui al capo d), facendo uso di sostanze esplosive, compiuto fatti di devastazione, consistenti nell’avere distrutto e reso inservibili le autovetture di cui al capo b) e distrutto, deteriorato o reso, comunque, in tutto o in parte inservibili, le strutture murarie, gli infissi e le altre parti degli immobili prospicienti la (OMISSIS) e le vie circostanti appartenenti ai soggetti indicati al capo b).
Con le aggravanti: di aver commesso il reato in concorso con piu’ di cinque persone, al fine di eseguire il delitto di strage di cui al capo d) di contestazione, al fine di agevolare l’attivita’ dell’associazione di tipo mafioso denominata (OMISSIS), nonche’ per fini terroristici.
In (OMISSIS).
f) fabbricazione, porto e detenzione di esplosivo continuato ed in concorso (articolo 61 c.p., n. 2, articolo 81 cpv. c.p., articolo 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1, L. 2 ottobre 1967, n. 895, articoli 1, 2 e 4, commi 1 e 2, e successive modifiche e Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203, L. n. 15 del 1980, articolo 1), perche’, con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, per commettere il delitto di cui al capo d), in concorso con i soggetti indicati nel medesimo capo e con altri, alcuni non ancora identificati, detenevano e portavano in luogo pubblico un’ingente quantita’ di materiale esplosivo e i congegni micidiali necessari a farlo brillare, per alimentare i quali aveva anche procurato due batterie ed un’antenna.
Commettendo il reato in concorso con piu’ di cinque persone, nonche’ al fine di agevolare l’attivita’ del sodalizio mafioso ed altresi’ per fini terroristici.
In (OMISSIS).
– (OMISSIS) responsabile del reato (capo g) di calunnia aggravata (articolo 368 c.p., commi 1 e 3), perche’ nel corso dell’esame dibattimentale reso, in grado d’appello, nell’ambito del processo c.d. “(OMISSIS)” (procedimento n. 09/96 Reg. Gen.) per la strage di (OMISSIS), incolpava falsamente (OMISSIS), pur sapendolo innocente, di aver partecipato alle fasi esecutive dell’attentato compiuto il 19 luglio 1992, in particolare dichiarando che (OMISSIS), in occasione di un colloquio avuto al carcere di Caltanissetta, gli aveva detto, in relazione all’esecuzione dell’attentato, “il lavoro l’abbiamo fatto noi della Guadagna” e, quindi, accusandolo della commissione del delitto di strage, per il quale il predetto (OMISSIS) veniva condannato alla pena dell’ergastolo.
Commesso in Caltanissetta, il 7 marzo 2001. Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale.
– (OMISSIS) responsabile dei reati (capo i) di calunnia aggravata (articolo 61 c.p., n. 2, articolo 81 cpv. c.p., e articolo 368 c.p., commi 1 e 3), perche’, con una pluralita’ di azioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nel corso degli interrogatori e degli esami dibattimentali resi nell’ambito dei procedimenti per la strage di (OMISSIS) incolpava falsamente, pur sapendoli innocenti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) di aver partecipato all’organizzazione ed esecuzione dell’attentato compiuto il (OMISSIS) e, quindi, della commissione del delitto di strage, per il quale il predetto (OMISSIS) veniva condannato alla pena di anni 18 di reclusione e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena dell’ergastolo. In particolare, tra le altre cose, dichiarava di aver saputo da (OMISSIS), in occasione di un periodo di comune detenzione nel carcere di Busto Arsizio, che: lo stesso (OMISSIS) aveva svolto funzione di vigilanza all’esterno della carrozzeria di (OMISSIS) allorche’ la Fiat 126 era stata imbottita con l’esplosivo; (OMISSIS) era stato presente nella carrozzeria di (OMISSIS) al momento in cui lo stesso (OMISSIS) aveva ivi condotto la Fiat 126 sottratta a (OMISSIS) affinche’ fosse imbottita di esplosivo, circostanza dapprima riferita, nel corso degli interrogatori cui era stato sottoposto in fase d’indagine, solo in forma dubitativa e che inoltre lo stesso (OMISSIS) aveva riferito pur sempre allo (OMISSIS), due giorni prima della realizzazione dell’attentato, che “era tutto a posto” e cioe’ che il “telefonista” era riuscito a mettere sotto controllo il telefono della casa della madre del Dott. (OMISSIS); (OMISSIS) aveva avuto un ruolo nella strage, avendo quanto meno fornito il consenso dei (OMISSIS) di (OMISSIS) alla sua esecuzione; (OMISSIS) aveva partecipato all’esecuzione della strage.
In (OMISSIS) (con particolare riguardo alla riferita condotta di avere il (OMISSIS) avvisato lo (OMISSIS) della positiva esecuzione dell’attivita’ d’intercettazione sull’utenza attestata presso l’abitazione della madre del Dott. (OMISSIS)) ed il 31.1.1995 (in relazione alla riferita condotta dell’essere stato presente nella carrozzeria di (OMISSIS) nel momento in cui (OMISSIS) ivi condusse la Fiat 126) per le dichiarazioni rese sul conto di (OMISSIS); il 26.1.1995 per le dichiarazioni rese sul conto di (OMISSIS); il 16.10.1997 per le dichiarazioni rese sul conto di (OMISSIS) e (OMISSIS). Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale.
Gli imputati venivano condannati, (OMISSIS) e (OMISSIS), alla pena principale dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di un anno, (OMISSIS) e (OMISSIS), alla pena principale di anni 10 di reclusione, nonche’, tutti, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio civile.
Inoltre, (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano condannati al pagamento di una provvisionale: dell’importo di Euro 500.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Emanuele, (OMISSIS) Emilia, (OMISSIS)linda; dell’importo di Euro 300.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); dell’importo di Euro 100.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); dell’importo di Euro 90.000,00 in favore della parte civile (OMISSIS); dell’importo di Euro 80.000,00 in favore della parte civile (OMISSIS). (OMISSIS) veniva condannato al pagamento di una provvisionale dell’importo di Euro 300.000,00 in favore della parte civile (OMISSIS).
La Corte di assise di Caltanissetta, inoltre dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) (imputato del delitto di calunnia aggravata ex articolo 61 c.p., n. 2, articolo 81 c.p., comma 2, e articolo 368 c.p., commi 1 e 3, perche’, con una pluralita’ di azioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nel corso degli interrogatori e degli esami dibattimentali resi nell’ambito dei procedimenti per la strage di (OMISSIS), incolpava falsamente, pur sapendoli innocenti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) di aver partecipato alle fasi esecutive dell’attentato compiuto il (OMISSIS) in (OMISSIS) e, quindi, della commissione del delitto di strage, per il quale i predetti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano condannati alla pena dell’ergastolo) in ordine al reato continuato ascrittogli, in quanto, applicata la circostanza attenuante di cui all’articolo 114 c.p., comma 3, con giudizio di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti contestate, il reato era estinto per prescrizione.
2. Investita dagli appelli proposti nell’interesse degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di assise di appello di Caltanissetta, con sentenza deliberata il 15 novembre 2019, ha confermato la sentenza di condanna di primo grado.
2.1. Rinviando la piu’ analitica disamina della motivazione della sentenza impugnata alla trattazione dei singoli ricorsi, puo’ qui, in estrema sintesi, segnalarsi che, in ordine alla posizione di (OMISSIS), la Corte di assise di appello ha preso le mosse dalla ricognizione dei seri e concreti propositi di omicidio del giudice (OMISSIS) maturati da (OMISSIS) fin dagli anni âEuroËœ80, per poi soffermarsi sugli esiti del processo ” (OMISSIS) ter”, che aveva individuato nella riunione degli auguri di Natale del 1991 il momento deliberativo della strategia stragista di (OMISSIS) delineata in relazione al previsto (e poi verificatosi) esito infausto, per la stessa (OMISSIS), del “maxiprocesso”. I giudici di merito hanno poi messo in rilievo le plurime, persistenti “zone d’ombra” sulla vicenda della strage di (OMISSIS), rimarcando, comunque, la paternita’ mafiosa dell’attentato e sottolineando, rispetto ai “nuovi scenari” che le vicende oggetto del processo “trattativa Stato – mafia” avrebbero disvelato, “la sostanziale neutralita’” ai fini dell’accertamento oggetto del presente processo; nella ricostruzione della sentenza impugnata (e della conforme sentenza di primo grado), l’uccisione del giudice (OMISSIS), “inserita nell’ambito di una piu’ articolata “strategia stragista” unitaria”, rispondeva a piu’ finalita’ di (OMISSIS), una finalita’ di vendetta che chiama in causa la vita professionale del magistrato, una finalita’ preventiva, perseguita da (OMISSIS) in relazione “alla possibilita’ che il giudice (OMISSIS) divenisse capo della Procura Antimafia, e una “finalita’ di destabilizzazione”, volta a “esercitare una pressione sulla compagine politica e governativa” e “a mettere in ginocchio lo Stato”.
Con specifico riferimento alla posizione di (OMISSIS), la sentenza di appello ha, innanzitutto, esaminato le dichiarazioni accusatorie del collaboratore (OMISSIS), centrali nel compendio probatorio valorizzato ai fini del giudizio di colpevolezza, vagliando, alla luce dei motivi di appello, la credibilita’ del collaboratore e l’attendibilita’ del suo racconto, che indicava il ricorrente tra i partecipanti alla riunione deliberativa indicata. Confermato il giudizio di genuinita’ e di attendibilita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) gia’ formulato dalla sentenza di primo grado, la pronuncia di appello esamina gli elementi di riscontro offerti – in particolare, ma non esclusivamente – dalle dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS) (nel giudizio di rinvio dinanzi alla Corte di assise di appello di Catania all’udienza del 19/03/2004 e in sede di interrogatorio del 22/01/2009, il cui verbale e’ stato acquisito ex articolo 512 c.p.p.), rilevandone l’idoneita’ a integrare un elemento di conferma delle dichiarazioni di (OMISSIS), anche alla luce del rilievo dell’identita’ della riunione in cui la Commissione Provinciale delibero’ la strategia stragista e affronto’ il tema dei nuovi assetti organizzativi conseguenti all’uccisione di (OMISSIS), identita’ argomentata sulla base di vari elementi (tra i quali, la “cronologia degli eventi” relativi alla vicenda del maxiprocesso e alla “questione (OMISSIS)”). Il giudice di appello ha poi richiamato: la circostanza che (OMISSIS) risulta aver partecipato anche ad altra riunione della Commissione Provinciale di (OMISSIS), nel corso della quale erano stati deliberati gli omicidi dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS); le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno indicato l’odierno ricorrente come reggente del mandamento di (OMISSIS) nel periodo 1990/1991, quale sostituto del padre; la circostanza che (OMISSIS) rientrava in detto mandamento.
In linea con la citata sentenza della Corte di assise di appello di Catania nel processo ” (OMISSIS) ter”, la Corte di assise di appello nissena ha poi rimarcato il ruolo deliberativo rispetto, in particolare, all’uccisione di (OMISSIS) ascrivibile alla riunione della Commissione Provinciale di (OMISSIS) tenutasi intorno agli inizi del mese di dicembre del 1991, disattendendo le doglianze formulate al riguardo dall’appellante.
2.2. Per quanto riguarda la posizione di (OMISSIS), la sentenza impugnata ha confermato le valutazioni del giudice di primo grado in ordine al giudizio di credibilita’ soggettiva del principale accusatore del ricorrente, (OMISSIS), e alla ricostruzione della dinamica del furto e del coinvolgimento dello stesso (OMISSIS) prospettata dal collaboratore di giustizia. La Corte di assise di appello di Caltanissetta ha inoltre ritenuto infondate le censure difensive relative ai riscontri estrinseci e individualizzanti, identificati dai giudici di merito nelle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La sentenza impugnata ha poi messo in luce, disattendendo anche sul punto le censure difensive, gli elementi di fatto in base ai quali ha ritenuto corretta l’inferenza del giudice di primo grado in ordine alla riconoscibilita’ del dolo, elementi individuati, in particolare, nel collegamento tra il furto dell’auto, il furto delle targhe e il reperimento degli strumenti indispensabili per alimentare i dispositivi destinati a provocare la deflagrazione, condotte, queste, poste in essere da (OMISSIS) in quello che e’ stato definito un “contesto unitario” dalla Corte nissena, che ha altresi’ rigettato il motivo di appello teso al riconoscimento della configurabilita’, nel caso di specie, del concorso anomalo.
2.3. Nella definizione della posizione di (OMISSIS), la Corte di assise di appello muove dalle “origini della calunnia”, ossia dalla “ricostruzione della genesi delle indagini compiute dagli organi inquirenti sulla strage” e dalla ricognizione dei contributi dichiarativi offerti, in particolare, da (OMISSIS) e dallo stesso (OMISSIS), contributi “sostanzialmente posti alla base dei due processi (OMISSIS) e (OMISSIS)”. La sentenza impugnata osserva poi che non sussistono “elementi per ritenere che le mendaci dichiarazioni rese dall’imputato in esame e da (OMISSIS) siano il frutto di una concertata programmazione criminosa” e, richiamate alcune circostanze (ad esempio in ordine alla riunione deliberativa della strage, alle condizioni dell’autovettura rubata), rileva come debba ritenersi che esse “possano essere state suggerite solo da inquirenti infedeli, in violazione di basilari regole procedimentali, non potendo derivare da altra fonte la conoscenza delle dichiarazioni rese nel frattempo da (OMISSIS) (a loro volta non corrispondenti a verita’)”. La sentenza impugnata richiama poi adesivamente quella di primo grado li’ dove osserva che l’analisi sulla genesi della collaborazione dei falsi pentiti ( (OMISSIS) e (OMISSIS), quelli imputati nel presente processo) “lascia emergere una costante”, trattandosi di dichiarazioni che “pur radicalmente false nel loro insieme, ricomprendevano alcune circostanze oggettivamente vere, che dovevano essere state suggerite loro dagli inquirenti o da altri funzionali infedeli i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte”.
Replicando alle censure proposte con l’atto di appello, la Corte nissena ha poi rilevato che le dichiarazioni rese da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) il 16/10/1997 rappresentano una reiterazione, in continuazione, delle precedenti condotte calunniatorie, sicche’ a nulla rileva che tali dichiarazioni siano intervenute quando era gia’ divenuta irrevocabile la condanna di (OMISSIS). La sentenza impugnata ribadisce, quindi, in linea con la sentenza di primo grado, l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato rispetto, per un verso, alle dichiarazioni rese il 16/10/1997 nei confronti di (OMISSIS), accusato di aver preso parte alla strage, e, per altro verso, alle dichiarazioni del 26/01/1995 nei confronti di (OMISSIS), indicato, in sintesi, come colui che aveva “fornito” il consenso dei (OMISSIS) alla strage.
Quanto alla consapevolezza dell’innocenza degli accusati in capo ad (OMISSIS) (che ha “ammesso la falsita’ delle sue dichiarazioni e, dunque, l’inesistenza delle confessioni carcerarie da parte di (OMISSIS)”, proclamandosi, tuttavia, innocente in quanto i nomi e i fatti riferiti all’Autorita’ Giudiziaria erano il risultato dei suggerimenti ricevuti dai funzionari di polizia del gruppo (OMISSIS) (OMISSIS)), la Corte di secondo grado conferma la valutazione del giudice di primo grado sulla base di una serie di elementi e argomenti (l’estraneita’ alle dinamiche criminali siciliane, i benefici ottenuti con l’ammissione al programma speciale di protezione, la mancata richiesta agli “inquirenti suggeritori” di qualsiasi elemento in ordine alla veridicita’ dei fatti narrati, l’assoluta anomalia del modo di procedere indicato come “indottrinamento”, volto a “incastrare” (OMISSIS), la progressivita’ delle accuse che gli venivano via via suggerite).
Ribadita l’efficienza causale delle dichiarazioni di (OMISSIS) in ordine alle condanne subi’te dalle persone offese e, dunque, la sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 368, comma 3, c.p., la sentenza impugnata ha, infine, motivato in ordine al rigetto delle deduzioni difensive volte alla mitigazione del trattamento sanzionatorio irrogato.
2.4. La sentenza impugnata ha confermato altresi’ il giudizio di colpevolezza di (OMISSIS); in estrema sintesi, nella valutazione del giudice di appello, da una parte, le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) sono ritenute mendaci alla luce della ricostruzione della vicenda preparatoria ed esecutiva della strage di (OMISSIS) offerta dalla collaborazione di (OMISSIS), ricostruzione, ritenuta del tutto attendibile, che esclude qualsiasi partecipazione a quel segmento di (OMISSIS) e di esponenti della “famiglia” della Guadagna. D’altra parte, i giudici di merito hanno formulato un giudizio di inattendibilita’ delle dichiarazioni dell’odierno ricorrente, giudizio fondato su elementi riguardanti gia’ la fase iniziale della collaborazione di (OMISSIS) (rispetto alla quale la Corte di assise di appello di Caltanissetta ricorda che lo stesso dichiarante ha ammesso la parzialita’ e la reticenza, all’epoca, della propria collaborazione e richiama le accuse di aver tentato inquinamenti della prova mossegli da Giuga e da Trubia), sia le discordanti versioni prospettate, nel tempo, sui fatti di cui all’imputazione: assente negli interrogatori resi in precedenza, il riferimento al coinvolgimento di (OMISSIS) nella strage di (OMISSIS) compare per la prima volta in sede di appello del processo “(OMISSIS)”, il 07/03/2001, determinando il ribaltamento in peius della sentenza assolutoria pronunciata in primo grado nei confronti dello stesso (OMISSIS) (e la sua condanna all’ergastolo). La versione sostenuta nel corso del processo “(OMISSIS)” fu ribadita da (OMISSIS) nei due interrogatori resi nel corso delle indagini del presente procedimento il 04/04/2011 e il 10/03/2012, ma, a sole due settimane dall’ultimo di tali interrogatori, (OMISSIS), il 22/03/2012, ritratto’ le accuse nei confronti di (OMISSIS), adducendo, a spiegazione della condotta posta in essere, la volonta’ di compiacere il Procuratore Generale che, a suo tempo, gli aveva rivolto una domanda suggestiva, richiamata, pero’, dallo stesso (OMISSIS) in termini indicati dai giudici di merito come non corrispondenti al vero. Infine, nel dibattimento del presente processo, interviene la “ritrattazione della ritrattazione”, con la riproposizione della versione accusatoria nei confronti di (OMISSIS). Ritrattazione della precedente confessione ritenuta non credibile dal giudice di appello.
2.5. Inoltre, la Corte di assise di appello nissena ha rigettato anche l’appello proposto nell’interesse di (OMISSIS) e volto a ottenere una sentenza di proscioglimento con formula piu’ favorevole (perche’ il fatto non sussiste o non costituisce reato, per aver agito in stato di necessita’ o, comunque, senza la consapevolezza dell’innocenza delle persone accusate).
3. Avverso l’indicata sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso i difensori Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – inosservanza dell’articolo 110 c.p., dell’articolo 422 c.p.p. (recte, c.p.) e dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, e articolo 187 c.p.p. (la distinzione in sotto-paragrafi – assente nell’atto di ricorso – e’ funzionale a una piu’ chiara esposizione delle doglianze).
3.1. Il ricorso sintetizza, in premessa, le doglianze proposte con l’atto di appello e alcuni passaggi della motivazione della sentenza impugnata, per poi censurare il rilievo del giudice di appello circa il riscontro offerto alle dichiarazioni accusatorie del collaboratore (OMISSIS) da quelle dell’altro collaboratore (OMISSIS): richiamate le dichiarazioni rese da quest’ultimo nel giudizio di rinvio dinanzi alla Corte di assise di appello di Catania e poi nell’interrogatorio del 22/01/2009 acquisito ex articolo 512 c.p.p., il ricorso sottolinea che, in queste ultime dichiarazioni, (OMISSIS), con riguardo alla riunione “allargata” della Commissione Provinciale di (OMISSIS) indetta da (OMISSIS) anche per chiarire ragioni e circostanze dell’omicidio di (OMISSIS), ha riferito di non ricordare se nel corso di tale riunione si fosse discusso dell'”eliminazione” dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi’ smentendo il racconto di (OMISSIS) in cui questi descriveva l’espressa e rappresentata decisione di (OMISSIS) di uccidere (anche) il giudice (OMISSIS). Il ricorso ritiene non condivisibile il ragionamento dei giudici di merito sull’identita’ della riunione allargata indicata dai due collaboratori, in quanto le rispettive dichiarazioni risultano differenti rispetto al nucleo essenziale, tanto piu’ che, al riguardo, (OMISSIS) non ha riferito dei protagonismi evocati da (OMISSIS), il quale ha raccontato di aver incontrato (OMISSIS) nei primi mesi del 1992, laddove il ricorrente e’ detenuto in carcere dal 13/12/1991.
3.2. Quanto all’epoca della decisione di uccidere (OMISSIS), che la difesa dell’imputato aveva collocato a meta’ degli anni âEuroËœ80 alla luce dei precedenti procedimenti definiti con sentenze irrevocabili acquisite agli atti (le quali postulavano un’adeguata e autonoma valutazione), il ricorso evidenzia che la stessa sentenza impugnata riconosce che detta decisione aveva ricevuto una repentina “accelerazione” nel mese di maggio del 1992, dopo la strage di Capaci; osserva quindi il ricorso che, per sostenere un’interruzione di continuita’ del progetto delittuoso si sarebbe dovuto dimostrare un avvenimento talmente eccezionale da sovrapporsi al deliberato originario interamente “novandolo”, cosi’ da far ritenere l’uccisione di (OMISSIS) non piu’ riconducibile ai motivi espressi fin dagli inizi degli anni âEuroËœ80, ma ad altri motivi, del tutto diversi da quelli originari, per i quali era necessario che (OMISSIS) adottasse una nuova decisione, tanto piu’ che lo stesso capo di imputazione fa riferimento alla deliberazione del proposito criminoso stragista nel mese di ottobre del 1991 in occasione della riunione tenutasi a (OMISSIS) di cui alle dichiarazioni di Sinacori, (OMISSIS) e (OMISSIS). Osserva ancora il ricorso, richiamando le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che la sentenza impugnata ha fatto riferimento a una riunione della Commissione Regionale di (OMISSIS) in data 01/02/1992 e all’ordine impartito da (OMISSIS) a meta’ febbraio di rientrare in Sicilia ai soggetti inviati a Roma per organizzare l’attentato contro, in particolare, (OMISSIS), ordine al quale avevano fatto seguito le “riunioni ristrette” di cui avevano parlato i collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS); ad avviso dell’impugnante, l’adozione del piano stragista nei confronti dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS) non aveva assunto il contenuto “rinnovativo” affermato dal giudice di appello, posto che la decisione omicidiaria non era mai venuta meno, tanto e’ vero che, dalla fase deliberativa risalente agli anni âEuroËœ80, si era passati a quella esecutiva, prima della riunione del dicembre del 1991, con gli attentati falliti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) menzionati dalla sentenza impugnata.
3.3. Mentre l’atto di appello aveva denunciato il difetto di costanza nel tempo delle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), il ricorso richiama quanto riferito dal collaboratore nel 2002 dinanzi al Tribunale di Termini Imerese e nel 2003 nel processo Adelfio e altri (in cui non aveva raccontato di aver partecipato alla “riunione degli auguri” avente a oggetto l’uccisione dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)), nonche’ nel processo per il duplice omicidio (OMISSIS) (in cui non aveva saputo indicare quante volte aveva visto il ricorrente nelle riunioni della Commissione Provinciale di (OMISSIS) e precisava di non aver avuto notizie in merito a diversi “omicidi eccellenti” di appartenenti alle forze di polizia o esponenti del mondo politico o giudiziario, quali gli omicidi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)); il ricorso richiama quindi gli interrogativi avanzati dalla difesa con l’atto di appello in ordine ai soggetti presenti, per il mandamento di (OMISSIS), alle varie riunioni della Commissione Provinciale in occasione del Natale 1991 e nel periodo 1988 1990, rispetto alle quali l’assenza di ricordo del collaborante avrebbe meritato congrua confutazione argomentativa.
L’atto di appello, sottolinea ancora il ricorso, aveva dedotto che nel settembre-ottobre 1991 era stata ri-deliberata l’uccisione dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS) che si sarebbe dovuta realizzare con la “missione romana”, sicche’ non si comprendeva logicamente l’assunto secondo cui solo nel mese di dicembre del 1991 sarebbero stati ri-deliberati gli omicidi, tanto piu’ che, nel presente procedimento, il collaboratore (OMISSIS) ha contraddetto (OMISSIS), riferendo di aver focalizzato la propria attenzione piu’ sulle “riunioni ristrette” del febbraio del 1992 e di non avere un ricordo preciso in ordine alla “riunione degli auguri” del 1991.
Ulteriori elementi di smentita, osserva ancora il ricorso, potevano desumersi dal fatto che vari collaboratori ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) non avevano riferito nulla sul tema, nonostante il ruolo rivestito in seno a (OMISSIS); deduce ancora l’impugnazione, richiamando i motivi di appello, che, per come contestato nel processo “trattativa Stato – Mafia”, proprio dagli esiti del maxi-processo andarono in crisi i rapporti di (OMISSIS) con i referenti politici tradizionali, mentre le dichiarazioni relative al periodo a cavallo tra il 1991 e 1992 muovono dall’aspettativa intorno al maxi-processo e poi dalle conseguenze provocate dalla sentenza della Corte di cassazione del 31 (recte, 30: n. d.e.) gennaio 1992, non gia’ dalla previsione di essa.
3.4. Il ricorso deduce, in guisa di riepilogo, che la sentenza impugnata assume la partecipazione di (OMISSIS), quale reggente della famiglia di (OMISSIS), in sostituzione del padre (OMISSIS), gia’ condannato dalla Corte di assise di appello di Catania per il medesimo fatto e sulla scorta del medesimo materiale probatorio, utilizzabile ex articolo 238-bis c.p.p. Il collaboratore (OMISSIS) ha riferito della presenza di (OMISSIS) alla riunione degli auguri natalizi del 1991 in quanto incontrato, subito dopo, nei primi mesi del 1992, laddove il ricorrente risultava all’epoca detenuto in carcere. Lo stesso (OMISSIS), osserva ancora il ricorso, ha riferito delle lamentele raccolte da (OMISSIS) (padre) all’interno del carcere di (OMISSIS) in ordine al fatto che la sua famiglia mafiosa (famiglia (OMISSIS), mandamento di (OMISSIS)) non fosse stata informata dell’omicidio del giudice (OMISSIS), lamentela che logicamente non avrebbe ragion d’essere se (OMISSIS) avesse effettivamente partecipato alla decisione in rappresentanza del mandamento.
Il ricorso censura poi la sentenza impugnata sotto il profilo della dedotta non corretta applicazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, ai fini della valutazione della consistenza probatoria della chiamata in correita’ di (OMISSIS) e dell’affidabilita’ dei riscontri in ordine all’effettiva partecipazione dell’imputato all’episodio contestatogli; vengono dunque proposte censure circa la violazione della regola probatoria di cui all’articolo 192 c.p.p., comma 3, e la manifesta illogicita’ della motivazione, in relazione al ritenuto concorso morale del ricorrente nella veste di mandante della strage, tenuto conto del fatto che il racconto di (OMISSIS) sulla riunione del dicembre del 1991 non collima con quelli di (OMISSIS) e di (OMISSIS), il secondo dei quali non ha confermato la presenza di (OMISSIS) nelle dichiarazioni dibattimentali e, sempre in quelle rese alla Corte di assise di appello di Catania, aveva fatto riferimento solo agli omicidi di Lima e di (OMISSIS) (non aggiungendo nulla in ordine al giudice (OMISSIS)), nonche’ alla circostanza che (OMISSIS) sarebbe stato presente solo alla riunione in cui si discusse dell’omicidio di (OMISSIS) e che vi furono riunioni della Commissione provinciale due o tre mesi prima dell’attentato di Capaci. I collaboranti (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno riferito di un’altra riunione deliberativa intervenuta nell’ottobre del 1991 a (OMISSIS) alla presenza di (OMISSIS), dalla quale prese le mosse la “(OMISSIS)” del marzo 1992, risultanza che disarticola il ragionamento della sentenza impugnata.
Denuncia ancora il ricorso che non risulta spiegato come (OMISSIS) abbia rispetto a una decisione presa e mai revocata in dubbio – istigato o determinato taluno all’esecuzione del delitto, provocando, formando o rafforzando l’altrui convincimento e non con la mera attuazione della decisione presa da tempo dall’organismo collegiale, che nel dicembre del 1991 aveva deciso chi avrebbe preso in carico l’esecuzione dei progetti omicidiari.
I giudici di merito, osserva ancora il ricorso, avrebbero dovuto motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione del complice morale nella fase ideativa o preparatoria del delitto, precisando sotto quale forma essa si fosse manifestata in rapporto di causalita’ efficiente con le attivita’ poste in essere da altri soggetti anni prima, secondo la regola, non immutabile nel tempo, che le decisioni della Commissione circa i “delitti eccellenti” potevano essere differite, ma non revocate, mentre la decisione dell’uccisione del giudice (OMISSIS) era gia’ passata alla fase esecutiva, come confermato dagli attentati di (OMISSIS) e di Via Cilea anteriori alla riunione del dicembre del 1991.
Deduce conclusivamente il ricorso che i giudici di merito hanno fornito una lettura affetta da illogicita’, non spiegando la relazione tra una deliberazione dell’organismo collegiale di (OMISSIS) gia’ intervenuta e un secondo intervento “decisorio che a quel punto si sarebbe sovrapposto senza ragione” (Sez. 1, n. 2938 del 27/11/2020, dep. 2021, Virga), tenuto conto dell’assenza di elementi
probatori dimostrativi di un ripensamento da parte di detto organismo.
4. Avverso la medesima sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. (OMISSIS), articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p..
4.1. Il primo motivo denuncia inosservanza degli articoli 125, 187 e 192 c.p.p. e dell’articolo 422 c.p., nonche’ vizi di motivazione.
4.1.1. Deduce il ricorso che la sentenza impugnata non ha preso in considerazione diverse pronunce assolutorie in cui le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) non sono state ritenute sufficienti a giungere a un giudizio di colpevolezza, quali la sentenza della Corte di appello di Milano sulla strage di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) (fratello del ricorrente), la sentenza della Sesta Sezione penale della Corte di cassazione nel processo (OMISSIS) e la sentenza della Seconda Sezione nei confronti di tale (OMISSIS), nei cui confronti e’ stata negata la revisione nonostante le dichiarazioni di (OMISSIS) a lui favorevoli. La Corte di appello, osserva l’impugnante, ha valutato in termini di condivisione le sentenze in cui la propalazione era stata valorizzata, in termini di – implicito – rigetto nelle pronunce opposte.
Inoltre, deduce ancora il ricorso, la sentenza impugnata ha ritenuto genuino, disinteressato, spontaneo e costante il racconto di (OMISSIS) nonostante il contenuto di un pregresso colloquio investigativo del 26 giugno 1998 effettuato con i Procuratori (OMISSIS) e (OMISSIS) della Procura Nazionale Antimafia, colloquio in cui – pur facendo riferimento a fatti anche gravissimi commessi da (OMISSIS) e al protagonismo stragista dei fratelli (OMISSIS) e di altri – non menzionava il coinvolgimento di (OMISSIS), non risultando appagante il rilievo del rapporto di amicizia – mai venuto meno – esistente tra chiamante e chiamato quale spiegazione delle accuse intervenute dieci anni dopo quel colloquio.
4.1.2. Quanto alla dinamica del furto, osserva il ricorrente che la sentenza individua quale riscontro “di posizione” o “d’ambiente” della dichiarazione accusatoria di (OMISSIS) il ruolo svolto dall’imputato in seno al mandamento di (OMISSIS), prospettiva che, per essere positivamente validata, avrebbe dovuto afferire al furto dell’autovettura (nel quale lo stesso (OMISSIS) avrebbe potuto coinvolgere persone a lui vicine ed esperte come (OMISSIS)), ossia al segmento della vicenda narrato dal collaborante, laddove solo con motivazione congetturale sono state superate, ad avviso dell’impugnazione, le questioni relative alla collocazione temporale dell’incarico ricevuto da (OMISSIS) e al furto, in quanto la difficolta’ riferita da (OMISSIS) di aprire la Fiat 126 con lo “spadino” era stata confutata dalla difesa, che, nel gravame, aveva dedotto che tale difficolta’ si riferiva a un modello successivo a quello dell’auto rubata; a fronte del dato documentale dedotto dalla difesa, la sentenza impugnata ha valorizzato le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), elevati al ruolo di esperti periti, secondo i quali era impossibile aprire la 126 con lo “spadino”, diversamente da quanto sostenuto, prima della collaborazione, da (OMISSIS), che aveva raccontato di aver rubato l’auto con tale strumento.
Con riferimento alla difficolta’ per gli autori del furto di spingere a mano la 126 fino al magazzino, la sentenza impugnata ha disatteso le doglianze dell’appellante rilevando che esse erano sfornite di alcun supporto documentale e tecnico, senza considerare che detta risultanza, in quanto rientrante nel notorio, non richiedeva ulteriore dimostrazione documentale.
Osserva altresi’ il ricorso che, nell’atto di appello, era stato evidenziato il contrasto tra il riferimento di (OMISSIS) all’epoca di conferimento dell’incarico e quanto riferito da (OMISSIS), che solo tre giorni prima della strage aveva appreso da (OMISSIS) che non poteva aiutarlo perche’ in quel momento era “sotto lavoro”; la deduzione e’ stata disattesa con motivazione insufficiente, ritenendo apoditticamente esaustivo il mero riferimento di (OMISSIS) all’intera fase preparatoria. Allo stesso modo, sottolinea il ricorso, sono state considerate le ravvisate imprecisioni del racconto di (OMISSIS) sulla collocazione temporale degli eventi, impropriamente giustificate come deficit mnemonico ritenuto anzi sintomo di genuinita’, sicche’ quando il propalante accusa evocando accadimenti con precisione, e’ attendibile, mentre, se non rammenta, e’ attendibile ugualmente in quanto genuino.
Il ricorso lamenta inoltre che la censura relativa all’inverosimiglianza dell’utilizzo di una macchina “pulita” come quella del fratello di (OMISSIS) per svolgere un compito preparatorio di un attentato eclatante e’ stata disattesa dal giudice di appello argomentando che il giorno del furto era stato programmato solo un giro di perlustrazione, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) cambiarono repentinamente idea dopo aver trovato la 126 poi sottratta, cosi’ giustificando l’assunto facendo riferimento a un’iniziativa personale non comunicata ad alcuno ne’ avallata dai vertici della famiglia mafiosa, in un contesto che la stessa sentenza impugnata definisce di massima accortezza e cautela, tanto da agire a “compartimenti stagni”.
Deduce ancora il ricorso che l’assunto secondo cui (OMISSIS) avrebbe indicato il posto preciso in cui era stata parcheggiata l’auto poi sottratta, confermato da (OMISSIS) solo nel presente processo, non poteva costituire riscontro estrinseco e individualizzante nei confronti di (OMISSIS), laddove i giudici di merito non hanno spiegato la ragione dell’evidente mutamento della versione della stessa (OMISSIS), a distanza di anni e di processi, e la sospetta “convergenza” con la versione di (OMISSIS).
Quanto alla questione della sistemazione dei freni della 126, in ordine alle doglianze dell’atto di appello circa le discrasie tra le dichiarazioni di (OMISSIS) e le conclusioni del consulente tecnico del P.M. (OMISSIS) (secondo cui i lavori erano stati eseguiti, in termini probabilistici, solo su(settore frenante posteriore destro), la Corte di assise di appello, in linea con la sentenza di primo grado, ha valorizzato il dato dell’avvenuta riparazione, senza pero’ analizzare i profili di inverosimiglianza concernenti le modalita’ dell’intervento, tenuto conto che l’auto non poteva essere “issata” a mano per essere poggiata su cartoni dove venivano custodite sigarette, e il coinvolgimento di (OMISSIS), che poteva diventare uno scomodo teste.
A proposito dell’eliminazione dei documenti rinvenuti all’interno della 126, rispetto alla quale la difesa aveva richiamato le dichiarazioni della proprietaria (OMISSIS), che ha riferito di avere ancora la disponibilita’ della carta di circolazione, la sentenza impugnata – ad avviso del ricorrente – incorre in un travisamento della prova, posto che, in sede di incidente probatorio, (OMISSIS), diversamente da quanto riportato dalla sentenza impugnata (pag. 234), ha dichiarato di aver tolto tutto quello che era custodito e di avergli dato fuoco.
L’atto di appello aveva devoluto alcune deduzioni in ordine al ricordo poco nitido di (OMISSIS) sulla data del furto della 126, sull’affermazione di non ricordare chi avesse sottratto le targhe e sulle modalita’ di accesso all’officina di Orofino (scavalcando un cancello secondo il collaborante; con la forzatura e la rottura del lucchetto, secondo la denuncia di Orofino). Osserva ancora il ricorso che la sentenza di appello non ha dato risposte appaganti anche sulla deduzione che lo stesso (OMISSIS) non avesse contezza dell’obiettivo da colpire, perche’ si procedeva a “compartimenti stagni”, salvo poi coinvolgere incautamente tale (OMISSIS) (un ladruncolo di quartiere) in un’operazione delicatissima e nonostante il collaborante ipotizzasse che l’auto poteva essere impiegata per un attentato come quello in cui fu ucciso il giudice Chinnici.
4.1.3. Deduce inoltre il ricorso che la sentenza impugnata condivide apoditticamente la positiva valutazione dei giudici di primo grado in ordine all’attendibilita’ soggettiva e oggettiva delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), sulla base di un giudizio censurato dall’atto di appello in ragione della giovane eta’ e della mancata investitura all’epoca di (OMISSIS), del mancato credito riconosciuto dai giudici di primo grado ad altre dichiarazioni del collaborante (in merito ai “servizi deviati” e a Castel Utveggio), della progressione accusatoria del contributo offerto, del mancato credito accordatogli in altri procedimenti, del riferimento a “martidduzzu”, soprannome di (OMISSIS) e non di (OMISSIS), del mancato ricordo della voglia che (OMISSIS) aveva sul viso, del riferimento agli arresti domiciliari e non alla sorveglianza speciale applicata all’epoca a (OMISSIS), dell’inverosimiglianza della visita (essendo gia’ stato acquisito il consenso nella precedente riunione degli auguri di Natale). Ritiene il ricorso che le censure siano state superate dalla sentenza impugnata con motivazione congetturale, tanto piu’ che, secondo la ricostruzione ritenuta illogica dall’impugnante, (OMISSIS) avrebbe avvisato tempo prima della strage (OMISSIS) figlio (neppure affiliato) affinche’ informasse il padre detenuto dei progetti stragisti, facendo cosi’ saltare ogni accortezza e nonostante la famiglia mafiosa di appartenenza (mandamento di (OMISSIS)) fosse stata gia’ informata dopo la riunione di Natale del 1991, tanto piu’ che il padre del collaboratore cosi’ come riferito da (OMISSIS) – si era poi lamentato di non essere stato informato della strage, il che smentisce il racconto di (OMISSIS).
Quanto alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), le stesse erano state censurate in sede di appello per la dedotta genericita’, inverosimiglianza e tardivita’, oltre che per l’erronea individuazione dell’atto di indagine pervenuto a (OMISSIS); secondo la ricostruzione della successione degli atti notificati a (OMISSIS), nel mese di aprile del 2009 egli non avrebbe avuto ragione di sorprendersi e turbarsi piu’ di tanto, essendo gia’ a conoscenza dal precedente febbraio delle indagini a suo carico per la strage del (OMISSIS).
A proposito delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) (definito “truffaldino” dallo stesso (OMISSIS)), nel gravame la difesa aveva lamentato che in altri procedimenti il collaborante era stato ritenuto inattendibile e che comunque le sue dichiarazioni contrastavano con quanto riportato in sentenza circa il fatto che (OMISSIS) si era lamentato per esser stato tenuto all’oscuro del grave e tragico attentato, laddove, nella prospettiva difensiva, appariva probabile che le dichiarazioni accusatorie fossero ispirate da malanimo.
Osserva altresi’ il ricorso che erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto riscontrate le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) dalle dichiarazioni dei tre collaboranti indicati, posto che nessuna di queste ultime dichiarazioni aveva confermato la porzione di condotta evocata dal principale accusatore, avendo ora attribuito un ruolo di copertura a (OMISSIS) ( (OMISSIS)), ora di organizzazione ( (OMISSIS)), che la stessa sentenza attribuisce a soggetti diversi dal ricorrente, sicche’ dette dichiarazioni, ad avviso dell’impugnante, sono prive di idoneita’ dimostrativa in relazione allo specifico fatto attribuito all’imputato (ossia l’esecuzione del furto, l’aver procurato due batterie e un’antenna).
4.1.4. In ordine alla prova dell’elemento soggettivo, rileva il ricorso che la stessa sentenza impugnata ha evidenziato che (OMISSIS) avrebbe ricevuto da (OMISSIS) gli incarichi in questione senza che nessuno gli avesse mai chiarito la finalita’ ultima delle condotte, pur avendo lo stesso collaborante ipotizzato che si trattasse di un omicidio eclatante, mentre e’ parimenti incontestato che lo stesso (OMISSIS) non aveva mai parlato esplicitamente di tale suo convincimento con (OMISSIS), ne’ da questi aveva ricevuto confidenze; il che, secondo il ricorso, dimostra l’insussistenza dell’elemento psicologico a carico di (OMISSIS), posto che la prova del dolo, ossia della finalita’ di uccidere, non puo’ essere desunta da elementi puramente ipotetici, quali il furto di un’autovettura, la consegna di due batterie e di un’antenna, tanto e’ vero che, dopo un periodo di comune latitanza, (OMISSIS) si era lamentato della mancata conoscenza della strage di Capaci e che per quella di (OMISSIS), ove abitavano suoi parenti, gli erano state fornite indicazioni meramente generiche di non passare da quella via; lamentela che non avrebbe avuto ragione se l’imputato avesse conosciuto le finalita’ del furto dell’auto e avesse avuto i ruoli indicati da (OMISSIS) e da (OMISSIS). Gli elementi valorizzati dai giudici di merito (il furto dell’auto e la successiva e separata consegna di due batterie e di un’antenna regolarmente acquistate) non possono ragionevolmente rappresentare la coscienza e volonta’ di porre in essere atti che esponessero a pericolo di vita un numero indeterminato di persone, tanto piu’ che, sempre in quel segmento, gli “strumenti” richiesti, perfino in tempi differenti, non potevano significare l’effettiva consapevolezza che da tale azione potesse derivare la morte di una collettivita’ di vittime. Sostiene quindi il ricorrente che la sentenza impugnata non ha speso adeguata motivazione in ordine all’evidenza che avrebbe dovuto investire in modo specifico i “mezzi utilizzati”, le “modalita’” e le “circostanze” di contesto che lo caratterizzano, tanto piu’ che (OMISSIS), a differenza di altri imputati gia’ condannati in via definitiva (compreso (OMISSIS)), non ha partecipato alla fase del “caricamento” dell’esplosivo all’interno della 126.
