Consiglio di Stato, Sentenza|7 febbraio 2022| n. 821.
AGCOM e domanda di clemenza.
Il codice del processo amministrativo non annovera tra le cause di sospensione necessaria del giudizio amministrativo la pendenza di un procedimento penale, ancorché relativo ai medesimi fatti di cui si controverte in causa (artt. 8 co. 2, 77 c.p.a.). L’attuale codice di procedura penale ha superato l’idea che il giudizio penale dovesse produrre risultati valevoli in qualsiasi altra sede, restringendo l’autorità extra-penale del giudicato penale alle sole ipotesi di cui all’art. 651 c.p.p. Il giudice amministrativo, al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 8 co. 2 e 77 c.p.a., non è dunque affatto tenuto alla sospensione del processo, essendo in questi casi tale scelta rimessa ad una valutazione di opportunità da compiersi in relazione alla rilevanza della pregiudizialità del giudizio penale rispetto al giudizio amministrativo.
Sentenza|7 febbraio 2022| n. 821. AGCOM e domanda di clemenza
Data udienza 27 gennaio 2022
Integrale
Tag- parola chiave: Servizi finanziari – Offerta – Intesa restrittiva della concorrenza relativamente – Art. 101 TFUE – AGCOM – Domanda di clemenza – Pendenza anche dinanzi alla Commissione europea – Avviamento dell’istruttoria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5593 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, nella qualità di esercenti la patria potestà sul minore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ro. Si. e Fr. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agenzia Nazionale per l’Amministrazione dei Beni Confiscati alla Criminalità Organizzata e Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione dei Beni Confiscati alla Criminalità Organizzata e del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2022 il Cons. Ezio Fedullo e ciste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, i sigg. -OMISSIS-, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulle minori -OMISSIS-, adivano il T.A.R. per il Lazio per dolersi della illegittimità dell’ordinanza dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, adottata ex art. 2-decies, comma 2, l. n. 575/1965 (oggi trasfuso nell’art. 47, comma 2, d.lvo n. 159 del 6 settembre 2011, n. 159), notificata in data 10 marzo 2021, con la quale veniva disposto lo sgombero della villa bifamiliare a 2 piani e seminterrato, ricadente in parte su un terreno identificato al NCT -OMISSIS-
2. Il T.A.R. adito, con la sentenza (in forma semplificata) appellata, ha respinto il gravame, facendo essenzialmente leva sulla definitività del presupposto provvedimento di confisca, sul carattere vincolato della consequenziale ordinanza di sgombero, sul fatto che il bene confiscato “acquisisce un’impronta rigidamente pubblicistica, che non consente di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche, il che determina l’assimilabilità del regime giuridico del bene confiscato a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile”.
3. Mediante i motivi di appello, cui resiste l’Agenzia appellata, gli originari ricorrenti lamentano in primo luogo l’omissione di pronuncia, inficiante la sentenza appellata, in relazione alla richiesta di sospensione del giudizio nelle more di quello avente ad oggetto la revoca della misura di prevenzione oltre che di quello risolutorio pendente innanzi al Tribunale di Roma ed introdotto da ISMEA nei confronti del sig. -OMISSIS-.
La parte appellante censura anche la statuizione con la quale il giudice di primo grado ha affermato che “tale definitività (della misura di prevenzione, n. d.e.) non è attenuata dalla possibilità di esperire rimedi straordinari (revisione e istituti similari) che si ritiene consentano una tutela risarcitoria, con esclusione della restituzione del bene”, anche deducendo che la misura di prevenzione de qua è soggetta al regime previgente a quello introdotto con il d.lvo n. 159/2011, con la conseguente retroattività restitutoria della revoca.
3.1. Il motivo non può essere accolto.
Può prescindersi, in quanto estranea al perimetro cognitivo del giudice amministrativo, da ogni valutazione, anche solo di carattere prognostico, relativa alla sussistenza dei presupposti di ammissibilità e, a fortiori, di fondatezza della richiesta di revoca del provvedimento di confisca avanzata dalla parte appellante dinanzi al Giudice della prevenzione: ciò pur non potendo omettersi di rilevare, incidenter tantum, alla luce delle ragioni poste dalla parte appellante a fondamento dell’istanza suindicata, così come accennate nell’atto di appello in esame, che la giurisprudenza ha evidenziato che “la semplice – e per certi versi naturale – evoluzione degli assetti interpretativi non è di per sè motivo di revoca di una decisione definitiva, non traducendosi in modifica delle disposizioni di legge che regolano la specifica materia oggetto di analisi (in tale direzione, quanto all’istituto della revisione v. -OMISSIS- sul tema della necessaria correlazione temporale tra pericolosità e acquisizione dei beni” (cfr. Cassazione penale, Sez. I, n. 35756 del 30 maggio 2019).