4.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’articolo 116 c.p., e vizi di motivazione. Deduce il ricorso che la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del concorso anomalo nonostante risultasse la non prevedibilita’ dell’evento diverso in concreto in relazione alle circostanze che ne avevano accompagnato il verificarsi e, dunque, la mancata conoscenza in capo a (OMISSIS) della destinazione finale della Fiat 126 rubata, non risultando soddisfacenti le giustificazioni della sentenza impugnata circa l’inserimento organico del ricorrente in (OMISSIS) e il suo rapporto privilegiato con i fratelli (OMISSIS), posto che proprio le dichiarazioni di (OMISSIS) hanno escluso la consapevolezza del ricorrente dell’azione criminosa, tanto da provocare le gia’ richiamate lamentele. L’adesione del ricorrente al reato voluto (ossia il furto dell’auto e successivamente delle targhe) non voleva significare la previsione ex ante dell’evento criminoso ovvero l’accettazione del relativo rischio.
4.3. Con atto depositato il 03/09/2021, la difesa del ricorrente articola motivi nuovi relativi alla valutazione della prova a norma dell’articolo 192 c.p.p., comma 3. Con riferimento ai dichiaranti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il ricorrente denuncia la mancata analisi della posizione degli stessi all’interno dell’organizzazione criminale, laddove, con riguardo a (OMISSIS), andava considerato che all’epoca dei fatti egli era un semplice “soldato”, sicche’ le sue conoscenze erano limitate e parziali. Al riguardo, si registrano le dichiarazioni (auto ed etero) accusatorie rese da tale (OMISSIS) e pubblicate in un libro, circa il trasporto e il caricamento dell’esplosivo sulla Fiat 126 utilizzata per la strage; osserva il ricorrente che tali dichiarazioni sarebbero diverse da quelle rese al riguardo da (OMISSIS), acriticamente condivise dai giudici di merito, cosi’ come in precedenza avvenuto per le accuse di (OMISSIS). Ad avviso del ricorrente, il discorso giustificativo non e’ accompagnato da coerenza argomentativa, nel rispetto della logica e delle massime di comune esperienza e dei principi che presiedono alla chiamata in correita’ o in reita’. Deduce altresi’ il ricorrente l’erronea valutazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico, sulla base di circostanze (il furto della Fiat 126 e delle targhe) riferite dal solo (OMISSIS), mentre non risulta la partecipazione di (OMISSIS) ad altre fasi, quali il prelievo, il trasporto, il caricamento dell’esplosivo sull’auto e il suo trasporto in (OMISSIS), sicche’ del tutto contraddittorio e’ l’assunto della colpevolezza del ricorrente, ossia della consapevolezza che all’interno dell’auto rubata sarebbe stato caricato dell’esplosivo poi usato per la strage. Osserva altresi’ il ricorrente che la denunciata carenza probatoria non puo’ essere colmata attraverso il riferimento al rapporto di fiducia che legava (OMISSIS) ai (OMISSIS), in quanto risulta che si agiva a “compartimenti stagni”.
5. Avverso la medesima sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. (OMISSIS), articolando cinque motivi – di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – che muovono dalla duplice premessa secondo cui entrambe le sentenze di merito hanno escluso il previo accordo tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e hanno avallato l’ipotesi del c.d. depistaggio istituzionale.
5.1. Il primo motivo denuncia inosservanza dell’articolo 368 c.p., e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato quanto alle calunnie in danno di (OMISSIS) e di (OMISSIS).
Osserva il ricorso che le dichiarazioni relative a (OMISSIS) sono solo quelle di cui al verbale di interrogatorio del 26/01/1995, rispetto al quale la frase relativa al ruolo nella strage attribuito a (OMISSIS) va contestualizzata alla luce dell’intero interrogatorio, dal quale emerge che le affermazioni dell’imputato – nei confronti di una persona nemmeno identificata (oltre a (OMISSIS), anche il fratello (OMISSIS) era indagato e processato, con esito assolutorio, nel processo “(OMISSIS)”) – esprimevano sostanzialmente impressioni e deduzioni, sicche’ la responsabilita’ di (OMISSIS), e la sua stessa compiuta identificazione, fu indicata in termini di assoluta incertezza, indeterminatezza e astrattezza.
Quanto alle dichiarazioni nei confronti di (OMISSIS), rese per la prima volta nel corso dell’escussione dibattimentale del processo “(OMISSIS)” all’udienza del 16/10/1997, la falsa accusa e’ assolutamente generica e indeterminata, tanto piu’ che i (OMISSIS) erano tre, tutti imparentati tra loro, ossia il figlio di (OMISSIS) (la persona ingiustamente condannata), il figlio di (OMISSIS) e il figlio di (OMISSIS), tutti individui in qualche modo legati a famiglie mafiose palermitane.
5.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’articolo 368 c.p., e vizi di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e, in particolare, all’accertamento della consapevolezza, in capo al ricorrente, dell’innocenza degli accusati. Il ricorso evidenzia che (OMISSIS), fin dal primo interrogatorio reso in fase di indagini nel luglio del 2009 dopo la collaborazione di (OMISSIS), ha ammesso di aver riferito circostanze false (mai (OMISSIS) gli aveva confessato la propria responsabilita’ per la strage e fatto i nomi dei correi), ma ha sempre affermato di aver maturato l’assoluta convinzione della colpevolezza delle persone accusate. La sentenza impugnata non ha accolto la tesi difensiva, sottolineando i benefici ottenuti da (OMISSIS) grazie alla falsa collaborazione (programma di protezione, permessi premio, contributo finanziario), cosi’, ad avviso del ricorrente, incorrendo nei vizi denunciati alla luce di vari elementi emersi dall’istruttoria dibattimentale, quali: la circostanza che le persone oggetto delle false accuse erano ben inserite nel ghota mafioso palermitano ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), erano gia’ state attinte da misure cautelari per la strage di (OMISSIS) prima delle accuse di (OMISSIS), circostanza, questa, travisata dalla Corte di appello, posto che, come si evince dal frontespizio delle sentenze di primo grado dei processi “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, (OMISSIS) fu arrestato il 27/09/1992, prima della falsa collaborazione dell’imputato, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) furono arrestati il 15/07/1994, ben prima delle dichiarazioni di (OMISSIS), intervenute, rispettivamente, nell’ottobre del 1997 e nel gennaio del 1995, laddove solo (OMISSIS) fu arrestato in data 08/10/1993, a quattro giorni di distanza dalle dichiarazioni del ricorrente del 04/10/1993; il ruolo di suggeritori/istigatori svolto da funzionari di polizia appartenenti al gruppo (OMISSIS) – (OMISSIS).
Ad avviso del ricorso, deve dunque ritenersi processualmente accertato che: (OMISSIS) nulla sapeva delle fasi preparatorie o esecutive della strage e aveva riferito anche circostanze oggettivamente vere (sia pure non apprese da (OMISSIS)); le odierne persone offese erano gia’ state attinte da misure cautelari in merito alla partecipazione alla strage di (OMISSIS), con le precisazioni fatte, prima delle dichiarazioni di (OMISSIS); i suggerimenti in forma scritta (attraverso la dazione di appunti da parte di funzionari) ovvero oralmente (prima o nelle pause degli interrogatori ovvero nel corso di colloqui investigativi) erano stati dati da poliziotti dell’allora gruppo (OMISSIS) – (OMISSIS), capeggiato da (OMISSIS), all’epoca considerato uno dei migliori investigatori della Polizia di Stato.
5.3. Il terzo motivo denuncia, quanto alle calunnie contestate in danno di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), inosservanza dell’articolo 368 c.p., comma 3, e mancanza di motivazione quanto all’accertamento del nesso di causalita’ tra le dichiarazioni del ricorrente e la condanna all’ergastolo di (OMISSIS). Sostiene il ricorso che, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante a effetto speciale, e’ necessario un nesso causale tra dichiarazioni calunniose e successiva condanna, poiche’, in caso contrario, si verserebbe in un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva. Erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto integrata la circostanza aggravante in questione sulla base della complessiva valutazione di falsita’ della collaborazione e delle finalita’ della stessa, ossia indurre (OMISSIS) alla collaborazione, dovendosi, al contrario, analizzare le considerazioni svolte nei processi “(OMISSIS)”, quanto a (OMISSIS), e “(OMISSIS)”, quanto a (OMISSIS) e (OMISSIS). Osserva al riguardo il ricorso che, nel primo processo, (OMISSIS) non e’ stato ritenuto credibile per tutte le dichiarazioni successive al pentimento di (OMISSIS) (novembre del 1993), mentre nel secondo processo, con riferimento a (OMISSIS), le dichiarazioni di (OMISSIS) – pur ritenute tutte credibili – non sono state utilizzate (essendo state valorizzate solo quelle di (OMISSIS)) e, con riguardo a (OMISSIS), le dichiarazioni di (OMISSIS) (peraltro quelle – non contestate – rese il 10/06/1998) sono state valorizzate per recuperare quelle di (OMISSIS), che nel frattempo aveva ritrattato.
5.4. Il quarto motivo denuncia inosservanza degli articoli 368 e 157 c.p. e vizi di motivazione in ordine al tempus commissi delicti relativo alla calunnia nei confronti di (OMISSIS) commessa il 16/10/1997, laddove l’accusato era gia’ stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile a fine del 1996, ossia circa un anno prima delle dichiarazioni in questione, sicche’ il tempus commissi delicti del reato di calunnia in danno di (OMISSIS) dovrebbe essere retrodatato al 31/01/1995 (data delle ultime dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) prima della condanna dell’accusato), sicche’ al luglio del 2017, prima della sentenza di appello, era decorso il termine di prescrizione.
5.5. Il quinto motivo denuncia inosservanza degli articoli 62 bis e 133 c.p., e vizi di motivazione in ordine alla conferma del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
6. Avverso la medesima sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. (OMISSIS), denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – inosservanza dell’articolo 368 c.p., e articolo 192 c.p.p., comma 3, nonche’ vizi di motivazione.
Sostiene il ricorso che la sentenza di condanna nei confronti di (OMISSIS) e’ stata pronunciata in violazione dell’articolo 192 c.p.p., in tema di valutazione probatoria degli indizi.
I motivi di appello, evidenzia il ricorrente, censuravano sotto vari profili la sentenza di primo grado: li’ dove aveva ritenuto impossibile che (OMISSIS) avesse rivelato a (OMISSIS) il ruolo assunto dalla famiglia della (OMISSIS) nella strage (” (OMISSIS) mi disse che il lavoro lo avevamo fatto noi della (OMISSIS)”) solo perche’ (OMISSIS) aveva prospettato il protagonismo della famiglia di (OMISSIS) nel segmento relativo al furto della Fiat 126, non potendosi escludere che il ruolo richiamato da (OMISSIS) riguardasse altre fasi o fosse solo ipotizzato; nella parte in cui non riconosceva, di conseguenza, che l’affermazione attribuita da (OMISSIS) a (OMISSIS) non equivaleva a una confessione, ben avendo potuto il secondo pronunciare quella frase, a fronte delle severe critiche del primo, per giustificare la famiglia della (OMISSIS), confermando il suo prestigio, sminuendo il ruolo di (OMISSIS) e accreditando la versione di (OMISSIS) sull'”indottrinamento” di quest’ultimo; nella parte in cui riteneva acquisita la prova della consapevolezza, da parte di (OMISSIS), dell’innocenza di (OMISSIS).
Anche la sentenza impugnata, osserva il ricorso, attribuisce pregnante rilevanza alla circostanza che solo nel dibattimento di appello del processo “(OMISSIS)” all’udienza del 07/03/2001 (OMISSIS) rese dichiarazioni sul ruolo di (OMISSIS), dichiarazioni ritenute non veritiere sull’assunto che fosse impossibile che il secondo avesse confidato al primo che (OMISSIS) si era occupato della Fiat 126 su indicazione del cognato alla luce della diversa ricostruzione offerta dalle dichiarazioni di (OMISSIS). Deduce il ricorrente l’erroneita’ del percorso logico-argomentativo del giudice di appello, per mancanza del dato certo costituito dalle conoscenze di (OMISSIS) in merito al coinvolgimento del mandamento della (OMISSIS) nella strage di (OMISSIS), conoscenze che non sono patrimonio condiviso da tutti i partecipi alla famiglia, data la “compartimentazione” dei ruoli e delle conoscenze.
Deduce ancora il ricorso che la sentenza impugnata ha omesso di valutare le modalita’ del colloquio tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (il primo giustificava il proprio padrino (OMISSIS) rispetto all’accusa del secondo di avere coinvolto nella preparazione della strage un personaggio come (OMISSIS)), rispetto al quale il pentimento di (OMISSIS) nel 2008 non spiega alcun effetto.
Nella prospettazione del ricorrente, dal capo di imputazione si evince che le ulteriori dichiarazioni di (OMISSIS) non sono state ritenute mendaci e l’affermazione della Corte di assise di appello secondo cui e’ impossibile che (OMISSIS) abbia pronunciato la frase e’ smentita dai motivi di ricorso per cassazione dello stesso, cosi’ come riportati dalla sentenza della Corte di cassazione del 03/07/2003 n. 11914/04 (laddove il n. 948/2003 riportato dal ricorso e’ quello del registro sezionale), ove si deduceva che, quanto al riscontro (di) (OMISSIS), ” (OMISSIS) avrebbe ammesso solo che (OMISSIS) si era occupato del furto, come cognato di (OMISSIS), ma non era riscontrato l’incontro con (OMISSIS) (non bastando la certificazione di codetenzione), ne’ era certa l’origine della fonte, dato che tutti conoscevamo la notizia pubblicizzata circa l’autore del furto”, sicche’ “il colloquio (OMISSIS) – (OMISSIS) si presta a valutazioni alternative e le dichiarazioni del collaborante sono state travisate”; deduce ancora il ricorso che nella citata sentenza si afferma che il ricorrente da una parte sminuisce la conferma della veridicita’ del colloquio, derivante dalla documentata codetenzione di (OMISSIS) e (OMISSIS), e, dall’altra, mette in forse l’originalita’ della notizia e l’univoca interpretazione del colloquio.
Sostiene inoltre il ricorso che il presente processo e’ caratterizzato dall’assenza di prove, riducendosi il dato probatorio a meri sospetti o, al piu’, a deboli indizi (la progressione accusatoria, la ritrattazione di cui pero’ (OMISSIS) fornisce plausibile spiegazione, la granitica convinzione dell’impossibilita’ della confidenza di (OMISSIS), non ancorata a dati certi e anzi contraddetta dalla difesa, il movente individuato in finalita’ di depistaggio o logiche mafiose o desiderio di riaccreditarsi con i magistrati), indizi insufficienti, inconcludenti o contraddittori, in base ai quali il giudice di appello ha confermato la sentenza di primo grado, pur non essendo essi idonei a far ritenere la responsabilita’ del ricorrente oltre ogni ragionevole dubbio.
7. Per quanto riguarda i ricorsi di alcune parte civili, mette conto segnalare che, a fronte della liquidazione della provvisionale in loro favore operata dal giudice di primo grado, dette parti civili non hanno interposto appello al fine di contestare il quantum della provvisionale stessa, ma ne hanno richiesto la rideterminazione con memorie presentate nel giudizio di appello e nelle comparse conclusionali. La Corte di assise di appello di Caltanissetta richiamando i principi affermati da Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, Rv. 268179 – 81 – ha rigettato tali richieste, ritenendo ostativo al loro accoglimento il principio devolutivo.
8. Avverso l’indicata sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta hanno proposto ricorso per cassazione le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con un unico atto e attraverso il difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), denunciando inosservanza dell’articolo 185 c.p., articoli 597 e 539 c.p.p., e vizi di motivazione.
Deducono preliminarmente i ricorrenti la sussistenza dell’interesse all’impugnazione e che la provvisionale, di cui era stata chiesta la rideterminazione alla Corte di assise di appello al fine di vederla adeguata all’ammontare riconosciuto alle altre parti civili, e’ stata liquidata sulla base del semplice rapporto di parentela esistente tra le parti civili e la vittima del reato, sicche’ l’interesse dei ricorrenti riposa nella pretesa all’adeguamento della provvisionale secondo lo stesso criterio documentale posto dal giudice di primo grado a sostegno della relativa statuizione, tanto piu’ che l’adeguamento sarebbe in linea con i parametri di valutazione e quantificazione del danno risarcibile, escludendo l’interesse alla prosecuzione del giudizio nella competente sede.
Erroneamente la sentenza impugnata ha richiamato Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, Rv. 268179 – 81, secondo cui il giudice di appello puo’ aumentare l’importo della provvisionale liquidata in primo grado alla parte civile non impugnante, mentre il superamento della preclusione derivante dalla clausola rebus sic stantibus era stato dedotto con riferimento all’imprevedibile ed elevato importo delle provvisionali riconosciute alle altre parti civili (aventi la medesima posizione parentale), con conseguente incapienza economica dei debitori/imputati, che frustrerebbe la legittima pretesa risarcitoria dei ricorrenti.
Con un travisamento del fatto, la sentenza impugnata ha valorizzato l’inciso “salva altra determinazione” inserito nella comparsa conclusionale solo per completezza espositiva e ad abundantiam.
8.1. Con atto depositato il 31/08/2021, il difensore delle parti civili indicate articola un motivo nuovo, che propone deduzioni in ordine all’interesse a impugnare il punto riguardante la mancata rideterminazione richiesta nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (nella misura di 500 mila Euro per (OMISSIS) e di 400 mila Euro per gli altri due ricorrenti), rideterminazione che comporterebbe il venir meno di ogni ulteriore pretesa risarcitoria, mentre ulteriore interesse all’annullamento e’ correlato al ridotto standard probatorio utilizzato nel giudizio di merito per l’accertamento del danno.
9. Avverso la medesima sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta hanno proposto ricorso per cassazione le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con un unico atto e attraverso il difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – inosservanza dell’articolo 185 c.p., articoli 597 e 539 c.p.p., e vizi di motivazione, con argomentazioni di tenore analogo a quelle proposte dal ricorso, appena richiamato, delle altre parti civili.
9.1. Con atto depositato il 03/09/2021, il difensore delle parti civili indicate articola un motivo nuovo, che propone deduzioni in ordine all’interesse a impugnare il punto relativo alla mancata rideterminazione della provvisionale (nella misura di 500 mila Euro per i tre ricorrenti nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS)) e alla violazione degli articoli 597 e 539 c.p.p., dal tenore argomentativo analogo a quello delle deduzioni delle altre parti civili ricorrenti.
10. L’Avvocatura Generale dello Stato – per conto delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Giustizia, Ministero dell’interno e Regione Siciliana – ha fatto pervenire una memoria con la quale conclude, nei confronti degli imputati ricorrenti, chiedendo l’inammissibilita’ o, comunque, il rigetto delle rispettive impugnazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Vengono all’esame della Corte i ricorsi relativi al processo noto – nelle cronache, cosi’ come nel mondo dei giuristi – come ” (OMISSIS) quater”, dove l’associazione del nome del magistrato assassinato all’avverbio latino che descrive il “ripetersi”, la reiterazione, gia’ evoca sia la complessa e travagliata vicenda giudiziaria relativa alla strage di (OMISSIS) del (OMISSIS), sia l’eterogeneita’ delle imputazioni ascritte ai ricorrenti, ora immediatamente riferibili, appunto, alla strage, ora afferenti agli inquinamenti probatori che, nei’ piu’ risalenti processi, hanno condotto a plurime condanne di innocenti.
1.1. Delle indicazioni offerte dalla sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta impugnata (e rinviando una piu’ puntuale disamina delle sentenze rese nei precedenti processi per la strage di (OMISSIS) – li’ dove necessaria alla trattazione dei singoli ricorsi, alcuni dei quali contestano la “lettura” delle rationes decidendi degli esiti di tali processi offerta dai giudici di merito in questa sede), puo’ mettersi in evidenza, in estrema sintesi, che il processo “(OMISSIS)” (Corte di assise di Caltanissetta del 27/01/1996; Corte di assise di appello di Caltanissetta del 23/01/1999; Cass., Sez. 1, n. 468 del 18/12/2000, dep. 2001) porto’ alla condanna per la strage, tra gli altri, di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sulla base delle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, tra i quali lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS). Gia’ prima della conclusione del dibattimento di primo grado, tuttavia, (OMISSIS) aveva confessato a varie persone la propria intenzione di ritrattare le accuse, ritrattazione che intervenne nell’ambito del giudizio di appello del processo “(OMISSIS)” e del giudizio di primo grado del processo “(OMISSIS)”, ma non fu ritenuta credibile.
1.2. Nel processo “(OMISSIS)” (Corte di assise di Caltanissetta del 13/02/1999; Corte di assise di appello di Caltanissetta del 18/03/2002; Cass., Sez. 5 n. 11914 del 03/07/2003, dep. 2004), furono condannati per la strage (OMISSIS) e (OMISSIS), per i quali furono valorizzate le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) e di (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), oltre ai vari esponenti, anche di vertice, di (OMISSIS) chiamati in causa, quali mandanti o esecutori dell’attentato, da altri collaboratori di giustizia, come (OMISSIS) e (OMISSIS).
1.3. Per quanto riguarda il processo ” (OMISSIS) ter” (Corte di assise di Caltanissetta del 09/12/1999; Corte di assise di appello di Caltanissetta del 07/02/2002), la Corte di cassazione (Sez. 6, n. 6262 del 17/01/2003, Agate) annullo’ in parte la prima sentenza di appello in accoglimento del ricorso del pubblico ministero, rilevando che la decisione allora impugnata non spiegava la ritenuta “discontinuita’” della strage di (OMISSIS) rispetto alla continuita’ della strategia stragista rilevata per i delitti Lima, (OMISSIS) e (OMISSIS). In sede di rinvio, la Corte di assise di appello di Catania, con la sentenza del 22/04/2006 (resa dopo la riunione del processo ” (OMISSIS) ter” con il primo processo per la strage di Capaci e, come si vedra’, piu’ volte richiamata nel presente processo), valorizzando il contributo conoscitivo offerto da collaboratori di giustizia piu’ recenti, tra i quali, in particolare, (OMISSIS), ritenne che le stragi fossero state deliberate prima dell’inizio della loro esecuzione con l’omicidio di (OMISSIS) e che l’approvazione di un “piano deliberativo perfetto” fosse avvenuta prima in sede di Commissione regionale, poi da parte della Commissione Provinciale allargata durante, per quest’ultima, la riunione degli auguri del dicembre del 1991 di cui aveva riferito, appunto, (OMISSIS) (tema, questo, ripreso da uno dei ricorsi oggi all’esame della Corte). Le conclusioni della sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 22/04/2006 sono divenute irrevocabili con la sentenza della Corte di cassazione (Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, Montalto).
1.4. Nel giugno del 2008 iniziava la collaborazione di (OMISSIS), che, secondo la sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta oggi impugnata, “apportava un nuovo e diverso contributo alla ricostruzione di taluni eventi, fino a quel momento rimasti oscuri, fornendo una ricostruzione della fase esecutiva del delitto del tutto diversa e in contrasto con quella resa in precedenza da (OMISSIS)”.
Osserva la sentenza impugnata che le dichiarazioni del nuovo collaboratore, “sottoposte a un attento vaglio critico e ad un’approfondita e scrupolosa attivita’ di acquisizione di verifiche e riscontri”, hanno condotto a una parziale, ma significativa riscrittura dei segmenti della fase esecutiva della strage di (OMISSIS), in forza della quale la Procura Generale presso la Corte di appello di Caltanissetta avanzava richiesta di revisione dei giudizi di condanna nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); la richiesta veniva accolta con sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 13 luglio 2017 (divenuta irrevocabile), che accoglieva l’istanza di revisione e scagionava “tutti coloro che erano stati ingiustamente condannati sulla base delle dichiarazioni dei falsi pentiti” (compresi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che avevano gia’ interamente scontato la pena irrogata). Sottolinea comunque la sentenza impugnata che le nuove acquisizioni non travolgevano “la ricostruzione degli inquirenti e quella processuale gia’ effettuata a proposito dei mandanti della strage, per come gia’ delineata dalla sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 22 aprile 2006”.
2. Prima di passare all’esame dei vari ricorsi, e’ opportuno richiamare, in estrema sintesi, gli approdi della giurisprudenza di legittimita’ su alcuni temi che assumono particolare rilievo nell’economia del giudizio cui e’ chiamata questa Corte.
2.1 A venire in rilievo, innanzitutto, e’ la valutazione della chiamata di correo, in ordine alla quale Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Marino, Rv. 192465, ha delineato un iter logico-ricostruttivo fondato su uno scrutinio in tre fasi, attinenti la prima alla credibilita’ del dichiarante, la seconda all’attendibilita’ intrinseca del narrato, la terza all’individuazione dei “riscontri esterni”.
Quanto alla credibilita’ del dichiarante, la sentenza Marino mette in luce che il relativo scrutinio va svolto avendo riguardo “alla sua personalita’, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correita’, etc., e alla genesi remota o prossima della sua risoluzione alla confessione e all’accusa dei coautori e complici”. In linea con l’impostazione di fondo delle Sezioni unite, la giurisprudenza di legittimita’ ha rimarcato come, nell’ambito della complessiva e unitaria valutazione della chiamata in reita’, il giudizio sulla credibilita’ soggettiva abbia una funzione primaria di determinazione del livello di rigore necessario per il controllo delle dichiarazioni (Sez. 1, n. 19759 del 17/05/2011, Misseri, Rv. 250244). Il secondo “momento” della valutazione della chiamata di correo attiene, dunque, alla verifica dell’intrinseca attendibilita’ delle dichiarazioni, verifica, questa dell'”intrinseca consistenza e delle caratteristiche” del narrato, che la sentenza Marino proietta nella direzione individuata dall’esperienza giurisprudenziale, ossia verso lo scrutinio circa la precisione, la coerenza, la costanza, la spontaneita’ del racconto.
Piu’ di recente, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145, ha affermato che, nella valutazione della chiamata in correita’ o in reita’, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita’ soggettiva del dichi’arante e l’attendibilita’ oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita’ soggettiva del dichiarante e l’attendibilita’ oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale.
La terza tappa deve condurre, come si e’ anticipato, all’individuazione dei riscontri, i cui connotati sono stati messi a fuoco gia’ da Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226090, secondo cui la chiamata di correo deve essere sorretta da “convergenti e individualizzanti riscontri esterni, in relazione al fatto che forma oggetto dell’accusa ed alla specifica condotta criminosa dell’incolpato”. Del resto, il carattere necessariamente individualizzante dell’elemento di riscontro era gia’ stato sostanzialmente riconosciuto dalla sentenza sul maxiprocesso (Sez. 1, n. 6992 del 30/01/1992, Altadonna) quando aveva rimarcato l'”inestensibilita’ a tutta la narrativa del giudizio (positivo o negativo) raggiunto su singole propalazioni”, cosi’ prendendo le distanze, come si osservo’ in dottrina, da operazioni patologiche di “credibilita’ per traslazione”.
La gia’ citata Sez. U, Aquilina ha riconosciuto, in primo luogo, la c.d. liberta’ dei riscontri, nel senso che “questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualita’, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialita’ logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma”; fermo restando – hanno puntualizzato le Sezioni unite – che dato certo, evincibile da un corretta interpretazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, “e’ costituito dall’esigenza che i riscontri alle dichiarazioni ivi considerate devono essere caratterizzati dalla necessaria estraneita’ – nel senso di provenienza ab externo – rispetto alle dichiarazioni medesime, si’ da scongiurare una verifica tautologica, autoreferenziale ed affetta dal vizio della circolarita’”, cosi’ confermando un indirizzo gia’ accreditato nella giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Sez. 4, n. 6343 del 31/03/1998, Avila, Rv. 211625, secondo cui i riscontri necessari ex articolo 192 c.p.p., comma 3, per superare il deficit probatorio intrinseco alla chiamata in correita’ possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, che, pur dovendosi collegare ai fatti riferiti dal chiamante, devono tuttavia essere esterni ad essi, allo scopo di evitare che la verifica sia circolare, tautologica ed autoreferente e cioe’ che in definitiva la ricerca finisca per usare come sostegno dell’ipotesi probatoria che si trae dalla chiamata, la chiamata stessa e cioe’ lo stesso dato da riscontrare).
Ha rilevato ancora la sentenza Aquilina come non sia necessario che “il riscontro integri la prova del fatto, giacche’, se cosi’ fosse, perderebbe la sua funzione “gregaria”, sarebbe da solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice e verrebbe meno la necessita’ di far leva anche sulla prova principale, ritenuta da sola non sufficiente”. In questa prospettiva, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260607 ha sottolineato come non sia richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perche’, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita’ (conf. Sez. 4, n. 5821 del 10/12/2004, dep. 2005, Alfieri, Rv. 231301); in altri termini, gli altri elementi di riscontro da valutare, ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, essendo sufficiente che essi siano precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria (Sez. 1, n. 34712 del 02/02/2016, Ausilio, Rv. 267528), ossia che siano realmente rafforzativi della chiamata in quanto siano individualizzanti e, quindi, inequivocabilmente idonei ad istituire un collegamento diretto con i fatti per cui si procede e con il soggetto contro il quale si procede (Sez. 5, n. 31442 del 28/06/2006, Salinitro, Rv. 235212).
Qualora i riscontri esterni siano costituiti da ulteriori dichiarazioni accusatorie, esse devono convergere in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione e, naturalmente, devono avere portata individualizzante, intesa quale riferibilita’ sia alla persona dell’incolpato che alle imputazioni a lui ascritte, senza che possa pretendersi la piena sovrapponibilita’ dei loro rispettivi contenuti narrativi, dovendosi piuttosto privilegiare l’aspetto sostanziale della concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere (Sez. 6, n. 47108 del 08/10/2019, Bombardino, Rv. 277393; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 13473 del 04/03/2008, Lucchese, Rv. 239744).
Quanto al sindacato di legittimita’ sulla valutazione delle chiamate di correo operata dai giudici di merito, esso – ha precisato la giurisprudenza di questa Corte – non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perche’ un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in se stessi e nel loro reciproco collegamento (Sez. 1, n. 36087 del 13/11/2020, Guarino, Rv. 280058; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 33875 del 12/05/2015, Beruschi, Rv. 264577). Invero, il confine istituzionale tra prerogative del giudice di merito e limiti cognitivi del giudice di legittimita’ fa si che il sindacato di quest’ultimo investa la razionalita’ della struttura del discorso giustificativo della decisione, al fine di verificarne la coerenza argomentativa e l’ancoraggio alle risultanze del quadro probatorio nel rispetto delle regole della logica e delle massime di comune esperienza e dei principi che presidiano la chiamata in correita’ e la sua valutazione (cfr. Sez. 1, n. 9148 del 21/06/1999, (OMISSIS), Rv. 214014).
2.2. I rilievi appena svolti suggeriscono l’opportunita’ di una puntualizzazione piu’ generale sui limiti della cognizione del giudice di legittimita’, che, anche dopo l’introduzione del vizio di contraddittorieta’ processuale ad opera della L. 20 febbraio 2006, n. 46, comportano “l’intangibilita’ della valutazione del merito del risultato probatorio”, posto il “persistente divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova” (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167). Secondo l’insegnamento dottrinale, mentre i giudizi di primo e di secondo grado hanno come oggetto la ricostruzione del fatto attribuito all’imputato, quella affidata al giudice di legittimita’ e’ una critica che si esercita sul discorso giustificativo svolto nella sentenza impugnata. Di qui la conseguenza che esula “dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe’). Come si vedra’, non sempre i ricorrenti hanno articolato le proprie censure all’interno del perimetro cognitivo di pertinenza del giudice di legittimita’.
Il ricorso di (OMISSIS).
3. La definizione della posizione di (OMISSIS) ha impegnato a fondo i giudici di merito, che hanno dedicato ad essa parti rilevanti delle conformi sentenze di primo e di secondo grado, sicche’, in ragione dell’indubbia complessita’ dei temi chiamati in causa da tale definizione, e’ opportuno muovere dalla ricognizione della ricostruzione generale della strage di (OMISSIS) operata – anche sulla scorta degli esiti, in particolare, del processo ” (OMISSIS) ter” – dalle due Corti di assise; si procedera’ poi, nel successivo paragrafo, all’esame delle censure proposte nell’interesse di (OMISSIS) e, congiuntamente, dei punti della decisione impugnata investiti dal ricorso.
3.1. Il giudice di appello sottolinea che ben prima della strage del luglio del 1992, per la quale e’ imputato (OMISSIS), (OMISSIS) aveva manifestato seri e concreti progetti di omicidio nei confronti del giudice (OMISSIS). Risale al 4 maggio 1980 l’omicidio del capitano dei carabinieri (OMISSIS), che, nel racconto del collaboratore di giustizia (OMISSIS) nell’ambito del processo ” (OMISSIS) ter”, (OMISSIS) affermo’ ricadere sulla “coscienza del magistrato”, che aveva mandato l’ufficiale “ad arrestare” i suoi (di (OMISSIS)); rileva la Corte di assise di appello di Caltanissetta che “all’intenzione di uccidere (OMISSIS) erano direttamente interessati, peraltro, anche personalmente i (OMISSIS), avendo il magistrato, dopo l’omicidio del capitano (OMISSIS), emesso dei mandati di cattura anche nei confronti di (OMISSIS) e Giuseppe (OMISSIS)” (padre e fratello dell’imputato ricorrente). Sottolinea poi la sentenza impugnata che “il giudice (OMISSIS) aveva continuato nel suo incessante impegno nel contrasto alla criminalita’ organizzata mafiosa, mostrando incorruttibile intransigenza nel suo lavoro e tale suo impegno aveva accresciuto, in (OMISSIS), la sensazione di pericolo che poteva derivare dal lavoro del magistrato”.
Da qui i progetti di omicidio del magistrato, concepiti, nella seconda meta’ degli anni âEuroËœ80, in particolare in una duplice direzione: quella indirizzata ad approfittare della sua permanenza nell’abitazione estiva di Marsala, a (OMISSIS) (progetto non portato avanti per l’opposizione dei “marsalesi di (OMISSIS)”, secondo la ricostruzione offerta dal processo ” (OMISSIS) ter”); quella che progettava l’omicidio nei pressi dell’abitazione palermitana del magistrato, in (OMISSIS), approfittando della sua abitudine di recarsi da solo, la domenica, ad acquistare il giornale (progetto che non aveva avuto seguito nonostante l’avvio di una serie di appostamenti effettuati sul possibile luogo dell’attentato). Su tale attivita’, rileva la sentenza impugnata, hanno riferito, nel corso del dibattimento di primo grado, i collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) (udienza del 25/09/2014) e Antonino (OMISSIS) (udienza 07/10/2014), i quali hanno affermato che “in seguito la “Commissione” aveva deciso di sospendere tutto”.
3.2. La sentenza impugnata richiama poi diffusamente la sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 22/04/2006, resa, come si e’ anticipato, dopo la riunione del processo ” (OMISSIS) ter” con il primo processo per la strage di Capaci, entrambi ad essa devoluti quale giudice del rinvio.
Per quanto riguarda la strage di (OMISSIS), la Corte di cassazione (Sez. 6, n. 6262 del 17/01/2003, Agate) aveva in parte annullato la sentenza allora impugnata (Corte di assise di appello di Caltanissetta del 07/02/2002), rilevando che essa non spiegava “perche’ la continuita’ della strategia stragista, rilevata per i delitti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe stata spezzata per la strage di (OMISSIS)” e devolvendo al giudice del rinvio il compito di “riformulare un giudizio di merito sull’individuazione del momento deliberativo della strage”.
Valorizzando il contributo conoscitivo offerto da collaboratori di giustizia piu’ recenti, tra i quali, in particolare, (OMISSIS), la Corte di assise di appello di Catania giunse alla conclusione che le stragi fossero state deliberate, in modo compiuto, ben prima dell’inizio della loro esecuzione con l’omicidio di (OMISSIS) e che l’approvazione di un “piano deliberativo perfetto” fosse avvenuta prima in sede di Commissione regionale, poi da parte della Commissione Provinciale allargata durante, per quest’ultima, la riunione degli auguri del dicembre del 1991 di cui aveva riferito, appunto, (OMISSIS), riunione nella quale fu “”rinnovata” la decisione di morte per i giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)”, rispetto alla quale “tutti i presenti alla riunione avevano manifestato un significativo silenzio davanti alla proposta stragista di (OMISSIS)”, che, alla fine della riunione, era molto soddisfatto perche’ tutti avevano approvato la proposta e “finalmente la vendetta incominciava ad abbattersi sui nemici di (OMISSIS)”. La Corte di assise di appello catanese aveva escluso significative discrepanze in ordine al ruolo della Commissione Provinciale tra il racconto di (OMISSIS) e quello di (OMISSIS) e di (OMISSIS), considerato che il primo aveva parlato solo di riunioni deliberative, mentre gli altri di quelle esecutive svolte a partire dal mese di febbraio (del 1992), prima dell’omicidio di (OMISSIS). Il giudice del rinvio considerava come “perfetto” “il piano stragista adottato nella suindicata riunione degli auguri di dicembre del 1991 riferita da (OMISSIS)”, ritenendo la volonta’ delittuosa manifestata in maniera “completa”, sia pure sottoposta alla “condizione sospensiva” rappresentata dalla conclusione del “maxiprocesso”, per la quale, comunque, sussistevano inequivocabili pronostici negativi (per (OMISSIS)).
Le conclusioni della sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 22/04/2006 sono divenute irrevocabili con la sentenza della Corte di cassazione (Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, Montalto); per quanto e’ qui di interesse, la pronuncia, da una parte, ha rilevato che “con riguardo alla individuazione del momento deliberativo della strage di (OMISSIS), gia’ perfezionato con la riunione degli auguri del dicembre del 1991, la sentenza impugnata ha svolto una ampia e completa motivazione che si sottrae a qualsiasi censura di illogicita’”, mentre, dall’altra, ha sottolineato come la valutazione dell’attendibilita’ del collaboratore (OMISSIS) sia stata “estremamente dettagliata e precisa ed e’ avvenuta alla stregua di principi giurisprudenziali pacifici sul punto, in base al rilievo che aveva in primo luogo confessato la sua partecipazione personale a gravissimi reati e aveva consentito l’acquisizione di numerosi riscontri”.
3.3. Aderendo alla tesi delineata dalla sentenza della Corte di assise di appello di Catania in ordine all’iter deliberativo delle stragi ad opera degli organismi di vertice di (OMISSIS), la sentenza impugnata, in linea con quella di primo grado, ha sostenuto che, dopo i progetti degli anni âEuroËœ80 cui si e’ fatto cenno, il progetto di assassinare il giudice (OMISSIS), insieme con altre persone “scomode” per (OMISSIS), era stato ripreso in relazione all’elemento dirompente rappresentato dalla previsione dell’esito infausto del “maxiprocesso”. Nel racconto del collaboratore (OMISSIS), (OMISSIS) era “in prima linea” sulla questione; intorno al 1988, (OMISSIS) aveva ostentato un certo ottimismo sull’esito del “maxiprocesso”, nel senso che, mentre per il reato di associazione mafiosa la condanna era scontata, per quanto riguardava le “cose piu’ grandi”, ossia gli omicidi e, dunque, le condanne all’ergastolo, egli confidava in un esito favorevole per (OMISSIS): l’esito del “maxiprocesso”, nel racconto del collaboratore, era di vitale importanza sia per l’organizzazione mafiosa, sia per la stessa immagine della Commissione e di (OMISSIS) in prima persona, la cui credibilita’ sarebbe stata compromessa in caso di esito diverso da quello auspicato e prospettato, in quanto “c’era una presa di posizione diretta del (OMISSIS) nei confronti del maxiprocesso perche’ andasse bene” (nei termini indicati).
La valutazione e le previsioni sulla decisione della Corte di cassazione, pero’, andarono mutando a mano a mano che si avvicinava la data della deliberazione del giudice di legittimita’. Secondo quanto ricostruito nel processo ” (OMISSIS) ter”, con nota del 27 giugno 1991, il Presidente della Corte di cassazione aveva manifestato l’opportunita’ che il “maxiprocesso” fosse assegnato a un collegio presieduto dal Presidente (OMISSIS) e non dal Presidente (OMISSIS), noto per quella che la sentenza impugnata descrive come “intransigenza “formalistica””; il 23 ottobre 1991, il “maxiprocesso” fu iscritto nel registro generale della Corte di cassazione con assegnazione al Presidente (OMISSIS); il 30 gennaio 1992, la Corte di cassazione si pronuncio’ sui ricorsi confermando l’impostazione di fondo delle sentenze di merito (Sez. 1, n. 6992 del 1992, Altadonna, cit.).
Abbandonando l’ottimismo ostentato in precedenza, gia’ nell’estate del 1991 (OMISSIS), nel racconto di (OMISSIS) e di (OMISSIS), si era prefigurato una conclusione negativa del “maxiprocesso”, comunicando al secondo di non avere piu’ possibilita’ di incidere sul suo esito “in quanto ogni suo tentativo in tale direzione era fallito”.