Allo stesso modo, la Sezione ritiene non decisiva, ai fini dell’accoglimento dell’istanza di sospensione de qua, la questione relativa all’efficacia ex tunc o ex nunc dell’eventuale decisione revocatoria, così come quella correlata relativa alla efficacia reintegratoria o semplicemente restitutoria per equivalente (ai sensi dell’art. 46 d.lvo n. 159/2011) del bene confiscato, in relazione alla disciplina applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame.
Invero, in primo luogo, e con riguardo all’ipotesi di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., deve infatti richiamarsi la giurisprudenza di questa Sezione secondo cui: “il codice del processo amministrativo non annovera tra le cause di sospensione necessaria del giudizio amministrativo la pendenza di un procedimento penale, ancorché relativo ai medesimi fatti di cui si controverte in causa (artt. 8 co. 2, 77 c.p.a.). L’attuale codice di procedura penale ha superato l’idea che il giudizio penale dovesse produrre risultati valevoli in qualsiasi altra sede, restringendo l’autorità extra-penale del giudicato penale alle sole ipotesi di cui all’art. 651 c.p.p. Il giudice amministrativo, al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 8 co. 2 e 77 c.p.a., non è dunque affatto tenuto alla sospensione del processo, essendo in questi casi tale scelta rimessa ad una valutazione di opportunità da compiersi in relazione alla rilevanza della pregiudizialità del giudizio penale rispetto al giudizio amministrativo. La sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. è necessaria soltanto quando la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato” (Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 2019 n. 1499). A ciò è opportuno aggiungere che il provvedimento di confisca è divenuto definitivo in quanto “ai sensi dell’art. 27, del D.Lgs. n. 159 del 2011, “i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati (…) diventano esecutivi con la definitività delle relative pronunce”; mentre, secondo le norme del codice di procedura penale (le quali si osservano, in quanto applicabili, anche in caso di confisca, ex art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 159 del 2011), le pronunce del giudice penale acquisiscono carattere definitivo, vale a dire passano in giudicato (art. 648 c.p.p.), quando non sono proponibili impugnazioni diverse dalla revisione, ovvero sia decorso inutilmente il termine per proporre impugnazioni, ovvero sia stato dichiarato inammissibile o rigettato il ricorso per cassazione” (cfr. Cons. Stato Sez. III n. 1499/2019). Al di fuori di tali presupposti, la sospensione cessa di essere necessaria e, quindi, obbligatoria per il giudice” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 7867 del 10 dicembre 2020).
Né sussistono significative ragioni di opportunità atte a giustificare la sospensione cd. facoltativa, cui fa principalmente riferimento la parte appellante, consapevole della insussistenza dei presupposti per disporre quella cd. obbligatoria.
Infatti, l’esito del presente giudizio, anche nell’ipotesi in cui fosse di segno negativo per la parte appellante, non inficerebbe gli eventuali nessi di dipendenza logico-giuridica ravvisabili, sul piano sostanziale, tra il provvedimento di confisca e l’impugnata ordinanza di sgombero, tali che la caducazione del primo farebbe venir meno gli effetti della seconda, né determinerebbe ulteriori – rispetto a quelli eventualmente previsti dall’ordinamento, sui quali è superfluo in questa sede soffermarsi – ragioni ostative alla restituzione del bene al soggetto che ne aveva la disponibilità anteriormente all’esecuzione dell’ordinanza medesima, laddove il giudizio di revocazione si concludesse in senso favorevole per il proponente: ragioni che potrebbero eventualmente derivare dal disposto dell’art. 46 d.lvo n. 159/2011, ove si ritenga applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, ma che si ricollegano comunque a presupposti ulteriori (inerenti essenzialmente alla assegnazione del bene confiscato per finalità istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell’articolo 48, comma 3, del d.lvo n. 159/2011, oltre che al pregiudizio per l’interesse pubblico suscettibile di derivare dalla restituzione) rispetto alla mera adozione dell’ordinanza di sgombero, costituente l’oggetto esclusivo del presente giudizio.
In tale ottica, se si considera che, come dedotto dalla parte appellante, è imminente la definizione del giudizio di revocazione, la conclusione eventualmente negativa del presente giudizio non potrebbe comunque determinare un sacrificio significativo per le ragioni di coloro che vantano diritti sul bene interessato dall’impugnata ordinanza di sgombero, atto a giustificare l’accoglimento della richiesta di sospensione (laddove i pregiudizi di carattere pratico, connessi all’esecuzione dell’ordinanza medesima, hanno trovato la loro pertinente sede di apprezzamento nel giudizio cautelare, peraltro conclusosi in senso sfavorevole agli appellanti: cfr. ordinanza n. 3991 del 16 luglio 2021).
Né a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi in relazione al giudizio risolutorio che ISMEA, originaria proprietaria delle aree interessate dalla edificazione dell’immobile oggetto dell’ordinanza di sgombero impugnata, ha intentato nei confronti degli assegnatari dei suoli, in ragione della diversa destinazione da essi data ai beni assegnati in riservato dominio rispetto a quella concordata.
Ribadite, anche rispetto al suddetto giudizio, le ragioni ostative alla configurazione dei presupposti per la sospensione necessaria del giudizio, deve osservarsi, con riguardo a quella di carattere facoltativo, che il suddetto giudizio risolutorio ha ad oggetto il contratto di compravendita con patto di riservato dominio concernente la sola area sulla quale è stata realizzata la “villa bifamiliare” oggetto dell’impugnata ordinanza di sgombero, così come, del resto, la stessa confisca ha ad oggetto i soli “diritti che ai coniugi D. e A. A. spettano in dipendenza della compravendita con riservato dominio” (cfr. decreto del Tribunale di Reggio Calabria n. 12/2011): dal fatto, quindi, che il presente giudizio concerne un bene (l’immobile edificato sul suolo oggetto della predetta compravendita) diverso da quello cui ha riguardo il giudizio di risoluzione, unitamente al rilievo per cui il promotore del giudizio di risoluzione è un soggetto diverso dagli odierni appellanti, non può non derivare la conclusione secondo la quale non sono ravvisabili ragioni concrete di opportunità atte a giustificare la sospensione del presente giudizio nelle more di quello asseritamente presupposto.
4. Nel seguito dell’appello, la parte proponente deduce che la mancata trascrizione del sequestro sul bene, siccome effettuato sul solo diritto derivante in capo all’acquirente dal menzionato patto di riservato dominio, avrebbe impedito all’atto (cautelare) di produrre i suoi effetti.
Soggiunge la parte appellante che, avendo il Giudice della Prevenzione, nel decreto di sequestro e confisca, limitato gli stessi al solo diritto dei proposti, esso non può avere determinato l’estensione della confisca ad alcun bene ulteriore, poiché oggetto di confisca non è stato il terreno, ma il diritto derivante dalla vendita con patto di riservato dominio.
La censura non può essere accolta.
E’ sufficiente osservare, in senso contrario e per quanto rileva ai fini della valutazione della legittimità, nei limiti delle deduzioni attoree, dell’ordinanza impugnata di sgombero, che il provvedimento di confisca – che della stessa costituisce il necessario presupposto – estende espressamente gli effetti ablatori agli edifici realizzati sui fondi oggetto del suindicato atto di compravendita avente ISMEA come dante causa: ciò in applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui “è pienamente legittima la confisca di addizioni, trasformazioni o miglioramenti di beni già nella disponibilità del proposto quando tali modifiche siano avvenute con l’impiego di risorse di derivazione illecita perché frutto o reimpiego di proventi illeciti o sproporzionate in eccesso rispetto alle entrate lecite” (cfr. pag. 26 del provvedimento di prevenzione).
Tale rilievo vanifica ogni argomentazione critica intesa, come quelle della parte appellante, ad evidenziare che il sequestro (così come la confisca), siccome limitato ai diritti derivanti dalla compravendita con patto di riservato dominio in capo agli aventi causa della proprietaria ISMEA, non potrebbe generare l’apprensione al patrimonio pubblico dell'”addizione” (rappresentata, nella specie, dagli immobili edificati sul suolo oggetto del suddetto contratto) realizzata dall’acquirente; né più favorevole valutazione meritano le deduzioni attoree intese a sottolineare il carattere derivativo dell’acquisto che la confisca produce a favore dello Stato ovvero la preesistenza dei manufatti (siccome oggetto di un mero intervento di ristrutturazione da parte del proposto), quali ipotetici motivi ostativi alla inclusione dei medesimi immobili nell’oggetto del provvedimento ablativo, siccome esulanti dall’ambito dei presupposti legittimanti l’adozione dell’impugnata ordinanza di sgombero, circoscritti per quanto detto alla sola esistenza di un provvedimento definitivo di confisca avente ad oggetto i beni interessati dal provvedimento di autotutela demaniale (che nella specie, come rilevato, abbraccia anche la villa oggetto di sgombero).