Si arriva cosi’ alla “riunione degli auguri di Natale”, intorno agli inizi di dicembre del 1991, come riferito da (OMISSIS) (il cui ricordo, incerto pero’ sul punto, la colloca a casa di Guddo), in cui, con “discorsi lapidari”, (OMISSIS) annuncio’ che si era arrivati alla “resa dei conti”, alla “chiusura del cerchio” dei discorsi protrattisi nel tempo nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), ma anche di “tutti coloro che non avevano mantenuto i patti” (ossia, dei politici), posto che l’esito del “maxiprocesso” era stato “la goccia che aveva fatto traboccare il vaso” e che aveva indotto (OMISSIS) a dichiarare “guerra a (OMISSIS) e a (OMISSIS)”, nel quadro del piu’ complesso e ampio piano stragista; (OMISSIS), prosegue il racconto di (OMISSIS), invito’ tutti ad assumersi le proprie responsabilita’ e a essere consapevoli dei rischi derivanti dalle iniziative deliberate (“chiddu chi veni ni pigghiamu”). Dopo l’annuncio di (OMISSIS), nessuno prese la parola e cosi’ si formo’ “il consenso del silenzio”.
Rinviando alla parte piu’ specificamente dedicata allo scrutinio del ricorso di (OMISSIS) l’esame di altri punti della motivazione della sentenza impugnata (le dichiarazioni di (OMISSIS), l’intersecarsi della deliberazione stragista con altra questione “interna” a (OMISSIS)), mette conto fin d’ora richiamare il rilievo del giudice di appello li’ dove sottolinea che il giorno dopo la deliberazione della sentenza della Corte di cassazione, ossia il 31/01/1992, (OMISSIS) diede il via libera alla “(OMISSIS)” (avente quale obiettivo l’assassinio di (OMISSIS), appunto, nella capitale); tale circostanza, osserva la Corte di assise di appello di Caltanissetta, risulta “univocamente significativa del fatto che il medesimo (OMISSIS) avesse gia’ acquisito, a tale data, il consenso di entrambi i livelli deliberativi di (OMISSIS) sul “progetto stragista””, ossia della Commissione Provinciale e della Commissione Regionale, riunitasi nell’ottobre/novembre del 1991, come evidenziato dalla Corte di assise di appello di Catania nella sentenza prima richiamata sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS).
3.4. La sentenza impugnata sottolinea poi la piena vigenza, all’epoca dei fatti, della regola di (OMISSIS) sulla “competenza” della Commissione Provinciale a deliberare sugli “omicidi eccellenti”, regola, confermata da numerose sentenze irrevocabili, che, nella puntuale analisi del giudice di appello, assecondava la “necessita’ di una “condivisione allargata” delle decisioni omicidiarie concernenti personaggi eccellenti, per i maggiori rischi connessi a tali esecuzioni”, ma anche “per prevenire il rischio di una guerra interna alla stessa consorteria” (come accadde in occasione dell’omicidio di (OMISSIS)), posto che, osserva icasticamente la sentenza impugnata, “la pax mafiosa richiedeva (…) la corale approvazione della strategia della strage”; invero, “per portare avanti la “strategia stragista” occorreva acquisire il consenso dei componenti della commissione provinciale (…) e non appare in alcun modo sostenibile che si potesse portare avanti un cosi’ ambizioso progetto criminale sulla base di una deliberazione adottata parecchi anni addietro, anche se mai revocata”, sicche’ “se gli omicidi eccellenti dovevano passare dall’approvazione della Commissione Provinciale doveva esserci una rinnovazione della decisione di morte con effetti “novativi” della precedente “condanna a morte” gia’ adottata, essendo negli anni mutata evidentemente la compagine soggettiva della stessa Commissione”, tanto piu’ che, rispetto alla deliberazione omicidiaria risalente agli anni âEuroËœ80, era trascorso un considerevole intervallo di tempo, che rendeva imprescindibile “procedere a una rinnovazione della deliberazione di morte, a una sua riconferma con “effetti novativi””; si trattava, invero, non gia’ di procedere all’isolata esecuzione di una “condanna a morte”, ma di porre in essere “un piu’ ambizione progetto criminale che avrebbe condotto a una serie ripetuta di “morti eccellenti” in un arco temporale limitato, per sferrare un “attacco terroristico” al cuore dello Stato, cosi’ da metterlo in ginocchio”, il che rendeva piu’ che mai necessaria la condivisione della “paternita’” dell’ambizioso progetto criminale da parte dei capi-mandamento, ossia degli esponenti di spicco dell’organizzazione mafiosa, chiamati ad assumersene la responsabilita’.
3.5. I giudici di merito, infine, non mancano di confrontarsi con le persistenti “zone d’ombra” sulla vicenda della strage di (OMISSIS), rimarcando, comunque, la paternita’ mafiosa dell’attentato. A proposito di tali “zone d’ombra” la sentenza impugnata richiama la “sparizione” dell’agenda rossa di (OMISSIS) (“smaterializzata dal luogo infuocato della strage dalla borsa del magistrato, ricomparsa dopo alcuni mesi nelle mani del Dott. (OMISSIS) che la riconsegnava alla moglie del magistrato”); le dichiarazioni di testi intervenuti nell’immediatezza della deflagrazione, dichiarazioni rivelatrici di contraddizioni che gli accertamenti svolti non hanno consentito di superare, “gettando al tempo stesso l’ombra del dubbio che altri soggetti possano essere intervenuti sul luogo della strage, nell’immediatezza dell’esplosione, “in giacca” nonostante la calura del mese estivo e l’ora torrida, non appartenenti alle forze dell’ordine, e individuati anzi da taluni agenti intervenuti nell’immediatezza come “appartenenti ai servizi segreti””; l’anomalia del coinvolgimento del Sisde nelle indagini; i condizionamenti esterni e interni sulle indagini (sui quali si tornera’ piu’ avanti) esercitati da taluni degli stessi inquirenti, che hanno “”forzato” le dichiarazioni dei primi “collaboratori di giustizia”, in modo da confermare una verita’ preconfezionata e preesistente alle stesse dichiarazioni, pur rimanendo ignote le finalita’ perseguite”.
Nella sintesi ricostruttiva offerta dalla sentenza impugnata, “la strage di (OMISSIS) rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto a una ben precisa strategia del terrore adottata da (OMISSIS), in quanto stretta dalla paura e da fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il “maxiprocesso””, potendo le emergenze probatorie relative a quelle “zone d’ombra” – in parte gia’ acquisite in altri processi, in parte disvelate dal presente processo – indurre, al piu’, a “ritenere che possano esservi stati anche altri soggetti, o gruppi di potere, interessati alla eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta”.
In questo senso, la Corte di assise di appello nissena disattende la deduzione difensiva relativa ai “nuovi scenari” che le vicende oggetto del processo “trattativa Stato – mafia” avrebbero disvelato, rimarcandone “la sostanziale neutralita’” ai fini dell’accertamento oggetto del presente processo. Nella ricostruzione della sentenza impugnata (e della conforme sentenza della Corte di assise di Caltanissetta), infatti, l’uccisione del giudice (OMISSIS), “inserita nell’ambito di una piu’ articolata “strategia stragista” unitaria”, risponde a piu’ finalita’ di (OMISSIS), finalita’ nella cui individuazione il giudice di appello ha seguito l’impostazione della sentenza di primo grado, che ha valorizzato solo le “fonti di prova dotate di univoca valenza dimostrativa, evitando ogni rivalutazione di vicende che formano oggetto di altri procedimenti”. Viene cosi’ in rilievo una finalita’, prima di tutto, di vendetta, che chiama in causa la vita professionale del magistrato, dalle iniziative adottate insieme con il capitano (OMISSIS) e dopo il suo omicidio fino al ruolo centrale rivestito nel “maxiprocesso”; in secondo luogo, una finalita’ preventiva perseguita da (OMISSIS) in relazione “alla possibilita’ che il giudice (OMISSIS) divenisse capo della Procura Antimafia, ricevendo il testimone del giudice (OMISSIS) nella lotta al crimine organizzato”. Infine, la Corte di assise di appello di Caltanissetta richiama la “finalita’ di destabilizzazione”, volta a “esercitare una pressione sulla compagine politica e governativa” e “a mettere in ginocchio lo Stato”, di cui hanno riferito i collaboratori di giustizia e che, del resto, traspare dalla considerazione della natura efferata dei delitti, dalle modalita’ della loro consumazione e dall’individuazione degli obiettivi (alcuni dei quali, sottolinea il giudice di appello, lontani dalle naturali aree di interesse di (OMISSIS)).
3.6. Rileva la Corte la correttezza dell’impostazione seguita dai giudici di merito a proposito delle questioni cui si e’ fatto qui cenno e, piu’ in generale, in ordine all’individuazione dei contenuti dell’attivita’ istruttoria e alla definizione dell’approccio metodologico sotteso al ragionamento probatorio.
Le corti di primo e di secondo grado hanno espressamente indicato le “zone d’ombra” riscontrate nel corso del processo, ossia gli accadimenti, le circostanze, le questioni sui quali l’accertamento giurisdizionale non ha consentito di far luce, e quelle che la sentenza impugnata descrive quali “anomalie” delle indagini, come, per un verso, i condizionamenti e le “forzature” da parte di coloro che i giudici di merito indicano come “inquirenti suggeritori” e, per altro verso, “il coinvolgimento diretto del Sisde, al di fuori di qualsivoglia logica e regola processuale, nelle prime indagini sulla strage di (OMISSIS)” rimarcato dal giudice di primo grado (pag. 822); coinvolgimento che, sempre per riprendere le indicazioni della Corte di assise di Caltanissetta (pagg. 823 s.), aveva prodotto “frutti avvelenati”, quali la nota del 10 ottobre 1992 – “confezionata dal Sisde proprio nel periodo in cui era in atto il tentativo di far “collaborare” (OMISSIS)” – che conteneva “una dettagliata radiografia” su tutto quanto risultava al tempo sullo stesso (OMISSIS) e sui suoi familiari (sulla nota si tornera’ infra, al par. 7.3).
Il tema delle anomalie del modus procedendi degli “inquirenti suggeritori” evoca quelle che, come si vedra’ piu’ oltre, la sentenza impugnata definisce le “origini delle calunnie”, ossia gli abnormi inquinamenti delle prove che hanno condotto a plurime condanne di innocenti. Centrale, in questa vicenda, e’ la figura di (OMISSIS), nei cui confronti gli elementi di prova raccolti hanno condotto i giudici di merito ad accertare l'”insorgenza di un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attivita’ degli investigatori, i quali esercitarono in modo distorto i loro poteri con il compimento di una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell’agevolazione di una impropria circolarita’ tra i diversi contributi conoscitivi, tutti radicalmente difformi dalla realta’ se non per l’esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale e’ rimasta occulta la vera fonte” (sentenza di primo grado, pag. 1789, che, ad esempio, richiama l’anomalia delle condotte degli appartenenti al “Gruppo (OMISSIS) – (OMISSIS)” della Polizia di Stato, i quali, mentre erano addetti alla protezione di (OMISSIS), “si prestarono ad aiutarlo nello studio dei verbali di interrogatorio, redigendo una serie di appunti che erano chiaramente finalizzati a rimuovere le contraddizioni presenti nelle dichiarazioni del collaborante”: pag. 1793).
Nel quadro offerto dall’ampia e approfondita istruttoria dibattimentale svolta dal giudice di primo grado e dalle integrazioni disposte – in particolare, su sollecitazione della difesa – da quello di appello, la puntuale ed esplicita enunciazione di anomalie e “zone d’ombra” ha contribuito a rendere ragione degli effettivi contenuti dell’accertamento giurisdizionale e dei suoi limiti (tanto da indurre il giudice di primo grado a disporre la trasmissione dei verbali di udienza al pubblico ministero per le sue eventuali determinazioni), cosi’ da consentire al discorso giustificativo a sostegno della condanna dei diversi imputati di dar conto della rispondenza di tale accertamento ai canoni che presiedono al giudizio di colpevolezza e dell’insussistenza di condizionamenti sull’accertamento stesso ad opera dei limiti indicati. In questo senso, i giudici di merito hanno assecondato un’istanza di “massimizzazione dell’informazione”, intesa non certo quale informe accumulo di dati probatori, ma quale veicolo per la piu’ stringente “continua integrazione delle opposte ipotesi ricostruttive” (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Thyssenkrupp, Rv. 261103-15). Opposte ipotesi ricostruttive risultate, pero’, non in grado di “falsificare” la tesi accusatoria. Da questo punto di vista, le corti nissene non si sono sottratte neppure al confronto con i “nuovi scenari” che sarebbero delineati da altri procedimenti, ma tale confronto ha condotto i giudici di merito a rilevare che, quanto in particolare alla partecipazione alla strage di (OMISSIS) di soggetti esterni a (OMISSIS), “risultava possibile solo dare atto della esistenza di indagini in corso, trattandosi, peraltro, di elementi irrilevanti con riguardo alla posizione degli odierni imputati, in quanto concernenti non piste alternative ma, eventualmente, parallele”.
Al riguardo, mette conto osservare come la richiamata istanza di massimizzazione dell’informazione debba restare saldamente ancorata all’oggetto del processo e ai “confini” connaturati al perimetro dell’accertamento del giudice penale; questi, infatti, a differenza dello storico, esercita un potere, quello giurisdizionale, che, come tutti i poteri in una democrazia costituzionale, e’ per sua natura conformato da principi e disciplinato da regole, conoscendo, in particolare, i “confini” posti – prima di tutto a garanzia dell’imputato – dalla contestazione del fatto-reato, con la conseguente “funzionalizzazione” del thema probandum essenzialmente al suo accertamento.
Muovendosi nella prospettiva delineata, da un lato, dalla richiamata istanza di massimizzazione dell’informazione e, dall’altro, dai confini coessenziali all’accertamento penale, i giudici di merito, come si e’ visto, hanno ritenuto che i dati probatori relativi alle richiamate “zone d’ombra” possano al piu’ condurre a ipotizzare la presenza di altri soggetti o di gruppi di potere (co-)interessati all'”eliminazione” di (OMISSIS), ma cio’ non esclude il riconoscimento della “paternita’ mafiosa” dell’attentato di (OMISSIS) e della sua riconducibilita’ alla “strategia stragista” deliberata da (OMISSIS), prima di tutto, come “risposta” all’esito del maxiprocesso.
Il che, nella ricostruzione delle Corti di assise di Caltanissetta, non fa certo venir meno la complessita’ finalistica di quella strategia, proiettata, come si e’ visto, in una triplice dimensione: una finalita’ di vendetta contro il “nemico storico” di (OMISSIS) rimasto in vita dopo la strage di Capaci; una finalita’ preventiva, volta a scongiurare il rischio che (OMISSIS) potesse raggiungere i vertici delle nuove articolazioni giudiziarie promosse da (OMISSIS); una finalita’, infine, schiettamente destabilizzatrice, ben delineata oltre che dalla circostanza aggravante della finalita’ terroristica ritenuta nei confronti degli imputati accusati della strage – dalle modalita’ dell’attentato mortale di (OMISSIS) e dal suo collocarsi nel piu’ ampio contesto stragista deciso da (OMISSIS). Un obiettivo di destabilizzazione, quello perseguito anche con la strage di (OMISSIS), teso, come hanno rimarcato i giudici di merito, “a mettere in ginocchio lo Stato”, ma sempre nella prospettiva propria di (OMISSIS), evocata dalla sentenza impugnata – richiamando il dato messo in luce dai precedenti processi per la strage di (OMISSIS) – attraverso il riferimento alla strategia promossa da (OMISSIS) come volta a “fare la guerra per poi fare la pace”.
4. La ricognizione, nei suoi termini essenziali, della ricostruzione dei profili generali della strage del (OMISSIS) operata dai giudici di merito consente di esaminare il ricorso di (OMISSIS), che deve essere rigettato, pur presentando vari profili di inammissibilita’.
4.1. Muovendo, in ordine di priorita’ logico-giuridica, dalle doglianze attinenti all’attendibilita’ del collaboratore (OMISSIS), principale fonte di accusa nei confronti di (OMISSIS), le censure investono, in particolare, il profilo del difetto di costanza delle dichiarazioni dell’accusatore e fanno leva su quanto riferito dallo stesso (OMISSIS) in tre diverse occasioni.
4.1.1. Con riferimento alle dichiarazioni rese il 29/10/2002 nel processo relativo al duplice omicidio (OMISSIS) (che ha visto l’odierno ricorrente condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo), rileva la Corte di assise di appello di Caltanissetta che, in occasione di quell’esame, a (OMISSIS) fu chiesto di “quantificare” e specificare quante volte avesse visto (OMISSIS) in Commissione; il collaboratore rispose di non essere in grado di farlo, ma ribadi’ di avere un ricordo preciso della “riunione degli auguri” del Natale del 1991 e della partecipazione dell’odierno ricorrente a quella riunione, essendo stato quest’ultimo arrestato poco dopo e avendo, peraltro, avuto con il medesimo un incontro prima del suo arresto. Sul punto, il giudice di appello richiama quanto osservato dalla sentenza di primo grado, li’ dove ha ritenuto del tutto giustificabile che il collaboratore, nell’ambito di quel diverso procedimento penale relativo all’accertamento dei responsabili di “altro” omicidio, non abbia saputo indicare il numero di volte in cui aveva visto (OMISSIS) in Commissione, essendo il suo sforzo proiettato nella ricostruzione di fatti e circostanze rilevanti per l’accertamento di quei diversi episodi, tanto piu’ che, in quella stessa sede, il collaboratore aveva ricordato che, nello stesso periodo, vi erano state altre riunioni della Commissione con la partecipazione di (OMISSIS) (“riunione degli auguri” del 1991).
Ad analoghe valutazioni la sentenza impugnata giunge con riguardo alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) il 06/10/2002 dinanzi al Tribunale di (OMISSIS), allorche’, alla richiesta di precisare fino a quando egli avesse partecipato alle riunioni della Commissione, riferiva, in un primo momento, che l’ultima riunione era stata quella del dicembre del 1991 (essendo tradizione lo scambio di auguri con (OMISSIS) e con tutti i componenti della Commissione), per poi aggiungere, “mettendo a fuoco, cercando di chiarire ulteriormente i… ricordi”, che, probabilmente (“penso”), aveva partecipato ad altra riunione prima del suo arresto a fine gennaio, febbraio del 1992, nel corso della quale (OMISSIS) avrebbe comunicato che, dopo l’uccisione di (OMISSIS), il mandamento era non piu’ a Misilmeri, ma a (OMISSIS) ed era affidato a (OMISSIS). Osserva al riguardo il giudice di appello che il giudizio di attendibilita’ sulle dichiarazioni di (OMISSIS) non puo’ essere inficiato dalla momentanea incertezza nella ricostruzione del ricordo relativo all’ultima riunione della Commissione alla quale partecipo’, essendo stato manifestato tale ricordo in modo incerto e dubitativo (“penso”, “cercando di chiarire ulteriormente i ricordi”), dovendosi, invece, considerare che, in altri contesti, il suo ricordo e’ stato sul punto netto e preciso; rileva altresi’ la sentenza impugnata che, anche nell’ambito dell’esame reso nel citato procedimento (avente a oggetto, anche in questo caso, la ricostruzione di fatti diversi e piu’ generali scenari relativi all’arresto di (OMISSIS) e al subentro di (OMISSIS), come si desume dalla lettura integrale del verbale), “il collaboratore abbia ricordato senza esitazioni di avere preso parte alla riunione del dicembre del 1991 e che l’odierno imputato aveva preso parte alle riunioni della medesima Commissione fin dall’arresto del fratello (OMISSIS)”.
Quanto alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) il 15/05/2003 nel c.d. processo (OMISSIS) e altri dinanzi alla Corte di assise di appello di Palermo, in cui il collaboratore avrebbe omesso di riferire di aver partecipato alla riunione degli auguri di fine 1991, la Corte di assise di appello nissena disattende la censura difensiva alla luce del “contenuto dei primi verbali da collaboratore di giustizia resi da (OMISSIS) dinanzi al P.M., all’esordio del suo percorso di collaboratore (come quello del 7 ottobre 2002), quando il medesimo faceva gia’ esplicito riferimento alla “resa dei conti” annunciata da (OMISSIS) in relazione alla previsione dell’esito negativo del “maxiprocesso” e alla scure di vendetta che si sarebbe abbattuta, fin da quel momento, sui responsabili di tale situazione (e quindi in primo luogo sui giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)) oltre che sui “traditori””, sicche’, “tenuto conto di tale esplicita indicazione, appare, pertanto, irrilevante che, in epoca successiva, nell’ambito di altri procedimenti – su altri temi probatori e aventi a oggetto la ricostruzione di altri fatti delittuosi – il collaboratore non abbia sempre fatto riferimento a tale riunione di fine anno del 1991 considerato piuttosto il chiaro e certo riferimento operato, in altri contesti, alla medesima riunione di fine anno del 1991 e al suo oggetto”.
4.1.2. Il ricorso, in buona sostanza, reitera le doglianze esaminate dalla sentenza impugnata, con motivazione in linea con i dati probatori richiamati e immune da cadute di conseguenzialita’ logico-argomentativa. D’altra parte, il giudice di appello, nell’esame dell’attendibilita’ del collaboratore (OMISSIS), non si e’ sottratto a una valutazione complessiva dei contributi conoscitivi dallo stesso offerti, rimarcando come, dalla lettura integrale degli stessi verbali richiamati dalla difesa, egli si caratterizzi “per una certa prudenza nel rispondere alle domande che gli vengono poste dalle parti processuali, non esitando ad arrestarsi di fronte a quelle che esulano dal bagaglio delle sue conoscenze”. Rilievo, questo riferito all’approccio del collaboratore rispetti ai singoli, specifici temi posti dai diversi accertamenti processuali rispetto ai quali e’ stato chiamato a rendere dichiarazioni, che, da un diverso punto di vista, illumina un profilo di aspecificita’ delle doglianze articolate dal ricorso sul punto, doglianze proposte “isolando” i singoli passaggi delle dichiarazioni di (OMISSIS) dal complessivo contesto processuale in cui sono state rese, complessivo contesto non fatto oggetto delle deduzioni dell’impugnante necessarie a collocare i vari aspetti del racconto nel quadro dei temi affrontati nel singolo processo e, quindi, a impedire che le doglianze stesse assumano una connotazione, per certi versi, astrattizzante.
4.1.3. Tale ultimo rilievo si attaglia altresi’ alle ulteriori doglianze relative alla mancata indicazione dei soggetti presenti, per il mandamento di (OMISSIS), nelle riunioni della Commissione nel periodo 1988 – 1990, posto che, come rimarcato dal giudice di appello, non risulta che le riunioni cui ha fatto riferimento la difesa fossero collegate a eventi particolari (diversamente dalla “riunione degli auguri” del Natale del 1991). A cio’ si aggiunga che, come messo in luce dalla sentenza impugnata, plurime fonti collaborative hanno riferito che (OMISSIS), al momento della deliberazione della “strategia stragista”, era reggente del mandamento di (OMISSIS) e, in tale veste, partecipava alle riunioni della Commissione Provinciale: rilievo, questo, non oggetto di specifica disamina critica da parte del ricorso, pur avendo i giudici di merito attribuito al dato significativa valenza dimostrativa.
Del tutto infondata e’ poi la deduzione del ricorrente circa la mancata conoscenza da parte di (OMISSIS) delle dinamiche relative a vari “omicidi eccellenti”; al riguardo, correttamente la Corte di assise di appello ha rilevato la genericita’ della doglianza proposta con i motivi di appello, non sorretta da specifiche indicazioni in ordine al contenuto del verbale al quale la difesa stessa aveva fatto riferimento, tanto piu’ che, osserva ancora la sentenza impugnata, deve escludersi che la mancata conoscenza delle dinamiche relative a tali delitti possa essere ritenuta indicativa di inattendibilita’ del collaboratore, posto che, viceversa, su altre, successive vicende delittuose le sue dichiarazioni hanno trovato significativi riscontri (ad esempio, a proposito del duplice omicidio (OMISSIS), per il quale, come si e’ visto, (OMISSIS) e’ stato condannato in via definitiva quale mandante ed esecutore). Il ricorso reitera la doglianza, “elencando” gli “omicidi eccellenti” – e le date di commissione di ciascuno di essi – sulle cui dinamiche (OMISSIS) non ha fornito indicazioni, ma, al riguardo, non puo’ che ribadirsi il giudizio di aspecificita’ della doglianza, non essendo neppure sorretta dalla puntuale allegazione del ruolo rivestito all’interno di (OMISSIS) dal dichiarante all’epoca di ciascun fatto, ne’ degli esiti dei dedotti processi a ciascuno di essi relativi.
4.1.4. Il ricorso riprende poi la doglianza concernente l’incontro che, a dire di (OMISSIS), lo stesso avrebbe avuto con (OMISSIS) dopo la “riunione degli auguri natalizi” del 1991 e prima dell’arresto di (OMISSIS) (intervenuto il 13/12/1991).
Sul punto, la sentenza impugnata richiama l’esame di (OMISSIS) in sede di incidente probatorio (udienza del 05/06/2012); in quell’occasione, il collaborante, dopo aver raccontato della presenza anche di (OMISSIS), per il mandamento di (OMISSIS), alla riunione degli auguri di Natale del 1991 (l’ultima alla quale aveva partecipato), aggiunse di aver incontrato anche successivamente l’odierno ricorrente, “alla fine del âEuroËœ91 o inizio del âEuroËœ92”, con l’intermediazione di (OMISSIS); (OMISSIS) aveva chiesto a (OMISSIS) se vi fossero disponibilita’ da parte sua nella zona (in particolare, in quella di (OMISSIS)) in ordine a lavori, imprese, etc. Su domanda del difensore dell’imputato, (OMISSIS) ribadiva di ricordare con certezza la presenza di (OMISSIS) alla riunione della Commissione di fine 1991, precisando di collegare detto incontro al successivo avuto personalmente con l’imputato (pur non sapendo precisare quanto tempo dopo) per discutere di “affari”.
(OMISSIS) e’ stato nuovamente sentito nel corso dell’istruttoria dibattimentale all’udienza del 14/06/2013. I contenuti di tale esame sono ampiamente richiamati dalla sentenza di primo grado, che sottolinea come siano tre i dati rimasti impressi nella memoria del collaboratore: lo svolgimento della riunione con la partecipazione di (OMISSIS) intorno agli inizi di dicembre del 1991 (precisamente, “tra la fine di novembre e i primi giorni di dicembre del 1991”); l’ultimo incontro con (OMISSIS) avvenuto dopo “un lasso di tempo abbastanza breve” rispetto alla riunione; la circostanza che (OMISSIS), “dopo poco tempo”, venne arrestato e lo stesso accadde a (OMISSIS).
La sentenza impugnata sottolinea come a nulla rilevi che (OMISSIS), in un primo momento, abbia indicato l’incontro con (OMISSIS) come successivo alla “riunione degli auguri” del 1991 nel gennaio – febbraio 1992 (risalendo, invece, l’arresto dell’imputato, come si e’ detto, al 13/12/1991), posto che anche nel relativo atto istruttorio (OMISSIS) non ha saputo fornire una collocazione cronologica piu’ precisa di tale incontro con l’imputato, limitandosi a dichiarare che esso “avvenne comunque poco dopo la riunione “degli auguri” e prima dell’arresto del medesimo (pochi giorni prima che venisse arrestato), ma di non essere in grado di precisarne, tuttavia, la data”.
Il ricorso reitera la censura, sottraendosi peraltro alla compiuta ricostruzione dei contributi conoscitivi offerti sul punto da (OMISSIS), ma, come si e’ visto, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha esaminato il punto, disattendendo la doglianza difensiva con motivazione in linea con i dati probatori richiamati e immune da vizi logici.
4.1.5. La Corte di assise di appello di Caltanissetta trae ulteriori elementi di conferma del giudizio di attendibilita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) dagli esiti degli accertamenti disposti a seguito delle reiterate sollecitazioni dell’imputato e del difensore (anche nell’atto di appello). In estrema sintesi, (OMISSIS) aveva sostenuto che (OMISSIS), mentre si trovava detenuto nello stesso carcere del ricorrente, in occasione di un’udienza in videocollegamento, aveva manifestato rimostranze per essere stato collocato in una saletta insieme con (OMISSIS) e con (OMISSIS), senza tuttavia indicare tra i presenti lo stesso (OMISSIS), il che, a dire dell’imputato, dimostrerebbe il mendacio di (OMISSIS), che lo aveva accusato senza neppure conoscerlo personalmente. Gli accertamenti disposti dalla Corte di assise di appello – nella prospettiva della “massimizzazione dell’informazione” sopra richiamata – hanno recisamente smentito le deduzioni dell’odierno ricorrente, avendo consentito di appurare che il 12/06/1992 (ma sembra che l’indicazione della data della videoconferenza contenuta nella sentenza impugnata – a pag. 194 – sia frutto di un refuso, posto che il processo dinanzi alla Corte di assise di Palermo cui ineriva la videoconferenza e’ indicato come avente il n. 24/2000, sicche’ la videoconferenza dovrebbe essere intervenuta dopo il 2000, tanto piu’ che, nel medesimo contesto motivazionale, il giudice di appello fa riferimento all’inizio della collaborazione nel mese di settembre del 2002), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti ristretti presso la Casa Circondariale di (OMISSIS), erano stati chiamati a partecipare, in videoconferenza, a un’udienza dinanzi alla Corte di assise di Palermo in un processo che li vedeva imputati; dagli accertamenti svolti, pero’, e’ emerso che a tale udienza (OMISSIS) non partecipo’ in quanto tradotto presso l’aula bunker di Roma Rebibbia, sicche’ corrisponde al vero che (OMISSIS), dopo esser stato collocato nella stessa sala di videoconferenza con (OMISSIS) e (OMISSIS), fu spostato altrove poco dopo, ma si tratta di circostanza del tutto estranea a (OMISSIS). Il ricorso non propone doglianze sul punto.
4.2. Il ricorso articola poi censure in ordine agli elementi di riscontro individuati dai giudici di merito rispetto alla chiamata in correita’ effettuata da (OMISSIS).
4.2.1. Al riguardo, vengono in rilievo le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), nel giudizio di rinvio dinanzi alla Corte di assise di appello di Catania piu’ volte richiamato. In quell’occasione (all’udienza del 19/03/2004), (OMISSIS) ricordo’ la “riunione degli auguri” a casa di (OMISSIS) (in linea con l’indicazione, sia pure formulata in termini non di certezza, da (OMISSIS)), nel corso della quale si era parlato dell’uccisione di (OMISSIS) “per poi passare ai giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)”, precisando poi che i discorsi relativi all’omicidio di (OMISSIS) si erano fatti piu’ forti piu’ avanti. Il giudice di appello disattende la censura difensiva tesa a minare il giudizio di attendibilita’ di (OMISSIS) in base al rilievo che solo nell’interrogatorio di seguito menzionato egli aveva indicato (OMISSIS) come partecipe alla riunione svoltasi intorno agli inizi del dicembre del 1991, dovendosi considerare che, dinanzi ai giudici catanesi, (OMISSIS) aveva comunque dichiarato che, tra i partecipanti alla riunione, vi erano anche altre persone oltre a quelle che stava nominando.
E’ stato poi acquisito ex articolo 512 c.p.p., a seguito del decesso di (OMISSIS), l’interrogatorio reso il 22/01/2009, nel quale, come mette in evidenza la sentenza di appello, il collaboratore riferiva che (OMISSIS), quale reggente del mandamento di (OMISSIS) essendo il fratello (OMISSIS) detenuto, aveva preso parte alle riunioni della Commissione Provinciale fissate da (OMISSIS) nel periodo 1990 – 1991; in particolare, (OMISSIS) riferiva della presenza di (OMISSIS) alla riunione della Commissione Provinciale indetta per chiarire le ragioni e le modalita’ dell’omicidio di (OMISSIS), aggiungendo “di non ricordare se, nel corso di tale riunione si fosse discusso dell’eliminazione dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)”, a proposito della quale il collaborante ricordava “riunioni ristrette” in cui si discusse prima dell’uccisione di (OMISSIS), poi, dopo la strage di Capaci, di quella di (OMISSIS).
Le sentenze di primo e di secondo grado convergono nel giudizio circa l’identita’ della riunione descritta dai collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS);
quest’ultimo, osserva il giudice di appello, ha confermato lo svolgimento di una riunione “allargata” tenutasi in un contesto temporale coincidente con quello indicato da (OMISSIS), riferendo come presente alla stessa anche “Salvuccio” (OMISSIS) e indicando gli altri partecipi in termini sostanzialmente coincidenti con il racconto di (OMISSIS); entrambi i collaboranti, inoltre, hanno indicato l’oggetto della riunione nell’uccisione di (OMISSIS) e nella successione al suo posto di (OMISSIS). Vero e’, come rileva la sentenza di primo grado (pag. 520), che nell’interrogatorio del 22/01/2009, (OMISSIS) non e’ stato in grado di ricostruire se, nella riunione in cui si discusse dell’avvenuta uccisione di (OMISSIS), (OMISSIS) avesse fatto riferimento anche all’uccisione dei due magistrati, ma, sottolinea la Corte di assise di Caltanissetta, lo stesso collaboratore “nel precedente giudizio di rinvio celebratosi davanti alla Corte di assise di appello di Catania, all’udienza del 19/03/2004, aveva chiarito che proprio nella riunione degli “auguri” svoltasi a casa (OMISSIS) in prossimita’ del Natale del 1991 si parlava di uccidere l’on. le (OMISSIS) per poi “passare” ai giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)”.
Dal confronto tra le dichiarazioni dei due collaboratori, osserva ancora la sentenza impugnata, si ricava che entrambi hanno fatto riferimento alla medesima riunione, anche se ciascuno si e’ focalizzato su profili diversi, in quanto (OMISSIS) ha concentrato il proprio ricordo sulla “questione (OMISSIS)” (ossia sulla successione di (OMISSIS) a capo mandamento), mentre dal ricordo di (OMISSIS) emerge essenzialmente la sensazione di “glacialita’” che si era percepita nella riunione e la netta presa di posizione di (OMISSIS) sul fatto di essere giunti alla “resa dei conti” e che occorreva farla finita con i nemici storici di (OMISSIS). I giudici di merito sottolineano che il diverso ricordo dei due collaboratori di giustizia ben puo’ essere spiegato sulla base delle rispettive, successive vicende: per (OMISSIS), la riunione in questione e’ stata l’ultima della Commissione Provinciale alla quale ha partecipato, prima del suo arresto, mentre (OMISSIS) ha preso parte a plurime successive riunioni “ristrette” della Commissione finalizzate alla preparazione esecutiva degli omicidi di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Rileva comunque la sentenza impugnata che la valutazione circa l’identita’ della riunione di cui hanno parlato i due collaboratori si ricava altresi’ dalla cronologia degli eventi che hanno caratterizzato la fase antecedente le stragi, non essendo dubbio – proprio alla luce della sequenza degli accadimenti (ripercorsa puntualmente dal giudice di appello) – che la questione dell’omicidio di (OMISSIS) e della sua successione sia venuta a intersecarsi temporalmente con la questione ” (OMISSIS)” per (OMISSIS) rappresentata dall’esito del “maxiprocesso”, laddove, sottolinea il giudice di appello, “non sussisteva alcun motivo per indire, in un lasso di tempo cosi’ ristretto, due riunioni plenarie della Commissione Provinciale, considerati, peraltro, i rischi che le stesse comportavano”; invero, “la stretta concatenazione degli eventi – e la necessita’ di (OMISSIS) di discutere con i componenti della Commissione Provinciale, in un arco temporale coincidente, sia della questione inerente alla successione di (OMISSIS), (…), sia della strategia che bisognava essere pronti ad adottare in vista del prevedibile esito negativo del “maxiprocesso” in Cassazione – impone di ritenere logicamente che la riunione cui hanno fatto riferimento i due collaboratori sia la stessa”.
Proprio la ricostruzione della cronologia degli eventi (e il “via libera” dato da (OMISSIS) il giorno immediatamente successivo alla decisione della Corte di cassazione sul “maxiprocesso”, che, come si e’ detto, presupponeva, a quella data, “il consenso di entrambi i livelli deliberativi di (OMISSIS) sul “progetto stragista””) e delle riunioni ristette seguite, nel 1992, a quella degli “auguri natalizi” del 1991, conduce il giudice di appello a “ritenere che la “riunione degli auguri”, svolta fra la fine di novembre e i primi di dicembre del 1991, sia stata diretta all’acquisizione del consenso di tutti i componenti della Commissione Provinciale sulla “stagione stragista” che (OMISSIS) si accingeva a intraprendere volendo fare “guerra allo Stato”, colpendolo nel cuore delle istituzioni, e che la medesima riunione abbia costituito, allo stesso tempo, l’occasione per discutere dei nuovi assetti organizzativi decisi da (OMISSIS) conseguenti alla uccisione di (OMISSIS)”. Nella conforme valutazione dei giudici di primo e di secondo grado, il ricordo dei due collaboratori appare convergente, “ad eccezione di minime divergenze giustificabili in considerazione del lungo tempo trascorso” (quali la presenza o meno alla riunione di (OMISSIS)), “nella individuazione della compagine soggettiva della riunione, sia nella indicazione degli argomenti trattati”, posto che tali racconti danno contezza “dello svolgimento di una riunione al massimo consesso collegiale di (OMISSIS), svolta con la partecipazione dell’imputato (OMISSIS) in veste di reggente del mandamento di (OMISSIS) (cosi’ come accaduto anche qualche mese prima in occasione della “riunione dei Tir”), nella quale furono discusse le tematiche inerenti all’uccisione di (OMISSIS), e il diverso assetto che ne doveva derivare, e ribadita, per quel che in questa sede rileva, la questione dell’eliminazione dell’onorevole (OMISSIS) “per poi passare ai giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)”” (come ricordato da (OMISSIS) nell’esame dinanzi alla Corte di assise di appello di Catania).
4.2.2. Le censure del ricorrente non infirmano la motivazione della sentenza impugnata (in linea, peraltro, con la conforme sentenza di primo grado); tali censure denunciano la mancanza di convergenza delle dichiarazioni di (OMISSIS) e di quelle di (OMISSIS) sul nucleo essenziale rilevante ai fini in esame, non avendo il secondo confermato che nella riunione della Commissione tenutasi intorno agli inizi di dicembre del 1991 si sia discusso dell’uccisione dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS).
Al riguardo, mette conto rilevare che, nei termini in sintesi richiamati, le doglianze del ricorso prendono in considerazione essenzialmente le dichiarazioni rese (OMISSIS) nel corso dell’interrogatorio del 22/01/2009, ma non le dichiarazioni dibattimentali rese alla Corte di assise di appello di Catania, nell’ambito delle quali, come si e’ visto, il collaboratore – pur non confermando, ne’ escludendo la presenza di (OMISSIS) e non indicando (OMISSIS) tra i presenti, di cui fece espressamente solo alcuni nomi (sentenza di primo grado, pag. 515) riferi’ che nel corso della “riunione degli auguri” a casa di (OMISSIS) si era parlato dell’uccisione di (OMISSIS) “per poi passare ai giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)” (secondo l’ordine delle esecuzioni dei deliberati omicidiari poi effettivamente seguito). Rilievo, questo, che gia’ priva la doglianza di una forza esplicativa o dimostrativa tale da risultare in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516), tanto piu’ che il ricorso neppure deduce (o allega di aver dedotto nel gravame) che, nel corso dell’interrogatorio acquisito ex articolo 512 c.p.p., la diversa indicazione offerta nell’esame dibattimentale dinanzi al giudice del rinvio catanese sia stata “contestata” al dichiarante.
La sentenza impugnata, tuttavia, valorizza una serie di elementi e di argomenti idonei, nel percorso argomentativo del giudice di appello, a conferire anche alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) nell’interrogatorio del 2009 valenza confermativa della chiamata in correita’ di (OMISSIS). Infatti, i giudici di merito, in primo luogo, hanno dato conto della valutazione circa l’identita’ della riunione di cui hanno riferito i due collaboratori, valutazione fondata su plurimi elementi, dal comune riferimento alle questioni sorte con l’omicidio di (OMISSIS), alla ricostruzione cronologica della sequenza degli accadimenti, relativi, principalmente, a tale omicidio, da un lato, e alle determinazioni relative all’assegnazione della trattazione in Cassazione del “maxiprocesso”, dall’altro; inoltre, milita a favore della tesi sostenuta dai giudici di merito la stringente consecutio temporale tra la decisione della Corte di cassazione e il “via libera” alla “(OMISSIS)” dato da (OMISSIS) il giorno immediatamente successivo. Pertanto, le pronunce di merito registrano la piena convergenza delle dichiarazioni dei due collaboranti sulla partecipazione di (OMISSIS), a titolo di reggente del mandamento di (OMISSIS) (titolo in virtu’ del quale aveva partecipato – sottolinea la sentenza impugnata – anche alla “riunione dei Tir” di qualche mese prima), alla riunione della Commissione Provinciale tenutasi intorno agli inizi di dicembre del 1991, mentre, con riferimento all’inclusione nell'”oggetto” di tale riunione anche delle decisioni omicidiarie in esame, la mancanza di ricordo sul punto delle dichiarazioni di (OMISSIS) nell’interrogatorio del 2009 (ma non nell’esame dibattimentale del 2004, che, su detta inclusione, fa registrare la convergenza dei due racconti) e’ superata, sul piano logico-argomentativo, dai giudici di merito sulla base della considerazione dell’identita’ della riunione di cui hanno riferito i due collaboratori e della ricostruzione cronologica degli eventi, conferenti, l’una e l’altra, nel senso della conferma del racconto di (OMISSIS). Tanto piu’ che le Corti di merito hanno dato una spiegazione della divergenza tra il racconto di (OMISSIS) e il contenuto dell’interrogatorio di (OMISSIS) fondata sulla diversita’ delle vicende dei due collaboratori successive alla riunione per gli auguri di Natale del 1991: per il primo, quella fu l’ultima riunione della Commissione Provinciale alla quale ha preso parte, sicche’ e’ del tutto plausibile che egli abbia conservato – anche sul piano della percezione individuale dell’atmosfera “glaciale” venutasi a creare – il ricordo della “resa dei conti” annunciata da (OMISSIS) e avallata dal “consenso del silenzio” dei partecipanti; per il secondo, invece, alla partecipazione alla riunione tenutasi intorno agli inizi di dicembre del 1991 face seguito la partecipazione a plurime riunioni “ristrette” “finalizzate alla preparazione esecutiva degli omicidi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)”, riunioni, queste ultime, che, nel loro susseguirsi e nel susseguirsi dell’esecuzione degli attentati preparati, ben puo’ aver fatto “retrocedere”, nel complessivo bagaglio dei ricordi e in occasione dell’interrogatorio del 2009, la memoria di un singolo aspetto della riunione, stemperandolo in quello delle “riunioni operative” cui il dichiarante prese parte, riunioni nelle quali “il discorso si era fatto piu’ forte”.
Il ricorso ribadisce le doglianze fondate sul menzionato interrogatorio del 2009, ma si sottrae alla complessiva disamina critica – non solo dell’intero contributo conoscitivo offerto da (OMISSIS), ma anche – dell’articolato ragionamento dei giudici di merito, in linea con i dati probatori posti a fondamento della giustificazione della decisione sul punto e immune da cadute di conseguenzialita’ logica. Piu’ in particolare, il ricorso insiste sulla mancata convergenza del racconto dei due collaboratori su quello che viene prospettato come nucleo essenziale, ma la censura svilisce il rilievo che il riscontro esterno e individualizzante puo’ essere rappresentato anche da un elemento probatorio indiretto, idoneo a corroborare, pure sul piano della conseguenzialita’ logica e in una valutazione unitaria, la chiamata di correo (Sez. U, n. 20804/13, Aquilina, cit. supra al par. 2.1.): conseguenzialita’ logica sostenuta, nel discorso giustificativo dei giudici di merito, sulla base, prima di tutto, della serrata “cronologia degli eventi”, ritenuta, con motivazione esente da vizi logico-argomentativi, espressiva dell’unicita’ della riunione della Commissione Provinciale in cui furono affrontate le due questioni venutesi a “intrecciare” nel novero di quelle che la Commissione stessa doveva affrontare.
4.2.3. Le conformi sentenze di merito hanno poi affrontato funditus la questione della valenza delle dichiarazioni rese in sede in interrogatorio – e, dunque, in assenza di contraddittorio – da (OMISSIS) nel 2009, questione risolta positivamente anche con riguardo alla disciplina dettata dall’articolo 6 Cedu e alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Il punto non e’ oggetto del ricorso, il che esime questa Corte dall’esaminare la soluzione seguita dai giudici di merito, peraltro in linea anche con i piu’ recenti approdi della giurisprudenza di legittimita’ in materia (Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, Rv. 250199; Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, Rv. 279148).
4.2.4. Per completezza, inoltre, mette conto rilevare che la sentenza impugnata ha individuato altri elementi di riscontro individualizzante al contributo conoscitivo di (OMISSIS), elementi ulteriori rispetto alle dichiarazioni di (OMISSIS), tanto da rilevare che, anche a prescindere da queste ultime dichiarazioni, “il risultato rimarrebbe comunque identico, tenuto conto degli ulteriori elementi acquisiti in merito alla posizione dell’imputato odierno appellante, che costituiscono valido riscontro individualizzante alle dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS)”.
A venire in rilievo, in primo luogo, e’, nella ricostruzione del giudice di appello, la circostanza che l’imputato (OMISSIS) risulta aver partecipato anche ad altra riunione della Commissione Provinciale di (OMISSIS) tenutasi poco prima del 13 dicembre 1991, nel corso della quale erano stati deliberati gli omicidi dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), realizzati il 24 e il 25 luglio 1991, omicidi per i quali l’odierno ricorrente e’ stato condannato in via definitiva sulla scorta delle dichiarazioni convergenti di vari collaboratori (tra i quali (OMISSIS)), che avevano confermato la sua partecipazione alla riunione della Commissione Provinciale nel corso della quale era stata discussa la questione delle “rapine ai Tir”.
Altri elementi confermativi sono individuati dalla sentenza impugnata (e, piu’ diffusamente, da quella di primo grado) nelle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS): il primo ha indicato (OMISSIS) come reggente del mandamento di (OMISSIS) nel periodo 1990/1991, in quanto sostituto del padre, mentre il secondo ha riferito che, nel periodo in cui (OMISSIS) era in stato di arresto, alle riunioni della Commissione Provinciale partecipavano i figli e, in particolare, fino al 1992, (OMISSIS), poiche’ anche (OMISSIS) era stato arrestato.
Infine, la Corte di assise di appello di Catania ha valorizzato la circostanza che (OMISSIS) rientrava nel mandamento di (OMISSIS) e che un delitto eclatante come quello realizzato non si sarebbe mai potuto realizzare senza il consenso della leadership del mandamento stesso, in linea con le rigide regole di “competenza territoriale” di (OMISSIS) (vigenti all’epoca dei fatti: vd. supra par. 3.4.), richiamando ulteriori dati probatori espressivi del fatto che (OMISSIS) era “un luogo in cui “regnavano” i (OMISSIS), esercitando un completo controllo”.
La motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui valorizza i plurimi – convergenti nella prospettiva di una loro lettura coordinata – dati ora richiamati (dati che, in termini diversi, chiamano in causa la partecipazione, all’epoca dei fatti, del ricorrente all’organismo di vertice di (OMISSIS), partecipazione che, secondo la giurisprudenza di questa Corte – meglio approfondita infra al par. 4.8.1 -, non e’ di per se’ prova piena della responsabilita’ per lo specifico fatto criminoso deliberato dall’organismo stesso, potendo pero’ costituirne un grave indizio: cfr. Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, (OMISSIS), Rv. 233086) non ha formato oggetto di specifica e puntuale disamina critica da parte del ricorso, pur dando corpo, sul piano dell’individuazione degli elementi di conferma alle accuse di (OMISSIS), a quella che, come si e’ visto, la sentenza impugnata considera, in buona sostanza, alla stregua di una ratio decidendi autonoma e autosufficiente rispetto alle dichiarazioni di (OMISSIS), ossia svincolata dal sostegno argomentativo di tali dichiarazioni, mentre ciascuna di esse risulta idonea a offrire – nella prospettazione del giudice di merito fondamento giustificativo alla valutazione relativa alla sussistenza, nel compendio probatorio, di un riscontro individualizzante alla chiamata di correo del collaboratore; sotto questo profilo, dunque, l’impugnazione risulta carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata in punto di identificazione degli elementi di riscontro individualizzanti e quelle poste a fondamento del ricorso (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).
4.3. Sono inammissibili le censure articolate dal ricorso con riferimento alle dichiarazioni di vari altri collaboratori di giustizia. Tali doglianze sono sovente articolate in termini del tutto aspecifici, ora sottraendosi all’onere di completa e specifica individuazione degli atti processuali fatti valere, non essendo sufficiente, per l’apprezzamento del vizio dedotto, “la citazione di alcuni brani” dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011, dep. 2012, Rv. 252349), ora risultando del tutto carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 2012, Pezzo, cit.).
4.3.1. Vengono al rilievo, al riguardo, le doglianze relative al contributo conoscitivo offerto dal collaboratore (OMISSIS), che non avrebbe evocato i protagonismi menzionati da (OMISSIS) e avrebbe focalizzato la propria attenzione solo sulle “riunioni ristrette” (menzionate anche da (OMISSIS)). La Corte di assise di appello ha rilevato la “valenza neutra delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che, per il loro contenuto incerto ed anche mutevole, non appaiono idonee ne’ a fornire elementi di conferma ne’ elementi di smentita della dichiarazione di (OMISSIS)”. Il ricorso non si confronta con il puntuale rilievo del giudice di appello, ma si limita a proporre deduzioni del tutto frammentarie e carenti in ordine alla necessaria specificita’ della censura.
4.3.2. Del pari inammissibili sono le ulteriori doglianze riferite a gruppi di collaboratori ( (OMISSIS), (OMISSIS), etc.), in relazione ai quali la sentenza impugnata ha rilevato che ne’ (OMISSIS), ne’ (OMISSIS) li hanno indicati come presenti alla riunione degli auguri di Natale del 1991 e che non sussistono “elementi contrari per ritenere che avrebbero dovuto averne conoscenza, trattandosi peraltro di soggetti estranei alla Commissione”. Anche sul punto, il ricorso non si confronta effettivamente con la sentenza impugnata, ma si limita a richiamare, in termini del tutto frammentari, il contributo offerto dai molteplici collaboratori menzionati, senza dar conto di alcun elemento idoneo a dar corpo alla denuncia di vizi sindacabili dal giudice di legittimita’.
4.4. Le doglianze relative all’attribuzione di un ruolo deliberativo rispetto, in particolare, all’uccisione di (OMISSIS) alla riunione della Commissione Provinciale di (OMISSIS) tenutasi intorno agli inizi del mese di dicembre del 1991 non meritano accoglimento.
4.4.1. Secondo il ricorrente, “si sarebbe dovuto dimostrare un avvenimento talmente eccezionale da sovrapporsi al deliberato originario interamente “novandolo”, cosi’ da fare ritenere l’uccisione del giudice (OMISSIS) non piu’ riconducibile ai motivi espressi sin dagli inizi degli anni ottanta, ma ad altri motivi, diversi da quelli originari, per i quali vi era necessita’ che (OMISSIS) adottasse una nuova decisione”. I giudici di merito, pero’, hanno individuato siffatto “avvenimento talmente eccezionale da sovrapporsi al deliberato originario interamente “novandolo””: e’ l’esito del “maxiprocesso”, un esito, come si e’ visto, di vitale importanza sia per (OMISSIS), sia per la stessa immagine della Commissione e, in prima persona, di (OMISSIS), che ancora intorno al 1988, aveva ostentato ottimismo circa la possibilita’ di limitare le condanne al reato associativo, senza includere in esse le “cose piu’ grandi”, ossia gli omicidi. L’ottimismo cedette poi il passo alla previsione di un esito negativo per (OMISSIS), tanto sul piano, per cosi’ dire, strettamente giudiziario (con la condanna anche per le “cose piu’ grandi” e l’accreditamento dell’impostazione di fondo del “maxiprocesso”, fondamento delle condanne e, a sua volta, foriera di gravi conseguenze per l’organizzazione mafiosa), quanto su quello dell’immagine dei vertici di (OMISSIS) (e di (OMISSIS), in prima persona), all’evidenza compromessa nella propria autorevolezza, fino alla messa in crisi dei rapporti con i referenti dell’organizzazione mafiosa “che non avevano mantenuto i patti”.
L’individuazione dell’esito – previsto, ma in termini che (nella fase che viene qui in rilievo) lasciavano ben poco spazio ad auspici, da parte di (OMISSIS), di segno diverso – del “maxiprocesso” quale l’avvenimento assolutamente eccezionale evocato dal ricorso “contiene”, per cosi’ dire, la risposta alle altre questioni poste dal ricorso stesso.
La decisione di assassinare (OMISSIS) fin dagli anni âEuroËœ80 – messa in luce (e non certo esclusa o ridimensionata) dai giudici di merito – non priva la riunione tenuta intorno agli inizi di dicembre del 1991 dalla Commissione Provinciale della sua valenza di “rinnovazione” della deliberazione. I giudici di merito hanno puntualmente delineato la ricostruzione dei fatti che ha condotto all’accertamento di questa valenza, richiamando, in primo luogo, le dichiarazioni rese, nel presente procedimento, dai collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), secondo i quali, dopo la progettazione degli attentati di (OMISSIS) e di (OMISSIS), “la “Commissione” aveva deciso di sospendere tutto”.
D’altra parte, le conformi sentenze di merito hanno messo in luce i plurimi argomenti che militano a favore della tesi che, come gia’ sostenuto dalla Corte catanese in sede di giudizio di rinvio nel processo ” (OMISSIS) ter”, attribuisce alla riunione degli auguri di Natale 1991 una rinnovata potestas decidendi: a fianco alla coerenza di una siffatta attribuzione rispetto alle “regole” interne di (OMISSIS), che attribuivano alla Commissione Provinciale l’autorita’ di decidere gli “omicidi eccellenti”, i giudici di merito sottolineano il duplice rilievo del mutamento, nel tempo (anzi “nel considerevole intervallo di tempo” trascorso),
della compagine soggettiva della Commissione Provinciale e
dell’opportunita’/necessita’, per i vertici di (OMISSIS) (e, prima di tutto, per (OMISSIS)), di “responsabilizzare” la leadership territoriale dell’organizzazione circa le conseguenze che la strategia stragista avrebbe, inevitabilmente, comportato (“chiddu chi veni ni pigghiamu”), in modo da evitare che tali conseguenze potessero mettere a repentaglio (come accaduto in occasione dell’omicidio di (OMISSIS)) la pax mafiosa.
Da questo punto di vista, il ricorso svilisce indebitamente quello che la Corte di assise di appello nissena indica come “elemento dirompente”, ossia l’esito del “maxiprocesso” che, al momento della riunione degli auguri di Natale del 1991, si prefigurava pressoche’ certo, ossia decisamente infausto per (OMISSIS). E’ proprio al carattere dirompente – dai plurimi punti di vista prima messi in luce dell’esito del “maxiprocesso”, che, invece, nel percorso motivazionale dei giudici di merito, si ricollega la connotazione stragista della “resa dei conti” annunciata da (OMISSIS) nella riunione della Commissione Provinciale e ratificata dal “consenso del silenzio” dei partecipanti, una connotazione, per cosi’ dire, a trecentosessanta gradi, volta, da una parte, a colpire sia i “nemici storici” (OMISSIS) e (OMISSIS), sia coloro – prima di tutto, gli esponenti politici – “che non avevano mantenuto i patti”, e, dall’altra, a perseguire la “finalita’ di destabilizzazione” sopra richiamata, una finalita’ indirizzata a “esercitare una pressione sulla compagine politica e governativa” e “a mettere in ginocchio lo Stato”.
In questa prospettiva, i giudici di merito hanno attribuito alla riunione degli auguri natalizi del 1991 una rinnovazione della decisione di morte con effetti
“novativi” della precedente condanna a morte anche alla luce del rilievo che “non si trattava piu’ di procedere alla isolata esecuzione di una “condanna a morte”” (anche se, puo’ aggiungersi, relativa a un singolo “omicidio eccellente”), ma come si e’ gia’ messo in luce supra, par. 3.4 – di “porre in essere un piu’ ambizioso progetto criminale che avrebbe condotto a una serie ripetuta di morti eccellenti in un arco temporale limitato, per sferrare un “attacco terroristico” al cuore dello Stato, cosi’ da metterlo in ginocchio”. Proprio la connotazione terroristica e la finalizzazione – anche – destabilizzatrice della “resa dei conti” prevista come risposta di (OMISSIS) all’imminente conclusione (con esito infausto) del “maxiprocesso” rendono ragione, nell’apparato giustificativo delle sentenze di merito, della valenza decisionale attribuita alla riunione della Commissione Provinciale tenutasi intorno agli inizi di dicembre del 1991. Le deduzioni del ricorrente circa l'”attualita’” della decisione omicidiaria da anni maturata da (OMISSIS) nei confronti dei giudici (OMISSIS) e (OMISSIS) non inficiano il ragionamento, fondato sugli elementi e sugli argomenti in sintesi richiamati, attraverso i quali le conformi pronunce di merito hanno ritenuto la natura deliberativa della riunione citata e l’integrazione della fattispecie concorsuale in capo all’imputato (OMISSIS) che ad essa partecipo’ contribuendo al “consenso del silenzio”.
4.4.2. Ne’ in senso contrario meritano accoglimento le censure che fanno leva, da un lato, sulla riunione dell’ottobre del 1991 a (OMISSIS) riferita dai collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e, dall’altro, sulle vicende relative alla “(OMISSIS)” dei primi mesi del 1992 e sulle “riunioni ristrette” di cui hanno parlato (OMISSIS) e (OMISSIS).
Quanto alla prima censura, la sentenza impugnata – anche rifacendosi alla sentenza della Corte di assise di appello di Catania nel processo ” (OMISSIS) ter” ha richiamato varie riunioni della Commissione Regionale, tra le quali quella a (OMISSIS) dell’ottobre-novembre 1991, rimarcando, per un verso, che “parallelamente alle riunioni della Commissione Provinciale avevano avuto luogo altre riunioni “deliberative” fra i componenti della Commissione Regionale, fin dal settembre 1991″ e, dall’altro, la necessita’ del “consenso di entrambi i livelli deliberativi di (OMISSIS) sul “progetto stragista””, ossia della Commissione Provinciale e della Commissione Regionale. L’articolarsi della “strategia stragista” di (OMISSIS) sul duplice livello indicato priva, all’evidenza, le deduzioni del ricorrente di capacita’ di incidere sul decisum, posto che il ruolo dell’uno non priva l’altro dell’attitudine a dar corpo al contributo concorsuale del partecipante.
Destituita di fondamento e’ la deduzione correlata alle “riunioni ristrette”, che, come chiarito dal giudice di appello, erano dedicate – non gia’ alla deliberazione della “strategia stragista”, bensi’ – alla “preparazione esecutiva” (ossia, all'”attuazione efferata”), in particolare, degli omicidi di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS), connotazione, questa, che priva di consistenza la deduzione difensiva. Alla stessa conclusione deve giungersi con riferimento alla “(OMISSIS)”, revocata in favore, per quanto riguarda l’uccisione di (OMISSIS) (uno degli “obiettivi” della “(OMISSIS)” disposta da (OMISSIS) fin dal 31 gennaio 1992), dell’opzione esecutiva sfociata nell’attentato di Capaci. Vicende, queste, del tutto inidonee a inficiare le motivazioni della sentenza impugnata e della conforme sentenza di primo grado in ordine alla riunione della Commissione Provinciale di (OMISSIS) intorno agli inizi di dicembre del 1991 alla quale, nella ricostruzione dei giudici di merito, prese parte, prestando il “consenso del silenzio”, (OMISSIS).
4.5. Del pari infondate sono le censure che chiamano in causa la condanna per la strage di (OMISSIS) di (OMISSIS), padre del ricorrente, decisa dalla Corte di assise di appello di Catania nel processo “(OMISSIS)”. La sentenza impugnata ha escluso che il rilievo infici le – confermate – conclusioni del giudice di primo grado, posto che la responsabilita’ di (OMISSIS) “si pone come responsabilita’ “concorrente” rispetto a quella del padre” (deceduto nelle more del giudizio); come messo in luce dalla sentenza di primo grado, il tema in esame evoca l’analoga posizione nella quale si erano trovati, nel giudizio definito dalla citata sentenza della Corte di assise di appello di Catania, Salvatore e (OMISSIS) (padre e figlio): anche in quel caso fu ritenuto che il rappresentante e il reggente del mandamento concorressero nell’attivita’ deliberativa dei delitti rientranti nella “competenza” della Commissione Provinciale, “uno per condivisione e l’altro per assunzione diretta di responsabilita’, per consenso tacito espresso durante la riunione deliberativa”. In ogni caso, il giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS), come si vedra’ meglio piu’ oltre, deriva, nell’iter motivazionale dei giudici di merito, “dall’avere egli partecipato alla riunione deliberativa di morte e dall’avere espresso un proprio tacito consenso”. Rilievi, questi, rispetto ai quali il ricorrente si sottrae a una specifica e puntuale disamina critica, limitandosi a richiamare il dato della condanna di (OMISSIS) da parte della Corte catanese.
4.6. Del tutto inammissibili, per plurime e convergenti ragioni, sono, invece, le censure incentrate sulla deduzione circa le “lamentele raccolte da (OMISSIS) (padre) all’interno del carcere di (OMISSIS) in ordine al fatto che la famiglia (mafiosa) di quest’ultimo nulla sapesse in ordine alla uccisione del Dott. (OMISSIS) nel territorio di loro competenza”, lamentele che, secondo il ricorrente, non avrebbero avuto ragion d’essere se (OMISSIS) avesse effettivamente partecipato alla deliberazione in rappresentanza del mandamento. In primo luogo, la doglianza, all’evidenza, implica questioni di merito, postulando la ricostruzione dei rapporti tra le varie famiglie e all’interno del mandamento retto dall’imputato, ricostruzione che – per le ragioni indicate al par. 2.2. di questo Considerato in diritto – esula dai poteri cognitivi del giudice di legittimita’. Da un diverso punto di vista, la censura si rivela aspecifica, non essendo sostenuta da alcuna puntuale e completa allegazione dei dati processuali sui quali fa leva. Infine, la doglianza non risulta proposta con i motivi di gravame, ne’ il ricorrente ha articolato – in merito alla devoluzione al giudice di appello alcuna deduzione. Sul punto, si tornera’ in sede di esame del ricorso nell’interesse di (OMISSIS) e, segnatamente, di scrutinio delle doglianze relative alle dichiarazioni di (OMISSIS) (scrutinio che confermera’ le conclusioni qui raggiunte).
4.7. Destituite di fondamento sono le ulteriori censure incentrate ora sull’accelerazione che la programmata esecuzione dell’attentato contro (OMISSIS) registro’ nel maggio del 1992, ora, alla luce del processo “trattativa Stato – mafia”, sulle conseguenze provocate dalla sentenza della Corte di cassazione in merito al “maxiprocesso” e non dalla previsione dell’esito di essa.
Quanto alla prima, essa fa leva su un passaggio della sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta nel processo ” (OMISSIS) ter”, ma, nei termini in cui e’ dedotto, il riferimento alla fase esecutiva non inficia il ragionamento del giudicante in ordine a quella deliberativa, caratterizzata dall'”autorizzazione” della Commissione Provinciale a (OMISSIS) a dare il via, in vista dell’esito ormai certo del “maxiprocesso”, all’esecuzione della “resa dei conti”. A cio’ si aggiunga, che il giudice di appello ha sottolineato come “possano esservi stati altri soggetti, o gruppi di potere, interessati all’eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta”, il che, pero’, “non esclude la responsabilita’ principale degli uomini di vertice dell’organizzazione mafiosa che, attraverso il loro consenso tacito in seno agli organismi deliberativi della medesima organizzazione, hanno dato causa agli eventi” oggetto del processo.
Analogo rilievo conduce a disattendere anche l’ulteriore doglianza, peraltro articolata in termini generici quanto all’attitudine a inficiare la motivazione della sentenza impugnata, oltre che alla stessa individuazione dei contenuti critici proposti dal ricorso. Contenuti che sembrano concentrarsi sulla deduzione che la crisi dei rapporti di (OMISSIS) con i tradizionali referenti politici e il conseguente piano di destabilizzazione del quadro politico avviato con l’omicidio di (OMISSIS) e poi “sfociato nella logica della trattativa per costruire un nuovo patto politico-mafioso di convivenza Stato e mafia” erano collegati alle conseguenze della sentenza della Corte di cassazione e non alla previsione dell’esito della stessa. Fermo restando quanto gia’ osservato dalla sentenza impugnata in ordine alla possibile “interferenza” di altri soggetti o centri di potere nell’uccisione di (OMISSIS), la distinzione proposta dal ricorso e’ del tutto priva di consistenza argomentativa, posto che, nella ricostruzione dei giudici di merito priva di vizi logici, all’epoca della riunione degli auguri di Natale del 1991, l’esito del giudizio di legittimita’ sul “maxiprocesso” era, nelle valutazioni di (OMISSIS), infausto e, comunque, l’avvio effettivo della fase esecutiva della “resa dei conti” fu differito alla conoscenza della decisione della Corte di cassazione “infausta” per (OMISSIS), decisione, che, come si e’ visto, rappresentava una condizione sospensiva dell’avvio della realizzazione del progetto stragista. Il che rende ragione dell’infondatezza delle censure.
Alle medesime conclusioni deve giungersi con riguardo alla deduzione relativa alla collocazione temporale della deliberazione stragista offerta dagli esiti di altri procedimenti acquisiti ex articolo 238 bis c.p.p.. Anche a prescindere dalla rilevante genericita’ della deduzione, decisiva e’ la considerazione che la sentenza impugnata si e’ espressamente pronunciata sul punto, sottolineando, con motivazione esente da vizi logico-argomentativi e non oggetto di puntuali censure da parte del ricorso, che le diverse vicende processuali erano fondate su una diversa piattaforma probatoria, priva, in particolare, del contributo del collaboratore (OMISSIS), valorizzato dalla piu’ volte citata sentenza della Corte di assise di appello di Catania.
4.8. Le ulteriori censure – anch’esse non prive di profili di aspecificita’ ed evocanti promiscuamente anche i riferimenti ai risalenti propositi omicidiari nei confronti di (OMISSIS), sui quali ci si e’ gia’ soffermati – chiamano in causa l’idoneita’ del fatto ascritto a (OMISSIS) a integrare la fattispecie concorsuale.
4.8.1. La giurisprudenza di legittimita’ e’ del tutto consolidata nel ritenere che, per i membri di un organismo di vertice di un sodalizio criminoso, la responsabilita’ concorsuale non possa risolversi in una sorta di responsabilita’ “da posizione”: proprio con riferimento a (OMISSIS) e al ruolo dei capi-mandamento in seno alla “commissione”, questa Corte ha escluso che costituisca concorso morale nell'”omicidio eccellente” l’appartenenza all’organismo collegiale centrale, non essendo configurabile, appunto, per i membri della “commissione” una responsabilita’ di “posizione”, sicche’, affinche’ sia integrata la fattispecie concorsuale, e’ necessario che il singolo componente, informato in ordine alla deliberazione da assumere, presti il proprio consenso, anche tacito, fornendo cosi’ il proprio contributo allo specifico reato, quantomeno mediante il rafforzamento delle altrui determinazioni volitive (Sez. 1, n. 13349 del 02/12/2003, dep. 2004, (OMISSIS), Rv. 228379). Naturalmente, la prova del concorso “puo’ essere fornita e raccolta attraverso qualunque mezzo, e puo’ anche essere desunta, mediante affidabili inferenze, dalle conoscenze acquisite circa i meccanismi decisionali ed operativi del gruppo criminale nel cui ambito sia maturata una determinata iniziativa criminosa”, ma e’ evidente che “la prova del concreto coinvolgimento in un reato-fine dell’associazione e’ prospettabile, nella logica dell’oltre ogni ragionevole dubbio, solo quando si risolva nell’inferenza necessaria del coinvolgimento di un determinato soggetto; nella sostanziale inconcepibilita’, cioe’, che l’accadimento considerato si verificasse in assenza dell’indicato coinvolgimento, e sempreche’ (…) l’inferenza si spinga fino alla determinazione dello specifico contributo causale attribuito al partecipe” (Sez. 6, n. 8929 del 17/09/2014, dep. 2015, (OMISSIS), Rv. 263654; conf. Sez. 5, n. 390 del 24/06/2019, dep. 2020, Di Muro, Rv. 278550). Pertanto, e’ configurabile il concorso morale nel delitto di omicidio nei confronti dell’appartenente all’organismo di vertice di un’associazione criminale di tipo mafioso, che presta tacitamente il proprio consenso in merito all’esecuzione dello specifico delitto, mantenendo un comportamento silente nel corso di una riunione o all’atto della “doverosa” informazione ad opera di altro membro del sodalizio, in quanto la sola presenza ed il solo implicito assenso del capo sono idonei a costituire condizione per la realizzazione del crimine o comunque a rafforzare significativamente il relativo proposito (Sez. 1, n. 19778 del 26/02/2015, Rv. 263568). Del resto, gia’ la Sezioni unite – sia pure con riferimento a un’associazione diversa da quelle di stampo mafioso – hanno affermato che nel caso di “una organizzazione di tipo politico-paramilitare, destinata ad operazioni di tipo bellico per il conseguimento di determinati successi, a coinvolgere i capi o dirigenti, anche massimi, dell’organizzazione nella responsabilita’ delle operazioni compiute dai gregari, singoli o in formazioni, non basta questa loro condizione di gerarchi la quale non autorizza logicamente, di per se’ sola, la presunzione che tutto quanto compiuto dalle squadre d’azione sia stato ordinato dai capi”, occorrendo invece “la prova positiva dello specifico mandato emesso volta per volta” (Sez. U, n. 1 del 18/03/1970, Kofler, Rv. 115774).
Con piu’ specifico riferimento al caso concreto in esame, deve quindi ribadirsi che la sola appartenenza all’organismo centrale di un’organizzazione criminale di stampo mafioso (nella specie “(OMISSIS)”), investita del potere di deliberare in ordine alla commissione dei cosiddetti “omicidi eccellenti”, pur costituendo un indizio rilevante, non ha, tuttavia, valenza dimostrativa univoca circa il contributo di ciascuno dei suoi componenti alla realizzazione del reato-fine, essendo necessario che i singoli componenti, informati in ordine alla delibera da assumere, prestino il proprio consenso, anche tacito, fornendo cosi’ il loro contributo allo specifico reato (Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, (OMISSIS), Rv. 241820; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 3822 del 18/11/2005, dep. 2006, (OMISSIS), Rv. 233327; Sez. 5, n. 18845 del 30/05/2002, dep. 2003, (OMISSIS), Rv. 226423).
4.8.2. I giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi di diritto richiamati, rilevando che la prova della responsabilita’ di (OMISSIS) per il concorso nella strage di (OMISSIS) “non e’ stata desunta dalla semplice sua qualita’ soggettiva di componente della commissione provinciale in quanto sostituto del padre (OMISSIS)”, ma dalla prova della sua reale partecipazione “al momento deliberativo della strage collegato alla riunione allargata della stessa Commissione di fine anno 1991”. E’ dunque l’adesione di (OMISSIS), attraverso il “consenso del silenzio”, alla “resa dei conti” attraverso il progetto stragista indirizzato, in primo luogo, ai nemici storici di (OMISSIS) – e, tra questi, a (OMISSIS) – a fondare il giudizio di sussistenza nei suoi confronti della fattispecie concorsuale, ossia quella partecipazione morale all’attentato stragista di cui erroneamente il ricorrente lamenta la carenza, delineata, invece, dalle sentenze di merito come reale, concreta e non virtualmente correlata alla mera “posizione” rivestita nell’organigramma associativo.
4.9. Non merita accoglimento, infine, la deduzione correlata a Sez. 1, n. 2938 del 27/11/2020, dep. 2021, (OMISSIS). In radice, la doglianza e’ del tutto priva di correlazione con il ragionamento dei giudici di merito e neppure da’ conto dei profili che assimilerebbero la fattispecie concreta esaminata dalla pronuncia investita dal ricorso deciso dalla Prima Sezione a quella considerata dalla sentenza oggi impugnata; il che rende ragione, sotto questo profilo, della genericita’ della censura e, dunque, della sua inammissibilita’.
Ad abundantiam, comunque, puo’ osservarsi che, nel caso esaminato dalla citata sentenza, il ricorrente (OMISSIS) era stato condannato nei due gradi di merito, quale mandante nella qualita’ di capo della famiglia mafiosa di (OMISSIS), per l’omicidio di (OMISSIS); nella motivazione del giudizio di colpevolezza, si evince dalla sentenza della Prima Sezione, era stato valorizzato il ruolo di (OMISSIS) quale capo del mandamento sul cui territorio l’omicidio doveva essere commesso, in uno con il rilievo che dalla struttura unitaria e verticistica di (OMISSIS) si desumeva che un “omicidio eccellente” come quello del giornalista (OMISSIS) “non potette che essere deliberato dalla “provincia” di (OMISSIS), ossia dall’organismo collegiale composto dai capi dei mandamenti in cui si ripartiva l’articolazione territoriale di quella provincia”. Circa il passaggio valorizzato dal ricorrente, e’ opportuno richiamare l’intero paragrafo in cui e’ inserito, cosi’ da essere in grado di apprezzarne la portata; osserva la sentenza n. 2938 del 2021 quanto segue: “Circa poi le dichiarazioni di (OMISSIS), la lettura data dai giudici del merito e’ immune da censure d’ordine logico. (OMISSIS) disse di aver dato incarico a (OMISSIS) di eseguire l’omicidio di (OMISSIS), e questo particolare non e’ per nulla incompatibile con la ricostruzione, prima illustrata, di come operassero gli organi di vertice di “(OMISSIS)” nella deliberazione di omicidi eccellenti. (OMISSIS) non ha parlato di due fasi temporalmente distinte, e magari intervallate da un ampio spazio temporale, si’ da non far comprendere quale potesse essere la relazione tra una deliberazione gia’ assunta dall’organismo collegiale e un secondo intervento decisorio del rappresentante della “provincia”, che a quel punto si sarebbe sovrapposto senza ragione. L’organismo collegiale, al quale prendeva parte anche (OMISSIS), decise l’omicidio e il rappresentante della “provincia”, che in quell’organismo sedeva in posizione preminente, affido’ i compiti esecutivi a (OMISSIS) quale capo del mandamento di riferimento; se si vuole, quello del rappresentante della “provincia” fu un intervento di mera attuazione della decisione presa dall’organismo collegiale, dovendosi stabilire soltanto chi avrebbe preso in carico l’esecuzione del progetto omicida. Anzi, il fatto che (OMISSIS) dette l’incarico esecutivo a (OMISSIS) e’ elemento che rafforza la costruzione indiziaria a carico di quest’ultimo, nella misura in cui, se gli venne affidato l’incarico esecutivo, e’ ben logico ritenere che nel momento deliberativo collegiale non avesse mosso obiezioni o rilievi, aderendo in tal modo alla decisione criminosa”. Il riferimento, dunque, a un “secondo” intervento decisorio e’ svolto solo in termini ipotetici, laddove l’articolazione delineata dalla sentenza in quella sede impugnata e’ solo tra “momento deliberativo collegiale” e affidamento dell'”incarico esecutivo”. Il che in nessun modo contraddice la ricostruzione operata, nel caso in esame, dai giudici di merito, sicche’, sotto questo profilo, la censura e’ manifestamente infondata.
Il ricorso di (OMISSIS).
5. La posizione di (OMISSIS), cosi’ come delineata dalle conformi sentenze di merito, e’ strettamente collegata alle calunnie attribuite, nel presente processo, a (OMISSIS), ad (OMISSIS) e a (OMISSIS) e al disvelamento di esse consentito dalla collaborazione di (OMISSIS), che, come si vedra’, ha fornito una “ricostruzione della fase esecutiva” della strage di (OMISSIS) del tutto diversa e in netto contrasto con quella resa in precedenza da (OMISSIS), con particolare riferimento “al furto dell’autovettura e alla successiva custodia e consegna prima che venisse riempita di esplosivo”. I fatti (intesi come singoli accadimenti rientranti nella fase preparatoria della strage, ossia come segmenti dei fatti-reato ascritti al ricorrente) attribuiti a (OMISSIS) riguardano, invero, proprio la fase esecutiva della strage per la quale le calunnie avevano portato alla condanna, oltre che dello stesso (OMISSIS), delle persone offese nel presente processo (OMISSIS) e (OMISSIS) (il primo accusato, tra l’altro, di aver incaricato (OMISSIS) del furto del veicolo da utilizzare come autobomba; il secondo di aver partecipato al “trasporto” dell’auto: entrambi condannati all’ergastolo nel processo “(OMISSIS)”), e di (OMISSIS) (anch’egli accusato, tra l’altro, del “trasporto” dell’auto e condannato all’ergastolo nel processo “(OMISSIS)”).
I rilievi che precedono gia’ da soli rendono ragione della centralita’ rivestita, nel compendio probatorio posto dalle sentenze di merito a fondamento del giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS), dalle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) (la “pietra angolare” di tale compendio, secondo la Corte di assise di Caltanissetta), non solo, ai quei tempi, sodale nella “famiglia” di (OMISSIS), ma, a dire dello stesso ricorrente, amico fraterno dell’imputato, con il quale il collaborante aveva condiviso momenti importantissimi di gioia e di dolore della propria vita familiare (sentenza di primo grado, pag. 966).
La centralita’ indicata suggerisce di ripercorrere, sulla scorta soprattutto della sentenza di primo grado e solo per rapidi cenni, alcuni tratti del profilo di (OMISSIS) e della sua “militanza” all’interno di (OMISSIS) (fermo restando, naturalmente, che una piu’ approfondita analisi dell’apparato giustificativo dei giudici di merito sara’ svolta nel successivo paragrafo in sede di disamina delle censure proposte dal ricorso).
All’epoca della strage di (OMISSIS) e fin dagli anni âEuroËœ80, (OMISSIS), sebbene non ancora ritualmente affiliato come “uomo d’onore”, era pienamente inserito nella “famiglia” mafiosa di (OMISSIS), egemone nell’omonimo mandamento composto altresi’ dalle “famiglie” di Ciaculli, Corso dei Mille e Roccella. La partecipazione attiva alla “famiglia” di (OMISSIS) ebbe origine dal rapporto con i (OMISSIS), con i quali si era schierato nella “guerra di mafia”, in quanto, come i fratelli (OMISSIS) in relazione all’omicidio del loro padre ( (OMISSIS)), anche (OMISSIS), in relazione all’omicidio del fratello (OMISSIS), sospettava che la decisione di morte fosse stata decretata da quella fazione di (OMISSIS) facente capo a (OMISSIS). (OMISSIS) si era dunque prestato a controllare gli spostamenti dei familiari e dei soggetti ritenuti vicini a (OMISSIS) (del quale si temeva un ritorno a Palermo con intenti di vendetta), attivita’, questa, che il futuro collaboratore prosegui’ anche durante il servizio militare a Roma (dove si pensava che (OMISSIS) gravitasse). In quel periodo, in occasione di una licenza a Palermo, (OMISSIS) subi’ un fermo da parte delle forze dell’ordine, ma riusci’ a consentire la fuga di numerosi esponenti della famiglia di (OMISSIS) che si trovavano con lui in quel frangente; pur subendo, in quell’occasione, “un trattamento rude all’interno degli uffici della Polizia dove veniva condotto” (sentenza di primo grado, pag. 970), (OMISSIS) non rivelo’ nulla, il che fu particolarmente apprezzato negli ambienti di (OMISSIS).
Anche per questo motivo e per l’affidabilita’ dimostrata, gli incarichi via via affidati a (OMISSIS) nell’ambito della “famiglia” di (OMISSIS) aumentarono nel corso del tempo per frequenza e per “importanza”, arrivando a numerosi omicidi per conto di (OMISSIS), fino al coinvolgimento diretto nell’intera campagna stragista, in (OMISSIS) (con le partecipazione alle stragi di Capaci e di (OMISSIS)) e nel continente (come statuito dalla Corte di assise di appello di Firenze con la sentenza del 13/02/2001).
(OMISSIS), dunque, godeva della piena fiducia dei vertici del mandamento di (OMISSIS) e, come risulta dalle dichiarazioni rese nel presente procedimento da vari collaboratori di giustizia, con l’arresto, prima, di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (27 gennaio 1994) e, poi, di (OMISSIS) (24 giugno 1995), fu affiliato quale “uomo d’onore” e, contestualmente, fu investito della rappresentanza del mandamento di (OMISSIS), su impulso di (OMISSIS). L’affiliazione formale a (OMISSIS) (alla presenza di (OMISSIS)) e l’immediata attribuzione della leadership sul mandamento (non solo sulla “famiglia”) di (OMISSIS) testimoniano il percorso criminale di indubbio rilievo svolto da (OMISSIS) all’interno di (OMISSIS), percorso, del resto, messo in luce anche dalle condanne irrevocabili a suo carico.
6. Cio’ premesso, rileva la Corte che il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato, pur presentando plurimi profili di inammissibilita’.
6.1. In ordine di priorita’ logico-giuridica, deve muoversi dall’esame del primo motivo nella parte relativa ai profili soggettivi della chiamata di correo di (OMISSIS) nei confronti del ricorrente.
6.1.1. In ordine alla credibilita’ di (OMISSIS), il giudice di appello, dopo aver richiamato le varie sentenze irrevocabili che ne hanno attestato la genuinita’ della collaborazione, sottolinea le ragioni indicate a fondamento del percorso di rescissione dei legami con l’ambiente mafioso di provenienza e di maturazione morale e spirituale, ragioni che si collocano sul duplice piano del rimorso per i crimini commessi (in particolare per l’omicidio di (OMISSIS), per quello di un minore e per la strage di Firenze in cui perse la vita anche un minore) e della volonta’ di contribuire a far luce su vicende – prima fra tutte, la strage di (OMISSIS) – che avevano avuto quali esiti processuali la condanna di innocenti. La sentenza impugnata richiama poi il rapporto di (OMISSIS) con i fratelli (OMISSIS), di cui era “uomo fidatissimo”, e la diretta partecipazione del dichiarante all’intera “campagna stragista”, il che, in uno con la precisione, la linearita’ e la costanza delle dichiarazioni, confermate da numerosissimi riscontri, consente di ribadire il giudizio positivo sulla credibilita’ del collaboratore gia’ formulato dai giudici di primo grado; il vissuto criminale di (OMISSIS), osserva ancora la Corte di assise di appello di Caltanissetta, consente non solo di apprezzare il suo spessore mafioso, ma anche di smentire l’assunto difensivo che lo vorrebbe relegato all’interno del “mandamento” di appartenenza e allo svolgimento di compiti meramente esecutivi e di (OMISSIS), assunto infondato anche alla luce del coinvolgimento del collaborante, sempre piu’ intenso con il passare del tempo, nelle rilevanti vicende criminali del gruppo di appartenenza.
Le censure articolate sul punto dal ricorso non colgono nel segno.
6.1.2. A proposito delle sentenze che, secondo la difesa del ricorrente, escluderebbero l’attendibilita’ di (OMISSIS), quella relativa a (OMISSIS) (fratello dell’odierno imputato) per la strage di (OMISSIS) del 27/07/1993 e’ stata puntualmente esaminata dal giudice di appello, che ha rilevato come essa dia conto dell’attendibilita’ intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni di (OMISSIS), mentre l’esito assolutorio del giudizio fu determinato dalla carenza di elementi di riscontro individualizzanti. Il ricorso reitera la doglianza senza confrontarsi con la puntuale risposta del giudice di appello, risposta che trova conferma nella decisione di questa Corte – specificamente menzionata dalla sentenza impugnata – li’ dove, richiamati alcuni principi di diritto in tema di chiamata di correo, ha rimarcato che “la Corte territoriale ha dato corretta applicazione a tali principi di diritto allorche’ ha ritenuto di confermare integralmente – del resto in perfetta assonanza con plurime decisioni definitive pronunciate su fatti diversi e/o collegati, ovvero sullo stesso fatto oggetto del presente giudizio nei confronti di altri imputati – il giudizio di assoluta attendibilita’ intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni di (OMISSIS), e tuttavia ha affermato che i pur esistenti riscontri di carattere logico e fattuale al suo narrato non erano idonei a superare ogni ragionevole dubbio in ordine alla partecipazione di (OMISSIS) all’attentato di (OMISSIS), mancando essi del carattere individualizzante richiesto dall’articolo 192 c.p.p., comma 3”, (Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, Rv. 274151). Del tutto evidente e’ l’infondatezza della doglianza proposta dal ricorso.