Del resto, non può non aggiungersi che il potere di confisca si fonda in maniera assorbente su valutazioni inerenti alla correlazione tra la disponibilità del bene in capo al proposto e la sussistenza di ragionevoli elementi per ipotizzarne l’acquisizione, da parte dello stesso o di soggetti gravitanti nella relativa orbita relazionale, mediante illeciti proventi (ciò che il Giudice della prevenzione, appunto, ha ritenuto di acclarare con riferimento all’immobile de quo), indipendentemente da considerazioni di ordine giuridico-formale inerenti ai rapporti (di accessorietà o meno) tra i beni coinvolti (rilevanti, semmai, ai fini della delimitazione degli effetti dispositivi che li assumano ad oggetto).
Il rilievo che precede pone quindi in posizione recessiva, nell’ambito del presente giudizio, ogni considerazione inerente alla legittimità, in parte qua (ovvero con riferimento agli immobili edificati), della misura ablativa, che avrebbe dovuto trovare spazio nell’ambito del relativo giudizio di prevenzione (anche nei suoi gradi successivi a quello applicativo della misura): ciò non senza evidenziare che, come si evince dalla documentazione prodotta in primo grado dall’Agenzia, il provvedimento ablativo risulta regolarmente trascritto sull’unico bene (il suolo edificato) di cui, come dalla stessa dedotto in primo grado, sono rinvenibili le relative risultanze catastali.
5. Deve infine esaminarsi la censura intesa a contestare la statuizione reiettiva recata dalla sentenza appellata con riferimento al vizio di incompetenza asseritamente inficiante l’ordinanza impugnata, siccome sottoscritta dal dirigente della sede locale (di Reggio Calabria) dell’Agenzia appellata: vizio di cui il T.A.R. ha ravvisato l’insussistenza sul rilievo che l’art. 112, comma 1, d.lgs. n. 159/2011 riserva alla competenza del Direttore, che assume la rappresentanza legale dell’Agenzia e svolge funzioni di indirizzo e coordinamento, l’adozione dei decreti di destinazione dei beni confiscati in via definitiva, ai sensi dell’art. 48 dello stesso decreto, mentre, come dedotto dalla difesa erariale, deve ritenersi compresa nelle attribuzioni dei dirigenti, secondo i principi generali, l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o da altro atto normativo tra le funzioni attribuite agli organi.
Mediante il corrispondente motivo di appello, la parte appellante deduce che dalla citata previsione di legge, regolatrice del processo istitutivo di sedi secondarie dell’Agenzia appellata, non è ricavabile una “strutturale deconcentrazione, su base regionale, dell’ente”, atteso che la norma à ncora “la scelta a presupposti particolari che potrebbero non sussistere o che potrebbero ad un certo punto venire meno”: conclusione che troverebbe conferma nel fatto che, in sede regolamentare, si è previsto che le sedi secondarie “possono essere individuate nel numero massimo di sei”, che “non costituiscono uffici di livello dirigenziale” (art. 3, commi 1 e 2, d.P.R. n. 235/2011 cit.) e che i regolamenti governativi previsti dall’art. 113, comma 1, d.lvo cit. (dd.P.R. 15 dicembre 2011, nn. 233, 234 e 235) recano la stringente previsione dei poteri del Direttore e del Consiglio, la quale “confina di riflesso la competenza dirigenziale in un ambito più ristretto”.
Conclude la parte appellante osservando che “le sedi secondarie non danno luogo ad uffici “organi”, dotati di una propria sfera di “competenza” e che la disciplina delle sedi secondarie “esclude comunque che tali sedi (secondarie, n. d.e.) possano assurgere a uffici di livello dirigenziale”, per cui “le sedi secondarie non danno luogo ad uffici “organi”, dotati di una propria sfera di “competenza””.
5.1 Il motivo, nella sua complessiva articolazione, non è meritevole di accoglimento.
5.2. Deve premettersi che i riferimenti normativi, di segno regolamentare, sui quali si fonda la censura in esame non possono (più ) considerarsi pertinenti, atteso che il regolamento citato (d.P.R. n. 235/2011) è stato soppiantato dal regolamento approvato con d.P.R. n. 118 del 9 agosto 2018, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, che ne ha anche disposto la formale abrogazione (art. 15, comma 1).