Alla stessa conclusione deve giungersi con riguardo alla posizione di (OMISSIS), a proposito della quale la difesa dell’imputato ha richiamato la sentenza (Sez. 6, n. 8929 del 17/09/2014, dep. 2015, (OMISSIS), Rv. 263654), che annullo’ la sentenza allora impugnata (Corte di assise di appello di Firenze del 10/10/2013) in parte senza rinvio e, con riguardo ai delitti relativi all’attentato di Firenze (strage, devastazione, detenzione e porto di esplosivo e furto), con rinvio. In ordine ai primi, la sentenza della Sesta sezione aveva rilevato che “il vero nucleo argomentativo della sentenza (allora: n. d.e.) impugnata, e della relativa motivazione, si incentra sul riferimento alla “posizione” di (OMISSIS) quale capo della famiglia di (OMISSIS)”, sicche’ “l’affermazione di responsabilita’ e’ stata affermata essenzialmente sulla base di elementi di prova logica, senza alcun apprezzabile collegamento con le singole fattispecie concrete” e senza che fosse stato possibile pervenire a “una adeguata focalizzazione del contributo concretamente recato dall’agente al fatto pluripersonale”, sicche’ la Corte non ravviso’ “margini per un’utile “ripetizione” del processo”, statuendo, quindi, l’annullamento senza rinvio. Al contrario, per la strage di (OMISSIS) la situazione fu ritenuta obiettivamente diversa, in quanto, in particolare, l’indicazione di (OMISSIS) in ordine alla partecipazione a una riunione operativa fu qualificata come “elemento di prova rappresentativa, offerto oltretutto in base alla diretta percezione del dichiarante”, sicche’ i vizi motivazionali pur rilevati condussero a un annullamento con rinvio, con devoluzione al giudice del rinvio del compito di verificare, innanzitutto, la veridicita’ del contributo del collaboratore. Pronunciandosi sulla sentenza deliberata in sede di rinvio (Corte di assise di appello di Firenze del 24/02/2016, che riconobbe la responsabilita’ di (OMISSIS) per i reati oggetto del precedente annullamento con rinvio, condannandolo all’ergastolo), la sentenza della Seconda Sezione penale richiamata dalla sentenza oggi impugnata (Sez. 2, n. 28382 del 20/02/2017, (OMISSIS)) rigetto’ il ricorso dell’imputato, rilevando, tra l’altro, che “deve ritenersi conforme alle indicazioni di questa Corte di cassazione il percorso argomentativo della sentenza impugnata anche in relazione alla valutazione delle dichiarazioni di (OMISSIS) che, insieme agli elementi di riscontro delle stesse, vengono definite dalla sentenza il terzo filone probatorio, di rilievo centrale e determinante, atteso anche che solo a seguito di tale collaborazione hanno preso adeguata consistenza gli elementi a carico del (OMISSIS), la cui posizione era stata archiviata, non ritenendosi le sole dichiarazioni del (OMISSIS) sufficienti a sostenere adeguatamente l’accusa nei confronti del ricorrente”.
La deduzione relativa alla sentenza della Seconda Sezione della Corte di cassazione che avrebbe escluso la revisione a favore di “tale (OMISSIS)” nonostante le propalazioni a suo favore di (OMISSIS) e’, invece, inammissibile. Oltre a non risultare specificamente dedotta con l’atto di appello (che, a pag. 13, richiama altre sentenze, ma non quella evocata dal ricorso), la doglianza e’ aspecifica, in quanto, pur nella disponibilita’ da parte della Corte di cassazione delle sentenze dalla stessa deliberate, esse devono essere compiutamente indicate (anche nella parte dedotta come rilevante), laddove il ricorso non solo non indica gli estremi della sentenza (numero di registro generale e anno), ma neppure compiutamente il ricorrente (di cui si menziona il solo cognome). Ad abundantiam, comunque, la Corte rileva che nei confronti di (OMISSIS) risulta una sentenza della Seconda Sezione (Sez. 2, n. 40381 del 18/10/2005, dep. 2006, (OMISSIS)) che ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Milano che aveva confermato la decisione di primo grado che aveva condannato l’imputato per i delitti relativi alla strage di (OMISSIS) a Milano. Nei confronti di (OMISSIS) risulta, inoltre, un’altra sentenza (non della Seconda, ma) della Quinta Sezione penale (Sez. 5, n. 46427 del 25/09/2013, (OMISSIS)), che ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia del 27/04/2011, che aveva rigettato l’istanza di revisione avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Milano appena menzionata: il ricorrente, verosimilmente, fa riferimento a questa seconda sentenza, la quale aveva rilevato che la decisione allora impugnata “aveva messo in rilievo come le dichiarazioni dello (OMISSIS) non (svolgessero: n. d.e.) alcun effetto corroborativo sull’alibi allegato da (OMISSIS)”. Rilievi, questi, che, comunque, confermano la manifesta infondatezza della doglianza, poiche’ essi non danno atto di una valutazione di inattendibilita’ del collaboratore, ma di inidoneita’ di quanto da lui riferito a confermare l’alibi fornito (e “gia’ a suo tempo ritenuto non concludente dai giudici di merito”), non potendosi confondere un giudizio di inconferenza con uno di inattendibilita’.
6.1.3. Il ricorso reitera poi le doglianze proposte in relazione al colloquio investigativo effettuato da (OMISSIS) il 16/06/1998 con i magistrati della Direzione Nazionale Antimafia (OMISSIS) e (OMISSIS), colloquio che, come messo in evidenza dalla sentenza impugnata, si svolse ben dieci anni prima dell’inizio della collaborazione di (OMISSIS); peraltro, sottolinea il giudice di appello, anche in quel lontano colloquio investigativo, (OMISSIS) – pur non rivelando di essere l’autore del furto della Fiat 126 con (OMISSIS) – aveva scagionato (OMISSIS), che, a suo dire, aveva solo subito il furto delle targhe di un’auto custodita nella sua autofficina; aveva precisato che l’auto era stata imbottita di esplosivo altrove e aveva riferito che “a (OMISSIS), totalmente estraneo ai fatti, qualcuno aveva fatto rendere delle dichiarazioni”. Osserva al riguardo la Corte di assise di appello di Caltanissetta che (OMISSIS) aveva dunque iniziato a disvelare gli accadimenti che avrebbe poi compiutamente descritto, “rivelando che nei processi per la strage di (OMISSIS) erano stati coinvolti alcuni innocenti”.
Il ricorso (che allega l’intero verbale del colloquio investigativo) insiste sulla mancata indicazione, nel colloquio investigativo del 1998, del coinvolgimento nella strage di (OMISSIS), ma – oltre a svilire indebitamente la differenza, anche sul piano della valenza probatoria, tra un colloquio investigativo (avente natura di attivita’ non processuale: cfr. Sez. 5, n. 873 del 14/10/1996, dep. 1997, Colecchia, Rv. 206904) e le dichiarazioni rese nell’ambito di un procedimento da un soggetto che ha assunto la qualifica di collaboratore di giustizia – non coglie il rilevante profilo di continuita’ messo in luce dai giudici di merito, ossia la rappresentazione delle falsita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) e delle conseguenti condanne di alcuni innocenti. Profilo tanto piu’ significativo se, sulla scorta delle indicazioni offerte dalla sentenza impugnata, si pone mente alle ragioni indicate come poste a fondamento della scelta collaborativa di (OMISSIS), tra le quali, come si e’ visto, e’ stata evidenziata la volonta’ di contribuire a far luce su vicende processuali che avevano condotto alla condanna di innocenti; una volonta’, come mette in luce la sentenza di primo grado (pp. 1142 ss.), frutto di una “rivisitazione critica delle proprie condotte delinquenziali” non solo riferita dal collaboratore, ma concretamente spiegata, nella sua genesi e nel suo consolidarsi, anche alla luce degli incontri, durante la propria detenzione, “con persone che scontavano condanne per la strage di (OMISSIS)” basate su ricostruzioni che (OMISSIS) sapeva essere false: particolarmente significativi, nel narrato del collaborante riportato dal giudice di primo grado, furono gli incontri in carcere con (OMISSIS) (ricordato, nella sua requisitoria, anche dall’Avvocato Generale presso questa Corte, per la particolare intensita’ del racconto di (OMISSIS), il quale sapeva che “effettivamente quello era innocente”) e con (OMISSIS), persone offese nel presente processo.
Una volonta’, quella di (OMISSIS) di “riscattare” i propri trascorsi criminali, che, dunque, gia’ il colloquio investigativo del 1998 manifestava e che, evocando la genesi della collaborazione (Sez. U, n. 1653/93, Marino, cit. supra al par. 2.1. di questo Considerato in diritto), correttamente i giudici di merito hanno valorizzato nel senso della formulazione di un giudizio positivo sulla credibilita’ del collaboratore.
D’altra parte, la sentenza impugnata ha rimarcato che, fin dall’inizio della collaborazione intrapresa il 26/06/2008, (OMISSIS) aveva rivelato il proprio coinvolgimento della strage di (OMISSIS), suscitando – nel prospettare una ricostruzione in contrasto con gli accertamenti confermati da sentenze irrevocabili – l’iniziale diffidenza degli investigatori e, pur non ammesso al programma di protezione, aveva coerentemente dimostrato l’affidabilita’ del proprio percorso collaborativo continuando ad autoaccusarsi di fatti gravissimi per i quali, proprio per gli accertamenti irrevocabili da lui posti in discussione, non sarebbe mai stato perseguito. Nello scrutinio afferente alla genuinita’ della collaborazione di (OMISSIS), il dato richiamato dalla sentenza impugnata e la valutazione operata sulla base di esso rivestono indubbio rilievo, dando corpo a un giudizio di costanza del narrato particolarmente pregnante in quanto, per cosi’ dire, “messo alla prova” dell’iniziale diffidenza degli organi inquirenti (e della iniziale mancata ammissione al programma di protezione). Il ricorso non si confronta in modo specifico con questo profilo della motivazione del giudice di appello, risultando carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 2012, Pezzo, cit.).
6.2. Molteplici censure, articolate sempre nel corpo del primo motivo, riguardano la dinamica del furto e il coinvolgimento del ricorrente; in vari casi puo’ fin d’ora anticiparsi – tali doglianze risultano inammissibili in quanto meramente reiterative di censure esaminate e disattese dal giudice di appello con motivazione immune da vizi sindacabili nel giudizio di legittimita’ ovvero idonee, al piu’, a introdurre, in tale giudizio, inammissibili questioni di merito, tanto piu’ che, in vari passaggi, il ricorso articola il proprio discorso confutativo riproducendo brani della motivazione della sentenza impugnata e delineando la critica alla stessa in guisa, sostanzialmente, di “chiose” al discorso giustificativo del giudice di appello, senza proporre censure effettivamente in grado di disarticolare il ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita’, cosi’ da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 2011, Longo, cit.).
6.2.1. In estrema sintesi, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha richiamato i termini essenziali delle dichiarazioni di (OMISSIS) sulla dinamica del furto e sul ruolo rivestito da (OMISSIS). Il collaboratore ha riferito di avere ricevuto l’incarico di rubare una Fiat 126 dal “capomandamento” (OMISSIS), attraverso “(OMISSIS)” (OMISSIS), e di avere poi effettivamente commesso il furto insieme con (OMISSIS), custodendo l’auto in due diversi garages prima di consegnarla ai complici. Nel racconto di (OMISSIS), egli aveva immediatamente compreso che il furto commissionatogli era finalizzato alla realizzazione di un attentato eclatante, in quanto gli era stato perentoriamente indicato il tipo di auto da rubare – identica a quella utilizzata per l’attentato in cui fu ucciso il giudice Chinnici – nonostante avesse manifestato difficolta’ sia per la propria inesperienza nel settore, sia per l’impossibilita’ di utilizzare il “chiavino” o “spadino” per mettere in moto quel tipo di veicolo, essendo invece necessari la rottura del bloccasterzo e il collegamento dei fili di accensione. Tali difficolta’ avevano spinto (OMISSIS) a chiedere di potersi avvalere dell’aiuto di (OMISSIS); (OMISSIS) ottenne tale autorizzazione e, con essa, quella di agire anche oltre i limiti del mandamento di (OMISSIS) e anche fuori dal territorio di Palermo (circostanze che pure fecero intuire al collaboratore la rilevanza del progetto cui era funzionale il furto). Osserva ancora il giudice di appello che l'”autorizzazione” concessa a (OMISSIS) di avvalersi, nella realizzazione dell’incarico ordinatogli, del contributo di (OMISSIS) era del tutto in linea con il pieno inserimento dello stesso (OMISSIS) nel mandamento di (OMISSIS), descritto da vari collaboratori ( (OMISSIS) ed (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), e con il ruolo di “braccio destro” di (OMISSIS) riferito dallo stesso (OMISSIS).
La sintesi della motivazione sul punto della sentenza impugnata rende ragione dell’inconsistenza del ricorso li’ dove lamenta l’individuazione quale riscontro “di posizione” o “d’ambiente” del ruolo svolto da (OMISSIS) in seno al mandamento di (OMISSIS). Invero, mentre gli elementi di conferma delle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) sono individuati dalle sentenze di primo e secondo grado in – diversi – dati probatori sui quali ci si soffermera’ piu’ oltre, il riferimento, nella parte di motivazione in esame, al pieno inserimento di (OMISSIS) nel mandamento di (OMISSIS) e’ funzionale, nel percorso argomentativo dei giudici di merito, semplicemente a dar conto della evidente plausibilita’ del coinvolgimento, nella fase della predisposizione dei mezzi necessari per l’attentato, di un esponente inserito nel mandamento chiamato in causa (e, prima ancora, della plausibilita’ della richiesta in tal senso di (OMISSIS)); ne consegue la manifesta infondatezza della doglianza.
6.2.2. Anche le censure relative alla possibilita’ o meno di utilizzare per il furto della Fiat 126 lo “spadino” sono inammissibili.
Richiamando i rilievi del giudice di primo grado, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha disatteso il motivo di gravame con il quale l’appellante aveva dedotto che la difficolta’ di utilizzare lo “spadino” si riferiva non gia’ al modello della Fiat 126 rubata, ma a un diverso modello, fabbricato successivamente. Osserva al riguardo la sentenza impugnata che le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), particolarmente competenti in materia per i loro precedenti specifici, avevano confermato l’impossibilita’ di aprire l’auto con lo “spadino”, a differenza di quanto affermato da (OMISSIS), che, prima della collaborazione, aveva sostenuto di aver sottratto l’auto proprio avvalendosi di quello strumento. Anche (OMISSIS) aveva raccontato di aver rubato una “marea” di Fiat 126 rompendo il bloccasterzo, collegando i fili e mettendo in moto, senza mai utilizzare lo “spadino”, se non per aprire lo sportello. La Fiat 126 utilizzata come autobomba in (OMISSIS), rileva ancora la sentenza impugnata, era stata immatricolata nel 1985 ed era del tipo descritto da (OMISSIS), avendo l’accensione nello sterzo, come si evince dalla foto acquisita agli atti e come descritto da (OMISSIS). Osserva ancora il giudice di appello a ulteriore riprova dell’infondatezza della deduzione difensiva che, dopo la ritrattazione delle precedenti dichiarazioni, lo stesso (OMISSIS) ha confermato (all’udienza del 10/10/2013) che la Fiat 126 di (OMISSIS) non si poteva rubare con lo “spadino” (circostanza, questa, riferita anche da (OMISSIS) in un verbale alla cui acquisizione la difesa di (OMISSIS) si era opposta, il che lo rende inutilizzabile nei confronti del ricorrente).
Il ricorso articola deduzioni involgenti questioni schiettamente di merito (come ad esempio quella relativa alla possibilita’ per (OMISSIS) di coinvolgere nel furto persone piu’ esperte) ovvero bolla in termini manifestamente infondati come congetturale la motivazione della sentenza impugnata, basata – oltre che sul dato documentale (la foto acquisita) che confermava la descrizione dell’auto sottratta offerta dal collaboratore, dato obliterato dal ricorrente – su plurime, convergenti dichiarazioni provenienti da persone ritenute, con argomentare immune da vizi logici, credibili in ragione dell’esperienza maturata, per cosi’ dire, “sul campo”. Quanto alle dichiarazioni di (OMISSIS), il ricorso, ancora una volta, si sottrae allo scrutinio del complessivo compendio probatorio valorizzato dai giudici di merito e, in particolare, omette di sottoporre a disamina critica il rilievo del giudice di appello circa la successiva ritrattazione da parte dello stesso dichiarante, le cui dichiarazioni venivano cosi’ a convergere con le altre; la doglianza e’, dunque, del tutto aspecifica.
6.2.3. Altre doglianze si riferiscono all’epoca del conferimento a (OMISSIS) dell’incarico di recuperare la Fiat 126 da utilizzare come autobomba rispetto a quella del furto.
Il punto e’ stato diffusamente esaminato dalla Corte di assise di appello nissena, che, in primo luogo, ha richiamato le dichiarazioni rese da (OMISSIS) di cui al verbale del 03/07/2008 (in cui, in via approssimativa, faceva riferimento ora a una o due settimane prima del furto, ora a un mese, un mese e mezzo, o forse ancora di meno) e quelle rese nel corso dell’esame dibattimentale del 12/06/2013 (in cui, sempre in termini non di certezza, faceva riferimento a pochissimi giorni o a qualche settimana dall’ordine dato al furto effettuato): la sentenza impugnata esclude che le imprecisioni di (OMISSIS) sull’esatta collocazione temporale degli eventi riferiti possano inficiare l’attendibilita’ complessiva del suo racconto, essendo all’evidenza riferibili a un difetto di memoria. Ricollegandosi poi alla ricostruzione operata dalla sentenza di primo grado, il giudice di appello ha richiamato le dichiarazioni di (OMISSIS), del fratello (OMISSIS) e di (OMISSIS) (al quale la prima si era rivolta per cercare di ritrovare l’auto prima di denunciare il furto), dichiarazioni dalle quali si evinceva che prima di sporgere denuncia il 10/07/1992 erano trascorsi alcuni giorni; ora, (OMISSIS) aveva riferito, in modo abbastanza confuso, di essersi recata dai carabinieri per la denuncia il giorno dopo il furto, precisando che si trattava di una domenica (il che non era possibile perche’ il 10/07/1992 era un venerdi’) e di essere stata invitata a ritornare in un giorno non festivo e ammettendo poi di essersi rivolta a (OMISSIS). Dall’insieme degli elementi offerti da tali dichiarazioni, valutati in modo coordinato, i giudici di merito sono giunti alla conclusione che “il furto fosse avvenuto il giorno prima della domenica 5 luglio, che la donna si fosse in tale ultima data recata dai Carabinieri che le avevano detto di tornare in un altro giorno non festivo, che si fosse poi rivolta a (OMISSIS) e che avesse atteso una sua risposta prima di recarsi nuovamente dai Carabinieri il 10 luglio successivo”, sicche’ la data del 4 luglio come quella del furto risulta del tutto compatibile con la contestualizzazione del furto, fatta risalire da (OMISSIS), in linea di massima, a due settimane prima della strage.
Le doglianze articolate sul punto non meritano accoglimento. Il ricorso fa leva sul deficit mnemonico di (OMISSIS) e sulla relativa valutazione operata dalla Corte di assise di appello, ma la deduzione non mette in luce vizi idonei a inficiare la motivazione dei giudici di merito, incrinandone la tenuta logico-argomentativa, tanto piu’ che le imprecisioni del racconto sono esplicitate dallo stesso dichiarante e attribuite, appunto, alla mancanza di un preciso ricordo. Del resto, il ricorso non mette a fuoco puntualmente i diversi segmenti temporali che vengono in rilievo (quello dall’ordine impartito a (OMISSIS) all’esecuzione del furto e quello dall’esecuzione del furto alla strage) e si sottrae in toto alla disamina critica della motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla ricostruzione della data del furto alla luce delle dichiarazioni dei (OMISSIS): il ricorso, dunque, amputa il discorso giustificativo del giudice di appello di una parte di indubbio rilievo, il che rivela un approccio atomistico, parcellizzato al compendio conoscitivo valorizzato dalle conformi sentenze di merito. Prive di consistenza sono le censure incentrate sull’indicazione di (OMISSIS) a (OMISSIS) di essere “sotto lavoro” tre giorni prima della strage, posto che, come puntualmente rilevato dalla sentenza impugnata con argomentazione non scalfita dal ricorso, la fase preparatoria della strage risaliva indubbiamente alle settimane precedenti, come dimostrato proprio dall’epoca del furto dell’auto.
6.2.4. Anche le ulteriori censure – articolate sempre con il primo motivo relative alla fase nella quale, secondo la ricostruzione delle conformi sentenze di merito, (OMISSIS) apporto’ il proprio contributo concorsuale non meritano accoglimento.
Quanto all’utilizzo dell’automobile del fratello di (OMISSIS) nel giro di perlustrazione che condusse all’individuazione della Fiat 126 rubata, la Corte di assise di appello ha richiamato il racconto del collaboratore, secondo il quale nel giorno del furto lo stesso e (OMISSIS) si erano riproposti di fare, appunto, un giro di perlustrazione, ma cambiarono repentinamente idea solo perche’ avevano ritenuto sicura la zona, assai isolata, in cui l’auto era parcheggiata, sicche’ si risolsero a passare all’azione senza attendere oltre. Il ricorso deduce che l’iniziativa non sarebbe stata comunicata a nessuno, ne’ avallata dai vertici della famiglia mafiosa, ma si tratta, all’evidenza, di un rilievo integrante, al piu’, una censura di merito, peraltro priva di confronto sia con gli elementi descrittivi del carattere particolarmente propizio dell’occasione presentatasi ai due complici, sia con il dato – sottolineato dalla sentenza impugnata – dell'”ampiezza” dell’incarico conferito a (OMISSIS), che poteva eseguirlo oltre i confini del mandamento ed anche fuori dal territorio di Palermo, senza che il ricorso indichi alcun atto processuale dal quale risulti la necessita’ dei due incaricati di ottenere un’autorizzazione ad hoc dai vertici del sodalizio anche in relazione all’individuazione specifica dell’auto da rubare, auto di cui era gia’ stata fornita la descrizione al momento del conferimento dell’incarico.
D’altra parte, la sentenza impugnata ha disatteso la deduzione difensiva volta a revocare in dubbio che (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero gli autori del furto richiamando il riscontro offerto dall’esatta indicazione da parte del collaboratore del posto preciso in cui era parcheggiata l’auto poi rubata, nonostante il fatto che, all’epoca dell’atto istruttorio, in quel punto fossero state collocate delle fioriere stabilmente infisse nel suolo; circostanza, questa, confermata da (OMISSIS). Il ricorso sostiene che il dato valorizzato dai giudici di merito non assume valenza di riscontro in ordine alla partecipazione di (OMISSIS), ma, nell’economia del ragionamento del giudice di appello, il puntuale riferimento del collaboratore al luogo in cui la Fiat 126 era stata parcheggiata viene in rilievo nella prospettiva di confutare la tesi che (prima di tutto) (OMISSIS), insieme (e in secondo luogo) con (OMISSIS), non fosse l’autore del furto, laddove, come si vedra’ gli elementi individualizzanti di conferma della chiamata di correo sono identificati in ulteriori dati probatori. Prive di consistenza sono le deduzioni circa la conferma del racconto di (OMISSIS) offerta da (OMISSIS): il ricorso non indica, con la necessaria specificita’, le dichiarazioni difformi che la teste avrebbe reso sul punto, sicche’ la censura si risolve in un’asserzione priva di qualsiasi sostegno negli atti del processo (limitandosi l’impugnante a richiamare tout court i tre processi sulla strage di (OMISSIS) che hanno preceduto il ” (OMISSIS) quater”). A cio’ si aggiunga che la sentenza impugnata ha sottolineato con forza come “il sopralluogo con l’autore (reo confesso) del furto sul luogo del medesimo non fosse mai stato espletato nei precedenti processi” e che, in particolare, (OMISSIS) non era mai stato portato sul luogo del furto se non durante le indagini preliminari del presente procedimento e, in tale occasione, “non aveva correttamente indicato il luogo esatto in cui era parcheggiata la Fiat 126 al momento del furto”, a differenza, come si e’ visto, di (OMISSIS). Il rilievo mette in luce un ulteriore profilo di aspecificita’ dell’assertiva deduzione relativa alle dichiarazioni di (OMISSIS) e conferma la valutazione della sentenza impugnata circa la valenza di “riscontro di formidabile importanza” al racconto di (OMISSIS) offerto dalla convergente indicazione, da parte sua e da parte di (OMISSIS), del luogo dal quale fu sottratta la Fiat 126. Peraltro, il dato richiamato dalla Corte di assise di appello nissena era gia’ stato valorizzato dalla sentenza di primo grado (pag. 976) e il ricorso neppure deduce di avere sottoposto la doglianza al giudice di appello, doglianza, dunque, inammissibile anche sotto l’ulteriore profilo della mancata devoluzione con il gravame.
In ordine alle modalita’ di “trasferimento” della Fiat 126 dal luogo della sottrazione fino al garage in cui fu nas (OMISSIS), la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha richiamato il racconto di (OMISSIS) (“a tratti la macchina e’ riuscita a partire pero’ possiamo dire che l’abbiamo portata tutta a spinta”, ossia “anche usando la macchina con la quale si erano mossi”, laddove il ricorso fa riferimento all’auto spinta a mano), rilevando che le difficolta’ dello spostamento – evidenziate dalla difesa al fine di cogliere delle inverosimiglianze nel racconto di (OMISSIS) – erano state dedotte in termini assertivi e, comunque, tali da prospettare che l’operazione sarebbe stata “molto complicata”, ma “senza escludere la possibilita’ che cio’ fosse realmente accaduto”. Il ricorso reitera la doglianza invocando il notorio in ordine alla prospettata difficolta’, ma non contrasta il rilievo del giudice di secondo grado secondo cui lo stesso appellante non aveva escluso in radice la possibilita’ del trasferimento della Fiat 126 con le modalita’ descritte da (OMISSIS), sicche’ la doglianza deve essere ritenuta inammissibile in quanto – a fronte della motivazione della sentenza impugnata meramente reiterativa e, comunque, manifestamente infondata.
6.2.5. Del pari inammissibili sono le censure relative alla riparazione del sistema frenante, al coinvolgimento in tale attivita’ del meccanico (OMISSIS) e alle modalita’ attraverso le quali la riparazione fu effettuata.
La sentenza impugnata ha analiticamente esaminato i punti in questione, ricordando, che, nel racconto di (OMISSIS), (OMISSIS) gli aveva indicato la necessita’ di sistemare l’impianto frenante della Fiat 126 (che nel frattempo era stata spostata in altro magazzino, essendo il collaboratore riuscito a metterla in moto collegando i fili) e di acquistare un “bloccasterzo a ombrello” da applicare tra il pedale e il volante della 126 (allo scopo, secondo l’intuizione di (OMISSIS), di fugare dubbi sulla provenienza illecita dell’auto nel luogo in cui sarebbe stata parcheggiata, “ulteriore elemento che gli aveva fatto comprendere la rilevanza e la delicatezza della sua azione”), mentre nessuna indicazione era stata data in ordine alla riparazione della frizione (che “staccava alto”). (OMISSIS) si era allora rivolto, per la sistemazione del meccanismo frenante, a un suo amico meccanico, (OMISSIS), al quale, per non farlo allarmare e per spiegare le ragioni per le quali la riparazione della 126 non poteva avvenire nell’officina dello stesso (OMISSIS), aveva dato alcuni riferimenti sul fatto che l’auto potesse appartenere a qualche latitante.
Osserva al riguardo la Corte di assise di appello di Caltanissetta che quanto riferito da (OMISSIS) in ordine alla sostituzione dei freni della 126 e al fatto che la sua frizione “staccasse alto” aveva trovato conferme in due consulenze tecniche disposte dal pubblico ministero, a ulteriore, rilevante, conferma dell’attendibilita’ del racconto del collaboratore, trattandosi di riscontri oggettivi, mai emersi nei precedenti processi, che solo chi aveva preso e guidato l’auto poteva conoscere.
La sentenza impugnata ha poi replicato al rilievo difensivo circa il prospettato contrasto tra le dichiarazioni del collaboratore (che aveva fatto cenno all’intero sistema frenante, anteriore e posteriore) e le conclusioni del consulente tecnico (OMISSIS) (il quale aveva affermato, in termini probabilistici, che i lavori erano stati eseguiti solo sul sistema frenante posteriore destro); rileva sul punto la Corte di assise di appello di Caltanissetta che la doglianza dell’appellante e’ priva di pregio, in quanto (OMISSIS) era stato assai generico sia nel descrivere l’incarico ricevuto da (OMISSIS), sia nel descrivere il lavoro compiuto da (OMISSIS), del quale aveva precisato di non ricordare i particolari, tanto piu’ che, nel verificare il buon esito dei lavori, il collaboratore si era limitato a registrare che la frenatura era funzionante. Il ricorso reitera la censura, senza confrontarsi con le valutazioni del giudice di appello, in linea con i non contestati dati probatori e immuni da cadute di conseguenzialita’ logico-argomentativa e svilisce la valenza dimostrativa attribuita dai giudici di merito all’assoluta “novita’” delle informazioni rese sul punto dal collaborante.
Il ricorso, poi, insiste sull’asserita inverosimiglianza del racconto di (OMISSIS) in ordine alle modalita’ di esecuzione della riparazione del sistema frenante in quanto il magazzino in cui era stata nas (OMISSIS) la Fiat 126 da utilizzare come autobomba era privo di ponteggio. Sul punto, pero’, la sentenza impugnata ha rilevato che le esitazioni di (OMISSIS) nel corso dell’incidente probatorio evidenziate dall’appellante – circa le modalita’ con le quali l’autovettura sarebbe stata issata per effettuare l’intervento sui freni appaiono di scarso rilievo, avendo comunque (OMISSIS) precisato di avere un ricordo chiaro solo del fatto di essere entrato nell’auto per eseguire le manovre indicategli dal meccanico, ma di non avere un ricordo preciso circa la tecnica utilizzata da quest’ultimo per smontare le ruote. Nei termini indicati, rileva ancora la Corte di assise di appello nissena, le dichiarazioni di (OMISSIS) sull’intervento meccanico sono state pienamente riscontrate dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), il quale in dibattimento (udienza del 26/05/2014), ribadendo le precedenti dichiarazioni rese al pubblico ministero, ha raccontato che, una mattina dell’estate del 1992, (OMISSIS) lo aveva raggiunto nella loro officina giustificandosi per il ritardo in quanto era stato in un magazzino di (OMISSIS) a sistemare i freni di una Fiat 126, dopo che lo stesso (OMISSIS), diversamente dal solito, aveva pagato di tasca propria, con 100 mila lire, il materiale occorrente e gli aveva chiesto di mantenere la questione riservata. Si tratta, ad avviso della sentenza impugnata, di un ulteriore, eccezionale riscontro al racconto di (OMISSIS), che si aggiunge a quelli offerti dai problemi meccanici della 126 indicati per la prima volta dal collaboratore. Il ricorso ribadisce i rilievi circa l’asserita inverosimiglianza del racconto di (OMISSIS), senza confrontarsi ne’ con i reali contenuti di tale racconto, ne’, soprattutto, con il riscontro offerto dalle dichiarazioni di (OMISSIS). A cio’ si aggiunga che il ricorso ripropone la deduzione circa l’irragionevolezza delle modalita’ attraverso le quali la 126 sarebbe stata poggiata su cartoni ove venivano custodite sigarette, ma – anche a prescindere dal rilievo che, nei termini in cui e’ stata articolata, la censura e’ all’evidenza in toto versata in fatto – la deduzione stessa e’ aspecifica, in quanto priva di correlazione con la completa e specifica individuazione degli atti processuali fatti valere, non essendo sufficiente, per l’apprezzamento del vizio dedotto, “la citazione di alcuni brani” dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923 del 2011, dep. 2012, cit.), tanto piu’ che lo stesso atto di appello menzionava anche una modalita’ di intervento alternativa (con l’utilizzo di un cric per sfilare una ruota alla volta).
Del pari inammissibili sono le censure incentrate sull’asserita inverosimiglianza del racconto di (OMISSIS) li’ dove riferisce del coinvolgimento, in assenza di “autorizzazione”, di (OMISSIS), estraneo a (OMISSIS). Anche sul punto, la sentenza impugnata ha motivato in termini immuni da vizi logico-argomentativi, rilevando che la riparazione tecnica necessaria alla Fiat 126 (e ordinata da (OMISSIS)) poteva essere effettuata solo da un soggetto esperto e, comunque, come rilevato dai giudici di primo grado, (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano un forte legame non solo personale, ma anche di stretta collaborazione per fatti criminali, che rende del tutto logico il coinvolgimento del secondo nelle operazioni di sistemazione dell’auto, certo non realizzabili in un’officina (il che rende ragione dell’infondatezza della censura relativa al ricorso a (OMISSIS) pur nel quadro di riserbo che circondava la preparazione della strage, tanto piu’ che, con il meccanico, (OMISSIS) aveva fatto riferimento alla possibilita’ che l’auto appartenesse a un latitante, cosi’ da giustificare il mancato ricovero in officina e la richiesta di riservatezza). Il ricorso nuovamente reitera doglianze esaminate e disattese dalla Corte distrettuale con motivazione all’evidenza esente dai vizi denunciati, oltre a non confrontarsi neppure con il riferimento (riportato dalla sentenza di primo grado a pag. 1017) alla “libera facolta’” accordata da (OMISSIS) a (OMISSIS) per risolvere il problema dei freni della Fiat 126.
Manifestamente infondate sono le censure relative alla soppressione dei documenti rinvenuti nella Fiat 126. Ha rilevato al riguardo la sentenza impugnata che (OMISSIS) si e’ limitato a riferire di aver dato fuoco a tutto cio’ che era custodito all’interno della macchina – senza specificare, nel dettaglio, di cosa si fosse trattato – e di non ricordare con certezza “se e che documenti vi fossero”; il collaboratore aveva inoltre risposto a (OMISSIS) che nessuno aveva chiesto la restituzione dell’auto, non riconducibile, dunque, a soggetti vicini all’organizzazione, non potendosi escludere, pertanto, che (OMISSIS) non avesse visionato alcun documento. Alla luce dei rilievi richiamati il giudice di appello ha ritenuto infondato l’appello nella parte in cui assumeva un contrasto tra le dichiarazioni di (OMISSIS) e quelle di (OMISSIS), che aveva riferito di avere ancora la disponibilita’ della carta di circolazione. Il ricorso denuncia un travisamento della prova, ma l’affermazione di (OMISSIS) di aver dato fuoco a tutto quanto trovato all’interno della Fiat 126 non presenta alcun profilo di incompatibilita’ con la dichiarazione della proprietaria in merito alla disponibilita’ della carta di circolazione, sicche’ – anche alla luce degli ulteriori rilievi del giudice di appello li’ dove richiama le dichiarazioni del collaboratore in merito al fatto che nessuno aveva “recl (OMISSIS)” l’auto – la censura e’ manifestamente infondata.
6.2.6. Ulteriori censure chiamano in causa un segmento successivo della fase preparatoria dell’attentato di (OMISSIS), ossia il reperimento, da parte sempre di (OMISSIS) e di (OMISSIS) secondo la prospettiva accolta dalle conformi sentenze di merito, delle targhe di un’altra Fiat 126, da montare su quella da usare come autobomba.
In estrema sintesi, la sentenza impugnata ricostruisce, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, tale segmento, muovendo dall’ordine impartito sempre da (OMISSIS) a (OMISSIS) di rubare le targhe di una Fiat 126, furto che doveva essere assolutamente commesso sabato (OMISSIS), ossia il giorno prima della strage, e in orario di chiusura delle officine o delle concessionarie, evitando effrazioni, “al fine di ritardare il piu’ possibile la relativa denuncia di furto che sarebbe stata presentata soltanto il lunedi’ successivo”; le targhe rubate sarebbero poi state consegnate allo stesso (OMISSIS). Sabato (OMISSIS), (OMISSIS) aveva rintracciato (OMISSIS) presso l’abitazione della madre e, evidentemente assolvendo a un incarico ricevuto (pur non sapendo il collaboratore indicare da chi), gli aveva comunicato che avrebbero dovuto consegnargli due batterie e un antennino. In tarda mattinata i due si erano recati da un elettrauto dal quale (OMISSIS) aveva ritirato le due batterie (dopo averne controllato la carica, cosi’ da testarne l’efficienza) e le aveva consegnate a (OMISSIS) insieme con un antennino (del tipo di quelli che venivano montati nella canaletta di utilitarie di piccola cilindrata); (OMISSIS) si era quindi recato ne(garage di Roccella e aveva collocato quanto ricevuto da (OMISSIS) all’interno dell’auto, dove aveva gia’ riposto l’occorrente che sarebbe servito a montare le targhe che avrebbe dovuto procurare in quello stesso giorno. Nel pomeriggio, (OMISSIS) si era messo alla guida della Fiat 126 per spostarla nuovamente – su indicazione di (OMISSIS) e con la collaborazione anche di (OMISSIS) (capo della “famiglia” di Roccella, del mandamento di (OMISSIS)) – in un garage seminterrato in Via Villasevaglios, a meno di un chilometro da (OMISSIS), nel quale aveva trovato ad attenderlo (OMISSIS) (vice capo della “famiglia” di Corso dei Mille), che gli aveva dato indicazioni sul parcheggio dell’auto e al quale aveva segnalato la presenza degli oggetti riposti nell’autovettura; (OMISSIS) aveva poi visto arrivare il latitante (OMISSIS) (OMISSIS) (capo della “famiglia” di Corso dei Mille), insieme con una persona sconosciuta, secondo il collaboratore non facente parte di (OMISSIS). Dopo il trasferimento dell’auto, (OMISSIS) si era nuovamente incontrato con (OMISSIS), con il quale aveva avviato la ricerca delle targhe; dopo due tentativi non andati a buon fine, su indicazione di (OMISSIS) i due avevano imboccato una stradina e si erano quindi introdotti in un capannone adibito ad autofficina, scavalcando il cancello senza controllare se fosse chiuso o meno (avendo ricevuto l’ordine tassativo da parte di (OMISSIS) di non effettuare alcuno scasso), passando attraverso uno spazio vuoto tra la sommita’ del portone e il soffitto, senza compiere alcuna effrazione. All’interno avevano rinvenuto una Fiat 126 bianca, di modello piu’ vecchio di quella gia’ rubata, dalla quale avevano svitato le due targhe, che poi (OMISSIS), da solo, consegno’ ne(maneggio dei (OMISSIS) a (OMISSIS), il quale, in quel frangente, gli raccomando’ di allontanarsi l’indomani il piu’ possibile da (OMISSIS).
Oltre a segnalare l’incertezza del collaboratore in ordine a chi avesse materialmente preso le targhe, circostanza all’evidenza inidonea a infirmare il ragionamento dei giudici di merito, il ricorso (cosi’ come l’atto di appello) denuncia, in buona sostanza, l’incompatibilita’ del racconto del collaboratore con i contenuti della denuncia del titolare della carrozzeria (OMISSIS), secondo cui il cancello era stato forzato e il lucchetto rotto.
La Corte di assise di appello di Caltanissetta, pero’, ha puntualmente esaminato la questione, rilevando che dai verbali dei rilievi tecnici della Polizia Scientifica e dai relativi album fotografici si evince che era “spezzato” il (OMISSIS)o di ancoraggio del “lucchetto Iseo” e che il cancello d’accesso al capannone era chiuso (o sembrava tale), ma non arrivava fino al soffitto, consentendo l’accesso attraverso lo spazio sovrastante, proprio come descritto da (OMISSIS): particolare, questo, che, sottolinea la sentenza impugnata, “poteva esser conosciuto soltanto da chi, effettivamente, si fosse recato nell’officina a quell’epoca, atteso che, gia’ un anno dopo, nel corso di un ulteriore sopralluogo, l’intercapedine era risultata chiusa con delle grate”; rileva altresi’ la sentenza impugnata che (OMISSIS), titolare con (OMISSIS) della carrozzeria, ha riferito in dibattimento, da una parte, che il lucchetto era integro, mentre era rotto l’occhiello dove si inseriva (circostanza non visibile a chi non ne fosse gia’ a conoscenza) e, dall’altra, che all’epoca dei fatti esisteva l’intercapedine tra il portone in ferro e la sommita’ del capannone, descritta da (OMISSIS), che consentiva un agevole ingresso; dichiarazioni dello stesso tenore sono state rese da Cosimo Corrao, dipendente della carrozzeria.
Osserva dunque conclusivamente il giudice di appello che nessuna discrasia e’ ravvisabile nelle dichiarazioni di (OMISSIS) con riferimento a questo segmento del suo racconto; conclusione, questa, non inficiata dalle deduzioni, meramente reiterative e largamente aspecifiche, proposte dal ricorrente, che non si confronta con i dati richiamati e svilisce indebitamente la valenza confermativa del racconto del collaboratore rivestita, nel percorso argomentativo dei giudici di merito, dagli elementi valorizzati.
6.3. Sempre nel corpo del primo motivo, il ricorso articola una serie di censure in ordine ai contributi conoscitivi di alcuni dichiaranti ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) valorizzati dai giudici di merito quali riscontri estrinseci e individualizzanti della chiamata di correo di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS). Anche tali doglianze non meritano accoglimento.