Deve altresì osservarsi che le sedi secondarie, cui è preposto un dirigente, sono riconducibili, nell’ambito della struttura organizzativa dell’Agenzia come dipinta dall’art. 3, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 118/2018, al genus degli “uffici, aventi natura di strutture di livello dirigenziale non generale”, cui l’art. 17, comma 1, lett. b d.lvo n. 165/2001 (la cui applicabilità all’Agenzia è espressamente affermata dall’art. 2, comma 3, del citato d.P.R.) attribuisce il compito, tra gli altri, di curare “l’attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate”, il quale non può non esprimersi attraverso l’adozione di provvedimenti aventi, come quello della cui legittimità si discute, rilevanza esterna.
Né potrebbe sostenersi che la competenza dirigenziale è suscettibile di incidere in quella del Direttore o del Consiglio direttivo, attesa l’attribuzione al primo di compiti di attuazione degli indirizzi generali e di rappresentare l’Ente (art. 112, comma 1, d.lvo n. 159/2011) ed al secondo essenzialmente di compiti di indirizzo, controllo, programmazione e monitoraggio (art. 112, comma 4, d.lvo cit.), compreso – appunto – il potere di istituire, “in relazione a particolari esigenze, fino a un massimo di quattro sedi secondarie, in regioni ove sono presenti in quantità significativa beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nei limiti delle risorse di cui all’articolo 110, comma 1” (art. 112, comma 4, lett. c-bis d.lvo cit.).
5.3. In tale cornice normativa, risultante dal concorso prescrittivo delle citate fonti generali e speciali, si iscrive il disposto dell’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 118/2018, ai sensi del quale “con successivo atto organizzativo del direttore dell’Agenzia, previa comunicazione al Ministro dell’interno ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del decreto legislativo n. 159 del 2011, sono definite le competenze degli uffici dirigenziali non generali e delle strutture di livello non dirigenziale di cui alla Tabella B allegata, che costituisce parte integrante del presente regolamento, nonché la graduazione degli uffici”.
Nell’esercizio di tale potere è stato appunto adottato, da ultimo, il decreto del Direttore dell’Agenzia prot. n. 29603 del 2 luglio 2019 (consultabile sul sito web ufficiale dell’Agenzia, alla pagina https://www.benisequestraticonfiscati.it/wp-content/uploads/2020/04/20190702_Nuovoattoorganizzativo_definitivo_allegati_-8.pdf), il quale, all’art. 7 (“Sedi secondarie”), per quanto di interesse, prevede:
– al comma 2, che “alle sedi secondarie di cui al comma 1 è preposto un dirigente di livello dirigenziale non generale che è responsabile dell’andamento complessivo della sede e opera alle dirette dipendenze del Direttore dell’Agenzia nazionale al fine di attuarne gli indirizzi generali a livello territoriale”;
– al comma 3, che “le sedi secondarie di cui al comma 1 svolgono, nelle proprie aree di competenza, le attività relative all’istruttoria, alla gestione e al controllo dei beni immobili, mobili non registrati sequestrati e confiscati e delle connesse esigenze finanziarie; curano i rapporti con i soggetti anche istituzionali coinvolti nell’amministrazione e nella destinazione dei beni; …”;
– al comma 4, che “ai fini di quanto previsto dal comma 3, le sedi secondarie attuano le direttive impartite dalle Direzioni generali negli ambiti di rispettiva competenza, cooperando con esse, e sono soggette al loro controllo e monitoraggio”.
Dai rilievi che precedono, non può quindi che derivare la reiezione del motivo di appello appena esaminato.
6. Va infine evidenziato che in data 20 gennaio 2022 la parte appellante ha depositato atto di “motivi aggiunti” e contestuale istanza di misure cautelari, rappresentando il pregiudizio che l’esecuzione del provvedimento impugnato arrecherebbe alle esigenze scolastiche delle minori -OMISSIS-
Ebbene, deve rilevarsi che l’atto suindicato non è suscettibile di ampliare il thema decidendum, essendo la relativa facoltà circoscritta ai casi in cui “la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati” (art. 104, comma 3, c.p.a.), nella specie non ricorrenti.
7. L’appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto, mentre la peculiarità degli interessi coinvolti giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare gli appellanti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Francesca Quadri – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
Giovanni Tulumello – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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