6.3.1. Quanto a (OMISSIS), figlio di (OMISSIS) (rappresentante della “famiglia” (OMISSIS), nel cui territorio ricadeva (OMISSIS), ricompresa, insieme con le famiglie dell'(OMISSIS), nel mandamento di (OMISSIS)), la Corte di assise di appello di Caltanissetta condivide il giudizio di attendibilita’ soggettiva e oggettiva formulato dal giudice di primo grado nei confronti del collaboratore, sottolineando come la sua collaborazione con la giustizia abbia avuto inizio nel 2014, mentre era in corso il dibattimento di primo grado del presente processo. In estrema sintesi, la sentenza impugnata da’ atto che (OMISSIS) aveva conosciuto (OMISSIS) alla fine degli anni âEuroËœ80, fuori dal contesto di (OMISSIS), per la frequentazione, con i rispettivi familiari, di un bar; pur essendo stato “combinato” come “uomo d’onore” solo nel 2010, (OMISSIS) aveva preso il posto del padre fin dal 2000.
Nel racconto di (OMISSIS), richiamato dalla sentenza impugnata, in un’occasione (dopo la strage di Capaci, alla fine di maggio o nella prima settimana di giugno del 1992) (OMISSIS) gli aveva detto che un amico del padre (“(OMISSIS)”) lo voleva incontrare e, quindi, lo aveva accompagnato in un’abitazione di (OMISSIS) da (OMISSIS), fratello di (OMISSIS), che lui conosceva solo di nome. (OMISSIS), che all’epoca era assoggettato a limitazioni alla liberta’ personale (il collaboratore non ricordava se si trattava della sottoposizione agli arresti domiciliari o alla sorveglianza speciale), lo saluto’ affabilmente, gli chiese notizie del padre detenuto e gli raccomando’ di salutarglielo tanto e di riferirgli che “qualsiasi cosa lui sentirebbe o viene a sapere o vedere deve stare tranquillo perche’ siamo coperti… Tu dagli un bacione e gli dici cosi’ all’orecchio… al mille per mille siamo coperti da tutte cose”. (OMISSIS), inoltre, lo aveva invitato a porre termine all’attivita’ di parcheggiatore abusivo in un’area ubicata nei pressi di (OMISSIS); a dire del collaboratore, (OMISSIS) aveva assistito all’incontro con (OMISSIS) e, alla fine di esso, gli aveva raccomandato di riferire al padre il messaggio dello stesso (OMISSIS). Qualche tempo dopo, verso la meta’ del giugno del 1992, (OMISSIS) aveva esortato (OMISSIS) a non recarsi piu’ nel parcheggio, ignorando che (OMISSIS) stesso lo aveva gia’ ceduto, pur continuando a recarvisi perche’ coloro che lo avevano preso in gestione gli avevano chiesto protezione; (OMISSIS) aveva inoltre aggiunto che i cognati dell’imputato, che pure in passato avevano collaborato nella gestione del parcheggio, in quel periodo non si erano piu’ fatti vedere. Dopo il 19 luglio, evidenzia ancora il giudice di appello ripercorrendo il racconto di (OMISSIS), l’imputato, incontratolo, aveva commentato l’accaduto, dicendogli che “gli parlava il cuore”. (OMISSIS) aveva effettivamente riportato il messaggio di (OMISSIS) al padre, il quale si era arrabbiato perche’ voleva tenerlo lontano da contesti mafiosi; dopo la strage, quando era andato a trovarlo presso il carcere dell’Asinara, il padre, molto nervosamente, gli chiese chi avrebbe dovuto ringraziare “per questo regalo”, lamentandosi del regime di cui all’articolo 41 bis Ord. Pen. applicatogli.
Le censure articolate sul punto dal ricorso risultano largamente reiterative di quelle gia’ dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, dovendo le stesse essere considerate, pertanto, non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata alla sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708) ovvero prospettano asserite inverosimiglianze in radice inidonee a dar corpo a vizi sindacabili dal giudice di legittimita’, traducendosi, in realta’, in inammissibili questioni di merito.
A proposito delle incertezze inizialmente manifestate da (OMISSIS) in ordine all’identita’ dell’interlocutore (Filippo o (OMISSIS)), al suo soprannome (quello indicato e’ il soprannome di (OMISSIS), non di (OMISSIS)) e all’epoca dell’episodio, rileva la Corte distrettuale che tali incertezze trovano spiegazione nella circostanza che si trattava di fatti verificatisi anni prima, in un momento in cui (OMISSIS) non aveva ancora avuto alcun rapporto diretto con i (OMISSIS) e, comunque, erano state superate dal consolidarsi del ricordo dopo la fase iniziale della collaborazione in cui le dichiarazioni in questione erano state rese. Rileva inoltre il giudice di appello che era stato riscontrato documentalmente che (OMISSIS) era stato sottoposto a misura di prevenzione con prescrizioni con provvedimento del 04/06/1992, il che non solo conferma il racconto di (OMISSIS), ma consente di collocare temporalmente l’incontro raccontato. Quanto alla voglia sul viso di (OMISSIS), non ricordata da (OMISSIS), la sentenza impugnata richiama le dichiarazioni, acquisite con il consenso delle parti, rese da (OMISSIS) nell’udienza del 19/09/2018 nell’ambito del “processo Capaci bis”, dichiarazioni che chiarivano come si trattasse di una “voglia color latte” che in alcuni giorni era piu’ evidente, mentre in altri era piu’ attenuata, il che spiega la ragione per la quale (OMISSIS) non ne abbia avuto memoria. Il ricorso si limita a ribadire le censure, bollando la motivazione del giudice di appello come congetturale, ma il rilievo e’ del tutto inconsistente, in quanto le valutazioni della sentenza impugnata sono basate ora su fatti non contestati (la misura di prevenzione applicata a (OMISSIS), che conferma – offrendo, secondo la lettura dei giudici di primo grado, un “formidabile riscontro” al racconto del collaboratore la limitazione della liberta’ personale alla quale era assoggettato al momento dell’incontro; le caratteristiche della voglia sul viso non notata dal collaborante), ora su argomenti incentrati sul dato temporale e sui rapporti all’epoca di (OMISSIS) con i fratelli (OMISSIS), ossia su elementi espressivi di un percorso argomentativo immune da cadute di conseguenzialita’ logica. Rilievi, questi, che trovano ulteriore conferma nel dato riportato dalla sentenza di primo grado (pp. 1433 s.), che si integra con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145), ossia che, al momento dell’esame dibattimentale del collaboratore, non erano ancora decorsi i 180 giorni dall’avvio della collaborazione (e non risultavano redatti i verbali illustrativi dei relativi contenuti), il che, puo’ aggiungersi, rende ragione anche della manifesta infondatezza delle deduzioni – comunque inammissibili per la loro congenita genericita’ – relative alla dedotta progressione accusatoria delle dichiarazioni del collaborante.
La Corte di assise di appello di Caltanissetta disconosce poi alcuna valenza al generico riferimento ad altri giudizi in cui sarebbe stata formulata una valutazione negativa sulla credibilita’ di (OMISSIS), risultando, anzi, che, proprio nel processo citato nell’atto di appello, al collaboratore e’ stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (ora, articolo 416 bis.1 c.p., comma 3). Il ricorso reitera il riferimento negli stessi aspecifici termini stigmatizzati dalla sentenza impugnata, senza confrontarsi con il dato puntuale dalla stessa messo in luce per confutare le censure dell’appellante.
La sentenza impugnata rileva poi l’irrilevanza della mancata considerazione, da parte del giudice di primo grado, di ulteriori circostanze esposte dal collaboratore, avendo detto giudice precisato, in molteplici punti della motivazione, che su altre tematiche (riguardanti, in particolare, la partecipazione alla strage di (OMISSIS) di soggetti esterni a (OMISSIS)) “risultava possibile solo dare atto della esistenza di indagini in corso, trattandosi, peraltro, di elementi irrilevanti con riguardo alla posizione degli odierni imputati, in quanto concernenti non piste alternative ma, eventualmente, parallele”. Il ricorso fa riferimento ad altre dichiarazioni del collaborante (in merito ai “servizi deviati” e a (OMISSIS)), senza confrontarsi con il rilievo del giudice di appello; d’altra parte, la deduzione e’ articolata nuovamente in termini del tutto generici, non investendo specifici passaggi dell’apparato giustificativo delle conformi sentenze di merito.
Rileva ancora la Corte di assise di appello di Caltanissetta come non sia inverosimile che (OMISSIS) avesse indirizzato, sia pure attraverso un nuncius di giovane eta’ e non affiliato, un messaggio certamente importante, ma generico, tanto da non aver sostituito la formale comunicazione e da suscitare le rimostranze del responsabile della “famiglia” (OMISSIS), il padre del collaboratore, rimostranze manifestate ad (OMISSIS), che lo aveva invitato a rivolgersi “a chi di competenza”, facendo evidentemente riferimento al capo mandamento di (OMISSIS); sottolinea ancora il giudice di appello che, subito dopo la riunione per gli auguri di Natale piu’ volte richiamata, (OMISSIS) era stato arrestato (e, quindi, non aveva potuto partecipare alle successive riunioni “organizzative”), sicche’ era del tutto plausibile che (OMISSIS), ai vertici del mandamento che stava organizzando l’attentato, sentisse la necessita’ di mettere al corrente che si stava agendo “in piena regola” il capo della “famiglia” nel cui ambito territoriale la strage sarebbe stata di li’ a poco consumata. Anche sul punto il ricorso reitera doglianze esaminate e disattese dal giudice di appello con motivazione in linea con i dati probatori richiamati ed esente da vizi logico-argomentativi. La giovane eta’ e la mancata affiliazione del nuncius non obliterano la circostanza che si trattava pur sempre del figlio del destinatario del messaggio veicolato da (OMISSIS) con la collaborazione di (OMISSIS), laddove la tempistica dell’arresto di (OMISSIS) – e il ragionamento delineato dalla sentenza impugnata anche sulla base di questi dati (nonche’ in relazione ai “contenuti”, non certo dettagliati, del messaggio affidato da (OMISSIS) a (OMISSIS)) – priva di consistenza le deduzioni del ricorrente circa l’asserita inverosimiglianza della visita e le lamentele prospettate da (OMISSIS) (OMISSIS) a (OMISSIS) (e da questo “rinviate” al responsabile del mandamento di (OMISSIS)). Le ulteriori deduzioni (circa il deficit di accortezza che avrebbe implicato il messaggio affidato a (OMISSIS)), oltre a non confrontarsi con i rilievi del giudice di appello circa il contesto in cui l’incarico affidato a (OMISSIS) fu affidato ed eseguito, danno corpo, al piu’, a questioni di merito, volte a sollecitare a questa Corte un’inammissibile rivalutazione del compendio conoscitivo valorizzato, in assenza di cadute di conseguenzialita’ logica, dalle conformi sentenze di primo e di secondo grado.
In conclusione, mette conto rilevare che le censure dell’impugnante si concentrano sul messaggio affidato da (OMISSIS) e da (OMISSIS) a (OMISSIS) per il padre detenuto, ma trascurano di confrontarsi con gli altri dati probatori rappresentati, prima, dalle indicazioni degli stessi (OMISSIS) e (OMISSIS) a non frequentare il parcheggio ubicato non lontano da (OMISSIS) e, poi, dalla spiegazione dell’atteggiamento che aveva mosso (OMISSIS) a rivolgere questa raccomandazione offerta dallo stesso imputato ricorrente. Si tratta di dati valorizzati dai giudici di merito nella prospettiva di riconoscere alle dichiarazioni di (OMISSIS) valenza di riscontro estrinseco e individualizzante rispetto alla chiamata di correo di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), ma non oggetto di specifica e puntuale disamina critica da parte del ricorso.
6.3.2. Del pari inammissibili sono le doglianze relative alle dichiarazioni anch’esse valorizzate quali riscontro individualizzante della chiamata di correo di (OMISSIS) – rese (nelle due udienze dibattimentali del 26/03/2015 e del 02/04/2015, come si evince dalla sentenza di primo grado; il che esclude la riferibilita’ ad esse di questioni – comunque non sollevate dal ricorso – di inutilizzabilita’: cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 16939 del 20/12/2011, dep. 2012, De Filippi, Rv. 252632; Sez. 2, n. 34240 del 10/07/2018, Lepre, Rv. 273454) da (OMISSIS), collaboratore di giustizia gia’ appartenente a un gruppo camorristico campano. Premesso che (OMISSIS) e (OMISSIS) furono detenuti nel carcere di Novara in regime ex articolo 41-bis Ord. Pen. e inseriti nello stesso gruppo di socialita’ nel periodo ottobre 2008 / gennaio 2009 e che nel periodo successivo fino a maggio 2009, pur facendo parte di gruppi diversi, avevano continuato a usufruire delle ore di socialita’ insieme, la sentenza impugnata ricostruisce i contenuti delle dichiarazioni del collaboratore campano, nel cui racconto (OMISSIS), nel periodo del terremoto dell’Aquila, una mattina, tra le 9,30 e le 11,00 era stato chiamato all’ufficio matricola per la notifica di un “avviso di garanzia” della Procura di Caltanissetta. Nel racconto di (OMISSIS), (OMISSIS), rientrato in cella, aveva chiesto a (OMISSIS), che si trovava in una cella vicina alla loro (e che aveva a disposizione un codice penale, come precisa la sentenza di primo grado a pag. 1441) a che cosa corrispondesse un articolo del codice penale e Rampulla gli aveva risposto che si trattava del delitto di strage. Durante l’ora d’aria, prosegue il racconto di (OMISSIS), notando che (OMISSIS) era particolarmente nervoso, gli aveva chiesto cosa fosse successo e (OMISSIS), seriamente preoccupato, gli aveva risposto che temeva di essere stato “messo in mezzo” per “il fatto della 126 di (OMISSIS)… dice vuoi vedere che mo’ mi fa arrivare il fatto che ci siamo rubati la… anche il fatto della 126 di (OMISSIS)…”. (OMISSIS) cerco’ di incoraggiare l’interlocutore sulle possibilita’ di difendersi dalle accuse e (OMISSIS), annuendo, gli rappresento’ che, rispetto a chi lo accusava, avrebbe sostenuto di aver rubato non la 126 usata per l’attentato di (OMISSIS), ma una Fiat Regata, versione, sottolinea il giudice di appello, “poi effettivamente sostenuta da (OMISSIS) in dibattimento che il predetto collaboratore non avrebbe potuto conoscere aliunde, se non per averla appresa dal diretto interessato”. La Corte di assise di appello di Caltanissetta condivide l’individuazione dell’atto al quale ha fatto riferimento (OMISSIS) operata dai giudici di primo grado, atto identificato nell’avviso di accertamento tecnico irripetibile per la ricerca di tracce d’esplosivo nel garage di Via Villasevaglios, notificato a (OMISSIS) il 18/02/2009, alle ore 10,00, orario compatibile con quello indicato da (OMISSIS), che aveva precisato piu’ volte di non aver visto materialmente l’atto, che conteneva l’indicazione dell’ipotesi di reato per cui si procedeva (articoli 110 e 422 c.p., Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7) senza descrizione della condotta addebitata, pur desumendosi il riferimento alla strage di (OMISSIS) dall’indicazione del tempus commissi delicti. Una successiva notifica del 30/04/2009 alle ore 11,55 si riferiva, invece, a un invito a presentarsi per rendere interrogatorio il successivo 7 maggio presso la Casa circondariale di (OMISSIS); a tale atto, osserva il giudice di appello, si riferisce verosimilmente il secondo episodio descritto da (OMISSIS) (ossia l’assenza per un giorno dalla cella limitrofa di (OMISSIS), che, il giorno dopo, aveva detto a (OMISSIS) di essere stato a Roma per un interrogatorio o un confronto).
Il ricorso, anche in questo caso, ripropone deduzioni in larga misura esaminate e disattese con motivazione esente da vizi logico-argomentativi dal giudice di appello, articolandole in termini che in parte significativa si limitano appunto a richiamare le doglianze proposte con il gravame. In ogni caso, il ricorso richiama la tesi che, facendo leva sulla notifica in quel periodo di un secondo atto il 18/04/2009 e di un’informazione di garanzia il 29/04/2009, deduce che nel mese di aprile l’imputato non avrebbe avuto ragione di turbarsi essendo gia’ da febbraio a conoscenza delle indagini a suo carico per la strage di (OMISSIS). La tesi, che implica dunque l’identificazione dell’atto al quale fa riferimento (OMISSIS) in uno dei due notificati ad aprile del 2009, e’ stata esaminata dalla sentenza impugnata e disattesa con motivazione non scalfita dal ricorso.
Il giudice di appello, in primo luogo, esclude l’inverosimiglianza dello sfogo di (OMISSIS) riferito da (OMISSIS), rilevando, per un verso, che gia’ (OMISSIS) aveva raccontato che ” (OMISSIS) a volte parlava un poco troppo” (tanto che, per tale motivo, successivamente era entrato in urto con i (OMISSIS)) e, per altro verso, che lo stesso collaborante campano aveva descritto lo sfogo a lui fatto come causato da un scatto d’ira del quale (OMISSIS) era subito dopo sembrato pentito. Osserva ancora la sentenza impugnata che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, (OMISSIS) non ha mai ricondotto con certezza l’episodio della notifica dell’atto al terremoto dell’Abruzzo del 6 aprile, manifestando, invece, solo un dubbio sul fatto che la conversazione fosse avvenuta dopo l’evento, al quale il collaborante aveva fatto riferimento solo a titolo orientativo (nel processo “Capaci bis”, (OMISSIS) ha riferito che “l’episodio e’ successo o un po’ di tempo prima del terremoto o proprio nello stesso periodo del terremoto”). Ne’ la tesi accolta dalle due Corti di merito puo’ essere contraddetta dal riferimento di (OMISSIS) a un “avviso di garanzia”, posto che – rimarca la sentenza impugnata – lo stesso collaboratore ha precisato di non aver visionato l’atto e, comunque, al piu’ si tratterebbe di un una definizione tecnica sulla quale (OMISSIS) non aveva ragione di soffermarsi nella discussione concitata intercorsa con il collaborante.
Le deduzioni articolate con il ricorso, come si e’ anticipato, non scalfiscono la tenuta della motivazione sul punto della sentenza impugnata; conclusione, questa, riferibile anche alla deduzione relativa all’inverosimiglianza della richiesta di informazioni a Rampulla in ordine all’articolo di legge contestato a (OMISSIS), che avrebbe dovuto ben conoscere in quanto era gia’ stato imputato (in relazione alla strage di Capaci), deduzione inammissibile poiche’ del tutto generica (non offrendo alcuna allegazione specifica in ordine alla dedotta conoscenza), non proposta con i motivi di appello e, comunque, manifestamente infondata, in quanto il nucleo centrale del ragionamento dei giudici di merito e’ da individuare, sul piano logico, nell'”associazione” operata da (OMISSIS) (secondo quanto riferito da (OMISSIS)) tra la contestazione del reato di strage e il furto della Fiat 126, laddove del tutto periferica e’ la circostanza che (OMISSIS) ignorasse (o, secondo la difesa ricorrente, conoscesse) a quale reato si riferisce l’articolo 422 c.p.. Al riguardo, peraltro, mette conto rilevare che il ricorso trascura di confrontarsi con un passaggio significativo del ragionamento del giudice di appello, ossia quello relativo alla “versione alternativa” (il furto della Fiat Regata) prospettata da (OMISSIS) a (OMISSIS); il che rende ragione anche sotto questo profilo dell’inammissibilita’ del ricorso in parte qua.
Del tutto generica e reiterativa e’, infine, la deduzione relativa alla tempistica delle dichiarazioni di (OMISSIS), avendo la sentenza impugnata – con argomentazione immune da vizi – rilevato che il collaboratore aveva gia’ rivelato agli inquirenti notizie su numerosissimi omicidi ed estorsioni riguardanti il proprio contesto territoriale, sicche’ e’ del tutto plausibile il sopravvenire di un ricordo riguardante altri contesti criminali.
6.3.3. Anche nella parte relativa alle dichiarazioni di (OMISSIS) il ricorso e’ inammissibile. In sintesi, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha richiamato le dichiarazioni del co(laboratore, imprenditore legato a (OMISSIS), secondo il quale, dopo la strage di (OMISSIS), mentre transitava nei pressi del luogo della strage insieme con (OMISSIS), questi gli fece intendere in maniera chiara, palese ed evidente di aver avuto un ruolo di copertura nell’attentato; tali dichiarazioni, sottolinea la sentenza impugnata richiamando il rilievo formulato dal giudice di primo grado, erano state rese per la prima volta da (OMISSIS) “in tempi non sospetti”, il 24/11/1995, allorquando il collaboratore aveva fatto riferimento al ruolo nella strage di un appartenente alla “famiglia” mafiosa di (OMISSIS), in una fase in cui gli investigatori avevano attribuito la responsabilita’ per le attivita’ preparatorie (quali il furto dell’auto) a componenti della “famiglia” della (OMISSIS). Il ricorso, per un verso, si limita a riprodurre le censure proposte con l’atto di appello, mentre, per altro verso, e’ del tutto carente di correlazione tra le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione e le argomentazioni della decisione impugnata (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005, Orru’, Rv. 230751), che, sempre in sintesi, ha motivato il giudizio di attendibilita’ del dichiarante alla luce dei rapporti sia con i (OMISSIS), sia con lo stesso (OMISSIS) (sottolineando, ad esempio, il giudizio formulato nell’ambito del processo “(OMISSIS)”, a fronte dell’assoluta genericita’ e assertivita’ del riferimento del ricorso a procedimenti in cui l’attendibilita’ del dichiarante sarebbe stata esclusa, e il superamento dei contrasti legati agli interessi economici del dichiarante come politico e imprenditore legato all’organizzazione mafiosa), chiarendo altresi’ il ruolo, nell’economia del discorso giustificativo del giudice di appello, delle ulteriori dichiarazioni (di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), costituenti non gia’ un “riscontro al riscontro”, come prospettato dalla difesa, ma la mera conferma del contesto nel quale erano maturate le confidenze fatte da (OMISSIS) a (OMISSIS).
6.3.4. Le ulteriori censure proposte dal ricorso in ordine alle dichiarazioni di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) chiamano in causa, su un piano generale, l’attitudine delle stesse a costituire valido riscontro della chiamata in correita’ di (OMISSIS), attitudine che il ricorrente esclude in quanto esse non avrebbero confermato “la porzione di condotta” attribuita a (OMISSIS) appunto da (OMISSIS). Anche tali censure non meritano accoglimento.
Al riguardo, mette conto osservare, in primo luogo, che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorso, le dichiarazioni di (OMISSIS) riguardano esattamente il principale segmento della condotta concorsuale attribuita a (OMISSIS), ossia il furto della Fiat 126 utilizzata quale autobomba per la strage; come si e’ visto, infatti, e’ proprio rac (OMISSIS)mento” operato da (OMISSIS) – cosi’ come riferito da (OMISSIS) – del furto della Fiat 126 alla notizia delle indagini nei suoi confronti per la strage di (OMISSIS) (a fronte delle innumerevoli condotte partecipative astrattamente ipotizzabili) a costituire il nucleo essenziale del ragionamento dei giudici di merito in ordine al dato probatorio rappresentato dal racconto del collaboratore di giustizia.
Anche con riguardo agli altri due contributi dichiarativi le doglianze in esame non sono fondate. Se, come si e’ visto supra (§ 2.1 di questo Considerato in diritto), non e’ necessario che il riscontro – smarrendo la propria coessenziale funzione gregaria – integri la prova del fatto e se la “liberta’ dei riscontri” fa si’ che possano essere valorizzati in questo senso elementi conoscitivi di qualsiasi natura, purche’ idonei a “corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma” (Sez. U, n. 20804 del 2012, dep. 2013, Aquilina, cit.), elementi, come ad esempio quelli offerti dal racconto di (OMISSIS) (che danno conto di una partecipazione di (OMISSIS) a quell’attivita’ organizzativa volta a tenere indenni gli affiliati di (OMISSIS) e i loro congiunti dagli effetti devastanti dell’attentato programmato) sono stati valorizzati dai giudici di merito, in termini immuni da vizi logici, come idonei a offrire una conferma del fatto-reato e della sua riconducibilita’, in chiave concorsuale, al ricorrente.
6.4. Sempre nel corpo del primo motivo, il ricorso articola censure afferenti alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto contestato. Il ricorso sembra far riferimento al solo reato di strage, ma la stringente connessione esistente – in rapporto alla fattispecie concreta – tra i fatti-reato contestati al ricorrente consente comunque di esaminare in modo unitario la questione, assumendo il reato di strage come termine per lo scrutinio delle doglianze, fermo restando che le conclusioni raggiunte al riguardo sono riferibili anche agli altri reati (compreso il delitto di fabbricazione e porto di esplosivo di cui al capo f).
6.4.1. In limine, mette conto ribadire, sulla scorta degli approdi cui e’ giunta la giurisprudenza di legittimita’, che il delitto di strage e’ un reato di pericolo concreto, per la cui sussistenza e’ necessario che sia accertato se, appunto in concreto, sia effettivamente sorto il pericolo della morte o delle lesioni di un numero indeterminato di persone (Sez. 1, n. 904 del 09/07/1985, dep. 1986, Ferrentino, Rv. 171655), sicche’ per la consumazione del reato e’ sufficiente che l’agente abbia esposto a concreto pericolo l’incolumita’ di piu’ persone, a prescindere dalla verificazione di uno o piu’ eventi letali (Sez. 2, n. 7835 del 08/11/2018, dep. 2019, Valerio, Rv. 275610). Speculare alla definizione dell’elemento oggettivo del reato e’ quella dell’elemento soggettivo, che – fermo restando il dolo specifico di uccidere – richiede la previsione e la volonta’, in capo all’agente, del pericolo per la pubblica incolumita’, che, come si e’ visto, integra un elemento costitutivo del reato (Sez. 1, n. 11394 del 11/02/1991, Abel, Rv. 188639); in altri termini, nel reato di strage “cio’ che deve essere oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente – in ogni caso – e’ oltre alla finalita’ specifica di uccidere almeno una persona la consapevolezza di cagionare, in virtu’ delle modalita’ prescelte, un concreto pericolo per una pluralita’ di altri soggetti, il cui eventuale decesso non deve, pertanto, essere necessariamente coperto dal dolo” (Sez. 1, n. 43681 del 13/05/2015, Tornicchio, Rv. 264747; conf., con riferimento alla piu’ volte citata sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 21/04/2006, Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, (OMISSIS), Rv. 241824).
I principi di diritto richiamati devono, naturalmente, essere coordinati con quelli afferenti alla fattispecie concorsuale. Al riguardo, le Sezioni unite hanno chiarito che, in tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalita’ efficiente con le attivita’ poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicita’ della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’articolo 110 c.p., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realta’ (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101). In questo quadro, la struttura unitaria del reato concorsuale fa si’ che “quando l’attivita’ del compartecipe si sia estrinsecata ed inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, si avra’, come ulteriore conseguenza, che l’evento verificatosi sia da considerare come l’effetto dell’azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l’azione tipica del reato” (Sez. 5, n. 40449 del 10/07/2009, Scognamiglio, Rv. 244916). Sul piano dell’elemento soggettivo, poi, “e’ da escludere che la volonta’ di concorrere presupponga necessariamente un previo accordo o, in ogni caso, la reciproca consapevolezza dell’altrui concorso, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che la coscienza del concorso puo’ indifferentemente manifestarsi o, come previo concerto – nella maggior parte dei casi -, o come intesa istantanea, ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che ne rimane ignaro” (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218525).
In questa prospettiva, la giurisprudenza di legittimita’ ha affermato (in una fattispecie particolarmente significativa, in quanto relativa a un coimputato del delitto di strage nel presente procedimento ” (OMISSIS) quater” che ha definito la propria posizione con il giudizio abbreviato), che “il contributo causale alla verificazione dell’evento criminoso non richiede la compiuta conoscenza da parte del singolo concorrente e, segnatamente, di colui che partecipi alla sola fase preparatoria, di tutti i dettagli del delitto da compiere, poiche’ e’ sufficiente la volonta’ dell’agente di prestare il proprio apporto nella consapevolezza della finalizzazione di esso al fatto criminoso comune; cio’ che conta e’ la conoscenza del singolo concorrente che il segmento di condotta da lui posto in essere si inserisce in una piu’ ampia azione criminosa, distribuita tra piu’ soggetti investiti di compiti diversi, proporzionati per numero e qualita’ alla complessita’ dell’impresa da realizzare, di cui il proprio specifico apporto costituisce un tassello utile al conseguimento dell’obiettivo finale” (Sez. 1, n. 25846 del 30/11/2015, dep. 2016, (OMISSIS), Rv. 267297; nel caso di specie, il concorso nel reato di strage e’ stato ritenuto per avere l’agente svolto il ruolo di autista di (OMISSIS), organizzatore della strage, per averlo accompagnato in due sopralluoghi sul luogo del delitto e per avergli offerto ospitalita’, nella consapevolezza che si stava preparando un attentato eclatante).
Concludendo questa sintetica rassegna dei principi di diritto di interesse nello scrutinio delle doglianze proposte dal ricorso, mette conto ribadire che, nell’accertamento del dolo, il giudice deve far leva su dati esteriori e obiettivi, valutati, nella loro valenza dimostrativa, sulla base di massime di esperienza: ossia, su un modus procedendi, che “consiste nell’inferire da circostanze esteriori significative di un atteggiamento psichico l’esistenza di una rappresentazione e di una volizione, sulla base di regole di esperienza” (Sez. 6, n. 2800 del 08/02/1995, Rv. 200809, in motivazione), il cui impiego non puo’ risolversi in argomentazioni meramente congetturali (Sez. 6, n. 26226 del 15/03/2013, Savina, Rv. 255784); modus procedendi del quale la motivazione deve render ragione restando “saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica e delle massime di comune esperienza, al nucleo fondamentale delle risultanze del complessivo quadro probatorio” (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, in motivazione).
6.4.2. La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi di diritto richiamati. Dato atto, da un lato, che ” (OMISSIS) aveva ricevuto gli incarichi sopra indicati da (OMISSIS) senza che nessuno gli avesse mai chiarito quale sarebbe stata la finalita’ ultima di tali condotte, pur avendo lo stesso compreso, fin dalla richiesta di (OMISSIS), che si trattava di un progetto omicidiario eclatante” e, dall’altro, che (OMISSIS) “non aveva mai parlato esplicitamente con (OMISSIS) di tale suo convincimento”, il giudice di appello, in linea con quello di primo grado, ha ritenuto dimostrata “la consapevolezza di (OMISSIS) della destinazione dell’autovettura rubata con (OMISSIS) al compimento di un attentato da porre in essere con l’esplosivo e sulla pubblica via, con modalita’ tali da mettere in pericolo l’incolumita’ pubblica e con la chiara e precisa intenzione di uccidere taluno, anche devastando quanto presente nelle vicinanze della deflagrazione”.
Plurimi sono i dati probatori relativi a elementi fattuali dai quali i giudici di merito hanno inferito questa conclusione: (OMISSIS) aveva agito con (OMISSIS) con particolare discrezione alla ricerca mirata e specifica di una Fiat 126 (e non di un’altra tipologia di autovettura) e l’aveva poi effettivamente rubata; nel medesimo contesto temporale, era stato autonomamente incaricato di “procurare due batterie ed un antennino – strumenti indispensabili per alimentare e collegare i dispositivi, destinati a provocare l’esplosione – e li aveva consegnati a (OMISSIS), nella evidente consapevolezza che si trattava di una condotta unica ricollegata comunque al precedente furto, come confermato dall’imminente sottrazione delle targhe di una macchina della stessa marca”, sicche’ aveva senz’altro colto “il collegamento tra il furto della Fiat, quello delle targhe e la richiesta di procurare quel materiale”; nella medesima giornata, ossia “in quel contesto unitario che ag (OMISSIS)ava tra loro la autovettura, alle batterie e all’antennino”, aveva rubato le targhe di un’altra Fiat 126, “anch’esse logicamente destinate al medesimo utilizzo”, adoperando, in quest’ultima azione, una serie di cautele, di cui aveva certo colto il significato e la conseguente delicatezza dell’impresa, quale quelle di agire nella giornata di sabato e non oltre, non commettendo effrazioni e all’orario di chiusura, “per evitare una denuncia immediata, che avrebbe potuto compromettere “un evento” che evidentemente doveva essere posto in essere prima che il furto venisse scoperto”; (OMISSIS) era stato avvisato di non passare per (OMISSIS) il giorno dell’attentato (come dallo stesso ammesso a (OMISSIS), il che priva di consistenza le ulteriori doglianze formulate a proposito delle dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS)); a cio’ si aggiunga che, gia’ nel mese di giugno, “aveva fatto in modo che i cognati non frequentassero il parcheggio abusivo che si trovava nei pressi di (OMISSIS)” e aveva suggerito a (OMISSIS) di fare altrettanto; nel corso dell’esame dibattimentale, si era limitato a difendersi con una mera negazione del proprio contributo, senza introdurre una propria versione alternativa e credibile degli accadimenti.
Di qui, la conclusione della sentenza impugnata circa la corretta inferenza, dagli elementi in sintesi richiamati, della “consapevolezza dell’imputato di apportare un contributo causale alla verificazione dell’evento criminoso”, limitato alla sola fase preparatoria e di organizzazione logistica, pur non conoscendo i dettagli del delitto poi materialmente commesso da altri concorrenti, ne’ l’identita’ di chi avrebbe poi agito e quella della vittima.
6.4.3. Le doglianze proposte dal ricorso sono infondate, in quanto non inficiano la motivazione sul punto della sentenza impugnata. Il percorso motivazionale della sentenza impugnata segue le cadenze argomentative delineate dalla giurisprudenza di legittimita’ ai fini dell’accertamento del dolo, cadenze in linea con quelle sviluppate dalla citata Sez. 1, n. 25846 del 2015, dep. 2016, (OMISSIS).
Gli indici fattuali individuati come rivelatori del dolo sono valorizzati in termini immuni da vizi logici, laddove il ricorso, per un verso, ne offre un’erronea lettura frazionata, mentre, per altro verso, ne svilisce indebitamente la valenza conoscitiva. I riferimenti alle mancate confidenze di (OMISSIS) o alla circostanza che quest’ultimo – a differenza del ricorrente – fosse presente al momento del caricamento dell’esplosivo sulla Fiat 126 restano del tutto irrilevanti rispetto alla valutazione del giudice di appello imperniata sulle condotte poste in essere da (OMISSIS) – nel medesimo contesto temporale, diversamente da quanto adombrato nel ricorso – in una sequenza (furto della 126; acquisizione – lecita, ma tale profilo e’ irrilevante ai fini della critica del discorso giustificativo della sentenza impugnata – delle batterie e dell’antennino; furto delle targhe da apporre sulla 126 rubata, con le plurime, analitiche modalita’ prescritte dagli organizzatori dell’attentato, anch’esse dotate di significativa pregnanza esplicativa, nel ragionamento dei giudici di merito) univocamente dimostrativa della finalizzazione dell’azione alla causazione di “un concreto pericolo per una pluralita’ di altri soggetti” (Sez. 1, n. 43681 del 2015, Tornicchio, cit.).
Il ricorso risulta dunque del tutto assertivo li’ dove disconosce la validita’, sul piano logico, dell’inferenza tratta dai giudici di merito dalla serrata sequenza di fatti richiamata e, segnatamente, dal collegamento tra il furto dell’auto, il furto delle targhe e la richiesta – eseguita – di procurare gli strumenti indispensabili per alimentare i dispositivi destinati a provocare la deflagrazione, condotte, queste, poste in essere da (OMISSIS) in quello che – giova ribadirlo – la Corte nissena definisce un “contesto unitario”.
Quanto all’insistito riferimento del ricorso al carattere meramente generico delle indicazioni ricevute dal ricorrente, esso si rivela frutto di un’erronea considerazione dei contenuti del dolo del delitto in questione, posto che integra l’elemento soggettivo in esame la previsione e la volonta’, in capo all’agente, del pericolo per la pubblica incolumita’ (Sez. 1, n. 11394 del 1991, cit.), ossia la consapevolezza – desunta da una valida inferenza fondata su accadimenti esteriori significativi dell’atteggiamento psichico dell’agente (Sez. 6, n. 2800 del 1995, cit.) – di cagionare un concreto pericolo per una pluralita’ di altri soggetti (Sez. 1, n. 43681 del 2015, Tornicchio, cit.), non essendo necessaria la conoscenza dei dettagli del fatto criminoso (Sez. 1, n. 25846 del 2015, dep. 2016, (OMISSIS) cit.). Dettagli, peraltro, nel caso di specie in parte conosciuti da (OMISSIS), avvertito – come rilevato dai giudici di merito – di non passare per (OMISSIS) il giorno della strage (e, a sua volta, latore di analogo messaggio a favore di (OMISSIS)).
A “chiusura”, per cosi’ dire, del proprio ragionamento, il giudice di appello segnala la mancata introduzione, da parte dell’imputato, di una versione alternativa e credibile degli accadimenti. Il rilievo, nell’iter motivazionale della sentenza impugnata, mette in luce, in buona sostanza, la mancata emersione, dagli elementi probatori acquisiti nel processo, di una versione alternativa idonea a dar corpo a un ragionevole dubbio, fondato su specifici elementi che in base all’evidenza disponibile lo avvalorino nel caso concreto, cosi’ neutralizzando l’ipotesi accusatoria (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese). Nei termini indicati, la mancata emersione di una ragionevole spiegazione alternativa del collegamento tra il furto dell’auto, il furto delle targhe e la messa a disposizione degli strumenti indispensabili per alimentare i dispositivi destinati innescare l’esplosione contribuisce a confermare le conclusioni cui sono giunte le conformi sentenze di merito.
6.5. Conclusioni, queste relative alla riconoscibilita’ in capo a (OMISSIS) del dolo dei reati ascrittigli, che rendono ragione anche dell’infondatezza del secondo motivo, posto che “la responsabilita’ del compartecipe ex articolo 116 c.p., puo’ essere configurata solo quando l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale)” (Sez. 2, n. 29641 del 30/05/2019, Rhimi, Rv. 276734; conf., ex plurimis, Sez. 1, n. 11595 del 15/12/2015, dep. 2016, Cinquepalmi, Rv. 266647; Sez. 2, n. 49486 del 14/11/2014, Cancelli, Rv. 261003; Sez. 5, n. 39339 del 08/07/2009, Rizza, Rv. 245152); e’ in questo senso che autorevole dottrina individua, tra i requisiti del concorso anomalo, la non volonta’ del fatto sotto il profilo del dolo (sia diretto che eventuale), sicche’, ai fini dell’integrazione della fattispecie ex articolo 116 c.p., e’ necessario che l’agente non sia in dolo – neppure eventuale – rispetto al reato diverso. Nel caso di specie, la sussistenza del dolo di strage, motivata dalla Corte di assise di appello di Caltanissetta sulla base dell’inferenza, logicamente argomentata, basata sulla sequenza delle condotte poste in essere da (OMISSIS) e del contesto unitario in cui si realizzarono, esclude dunque in radice la configurabilita’ del concorso anomalo. Le doglianze del ricorso, per un verso, non si confrontano con il ragionamento del giudice di appello in ordine al riconoscimento della sussistenza del dolo del reato di strage, mentre, per altro, verso, reiterano l’erronea considerazione del contenuto dell’elemento soggettivo gia’ rilevata.
6.6. Per quanto riguarda i motivi nuovi, manifestamente infondate sono le doglianze relative al ruolo rivestito dai dichiaranti in seno al sodalizio mafioso. Per quanto riguarda (OMISSIS), i giudici di merito hanno diffusamente delineato tale ruolo e, comunque, le sue dichiarazioni accusatorie nei confronti di (OMISSIS) riguardano un segmento dell’attivita’ di predisposizione dei mezzi necessari alla strage da lui svolto insieme con il ricorrente, su incarico (per quanto riguardava il collaboratore) e autorizzazione (per quanto riguardava la partecipazione di (OMISSIS)) dei vertici del gruppo, il che priva di consistenza le deduzioni dei motivi nuovi in ordine alla posizione rivestita all’interno di (OMISSIS) e alla possibilita’, in virtu’ di essa, di essere a conoscenza delle vicende relative al sodalizio. Rilievo, quest’ultimo, valido a fortiori per Gelatolo (dichiaratamente non intraneo a (OMISSIS) all’epoca in cui (OMISSIS) e (OMISSIS) gli affidarono il messaggio da far pervenire al padre detenuto) e per (OMISSIS) (esponente della camorra campana, che ha riferito circostanze apprese durante la comune detenzione con (OMISSIS)), nonche’ per (OMISSIS) (rispetto al quale la sentenza impugnata ha puntualmente delineato il contesto nel quale erano maturate le confidenze a lui indirizzate da (OMISSIS)).
Per quanto riguarda la sussistenza dell’elemento psicologico, i rilievi gia’ formulati rendono ragione dell’infondatezza (anche) delle deduzioni articolate (o, meglio, reiterate) con i motivi nuovi.
Del tutto inammissibili, sono, all’evidenza, le deduzioni relative alle dichiarazioni di (OMISSIS) contenute in un libro, deduzioni ictu oculi generiche, quanto alle modalita’ di prospettazione, e comunque inammissibili li’ dove sollecitano al giudice di legittimita’ la valutazione diretta di dati conoscitivi e non il controllo sulla motivazione dei giudici di merito in ordine a tale
valutazione, tanto piu’ che gli stessi motivi aggiunti segnalano che dette dichiarazioni riguarderebbero il trasporto e il caricamento dell’esplosivo sulla Fiat 126 utilizzata per la strage, ossia un segmento della vicenda rispetto al quale i giudici di merito hanno ritenuto l’estraneita’ di (OMISSIS). A cio’ si aggiunga che, dalla sintesi dell’iter processuale offerta dalla sentenza di primo grado, risulta che nel corso delle udienze del 14 e del 15 dicembre 2015 furono acquisiti i verbali delle dichiarazioni rese in altro procedimento, tra gli altri, da (OMISSIS), laddove il ricorso non precisa se si tratta dello stesso dichiarante e, in caso positivo, il rapporto tra le dichiarazioni acquisite e quelle contenute nel libro.
Manifestamente infondata e’ l’asserzione secondo cui le dichiarazioni di (OMISSIS) sarebbero state acriticamente recepite dai giudici di merito, alla luce della disamina – approfondita, puntuale nella replica alle doglianze difensive, logicamente incensurabile – svolta dalla sentenza impugnata.
Il ricorso di (OMISSIS).
7. Nella definizione della posizione di (OMISSIS), la Corte di assise di appello muove dalle “origini della calunnia”, ossia dalla “ricostruzione della genesi delle indagini compiute dagli organi inquirenti sulla strage” e dalla ricognizione dei contributi dichiarativi offerti da (OMISSIS) e dallo stesso (OMISSIS), nonche’ da (OMISSIS) nella prima fase delle indagini stesse, contributi “sostanzialmente posti alla base dei due processi (OMISSIS) e (OMISSIS)”.
7.1. Ricorda il giudice di appello che le indagini svolte nell’immediatezza avevano consentito di accertare che la terribile esplosione di (OMISSIS) era stata provocata da un ordigno esplosivo composto da T4, tritolo e pentrite e del peso di circa 90 chilogrammi. Fu quindi individuata l’autovettura utilizzata come autobomba, ossia una Fiat 126 di colore rosso, targata (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), ma in uso alla figlia (OMISSIS); nelle vicinanze del blocco motore fu poi rinvenuta una targa ((OMISSIS)) relativa a un’altra Fiat 126, di proprieta’ di (OMISSIS), il cui furto era stato denunciato il giorno successivo agli eventi da (OMISSIS), titolare di un’officina. Dalle intercettazioni disposte sull’utenza dell’abitazione di (OMISSIS) emerse che la stessa e i suoi familiari sospettavano del furto (OMISSIS), amico di famiglia, gravitante nell’ambiente della microcriminalita’ e dedito proprio ai furti di automobili. Nei confronti di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (questi ultimi, rispettivamente, fratello e nipote di (OMISSIS)) il 2 settembre 1992 fu disposta, sulla base degli indizi emersi dall’intercettazione, l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere per i reati di violenza sessuale e rapina commessi nel precedente mese di agosto. Durante la detenzione dei tre i quali ebbero in quei giorni dei colloqui con funzionari della Squadra Mobile di (OMISSIS) – si erano alternate negazioni, ammissioni e ritrattazioni in ordine al furto della 126 in uso a (OMISSIS); (OMISSIS), in particolare, accuso’ (OMISSIS) quale autore del furto, a suo dire commesso su incarico di Vicenzo (OMISSIS), della zona della (OMISSIS) e “persona di rispetto”. Fu quindi applicata a (OMISSIS) la custodia cautelare carceraria anche per il furto dell’auto della sorella; il 20 settembre 1992, (OMISSIS) confesso’ di avere commesso il furto, anche se le intercettazioni ambientali effettuate in carcere avevano consentito di accertare che era stato (OMISSIS) a indurlo a rendere le dichiarazioni autoaccusatorie. Il 3 ottobre, a sua volta, (OMISSIS) aveva inaspettatamente confessato di aver rubato lui l’autovettura (utilizzando uno “spadino”), sostenendo di aver accusato (OMISSIS) per paura di ritorsioni da parte di Vicenzo (OMISSIS), il quale – sempre a dire di (OMISSIS) – gli aveva commissionato il furto. Fu allora disposta l’applicazione della misura cautelare nei confronti di (OMISSIS), che era stato poi trasferito presso il carcere di Venezia e assegnato a una cella condivisa con (OMISSIS) Pipino, il quale, diversi anni dopo, dichiarera’ di essere stato li’ “collocato dal Dott. (OMISSIS) con il preciso scopo di sollecitare e accogliere le confidenze del predetto (OMISSIS), senza, tuttavia, riuscirvi”. (OMISSIS) fu allora trasferito presso il carcere di Busto Arsizio e ristretto prima nella sezione dei detenuti sottoposti al regime ex articolo 41 bis Ord. Pen., poi in una cella singola, con regime di isolamento e di stretta sorveglianza. A quel punto, rileva la Corte di assise di appello nissena, era entrato in scena (OMISSIS).
7.2. La sentenza impugnata richiama le dichiarazioni rese da (OMISSIS), ove sosteneva, per un verso, di avere ricevuto le confidenze del vicino di cella (OMISSIS), secondo cui lo stesso aveva commissionato il furto dell’auto a (OMISSIS), mentre (OMISSIS) aveva volutamente ritardato la denuncia del furto delle targhe fino al lunedi’ successivo alla strage; per altro verso, che l’utenza telefonica della famiglia (OMISSIS) era stata illecitamente controllata e che (OMISSIS) aveva preso parte all’organizzazione dell’attentato, contribuendo a caricare l’esplosivo sull’autobomba. Ulteriori particolari furono aggiunti da (OMISSIS) nei successivi interrogatori.
Dopo aver inizialmente negato ogni suo coinvolgimento nel furto della Fiat 126 (anche dopo aver appreso delle accuse di (OMISSIS)), “venendo, peraltro, sottoposto a diversi trasferimenti in varie carceri e a numerosi colloqui investigativi e interrogatori”, (OMISSIS), durante il processo “(OMISSIS)”, inizio’ la collaborazione, ammettendo le proprie responsabilita’ e rendendo una dichiarazione sostanzialmente coincidente con quella resa, a quel punto, da (OMISSIS) e da (OMISSIS), integrando successivamente le proprie dichiarazioni. Gia’ nel luglio del 1995, qualche mese prima della conclusione del dibattimento di primo grado del processo “(OMISSIS)”, (OMISSIS) aveva confessato alla madre, al difensore e perfino a un giornalista la propria intenzione di ritrattare le accuse; solo, pero’, nei mesi di ottobre e novembre del 1998, nell’ambito del giudizio di appello del processo “(OMISSIS)” e del giudizio di primo grado del processo “(OMISSIS)”, aveva attuato tale intenzione, ritrattando integralmente le chiamate in correita’ rese fino a quel momento e dichiarando, in particolare, “di essere stato sempre estraneo a (OMISSIS) e di essere stato indotto a rendere dichiarazioni per sottrarsi al durissimo regime carcerario e alle pressioni cui era stato sottoposto da parte del Dott. (OMISSIS), il quale gli aveva prospettato notevoli vantaggi carcerari e somme di denaro”. La ritrattazione, tuttavia, non fu ritenuta credibile dai giudici dei due citati processi, sicche’ le dichiarazioni di (OMISSIS) contribuirono a condurre: nel processo “(OMISSIS)”, alle condanne dello stesso (OMISSIS) (alla pena di 18 anni di reclusione, con l’attenuante Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, ex articolo 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203) e di (OMISSIS) (all’ergastolo), nonche’ di (OMISSIS) (all’ergastolo, assolto, pero’, in appello) e di (OMISSIS) (per il reato di favoreggiamento reale, con riguardo all’indebita appropriazione delle targhe e dei documenti della Fiat 126, cosi’ riqualificata in appello l’imputazione per strage); nel processo “(OMISSIS)”, alla condanna all’ergastolo per strage, tra gli altri, di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS).
Come si e’ detto, nel giugno del 2008 iniziava la collaborazione di (OMISSIS), che, nelle conclusioni sulle “origini della calunnia” della Corte di assise di appello, “apportava un nuovo e diverso contributo alla ricostruzione di taluni eventi, fino a quel momento rimasti oscuri, fornendo una ricostruzione della fase esecutiva del delitto del tutto diversa e in contrasto con quella resa in precedenza da (OMISSIS)”, avuto riguardo, in particolare, “al furto dell’autovettura e alla successiva custodia e consegna prima che venisse riempita di esplosivo”.
7.3. La diffusa motivazione della sentenza impugnata relativa alla posizione di (OMISSIS) sara’ piu’ analiticamente richiamata in sede di disamina dei vari motivi di ricorso, mentre e’ qui sufficiente dar conto, in estrema sintesi, di alcuni passaggi argomentativi.
Su un piano generale, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha rimarcato il distacco temporale tra le prime dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) (risalenti al settembre del 1993) e l’inizio della collaborazione di (OMISSIS) (avviata nel giugno del 1994), sottolineando la rilevante importanza di tale dato temporale alla luce del complessivo compendio probatorio, che da’ conto di “una lunga serie progressiva di accuse formulate dall’imputato nei confronti proprio di (OMISSIS) (oltre che di diversi soggetti)”, tra loro legate “da un collegamento causale con le successive conferme rese” sempre da (OMISSIS), il quale, nel suo primo interrogatorio del 1993, aveva accusato (OMISSIS) per la strage di (OMISSIS), riferendo di aver ricevuto da questo una serie di confidenze in carcere, rivelatesi poi mendaci, circa il coinvolgimento dello stesso (OMISSIS) e di altri nell’attentato; tale circostanza, osserva la sentenza impugnata, “unita a forti vessazioni e pressioni subite nell’ambiente carcerario, aveva portato la fragile personalita’ dello (OMISSIS) alla sua determinazione di collaborare falsamente con le Autorita’ Giudiziarie, confermando il suo coinvolgimento nell’eccidio del giudice (OMISSIS) e accusando ingiustamente altri soggetti, innestando, cosi’, un nefasto sistema di riscontro reciproco alle dichiarazioni accusatorie dell’ (OMISSIS)”.
I giudici di appello si soffermano quindi su due punti devoluti dall’appellante, ossia l’insussistenza del concorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e l'”indottrinamento” dei due dichiaranti “da parte degli inquirenti, da identificarsi in alcuni dei componenti del gruppo (OMISSIS) – (OMISSIS)”.
A proposito del primo punto, osserva la sentenza in esame che gia’ quella di primo grado aveva posto in evidenza vari elementi, quali la mai contestata fattispecie concorsuale ex articolo 110 c.p., nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), il tenore delle dichiarazioni dei due (sempre lineari e mai contrastanti circa la mancanza di un accordo preventivo sulla loro falsa collaborazione), il breve lasso di tempo in cui i due avevano avuto modo di stare a contatto nel carcere di Busto Arsizio (circa due mesi). In linea con la sentenza di primo grado, il giudice di appello sottolinea come non sussistano “elementi per ritenere che le mendaci dichiarazioni rese dall’imputato in esame (ossia (OMISSIS): n. d.e.) e da (OMISSIS) siano il frutto di una concertata programmazione criminosa”, posto che “dalla lettura delle numerosissime dichiarazioni rese, nel tempo, dai collaboratori, ricche di contraddizioni, progressioni accusatorie, lacune e smentite, un’unica circostanza pare ben cristallizzata e univocamente desumibile: la mancanza di un loro preventivo accordo finalizzato a una falsa collaborazione di riscontro”.
In ordine poi all’ipotesi dell'”indottrinamento” da parte delle autorita’ di polizia del Gruppo (OMISSIS) – (OMISSIS), la sentenza impugnata condivide la ricostruzione operata dai giudici di primo grado e la conclusione alla quale sono giunti, ossia che “nonostante la mancanza di linearita’ e coerenza, le dichiarazioni di (OMISSIS) si caratterizzano per avere, comunque, spesso riportato dati oggettivamente corrispondenti al vero”; richiamate alcune circostanze (ad esempio in ordine alla riunione deliberativa della strage, alle condizioni dell’autovettura rubata), la Corte di assise di appello rileva come debba ritenersi che esse “possano essere state solo suggerite da inquirenti infedeli, in violazione di basilari regole procedimentali, non potendo derivare da altra fonte la conoscenza delle dichiarazioni rese nel frattempo da (OMISSIS) (a loro volta non corrispondenti a verita’)”.
La sentenza impugnata richiama poi adesivamente quella di primo grado li’ dove osserva che l’analisi sulla genesi della collaborazione dei falsi pentiti ( (OMISSIS) e (OMISSIS), quelli imputati nel presente processo) “lascia emergere una costante”, trattandosi di dichiarazioni che “pur radicalmente false nel loro insieme, ricomprendevano alcune circostanze oggettivamente vere, che dovevano essere state suggerite loro dagli inquirenti o da altri funzionari infedeli i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte”.
Nella stessa direzione, ossia nel senso dell’esistenza di fonti iniziali rimaste non rivelate (occulte o confidenziali), conduce, osserva ancora la sentenza impugnata, il contenuto della nota trasmessa dal Centro SISDE di Palermo alla Direzione del Sisde di Roma il 13 agosto 1992 (a pochi giorni dalla strage e ben prima delle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS)), che riferiva di significativi elementi acquisiti dalla Polizia di Stato in merito all’autobomba parcheggiata in (OMISSIS), elementi dai quali sarebbero emerse valide indicazioni per l’identificazione degli autori del furto e del luogo in cui l’auto sarebbe stata custodita prima dell’attentato. Osserva altresi’ la Corte di assise di appello richiamando la pronuncia di primo grado che gia’ il riferimento al luogo in cui l’autovettura era stata custodita, anteriore alle dichiarazioni di (OMISSIS), induce a credere che gli inquirenti abbiano creduto a una fonte confidenziale mai rivelata, sollevando cosi’ il dubbio che “gli inquirenti tanto abbiano creduto a quella fonte, mai resa ostensibile, da avere poi operato una serie di forzature per darle dignita’ di prova facendo leva sulla permeabilita’ di un soggetto facilmente “suggestionabile”, incapace di resistere alle sollecitazioni, alle pressioni, e ricattabile anche solo accentuando il valore degli elementi indiziari emersi a suo carico in ordine alla vicenda di (OMISSIS)”.
La sentenza impugnata richiama poi la gia’ citata (supra, al par. 3.6) nota del 10 ottobre 1992 con la quale il capo del Centro SISDE di Palermo segnalava alla Procura di Caltanissetta i rapporti di parentela e di affinita’ di taluni componenti della famiglia (OMISSIS) con esponenti delle famiglie mafiose palermitane, “rivelando che l’unica pista investigativa era considerata appunto quella che conduceva, anzi che doveva prendere le mosse da (OMISSIS)”; il contenuto di questa seconda nota, osserva ancora il giudice di appello, “lascia desumere un indirizzo ben preciso degli inquirenti, fin dalle primissime fasi delle indagini, sulla “pista” (OMISSIS) all’origine della “forzatura” attuata successivamente attraverso una non trasparente, ed anzi strumentale, gestione del medesimi collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) (oltre che (OMISSIS))”, tanto che “la “circolarita’ del contributo reso da tutti e tre i “falsi” collaboranti, costellato da aggiunte, rettifiche e progressioni a seconda delle dichiarazioni via via rese nel tempo da ciascuno di loro (…), in uno con la stessa confessione resa da ciascuno di essi, conferma la superiore conclusione”.
Conclusione, questa, che, tuttavia, non esclude, nel percorso argomentativo del giudice di appello, la responsabilita’ di (OMISSIS) per la calunnia continuata contestatagli.
8. Il ricorso di (OMISSIS) non merita accoglimento, fatta eccezione per il quarto motivo, con le conseguenze di seguito indicate.
8.1. In limine, la Corte rileva la tempestivita’ del ricorso. A fronte del deposito della motivazione della sentenza impugnata intervenuto oltre il termine fissato a norma dell’articolo 544 c.p.p., comma 3, dalle attestazioni di cancelleria risulta che l’avviso di deposito e’ stato notificato al difensore il 13/01/2021 e ad (OMISSIS) il 28/01/2021 (giovedi’), data, quest’ultima, di decorrenza del termine di impugnazione di 45 giorni (articolo 585 c.p.p., comma 3), laddove il ricorso risulta depositato il 15/03/2021, lunedi’. Il ricorso e’, dunque, tempestivo, in quanto – posto che, in linea con principio generale dettato dall’articolo 172 c.p.p., comma 4, secondo cui dies a quo non computatur in termine, il termine per l’impugnazione ex articolo 585 c.p.p., comma 1, lettera c), ultima parte, inizia a decorrere dal primo giorno successivo a quello in cui e’ stata effettuata la notifica dell’avviso di deposito (cosi’, con riferimento alla fattispecie di decorrenza del termine dalla scadenza del termine per il deposito della motivazione, si esprime il maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimita’ condiviso dal Collegio: cfr. Sez. 5, n. 30723 del 21/06/2021, Rv. 281683; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 6490 del 26/11/2020, dep. 2021, Olmetti, Rv. 280927 – 01; Sez. 5, n. 32690 del 23/02/2018, Ben Ali’, Rv. 273711; Sez. 3, n. 1191 del 08/11/2007, dep. 2008, Di Camillo, Rv. 239272) – il termine di 45 giorni sarebbe venuto a scadere il 14/03/2021, domenica, con proroga ex lege al giorno successivo in cui il ricorso e’ stato depositato.
Sempre in premessa, mette conto segnalare che la struttura dell’imputazione sub i) nei confronti di (OMISSIS) e’ articolata, in primo luogo, attraverso un riferimento generale al reato continuato e alle false accuse nei confronti delle quattro persone offese (“con una pluralita’ di azioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nel corso degli interrogatori e degli esami dibattimentali resi nell’ambito dei procedimenti per la strage di (OMISSIS) incolpava falsamente, pur sapendoli innocenti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) di aver partecipato all’organizzazione ed esecuzione dell’attentato compiuto il (OMISSIS) in (OMISSIS) e, quindi, della commissione del delitto di strage, per il quale il predetto (OMISSIS) veniva condannato alla pena di anni 18 di reclusione e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena dell’ergastolo”); segue poi l’indicazione, “in particolare” e “tra le altre cose”, del contenuto, in sintesi, delle false accuse e, nella parte finale, l’indicazione delle date delle dichiarazioni nei confronti di ciascuna delle quattro persone offese (in un arco temporale che va dal 26/01/1995 al 16/10/1997). Alla luce della data dell’ultima calunnia (come si vedra’, quella ai danni di (OMISSIS)), correttamente la sentenza di primo grado ha individuato nel 16/10/1997 il tempus del reato continuato (pag. 1668), rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione ai sensi della normativa – piu’ favorevole – anteriore alla novella del 2005.
8.2. Cio’ premesso il primo motivo non merita accoglimento, presentando anzi alcune doglianze con esso articolate profili di inammissibilita’.
8.2.1. In ordine alle dichiarazioni accusatorie rese da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), la sentenza impugnata ritiene necessario contestualizzare dette dichiarazioni nel quadro offerto dall’intero verbale di interrogatorio del 26 gennaio 1995. Parlando della riunione deliberativa della strage, l’odierno ricorrente affermo’ che (OMISSIS) gli aveva riferito che i (OMISSIS), pur assenti a tale riunione, avevano fatto pervenire il loro consenso attraverso un “uomo d’onore” ad essi legato, che aveva avuto un ruolo nell’attentato di (OMISSIS), avendo almeno fornito appunto il consenso dei (OMISSIS) alla strage; invero, come si desume anche dalla conforme sentenza di primo grado (p. 1539), nelle dichiarazioni di (OMISSIS) su quanto asseritamente appreso da (OMISSIS), (OMISSIS) aveva avuto un ruolo nella strage, avendo, quanto meno, fornito il consenso dei (OMISSIS) rispetto alla stessa.
(OMISSIS) aveva inoltre dichiarato che quando (OMISSIS) gli parlo’ del “telefonista” non gli fece mai il nome di (OMISSIS), ma gli aveva detto solo che si trattava di un impiegato della Sip, che non era un “uomo d’onore”, ma il fratello di un importante “uomo d’onore”; solo successivamente (OMISSIS), a suo dire, aveva appreso dalla televisione che anche il “telefonista” si chiamava (OMISSIS).
Osserva il giudice di appello che il tenore delle dichiarazioni richiamate non risulta astratto e generico, tanto piu’ che – pur potendosi rilevare un’iniziale incertezza sui fatti narrati relativamente alla presenza di (OMISSIS) alla riunione e alle modalita’ attraverso le quali aveva veicolato il consenso dei (OMISSIS) alla strage – (OMISSIS) aveva affermato con certezza che “lo (OMISSIS) era certamente un uomo d’onore legato ai (OMISSIS) e che aveva avuto un ruolo nella strage avendo quantomeno fornito il consenso dei (OMISSIS) al delitto”. D’altra parte, osserva ancora la Corte di assise di appello di Caltanissetta, (OMISSIS) ha specificamente individuato il ruolo svolto da (OMISSIS) come “portavoce dei (OMISSIS) presso gli organizzatori della strage” e ha dichiarato di non aver mai saputo che il “telefonista” si chiamasse (OMISSIS), descrivendolo anzi come soggetto estraneo alle dinamiche mafiose e impiegato della societa’ telefonica SIP, il che “porta chiaramente a escludere che le accuse mosse potessero riferirsi al fratello di (OMISSIS), (OMISSIS)” (condannato in primo grado all’ergastolo per la strage nel processo “(OMISSIS)”, ma assolto in appello, come si e’ visto).
Le doglianze proposte dall’impugnante non inficiano la motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso reitera i rilievi circa la mancata compiuta identificazione di (OMISSIS) e il coinvolgimento del fratello (OMISSIS) nelle vicende relative alla strage di (OMISSIS), ma la Corte di assise ha puntualmente motivato, nei termini appena indicati, in ordine all’univoca riferibilita’ delle dichiarazioni calunniose al solo (OMISSIS), laddove le ulteriori deduzioni – peraltro relative alla prima parte del racconto dell’odierno imputato – non scalfiscono la conclusione del giudice di appello fondata sulla duplice prospettazione del dichiarante in ordine al legame di (OMISSIS) con i (OMISSIS) e al ruolo avuto nell’attentato di (OMISSIS) veicolando il consenso degli stessi alla strage.
L’assunto del ricorrente secondo cui l’avverbio “certamente” si riferirebbe solo alla posizione di (OMISSIS) quale “uomo d’onore” risulta privo – nel complessivo discorso giustificativo del giudice di appello – di attitudine a travolgere il decisum e, comunque, involge, all’evidenza, questioni di merito, del tutto inidonee a inficiare la conclusione raggiunta, in termini esenti da vizi logici, dal giudice di appello, che, sulla base di una considerazione complessiva delle dichiarazioni, ha ritenuto che (OMISSIS) abbia fatto un riferimento per nulla astratto o generico al ruolo di (OMISSIS) come portavoce dei (OMISSIS) presso gli organizzatori dell’attentato; il che rende ragione dell’infondatezza della tesi difensiva circa l’assoluta incertezza dell’attribuzione della responsabilita’ alla vittima della calunnia. Peraltro, come si vedra’ a proposito del terzo motivo (par. 8.4.3.), nel processo “(OMISSIS)”, le dichiarazioni di (OMISSIS) nei confronti – anche – di (OMISSIS) sono state “utilizzate a pieno titolo come riscontro esterno alle dichiarazioni di (OMISSIS)”, il che conferma l’infondatezza della doglianza.
8.2.2. Le censure relative alla calunnia in danno di (OMISSIS) sono, invece, inammissibili. La Corte di assise di appello ha ricordato che, all’udienza del 16/10/1997 del giudizio di appello del processo “(OMISSIS)”, (OMISSIS) riferi’ di sapere che (OMISSIS) aveva partecipato alla strage di (OMISSIS); si trattava, osserva il giudice di appello, di affermazioni che, pur non circostanziate, risultano tutt’altro che dubbiose o perplesse, avendo (OMISSIS) riferito, in termini di assoluta certezza, della partecipazione di (OMISSIS) alla strage; tali affermazioni furono ritenute valido riscontro delle dichiarazioni di (OMISSIS), con conseguente condanna di (OMISSIS) (assolto in primo grado) all’ergastolo. Il ricorso insiste sul preteso carattere generico della dichiarazione, senza neppure contraddire il dato processuale relativo alla valorizzazione della deposizione di (OMISSIS) nei termini indicati dalla sentenza impugnata, sicche’ la doglianza e’ manifestamente infondata. Quanto all’ulteriore deduzione relativa all’esistenza di omonimi della persona offesa della calunnia in esame, la censura e’ del tutto aspecifica, in quanto – risultando la dichiarazione resa nel corso di un giudizio – omette di confrontarsi con (e di allegare puntualmente) i dati relativi agli imputati di quel processo, tanto piu’ che la sentenza impugnata – cosi’ come la sentenza di primo grado: pag. 1657 – indica espressamente che (OMISSIS), cosi’ come (OMISSIS), fu condannato nel processo “(OMISSIS)” all’ergastolo; il ricorso, dunque, articola una deduzione del tutto disancorata dal puntuale riferimento al complessivo contesto processuale nel quale le dichiarazioni furono rese, con le conseguenze processuali evidenziate dai giudici di merito.
8.3. Anche il secondo motivo, che chiama in causa il punto relativo alla consapevolezza, in capo al ricorrente, dell’innocenza degli accusati, non merita accoglimento.
8.3.1. La sentenza impugnata ha analiticamente esaminato il tema devoluto con l’atto di appello, rilevando, in primo luogo, che, attraverso la “falsa” collaborazione, (OMISSIS) ottenne immediati benefici tanto da essere ammesso al programma speciale di protezione, che, oltre a garantire, per il dichiarante e per i propri familiari, un contributo finanziario, gli fece ottenere anche dei permessi-premio. Quanto alla deduzione difensiva volta ad ancorare l’asserita convinzione, in capo ad (OMISSIS), della colpevolezza delle persone accusate alla considerazione che alcune di esse erano gia’ legate alle cosche mafiose di Palermo, il giudice di appello osserva che lo stesso (OMISSIS) non poteva conoscerle in quanto, come sostenuto dalla stessa difesa, “egli era un soggetto estraneo alle dinamiche criminali, essendo un pugliese trasferito al nord”. Confrontandosi poi con l’argomento difensivo incentrato sull'”indottrinamento” (che avrebbe convinto l’imputato della colpevolezza degli accusati), la Corte di assise di appello di Caltanissetta rileva, per un verso, che dalle stesse dichiarazioni di (OMISSIS) risulta la sua consapevolezza che le false dichiarazioni rese “altro non erano che l’espediente necessario a “incastrare” (OMISSIS)” e che lo stesso (OMISSIS) “nulla chiedeva agli inquirenti suggeritori circa l’effettiva responsabilita’ dei soggetti che si prodigava ad accusare”, senza attivarsi per verificare la veridicita’ dei fatti narrati. Del resto, rileva ancora la sentenza impugnata, al di la’ di qualsiasi considerazione “sull’assoluta anomalia di un siffatto modo di procedere” (ossia, quello dell'”indottrinamento”, nei termini sopra chiariti) “che gia’, in se’ doveva offrire imponenti elementi di sospetto”, decisiva, nel ragionamento del giudice di appello, e’ la considerazione che “dalla lettura coordinata di tutte le dichiarazioni rese dal momento dell’inizio della collaborazione da parte dell’imputato deve desumersi che proprio la “progressivita’” delle rivelazioni che gli venivano via via suggerite, e di cui lo stesso assumeva in proprio la paternita’, dovesse costituire un elemento tale da indurre, sul piano logico, a ritenerne la falsita’”. Quanto alle anomalie, in piu’ punti i giudici di merito richiamano il concreto contenuto delle stesse, evidenziando, ad esempio, che, “in modo del tutto anomalo e al di fuori di ogni regola, anzi in contrasto con le stesse”, mentre (OMISSIS) si trovava in una localita’ con la propria famiglia, appartenenti al gruppo investigativo (OMISSIS) – (OMISSIS) gli fornirono un “aiuto” per lo “”studio” dei verbali di interrogatorio precedentemente resi attraverso l’esplicita indicazione di aggiunte e rettifiche da effettuare nel corso dei successivi incontri con i magistrati”.
8.3.2. Le censure articolate con il ricorso non infirmano la tenuta logico-argomentativa della motivazione della sentenza impugnata.
In primo luogo, non e’ dato ravvisare alcun travisamento della prova nel discorso giustificativo del giudice di merito, che ha semplicemente confutato l’argomento difensivo secondo cui “tutte” le persone all’epoca accusate erano gia’ state attinte da misure cautelari, argomento superato dal rilievo che (OMISSIS) era stato indagato per la strage di (OMISSIS) a seguito delle accuse mosse nei suoi confronti da (OMISSIS); rilievo, questo, non smentito, ma, al contrario, confermato dal ricorso, tanto piu’ che lo stesso (OMISSIS) ha riferito che il suggerimento del nome di (OMISSIS), cognato di (OMISSIS), era collegato “alla necessita’ di farne scattare l’arresto”. Ne consegue la manifesta infondatezza della censura in esame, laddove l’ulteriore doglianza relativa all’adozione delle misure cautelari risulta, da un lato, generica (in quanto non compiutamente correlata all’allegazione degli elementi valorizzati nella sede de libertate) e, dall’altro, comunque carente di una forza esplicativa o dimostrativa tale da risultare in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (Sez. 1, n. 41738 del 2011, Longo, cit.), ragionamento incentrato, come subito si vedra’, sugli “imponenti elementi di sospetto” manifestati dalle modalita’ di “gestione” della “collaborazione” del ricorrente e dalla progressivita’ delle sue accuse, anch’essa ritenuta sintomatica della consapevole falsita’ delle propalazioni. Peraltro, come si e’ anticipato, la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha valorizzato anche l’estraneita’ di (OMISSIS) rispetto alle dinamiche criminali mafiose, ossia l’essere “un pugliese trasferito al nord”, sicche’ non poteva conoscere gli accusati: argomento, all’evidenza, idoneo a confutare la tesi difensiva circa la dedotta appartenenza degli accusati al ghota di (OMISSIS) palermitana, in ordine al quale il ricorso si sottrae alla necessaria, puntuale disamina critica.
D’altra parte, mette conto ribadire l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, premesso che l’esclusione del dolo della calunnia “opera solo se il convincimento dell’accusatore si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni”, se “l’erroneo convincimento sulla colpevolezza dell’accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o comunque di corretta rappresentazione nella denuncia, la omissione di tale verifica o rappresentazione determina effettivamente la dolosita’ di un’accusa espressa in termini perentori”, sicche’, in tale ipotesi, “l’ingiustificata attribuzione come fatto vero di un fatto di cui non si e’ accertata la realta’ presuppone infatti la certezza della sua non attribuibilita’ sic et simpliciter all’incolpato” (Sez. 6, n. 26819 del 27/04/2012, Leoni, Rv. 253106, puntualmente richiamata dalla sentenza impugnata). Ora, come risulta dalla sentenza di primo grado (pagg 1529 e 1531), che si integra con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 1997, Ambrosino, cit.), (OMISSIS), dal 2009 in avanti, ha ammesso – nei termini piu’ volte indicati (ossia, asserendo di essere stato convinto della colpevolezza degli accusati) – la falsita’ delle dichiarazioni accusatorie solo perche’ “compulsato, dalla Procura di Caltanissetta, dopo le rivelazioni di (OMISSIS) e posto innanzi all’evidenza delle indiscutibili conferme delle stesse, che smentivano, in maniera lampante e radicale, le precedenti rivelazioni del prevenuto su questi fatti (cosi’ come quelle rese da (OMISSIS))”, affermando che “io non sapevo nulla, ho barattato la mia liberta’ con quella degli altri attraverso lo Stato”; affermazione, questa di “non sapere nulla”, riconducibile a un’ingiustificata attribuzione come fatto vero di un fatto di cui non si e’ accertata la realta’.
Neppure le doglianze articolate dal motivo in esame in relazione all'”indottrinamento” di (OMISSIS) possono essere accolte. La Corte di assise di appello ha fatto buon governo del principio in forza del quale la prova dell’elemento soggettivo della calunnia puo’ desumersi dalle concrete circostanze e modalita’ esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, e’ possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volonta’ di un’accusa mendace nell’ambito di una piena rappresentazione del fatto attribuito all’incolpato (Sez. 6, n. 10289 del 22/01/2014, Lombardi, Rv. 259336). Concrete circostanze e modalita’ esecutive del fatto calunnioso estrinsecatesi, nell’iter giustificativo della sentenza impugnata, su un duplice piano: da un lato, gli “imponenti elementi di sospetto” resi palesi dall'”assoluta anomalia” del modus procedendi “alle origini della calunnia”; dall’altro, la “”progressivita’” delle rivelazioni che (…) venivano via via suggerite” al falso collaboratore da quelli che icasticamente il giudice di appello indica come “inquirenti suggeritori”, progressivita’ che, nella valutazione immune da vizi logici – della sentenza impugnata, costituiva “un elemento tale da indurre, sul piano logico, a ritenerne la falsita’”. Il ricorso si sottrae allo specifico, analitico confronto critico con la motivazione sul punto della Corte di assise di appello, risultando, sotto questo profilo, del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 2012, Pezzo, cit.). Ne’ in senso contrario puo’ argomentarsi sulla base del rilievo che qualcuna delle circostanze “veicolate” dagli “inquirenti suggeritori” sia risultata veritiera (e proveniente da fonte rimasta ignota), posto che, nel ragionamento dei giudici di merito, e’ il complessivo modus procedendi all'”origine delle calunnie” che, con motivazione immune da cadute di conseguenzialita’ logico-argomentativa, ha condotto a escludere che la rappresentata illiceita’ del fatto denunziato fosse ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri (Sez. 6, n. 12209 del 18/02/2020, Abbondanza, Rv. 278753, richiamata dall’Avvocato Generale presso questa Corte nella sua requisitoria).
8.4. Il terzo motivo e’ inammissibile.
8.4.1. In premessa, la Corte rileva che, nella prospettazione generale delle censure, il ricorso si rivela scarsamente perspicuo (Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013, dep. 2014, Hussien, Rv. 259063) li’ dove, da una parte, lamenta il difetto del nesso causale tra dichiarazioni calunniose e condanna degli accusati, collocando all’evidenza la doglianza sul piano dell’elemento oggettivo della fattispecie circostanziale, mentre, dall’altra, evoca – qualora si accedesse a una diversa interpretazione – il rischio di cadere in un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, che, invece, chiama in causa il criterio di imputazione soggettiva della circostanza aggravante.
La Corte, comunque, rileva che la piu’ dettagliata articolazione delle doglianze investe l’elemento oggettivo della fattispecie circostanziale, mentre nessuna, piu’ puntuale, censura e’ articolata in ordine al criterio di imputazione soggettiva della circostanza aggravante.
8.4.2. Con riferimento alla posizione di (OMISSIS), condannato nel processo “(OMISSIS)”, il ricorso deduce che le dichiarazioni rese da (OMISSIS) successive al novembre del 1993 e alla collaborazione di (OMISSIS) sono state ritenute non credibili e non utilizzate ai fini della condanna. Nei termini in cui e’ articolata, la doglianza e’ inammissibile, poiche’, a fronte del rilievo di una valutazione frazionata dell’attendibilita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) nel giudizio di appello del processo indicato, il ricorso non deduce con la necessaria specificita’ se tutte le dichiarazioni rese – costituendo un contributo del tutto innovativo rispetto alla precedenti – siano state colpite da tale giudizio di inattendibilita’ o se, invece, alcune di esse si ricollegassero a dichiarazioni anteriori, specificandone o approfondendone il contenuto (Sez. 6, n. 37086 del 26/04/2007, Lombardi, Rv. 237674; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 3368 del 09/01/2018, Muglia, Rv. 272159). La rilevata aspecificita’ del motivo si coglie in pieno considerando, ad esempio, che la mendace informazione resa da (OMISSIS) in ordine alla presenza di (OMISSIS) nella carrozzeria nel momento in cui (OMISSIS) vi condusse la Fiat 126 (indicata nell’imputazione come oggetto delle dichiarazioni rese il 31/01/1995) era stata preceduta dalle dichiarazioni anteriori richiamate dalla sentenza di primo grado (pag. 1537), che lo stesso ricorrente prospetta come non investite dal giudizio di inattendibilita’; dichiarazioni attinenti alla prospettata presenza di (OMISSIS) in luoghi e/o momenti significativi della fase “preparatoria” della strage e non considerate dal ricorso nel loro rapporto con quelle indicate nell’imputazione; infatti, la sentenza di primo grado del presente processo ha rilevato che la sentenza di appello del primo processo sulla strage di (OMISSIS) aveva ritenuto credibili le dichiarazioni di (OMISSIS) relative, tra l’altro, alla “presenza di (OMISSIS) al momento dell’arrivo o del prelievo dell’esplosivo” (pag. 1561). In altri termini, l’aspecificita’ del motivo va ravvisata con riguardo all’oggetto della deduzione, correlato genericamente all’epoca delle dichiarazioni e non al loro contenuto conoscitivo, in rapporto, da questo secondo punto di vista, con le dichiarazioni rese in un’epoca – qui si’ in termini generali non colpita dal giudizio di inattendibilita’.
8.4.3. Con riferimento alle posizioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), entrambi condannati nel processo “(OMISSIS)”, il ricorso prospetta che le dichiarazioni relative al primo non sarebbero state valorizzate ai fini della sua condanna, mentre quelle relative al secondo avrebbero avuto, con riguardo alla decisione, una valenza limitatissima e generica rispetto a quelle decisive di (OMISSIS). Le censure sono manifestamente infondate, poiche’, come puntualmente rilevato dalla sentenza impugnata (in linea con la sentenza di primo grado, che sottolinea come il contributo del ricorrente sia stato in quella sede ritenuto di “rilevanza decisiva nell’economia della prova”: pagg. 1562 s.), “il giudizio di appello del processo “(OMISSIS)” si e’ concluso con un giudizio di integrale attendibilita’ delle dichiarazione rese dall’imputato appellante, che venivano utilizzate a pieno titolo come riscontro esterno alle dichiarazioni di (OMISSIS)”; rilievo, questo della Corte nissena, non scalfito dalle deduzioni del ricorrente. Peraltro, il ricorso rivela profili di aspecificita’ li’ dove fa leva allegandone una parte – sulla motivazione della sentenza di condanna di (OMISSIS) nel giudizio di primo grado del processo “(OMISSIS)”, mentre la sentenza impugnata ha sottolineato che, come si e’ visto, e’ nel giudizio di appello di tale processo che le dichiarazioni di (OMISSIS) sono state ritenute attendibili e utilizzate a riscontro delle accuse di (OMISSIS). Ad abundantiam, puo’ osservarsi che anche la gia’ citata sentenza della Corte di cassazione intervenuta nel processo “(OMISSIS)” (Sez. 5, n. 11914 del 2003, dep. 2004, cit.), segnala, con riferimento alla posizione di (OMISSIS), che “l’impugnata sentenza considera riscontro esterno ed individualizzante la dichiarazione di (OMISSIS)” e, con riguardo alla posizione di (OMISSIS), che la sentenza impugnata aveva attribuito “valenza di riscontro (…) ad (OMISSIS), qualificabile teste sul narrato specifico del collaborante”.
Quanto al riferimento alle dichiarazioni accusatorie nei confronti di (OMISSIS) del 10/06/1998, la doglianza e’ del tutto generica, per le medesime ragioni indicate a proposito della posizione di (OMISSIS) ed anche per l’assoluta carenza di allegazioni a sostegno della deduzione. Per completezza, deve comunque rilevarsi che la sentenza impugnata ha preso in considerazione, quanto alla calunnia in danno di (OMISSIS), esclusivamente le dichiarazioni – indicate nell’imputazione – rese il 16/10/1997, individuate, all’esito della disamina di altri atti processuali, come quelle in cui lo stesso (OMISSIS) “per la prima volta” era stato oggetto delle accuse di (OMISSIS) di aver “”partecipato” alla strage, per come riferitogli da (OMISSIS)”; a sua volta, la sentenza di primo grado, dopo aver diffusamente citato le dichiarazioni del 16/10/1997, ha fatto riferimento alle dichiarazioni del 10/06/1998 come quelle con le quali (OMISSIS) “riferiva (falsamente) che veniva minacciato” (pag. 1540), sicche’ l’affermazione del ricorso secondo cui sarebbero state queste ultime dichiarazioni ad essere state utilizzate per la condanna di (OMISSIS) risulta del tutto assertiva e non sostenuta dal riferimento ad alcun atto probatorio (a fronte delle indicazioni in senso diverso offerte dalle sentenze di merito).
8.4.4. Le conclusioni raggiunte in ordine all’inammissibilita’, per diverse cause, del motivo esimono questa Corte dall’esame dell’ulteriore ratio decidendi delineata dalla sentenza impugnata con riguardo all’attitudine delle varie dichiarazioni di (OMISSIS) a costituire un “antecedente causale” delle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), dalle quali sono poi derivate le condanne degli altri accusati.
8.5. Il quarto motivo, invece, deve essere accolto, nei termini e agli effetti di seguito indicati.
8.5.1. Alcune premesse sono necessarie per una migliore disamina delle questioni devolute all’esame della Corte.
Il motivo in esame deduce che il tempus commissi delicti del reato di calunnia in danno di (OMISSIS) deve essere individuato, al piu’ tardi, nel 31/01/1995, data delle ultime dichiarazioni calunniose di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) anteriori alla condanna dello stesso per strage divenuta irrevocabile alla fine del 1996, in epoca anteriore alle dichiarazioni accusatorie rese il 16/10/1997 indicate nell’imputazione; da tale “retrodatazione”, il ricorrente fa discendere l’intervenuto perfezionamento della fattispecie estintiva del reato per prescrizione prima della deliberazione della sentenza di appello.
La Corte di assise di appello di Caltanissetta ha disatteso la deduzione difensiva sul punto, sostenendo che la condotta contestata ad (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) in relazione alle dichiarazioni del 16/10/1997 rappresenta una reiterazione, in continuazione, di precedenti condotte calunniatorie dalle quali era derivata la falsa collaborazione dello stesso (OMISSIS), “in una lunga serie di progressive accuse”, legate da “un collegamento causale con le successive conferme” rese dall’odierno ricorrente.
8.5.2. Con riferimento alla calunnia relativa alle dichiarazioni del 16/10/1997 il ricorso e’ fondato. Come questa Corte ha avuto modo di affermare, il delitto di calunnia, che e’ reato di pericolo per la cui integrazione e’ sufficiente anche la possibilita’ dell’inizio di un procedimento penale, non si configura quando la falsa accusa ha ad oggetto fatti peri quali l’esercizio dell’azione penale e’ paralizzato dal difetto di una condizione di procedibilita’ e, in particolare, dall’effetto preclusivo derivante dalla decisione irrevocabile di un precedente giudizio sugli stessi fatti (Sez. 2, n. 15559 del 24/11/2005, dep. 2006, Spadaro, Rv. 234340). Il passaggio in giudicato della sentenza (nella specie, di condanna) per un certo reato nei confronti della persona accusata di quel reato priva l’accusa stessa di quel connotato di pericolo proprio della fattispecie incriminatrice; connotato di pericolo non suscettibile di essere “recuperato” attraverso il riferimento alla possibilita’ di attivare il rimedio della revisione, per il carattere straordinario del rimedio, destinato ad operare solo in bonam partem.
Ne’ in senso contrario puo’ argomentarsi sulla base dei rilievi della sentenza impugnata: se, come la giurisprudenza di legittimita’ ha avuto modo di precisare, plurime false accuse commesse presso piu’ autorita’ e in luoghi distinti danno luogo ad una pluralita’ di reati, dovendosi escludere l’identita’ del fatto nel caso in cui la reiterazione della condotta avvenga con modalita’ spazio-temporali diverse (Sez. 6, n. 13416 del 08/03/2016, Pasquinelli, Rv. 267269), la complessita’ della vicenda nella quale la calunnia continuata in danno di (OMISSIS) indubbiamente si inserisce non elide il dato decisivo rappresentato dalla preclusione all’esercizio o alla prosecuzione dell’azione penale che discende dal giudicato.
Pertanto, con riguardo alla calunnia commessa con le dichiarazioni del 16/10/1997, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio – agli effetti penali e agli effetti civili – perche’ il fatto non sussiste, formula di proscioglimento, questa, che “indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato (la condotta, l’evento o il nesso di causalita’), ossia l’esclusione del verificarsi di un fatto storico che rientri nell’ambito di una fattispecie incriminatrice” (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240814 – 5)
8.5.3. Poiche’, come si e’ visto, la censura relativa all’indicata calunnia e’ articolata dal ricorso con riferimento alla data di perfezionamento del reato continuato di calunnia in danno di (OMISSIS) (aggravato ai sensi della prima parte dell’articolo 368 c.p., comma 3), in relazione a detto reato il ricorso non e’ inammissibile, sicche’, per gli ulteriori fatti, deve essere rilevata l’estinzione per prescrizione. Invero, applicando la piu’ favorevole disciplina anteriore alla L. 5 dicembre 2005, n. 251 (anni 15, aumentati della meta’ ad anni 22 e mesi 6, a decorrere, ai sensi del previgente articolo 158 c.p., comma 1, dall’ultima delle calunnie – anche rispetto alle altre persone offese – in continuazione, ossia dal 16/10/1997, data del commesso reato in danno almeno – di (OMISSIS), come si e’ visto), la fattispecie estintiva del reato per prescrizione si e’ comunque perfezionata il 12/07/2020, in quanto, alla data del 16/04/2020 (in linea con le corrette conclusioni della sentenza di primo grado: pag. 1668), devono aggiungersi 87 giorni di sospensione relativi ai rinvii disposti nel giudizio di appello dal 18/12/2018 al 11/01/2019 (astensione dell’avvocatura: 24 giorni) e dal 12/07/2019 al 13/09/2019 (rinvio su richiesta di tutti i difensori: 63 giorni). Pertanto, agli effetti penali e agli effetti civili, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla calunnia nei confronti di (OMISSIS) commessa in data 16/10/1997, perche’ il fatto non sussiste; quanto alle ulteriori calunnie sempre in danno di (OMISSIS) (indicate dalla sentenza di primo grado – e anche dal capo di imputazione – come commesse il 26/01/1995 e il 31/01/1995, data, quest’ultima, indicata dallo stesso ricorso come tempus del perfezionamento del reato continuato in danno dello stesso (OMISSIS)), la sentenza deve essere annullata senza rinvio ai soli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione.
Quanto al trattamento sanzionatorio, mette conto rilevare che la sentenza di primo grado, confermata in appello, ha determinato la pena irrogata ad (OMISSIS) muovendo dall’individuazione del reato piu’ grave nella calunnia in danno di (OMISSIS) (condannato, dopo l’assoluzione in primo grado, nell’appello del processo “(OMISSIS)”), per la quale e’ stata determinata la pena in anni 8 di reclusione, aumentata di un anno, ex articolo 63 c.p., comma 4, per la concorrente recidiva reiterata e infraquinquennale; sulla pena-base di anni 9 di reclusione, il giudice di primo grado ha disposto il complessivo aumento di anni 1 di reclusione per la continuazione con le calunnie ai danni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Poiche’, nella determinazione della pena in aumento rispetto a quella stabilita per la violazione piu’ grave, la sentenza di primo grado (confermata in appello) ha mostrato di considerare unitariamente le calunnie relative a ciascuna delle altre tre persone offese ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), rileva il Collegio che la pena in aumento relativa alla calunnia continuata in danno di (OMISSIS) debba essere individuata in mesi 4 di reclusione (un terzo della pena di un anno di reclusione stabilita come aumento complessivo rispetto alla violazione piu’ grave); pena che in tale entita’ deve essere eliminata.
8.6. Il quinto motivo e’ inammissibile. Con motivazione sostenuta da un apparato giustificativo la cui tenuta logico-argomentativa non e’ compromessa dalle statuizioni di cui al punto che precede, la sentenza impugnata ha disatteso le deduzioni difensive concernenti il trattamento sanzionatorio e, segnatamente, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, rilevando la gravita’ oggettiva della condotta di (OMISSIS), che, “consapevolmente e al mero fine di fruire dei benefici connessi allo status di collaboratore con la giustizia”, accusava reiteratamente della partecipazione alla strage di (OMISSIS) persone che sapeva innocenti, mentre l’ammissione del mendacio delle dichiarazioni rese negli anni e’ intervenuta quando “la prova della falsita’ delle dichiarazioni risultava gia’ cristallizzata aliunde, attraverso riscontri, anche tecnici, acquisiti in ordine alle dichiarazioni di (OMISSIS)”.
Le doglianze del ricorrente sono manifestamente inidonee a infirmare la motivazione del giudice di appello; sostiene il ricorso che la sentenza impugnata ha sminuito il dato della confessione, ma l’argomento sul quale fa leva l’apprezzamento della sentenza impugnata non e’ scalfito dal ricorrente, mentre del tutto inconsistente e’ la deduzione che la confessione e’ intervenuta in occasione della prima convocazione davanti all’Autorita’ Giudiziaria nissena, posto che, all’evidenza, non era certa inibita al ricorrente la facolta’ di attivarsi autonomamente per denunciare le false accuse che avevano condotto degli innocenti a severe (o severissime) condanne. Gli ulteriori rilievi proposti con il motivo (in ordine al tempo trascorso rispetto ai fatti calunniosi, all’epoca dei reati per i quali (OMISSIS) e’ stato condannato) non inficiano la motivazione del giudice di appello, tanto piu’ che, nel motivare il diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02).
8.7. Pertanto, nei confronti di (OMISSIS) la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla calunnia commessa il 16/10/1997 in danno di (OMISSIS), perche’ il fatto non sussiste, e senza rinvio ai soli effetti penali quanto alle ulteriori calunnie in danno di (OMISSIS), perche’ le stesse sono estinte per prescrizione, con eliminazione della relativa pena di mesi 4 di reclusione; nel resto il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato.
Il ricorso di (OMISSIS)
9. Il ricorso di (OMISSIS), complessivamente valutato, deve essere rigettato, pur presentando plurimi profili di inammissibilita’.
9.1. Nella ricostruzione della sentenza impugnata, conforme a quella di primo grado, (OMISSIS), appartenente a (OMISSIS) di Caltanissetta, gia’ autista e uomo di fiducia del rappresentante provinciale (OMISSIS) “Piddu” (OMISSIS), aveva iniziato a collaborare con la giustizia nei mesi successivi alla pronuncia della sentenza di primo grado del processo “(OMISSIS)”, pronuncia che aveva mandato assolto dal delitto di concorso nella strage di (OMISSIS) (OMISSIS), in quanto le accuse formulate nei suoi confronti da (OMISSIS) erano rimaste sfornite di riscontri. Nel giudizio di appello del processo “(OMISSIS)”, all’udienza del 07/03/2001, erano intervenute le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), il quale, in estrema sintesi, aveva riferito che, durante la comune detenzione nel 1998 – 1999, aveva rimproverato (OMISSIS) per la leggerezza commessa dalla sua “famiglia” mafiosa di appartenenza quando aveva affidato un incarico delicato e importante nell’organizzazione dell’attentato, quale il furto dell’autobomba, a (OMISSIS); al rimprovero, (OMISSIS) – nel racconto reso in quell’occasione da (OMISSIS) – aveva replicato affermando che “il lavoro lo avevamo fatto noi della (OMISSIS)” e che era stato (OMISSIS), uomo d’onore della stessa “famiglia” mafiosa della (OMISSIS), a coinvolgere il cognato (OMISSIS), il quale aveva avuto un ruolo marginale, limitato al furto della Fiat 126, mentre era rimasto estraneo all’organizzazione dell’attentato, rispetto alla quale – sempre nel racconto de relato di (OMISSIS) nel giudizio di appello del processo “(OMISSIS)” – le dichiarazioni di (OMISSIS) erano state suggerite dalla polizia. Le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) avevano fornito al giudice di appello di quel processo il riscontro alle dichiarazioni di (OMISSIS) che condusse al ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, con la condanna di (OMISSIS) all’ergastolo.
9.2. Osserva la Corte di assise di appello di Caltanissetta che lo stesso (OMISSIS) aveva ammesso che, all’epoca, la propria collaborazione era ancora parziale e reticente, posto che, ad esempio, aveva reso dichiarazioni sull’omicidio di tale Cianci solo dopo la morte del padre, coinvolto nel delitto. Osserva ancora il giudice di appello, richiamando la progressione accusatoria delle dichiarazioni di (OMISSIS), che il riferimento all’ammissione, da parte di (OMISSIS), del coinvolgimento nella strage della sua “famiglia” di appartenenza, era una novita’ rispetto agli interrogatori resi dinanzi al pubblico ministero di Caltanissetta il 10 febbraio e il 7 novembre del 2000.
Richiamando adesivamente le valutazioni del giudice di primo grado, la sentenza impugnata rileva l’impossibilita’ che ” (OMISSIS) avesse confidato a (OMISSIS) che (OMISSIS) si era occupato del furto della Fiat 126 su indicazione del cognato, alla luce della difforme ricostruzione di tale segmento operativo consentita dalle dichiarazioni di (OMISSIS) sul protagonismo della Famiglia di (OMISSIS)”. Inoltre, osserva ancora la sentenza impugnata, anche a voler ritenere, come prospettato da (OMISSIS) nei motivi di appello, che la “famiglia” della (OMISSIS) avesse partecipato ad altre fasi della strage, “di certo non avrebbe potuto attribuire a se’ e ai sodali proprio il furto dell’autobomba, incarico conferito ad altri, come poi chiarito da (OMISSIS)”; di qui l’ulteriore rilievo del giudice di appello secondo cui “l’indicazione al “lavoro” svolto dalla famiglia, cioe’, non poteva, nel racconto che (OMISSIS) aveva attribuito a (OMISSIS), essere s (OMISSIS)ata dall’episodio del furto della Fiat 126 e riferirsi ad altro, essendo strettamente collegata direttamente a quel fatto, ad ulteriore riprova della inverosimiglianza, ed anzi della palese falsita’, del racconto del (OMISSIS) stesso”.
Rileva altresi’ il giudice di appello, sotto il profilo dello scrutinio della veridicita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS), che questi, pur avendo manifestato la volonta’ di collaborare con la giustizia ed essendo stato, di conseguenza, sottoposto a misure di protezione fin dall’aprile del 2000, fu successivamente coinvolto in un’indagine per associazione mafiosa, sottoposto a custodia cautelare in carcere il 24/02/2001 e condannato con sentenza irrevocabile del Tribunale di Caltanissetta il 20/11/2002, sicche’, all’epoca in cui aveva reso le dichiarazioni su (OMISSIS) (07/03/2001), (OMISSIS) “faceva ancora parte del sodalizio di (OMISSIS)”; di qui, la considerazione delle ragioni della falsita’ delle dichiarazioni oggetto dell’imputazione, riconducibili a un’attivita’ di depistaggio, a finalita’ o logiche mafiose o, piu’ verosimilmente, all’esigenza di (OMISSIS) di “accreditarsi nuovamente con gli investigatori, innanzi ai quali la sua credibilita’ era assolutamente compromessa, oltre che all’interesse ad alleggerire la propria posizione processuale in considerazione della grave contestazione che gli era stata appena mossa”.
Sempre in punto di verifica della credibilita’ di (OMISSIS), la sentenza impugnata richiama quella di primo grado li’ dove aveva registrato le accuse rivolte all’odierno ricorrente, in quella fase iniziale della sua collaborazione, da altri collaboratori, riguardanti tentativi dallo stesso posti in essere al fine di pilotare le loro dichiarazioni. Con maggiore analiticita’, la sentenza di primo grado da’ conto di questi tentativi di inquinamento probatorio, richiamando le dichiarazioni di (OMISSIS), secondo il quale egli stesso aveva ricevuto da (OMISSIS) la promessa di un miliardo di vecchie lire per scagionarlo dall’accusa di concorso in omicidio di (OMISSIS), e quelle di (OMISSIS), secondo cui l’odierno ricorrente aveva preso contatti con lui allo scopo di screditare le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) concernenti il padre dello stesso (OMISSIS).
Rileva inoltre la sentenza impugnata che, nel corso delle indagini relative al presente procedimento, (OMISSIS), sentito il 04/04/2011 e il 10/03/2012 (in questa seconda occasione a seguito dell’ordinanza cautelare emessa proprio per la calunnia in danno di (OMISSIS)), aveva perentoriamente escluso di aver inventato l’episodio della confidenza fattagli dall’odierna parte civile per accreditarsi con gli inquirenti.
Nonostante cio’, sottolinea il giudice di appello, dopo sole due settimane, il 22/03/2012, (OMISSIS) chiese di essere sentito nuovamente dal pubblico ministero e, in tale occasione, “aveva inaspettatamente ammesso di avere calunniato (OMISSIS), dando atto anche delle ragioni che lo avevano indotto a rendere la false dichiarazioni che avevano influito in maniera decisiva nella condanna all’ergastolo del predetto”; (OMISSIS) aveva ribadito di aver intrattenuto una conversazione con (OMISSIS), il quale, per difendersi dall’accusa di leggerezza nell’essersi rivolti all’inaffidabile (OMISSIS), gli aveva rivelato che quest’ultimo non aveva nulla a che vedere con il contesto mafioso della (OMISSIS), a differenza del cognato (OMISSIS), mentre lo stesso odierno ricorrente aveva ammesso di “avere aggiunto a tale racconto la circostanza secondo la quale (OMISSIS) si sarebbe attribuito un ruolo nella strage di (OMISSIS)”; al riguardo, (OMISSIS) aveva sostenuto di aver calunniato (OMISSIS) sia perche’ ispirato da un anelito di giustizia, sia per compiacere il Procuratore Generale che gli aveva posto una domanda suggestiva sul coinvolgimento nell’attentato. A quest’ultimo proposito, la Corte di assise di appello da’ atto che l’imputato ha riferito della domanda rivoltagli in termini non rispondenti al vero.
Rileva infine il giudice di appello che, nel dibattimento del presente processo (in primo e in secondo grado), ” (OMISSIS) ha per l’ennesima volta cambiato versione, ritornando a sostenere di avere effettivamente ricevuto la confidenza di (OMISSIS) sul coinvolgimento del predetto e della “famiglia” della (OMISSIS) nell’esecuzione della strage, cosi’ negando di avere reso dichiarazioni calunniose”; in tale inattendibile ritrattazione della precedente confessione, osserva ancora la sentenza impugnata, (OMISSIS) ha cercato nuovamente di giustificare il proprio ondivago comportamento con la finalita’, perseguita nell’interrogatorio del 22/03/2012, di ottenere la revoca della misura cautelare custodiale all’epoca applicatagli, evitando di perdere il beneficio penitenziario della detenzione domiciliare concesso per motivo di salute. La Corte di assise di appello, osservato incidentalmente che tale ultima versione implicherebbe comunque una responsabilita’ dell’imputato per il reato di autocalunnia, ritiene che essa presenti un profilo di illogicita’, posto che, da una parte, (OMISSIS) ha sostenuto che (OMISSIS) gli aveva fatto – e in termini espliciti – una confidenza su un episodio particolarmente importante come la strage di (OMISSIS), mentre, dall’altra, ha prospettato di essere stato spinto a rendere tale (inedita) dichiarazione solo dalla domanda suggestiva del Procuratore Generale (domanda, come si e’ anticipato, riportata dal dichiarante in termini non corrispondenti al vero). Giustificazione, quest’ultima, che si ricollega a quanto confessato da (OMISSIS) nel corso delle indagini per i fatti per i quali si procede, in ordine alla circostanza che (OMISSIS) non gli aveva riferito nulla sul protagonismo della sua “famiglia” mafiosa e che la frase sul “lavoro” fatto da “noi della (OMISSIS)” era stata inventata da (OMISSIS), che, del resto, aveva candidamente ammesso di aver avuto conoscenza delle dichiarazioni di (OMISSIS) dagli organi di stampa, tanto piu’ che l’odierno ricorrente ha anche ammesso che (OMISSIS) ricopriva un ruolo secondario e non preminente nel suo contesto criminale e che, prima delle stragi di Capaci e di (OMISSIS) e prima di aver avuto conoscenza delle dichiarazioni di (OMISSIS), egli stesso non aveva idea di quali “famiglie” e di quali “mandamenti” fossero stati coinvolti nella preparazione e nell’esecuzione delle stragi: circostanze, queste, che, osserva conclusivamente la sentenza impugnata, “mal si conciliano con la dedotta convinzione che il predetto (OMISSIS) (…) potesse avere effettivamente partecipato alla strage”.
9.3. Le doglianze articolate con il ricorso nell’interesse di (OMISSIS) non inficiano la motivazione della sentenza impugnata, in linea con quella di primo grado.
9.3.1. Lamenta il ricorrente l’erronea valutazione del compendio conoscitivo alla luce della disciplina che governa la prova indiziaria e la decisivita’ attribuita alla ricostruzione dei fatti (e, segnatamente, del segmento relativo al furto della Fiat 126 poi utilizzata come autobomba) rivelata da (OMISSIS). Le censure non colgono nel segno.
La ratio decidendi della sentenza impugnata e’ delineata, prima di tutto, su un piano oggettivo. Al riguardo, le dichiarazioni accusatorie di cui all’imputazione nei confronti di (OMISSIS) a proposito della porzione della vicenda preparatoria ed esecutiva della strage di (OMISSIS) chiamata in causa dallo stesso (OMISSIS) sono ritenute mendaci alla luce della ricostruzione di tale porzione delineata dalla collaborazione di (OMISSIS), ricostruzione – ritenuta del tutto attendibile, come si e’ visto in termini piu’ analitici esaminando il ricorso nell’interesse di (OMISSIS) – che esclude qualsiasi partecipazione a quel segmento di (OMISSIS) e di esponenti della “famiglia” della (OMISSIS). Il dato oggettivo accertato in ordine alla partecipazione alla fase preparatoria della strage di (OMISSIS) attribuita a (OMISSIS) si salda, nel percorso argomentativo dei giudici di merito, al rilievo che ” (OMISSIS) non avrebbe mai potuto attribuire la medesima condotta a (OMISSIS) e, tanto meno, avrebbe potuto ricondurre la gestione di tale furto (quello commesso da (OMISSIS) e da (OMISSIS), nella ricostruzione delle sentenze di merito: n. d.e.) a se stesso e alla famiglia della (OMISSIS), che non si era occupata di questa incombenza”. In analoga prospettiva, la sentenza di primo grado (pag. 1814) osserva che, anche a ritenere che appartenenti alla famiglia della (OMISSIS) abbiano gestito altre fasi dell’attentato, “sarebbe comunque inspiegabile la rivelazione del (OMISSIS) in merito ad un ruolo (come detto, inesistente) di (OMISSIS), per sottrarre la Fiat 126 di (OMISSIS), su incarico del cognato, (OMISSIS)”.
A proposito di altri punti evocati dall’impugnazione a favore dell’odierno ricorrente (la possibilita’ che, nel racconto oggetto di imputazione di (OMISSIS), il ruolo “rivendicato” da (OMISSIS) fosse relativo ad altre fasi della preparazione dell’attentato; la possibilita’ che (OMISSIS) intendesse difendere il “prestigio” mafioso della famiglia della (OMISSIS); le modalita’ del riferito colloquio tra i due), che presuppongono comunque l’effettivita’ del colloquio con gli specifici contenuti prospettati da (OMISSIS) nel giudizio di appello del processo “(OMISSIS)”, mette conto richiamare il giudizio di radicale inattendibilita’ dell’odierno ricorrente formulato – sul piano soggettivo – dai giudici di merito e diffusamente motivato sulla base di plurimi, convergenti elementi. Elementi che riguardano gia’ la fase iniziale della collaborazione di (OMISSIS), rispetto alla quale la Corte di assise di appello di Caltanissetta, per un verso, ricorda che lo stesso dichiarante ha ammesso la parzialita’ e la reticenza, all’epoca, della propria collaborazione (in ordine, in particolare, all’omicidio in cui era coinvolto il padre) e, per altro verso, richiama le accuse di aver tentato inquinamenti della prova mossegli da Giuga e da Trubia; del resto, rammenta il giudice di appello, dopo aver manifestato la propria volonta’ di collaborare, (OMISSIS) fu sottoposto, il 24/02/2001 a misura cautelare per partecipazione ad associazione mafiosa, reato per il quale e’ stato poi condannato in via definitiva.
Centrale, comunque, nella formulazione del giudizio di inattendibilita’ della “ritrattazione della precedente confessione” di (OMISSIS), e’ la ricostruzione della progressione delle sue dichiarazioni, di segno contrastante le une rispetto alle altre con riguardo al fatto oggetto dell’imputazione di calunnia. Assente negli interrogatori resi in precedenza, il riferimento al coinvolgimento – in termini “confessori” – di (OMISSIS) nella strage di (OMISSIS) compare per la prima volta in sede di appello del processo “(OMISSIS)”, il 07/03/2001, determinando il ribaltamento in peius della sentenza assolutoria pronunciata in primo grado nei confronti di (OMISSIS). La versione sostenuta nel corso del processo “(OMISSIS)” fu ribadita da (OMISSIS) nei due interrogatori resi nel corso delle indagini del presente procedimento il 04/04/2011 e il 10/03/2012, quando l’odierno ricorrente nego’ fermamente di essersi inventato l’episodio della confidenza “autoincriminante” fattagli da (OMISSIS). A sole due settimane dall’ultimo di tali interrogatori, (OMISSIS), il 22/03/2012, ritratto’ le accuse nei confronti di (OMISSIS), adducendo, a spiegazione della condotta posta in essere, la volonta’ di compiacere il Procuratore Generale che gli aveva rivolto una domanda suggestiva, richiamata, pero’, dallo stesso (OMISSIS) in termini indicati dai giudici di merito come non corrispondenti al vero. Infine, nel dibattimento del presente processo, interviene la “ritrattazione della ritrattazione”, con la riproposizione della versione accusatoria nei confronti di (OMISSIS).
Nei termini in estrema sintesi indicati, la motivazione della sentenza impugnata ha valorizzato la convergenza degli elementi correlati alla ricostruzione dei fatti delineata grazie alla collaborazione di (OMISSIS) e alla valutazione – incensurabile sul piano logico – di assoluta inverosimiglianza (alla “inspiegabilita’”) dell’asserita rivelazione di (OMISSIS) rispetto a un ruolo non esercitato, con quelli conferenti verso un giudizio di inattendibilita’ della “ritrattazione della ritrattazione” da parte di (OMISSIS) delle accuse mosse a (OMISSIS), giudizio diffusamente giustificato alla luce dell’equivoco e altalenante succedersi – anche in intervalli temporali estremamente ristretti – di versioni discordanti (se non antitetiche), nonche’ delle giustificazioni di volta in volta addotte dall’odierno ricorrente o, comunque, individuate dai giudici di merito sulla base di un ragionamento in linea con i dati conoscitivi richiamati e immune da vizi logico-argomentativi. Giudizio, questo, all’evidenza riferibile anche al profilo della consapevolezza in capo al ricorrente della falsita’ delle accuse, tanto piu’ che il dolo del reato di calunnia puo’ essere ricollegato a una valutazione soggettiva che risulti fraudolenta o consapevolmente forzata (cfr. Sez. 6, n. 50254 del 13/11/2015, Parodi, Rv. 265751; Sez. 6, n. 37654 del 19/06/2014, Rv. 261648).
A cio’ si aggiunga che, a fronte dell’univoca riferibilita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) del 07/03/2001 alla fase “preparatoria” della strage, del tutto congetturale e carente di qualsiasi sostegno negli elementi conoscitivi emersi nel processo e’ il riferimento del ricorso al coinvolgimento della “famiglia” della (OMISSIS) in fasi diverse. Del resto, le deduzioni del ricorso tese a spostare il fulcro delle dichiarazioni calunniose dalla posizione di (OMISSIS) al ruolo della “famiglia” della (OMISSIS) sviliscono il dato processuale rappresentato dal ribaltamento in peius della sentenza assolutoria di primo grado relativa all’odierna parte civile e lo stesso tenore delle dichiarazioni del 07/03/2001, che, nei termini riportati dalla sentenza impugnata, chiamavano in causa immediatamente un ruolo di (OMISSIS) nella strage (“… Praticamente se lo da’ il ruolo (OMISSIS)…”); al riguardo, la sentenza di primo grado (pagg. 1813 s.) ha rimarcato che “e’ impossibile credere che (OMISSIS) – da quanto emerso nel presente processo, assolutamente estraneo al furto e allo spostamento della Fiat 126 – abbia confidato a (OMISSIS)” quanto da questi raccontato. Il riferimento in esame, inoltre, e’ del tutto aspecifico a fronte dell’argomentato collegamento delineato dalla Corte di assise di appello tra il “lavoro” svolto dalla “famiglia” di (OMISSIS) e il furto della Fiat 126; rilievi, questi, che danno conto anche della palese inconsistenza dell’ulteriore deduzione circa la possibilita’ che (OMISSIS) intendesse difendere il prestigio della “famiglia”, deduzione esaminata e disattesa dal giudice di appello sulla base della considerazione che (OMISSIS) “non avrebbe avuto ragione di giustificare una condotta non riconducibile al proprio gruppo”: considerazione, questa, non oggetto di puntuale disamina critica da parte del ricorso. Del pari generica anche con riguardo all’incidenza sull’apparato giustificativo della decisione impugnata – e’ la deduzione relativa alle modalita’ del colloquio riferito da (OMISSIS).
9.3.2. Anche le ulteriori doglianze – del tutto periferiche rispetto al nucleo essenziale del ragionamento dei giudici di merito – non sono idonee a inficiare la motivazione della sentenza impugnata (in linea con la conforme decisione di primo grado).
Il ricorso evoca la mancanza del dato certo rappresentato dalle conoscenze di (OMISSIS) in ordine al coinvolgimento del mandamento della (OMISSIS) nella strage, conoscenze non oggetto di un patrimonio “condiviso” da tutti i partecipi della famiglia; la censura e’, all’evidenza, inidonea a superare i rilievi sviluppati dai giudici di merito sul duplice piano (oggettivo e soggettivo) indicato e, comunque, il ricorso non spiega in quali termini tale deduzione possa mettere in luce cadute di conseguenzialita’ logica nel percorso argomentativo dei giudici di merito, incentrato, prima di tutto, sul rilievo dell’estraneita’ di (OMISSIS) (oltre che della “famiglia” della (OMISSIS)) alla fase preparatoria della strage riferita (e realizzata) da (OMISSIS). La doglianza in esame risulta, dunque, manifestamente infondata.
Prive di consistenza sono poi le deduzioni relative alla mancata inclusione nell’imputazione delle altre dichiarazioni di (OMISSIS), posto che, all’evidenza, il capo di imputazione fa riferimento ai fatti rilevanti ai fini del perfezionamento della fattispecie incriminatrice contestata.
Del tutto inammissibili, per plurime e convergenti ragioni, sono poi le deduzioni che fanno leva sui motivi di ricorso per cassazione articolati da (OMISSIS) nel processo “(OMISSIS)”. Esse sviliscono, all’evidenza, il nucleo essenziale del fatto di calunnia contestato, ossia l’attribuzione a (OMISSIS) ad opera dell’odierno ricorrente di dichiarazioni, in buona sostanza, confessorie, nucleo essenziale al quale fanno riferimento le indicate argomentazioni integranti la ratio decidendi, non scalfite da asseriti contenuti dell’impugnazione dello stesso (OMISSIS), frutto di strategie difensive prive di incidenza sulla decisione qui in esame. Tali deduzioni, peraltro, risultano del tutto aspecifiche, in quanto non richiamano, con la necessaria analiticita’, detti motivi, ma si limitano ad estrapolarne e sintetizzarne un asserito passaggio. Inoltre, le deduzioni risultano manifestamente infondate li’ dove richiamano i motivi di ricorso dell’imputato (OMISSIS), ma non la decisione della Corte di cassazione che ha reso irrevocabile la sentenza di condanna pronunciata ribaltando quella assolutoria di primo grado. Infine, le deduzioni non risultano proposte con l’atto di gravame e, dunque, devolute al giudice di appello, sicche’, da questo punto di vista, sono inammissibili in quanto proposte per la prima volta nel giudizio di legittimita’.
Le ulteriori deduzioni si limitano a una critica generica e assertiva della motivazione del giudice di appello e degli elementi da essa valorizzati, critica che, in particolare, si sottrae allo specifico e puntuale confronto con il giudizio di inattendibilita’ della “ritrattazione della precedente confessione” di (OMISSIS) formulato dai giudici di merito, nonche’ con i dati conoscitivi e le argomentate valutazioni sui quali esso si fonda.
I ricorsi delle parti civili.
10. I ricorsi delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), difese dall’Avv. (OMISSIS), e delle parti civili (OMISSIS) a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), difese dall’Avv. (OMISSIS), non sono fondati.
A fronte della liquidazione della provvisionale in loro favore operata dal giudice di primo grado, dette parti civili non hanno interposto appello al fine di contestare il quantum della provvisionale stessa, ma ne hanno richiesto la rideterminazione con memorie presentate nel giudizio di appello e nelle comparse conclusionali. La Corte di assise di appello di Caltanissetta ha rigettato tali richieste, ritenendo ostativo al loro accoglimento il principio devolutivo.
Tanto la sentenza impugnata, quanto le ricorrenti hanno invocato, a sostegno delle proprie ragioni, i principi affermati da Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, Rv. 268179 – 81, dal cui esame conviene dunque muovere.
Le Sezioni unite hanno affermato che “nel caso in cui la sentenza di primo grado contenga una espressa statuizione di accoglimento della domanda risarcitoria e sia priva di un punto specificamente dedicato alla provvisionale, in difetto della relativa richiesta, sfugge la stessa configurabilita’ dell’effetto preclusivo delineato dall’articolo 597 c.p.p., comma 1, nei confronti della parte civile non impugnante, rispetto alla possibilita’ di formulare, nel giudizio di secondo grado, la richiesta di provvisionale”, sicche’ “la sentenza di appello, con la quale l’imputato viene condannato al pagamento di una provvisionale, a fronte di richiesta proposta per la prima volta in quel giudizio dalla parte civile non impugnante, non si pone in contrasto con il principio devolutivo”. Al contrario, “nella diversa ipotesi in cui la richiesta, avanzata dalla parte civile, sia stata respinta dal primo giudice, va ribadito che in sede di appello non e’ consentita la condanna al pagamento di una provvisionale, in favore della parte civile che non ha proposto impugnazione”; conclusione, questa, valida anche in caso di “omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, a fronte di espressa richiesta di provvisionale formulata dalla parte civile”: pertanto, “quando la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile e’ stata rigettata dal giudice di primo grado ovvero sulla stessa non si e’ provveduto, il giudice di secondo grado non puo’ pronunciare la condanna al pagamento della provvisionale in mancanza di appello sul punto della parte civile”.
La sentenza impugnata ha correttamente equiparato la situazione processuale verificatasi nel giudizio di appello (statuizione in primo grado di una provvisionale; mancato appello della parte civile volto a contestare la determinazione del quantum) ai casi di rigetto o di omessa pronuncia sulla richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale: nell’una e negli altri, in effetti, a venire in rilievo e’ un punto della sentenza di primo grado, che, in difetto di impugnazione, resta estraneo alla cognizione del giudice di appello.
Ne’ in senso contrario puo’ argomentarsi sulla base degli ulteriori passaggi motivazionali della pronuncia delle Sezioni unite richiamati dai ricorrenti. La sentenza n. 53153 del 2016, invero, ha sottolineato che “la precipua funzione anticipatoria della provvisionale, rispetto alla successiva liquidazione integrale del danno, consente di rilevare che la stessa soggiace alla clausola rebus sic stantibus, in relazione alla dimensione dinamica che deve annettersi alla locuzione normativa, che fa riferimento ai “limiti del danno per cui si ritiene gia’ raggiunta la prova””, clausola rebus sic stantibus che e’ “permeabile rispetto al verificarsi di fatti nuovi, insorti nella sfera del danneggiato, in grado di incidere sulla futura liquidazione definitiva del danno”; in questa prospettiva, “la parte civile sottosta’ al regime di preclusioni proprio della clausola rebus sic stantibus, stante la natura strumentale ed anticipatoria dell’istituto, rispetto alla seguente definitiva liquidazione del danno. Sicche’ il giudice di appello, sussistendone i presupposti, puo’ aumentare l’importo della provvisionale gia’ liquidata in primo grado, in favore della parte civile non impugnante, stante la natura strumentale ed anticipatoria della condanna al pagamento di una provvisionale”.
Dunque, intanto il giudice di appello puo’ aumentare l’importo della provvisionale gia’ liquidata in primo grado a favore della parte civile non impugnante, in quanto ne sussistano i presupposti, rappresentati dalla sopravvenienza, per il danneggiato, di fatti nuovi in grado di incidere sulla futura liquidazione definitiva del danno. Ma fuori da questi casi, la modifica dell’importo della provvisionale a favore della parte civile puo’ essere disposta dal giudice di appello solo in accoglimento della relativa impugnazione. Conferma questa conclusione il contesto processuale considerato dalla sentenza n. 53153 del 2016, contesto in cui “in sede di conclusioni del giudizio di appello la parte civile, per la prima volta, ha avanzato richiesta di condanna a una provvisionale in ragione delle sopravvenute difficolta’ economiche della persona offesa”.
Pertanto, il giudice di appello puo’ liquidare a favore della parte civile non impugnante una somma di denaro maggiore rispetto a quella stabilita dalla sentenza di primo grado solo nel caso di sopravvenienza di fatti nuovi, insorti nella sfera del danneggiato (quali, appunto, sopravvenute difficolta’ economiche della parte civile), essendo necessario, negli altri casi, che la parte civile che intenda contestare l’ammontare della provvisionale stabilita dalla sentenza di primo grado proponga appello sul relativo punto.
Nel caso di specie, i ricorrenti non facevano leva sui presupposti indicati, ma, a sostegno della richiesta avanzata al giudice di appello, adducevano, in buona sostanza, un errore del giudice di primo grado; errore che doveva essere fatto valere attraverso l’impugnazione, sul punto, della decisione della Corte di assise di Caltanissetta. Ne’, in senso contrario, puo’ argomentarsi sostenendo il superamento della preclusione derivante dalla clausola rebus sic stantibus in considerazione dell’imprevedibile ed elevato importo delle provvisionali riconosciute alle altre parti civili che avrebbe determinato l’incapienza economica degli imputati. Infatti, la sentenza n. 53153 del 2016 delle Sezioni unite ha tenuto ben distinte la funzione anticipatoria della provvisionale, correlata alle esigenze – anche sopravvenute – della parte civile, dalle situazioni fronteggiabili con lo strumento del sequestro conservativo ex articolo 316 c.p.p., comma 2, situazioni correlate alla mancanza o alla dispersione delle garanzie delle obbligazioni civili nascenti dal reato. E’ al novero di queste situazioni che va ascritta la prospettata incapienza degli imputati collegata all’ammontare delle provvisionali a favore delle altre parti civili, sicche’, rispetto a esse, lo strumento potenzialmente attivabile – in presenza dei presupposti di legge – e’ il sequestro conservativo, laddove la situazione dedotta dai ricorrenti non e’ idonea ad escludere il vincolo posto dal principio devolutivo.
Ne consegue l’infondatezza delle doglianze proposte con i ricorsi e con i motivi nuovi. A cio’ si aggiunga, a conferma dell’infondatezza dei ricorsi in esame, che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ non e’ impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773 – 02; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, Saracino, Rv. 277711; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, Rv. 263486; Sez. 5, n. 5001 del 17/01/2007, Mearini, Rv. 236068).
11. Pertanto, nei confronti di (OMISSIS) deve provvedersi nei termini gia’ indicati supra al par. 8.7.; i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere rigettati, con condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.
Anche i ricorsi delle parti civili devono essere rigettati, mentre una trattazione specifica si impone con riguardo alla questione delle spese sostenute dalle parti civili ricorrenti.
Non ignora il Collegio l’indirizzo secondo cui “la soccombenza delle parti civili come ricorrenti impedisce la rifusione a loro favore delle spese del procedimento in cassazione, rendendo ininfluente la loro parziale vittoria per il mancato accoglimento del ricorso dell’imputato” (Sez. 1, n. 5697 del 28/01/2003, Di Giulio, Rv. 223443; conf. Sez. 6, n. 2980 del 15/01/2019, Rv. 275041). Il Collegio, tuttavia, ritiene di doversi dis (OMISSIS)re dall’orientamento ora richiamato, per le ragioni di seguito esposte. Ragioni che prendono le mosse dalla necessita’ di tenere ben distinte “le spese del procedimento dovute all’amministrazione della giustizia, disciplinate dall’articolo 592 c.p.p..
riguardo ai giudizi d’impugnazione” – disposizione, questa, che non prevede alcuna possibilita’ di compensazione totale o parziale delle stesse – dalle spese “per assistenza legale di costituzione nel grado di giudizio” (Sez. 6, n. 25265 del 28/03/2017, Fedullo, Rv. 270485). Ora, quanto alle prime, la responsabilita’ per le spese processuali della parte civile che abbia proposto un’impugnazione rigettata o dichiarata inammissibile discende dal “principio generale di responsabilita’ che pone le spese del processo a carico di tutte le parti private soccombenti” (Sez. U, n. 41476 del 25/10/2005, Misiano, Rv. 232165); ne consegue che le parti civili ricorrenti devono essere condannate al pagamento delle spese processuali. La gia’ sottolineata differenza essenziale tra spese processuali, al cui pagamento deve essere condannata comunque la parte civile che abbia visto non accogliere la propria impugnazione, e spese di assistenza legale di costituzione nel giudizio impedisce, pero’, di instaurare l'”automatismo” sotteso all’indirizzo qui disatteso. Deve, dunque, ribadirsi che “e’ vero che la reciproca soccombenza nel giudizio di appello legittima la compensazione delle spese sostenute dalle parti contrapposte, ma non per questo la compensazione costituisce un obbligo per il giudice, che puo’ – senza violare la legge condannare l’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile allorche’, come nella specie, la sua impugnazione risulti infondata” (Sez. 5, n. 48206 del 10/09/2019, Paez, Rv. 278040); conclusione, questa, senz’altro riferibile anche al giudizio di legittimita’. Di conseguenza, in caso di rigetto o inammissibilita’ del ricorso presentato dall’imputato e di quello proposto dalla parte civile, entrambe le parti private devono essere condannate al pagamento delle spese processuali, mentre l’imputato puo’ essere condannato alla rifusione delle spese di assistenza legale sostenute dalla parte civile, spese che, ricorrendone i presupposti, possono essere in tutto o in parte compensate. Nel caso di specie, la natura delle statuizioni civili, correlate all’uccisione del congiunto dei ricorrenti, esclude che le spese di assistenza legale possano essere compensate, sicche’ gli imputati ricorrenti devono essere condannati alla loro rifusione. Tale conclusione si impone anche nei confronti di (OMISSIS), nonostante il parziale accoglimento del suo ricorso, che esclude la condanna al pagamento delle spese processuali, ma non quella alla rifusione delle spese di assistenza delle parti civili, posto che, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, il parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato non elimina la condanna, sicche’ – pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese processuali – e’ consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207946). Pertanto, tutti gli imputati devono essere condannati alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimita’ dalle parti civili, che, anche alla luce delle note spese depositate, si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla calunnia commessa il 16/10/1997 in danno di (OMISSIS) perche’ il fatto non sussiste; annulla la medesima sentenza senza rinvio agli effetti penali quanto alle ulteriori calunnie in danno di (OMISSIS) perche’ le stesse sono estinte per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi 4 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS).
Rigetta i ricorsi di (OMISSIS)Salvatore (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
Rigetta i ricorsi delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentate dall’avv. (OMISSIS), e delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentate dall’avv. (OMISSIS), e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna, altresi’, gli imputati ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio cosi’ liquidate:
– Euro 7.500, oltre accessori di legge, alle parti civili rappresentate dall’avv. (OMISSIS);
– Euro 12.500, oltre accessori di legge, alle parti civili rappresentate dall’avv. (OMISSIS);
– Euro 5.300, oltre accessori di legge, alla parte civile rappresentata dall’avv. (OMISSIS);
– Euro 8.000, oltre accessori di legge, alle parti civili rappresentate dall’avv. (OMISSIS);
– Euro 7.500, oltre accessori di legge, alle parti civili rappresentate dall’avv. (OMISSIS) (OMISSIS);
– Euro 7.500, oltre accessori di legge, alle parti civili rappresentate dall’avv. (OMISSIS);
– Euro 7.500, oltre accessori di legge, alle parti civili rappresentate dall’avv. (OMISSIS);
– Euro 4.500, oltre accessori di legge, alla parte civile rappresentata dall’avv. (OMISSIS);
– Euro 5.000 alle parti civili rappresentate dall’Avvocatura Generale dello Stato.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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