Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 15 maggio 2019, n. 12927.

La massima estrapolata:

Nell’ambito dell’accertamento in materia di Iva e di imposte sui redditi, il rilievo di ammanchi di beni in forza di scritture contabili non obbligatorie esclude l’applicabilità della disciplina dettata dal Dpr 441/1997 in tema di presunzioni di cessione e di acquisto di beni. Tale precetto, infatti, prevede che le mancanze siano riscontrate a seguito di un inventario fisico dei beni o di un confronto basato su documentazione contabile obbligatoria. Tuttavia, non risultano inapplicabili le disposizioni generali che consentono la rettifica delle dichiarazioni tributarie anche in forza di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’articolo 2729 del Codice civile, in quanto le stesse possono essere desunte anche da documentazione contabile non obbligatoria tenuta dal contribuente e rinvenuta dai verificatori o spontaneamente esibita.

Ordinanza 15 maggio 2019, n. 12927

Data udienza 26 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19463/2012 R.G. proposto da:
(OMISSIS)- s.p.a., rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale-sezione di Trento, n. 1/2012, depositata in data 18 gennaio 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

RILEVATO

che:
1.L’Ufficio distrettuale delle imposte di Trento ha notificato alla (OMISSIS)- s.p.a.:
a)l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale, per l’anno d’imposta 1975, a fronte di un reddito negativo dichiarato di Lire -138.278.537, ha accertato un reddito imponibile, ai fini IRPEG, di Lire 120.000.333 e, ai fini ILOR, di Lire 122.666.741;
b) l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale, per l’anno d’imposta 1976, a fronte di un reddito negativo dichiarato di lire -239.462.803, ha accertato un reddito imponibile, ai fini IRPEG ed ILOR, di lire 73.277.800.
2.La societa’ contribuente ha proposto distinti ricorsi avverso i predetti avvisi dinnanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Trento che, dopo averli riuniti, li ha parzialmente accolti.
3.L’Ufficio ha proposto appello principale contro tale sentenza dinnanzi alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, mentre la societa’ contribuente ha proposto appello incidentale.
La Commissione tributaria di secondo grado ha rigettato l’appello principale ed accolto quello incidentale.
L’Ufficio ha quindi proposto ricorso, avverso la sentenza di secondo grado, di fronte alla Commissione tributaria centrale-sezione di Trento, che, con la sentenza n. 1/2012, depositata in data 18 gennaio 2012, ha cosi’ deciso: “accoglie il ricorso dell’ufficio limitatamente ai “beni viaggianti”, alle “differenze inventariali” e ai “maggiori ricavi”. Respinge per il resto.”.
4.La societa’ contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza della Commissione tributaria centrale, articolando tre motivi.
5.L’Agenzia delle Entrate si e’ costituita, depositando controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Considerato che:
1.Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, articoli 74, 56 e 53, nonche’ per l’insufficiente motivazione, relativamente al capo in cui, accogliendo il ricorso dell’ufficio, ha confermato gli avvisi di accertamento riguardo al rilievo concernente la merce viaggiante acquistata dalla contribuente con fattura del 1974, ma consegnatale nel 1975. L’Ufficio, infatti, aveva ritenuto che la contribuente avesse violato il criterio di competenza, imputando il relativo costo nel 1975, invece che nel 1974, quando il costo della stessa merce era gia’ certo e determinato, come da fattura. Sostiene la ricorrente che la decisione impugnata ha violato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 53, comma 3, vigente ratione temporis, a norma del quale:” I corrispettivi si considerano conseguiti:
a) per le cessioni di beni mobili, alla data della consegna o della spedizione o a quella, se posteriore, in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprieta’ o di altro diritto reale;”.
Pertanto, a detta del ricorrente, la CTC avrebbe violato tale disposizione, senza peraltro motivare sufficientemente sul punto.
1.1. Va innanzitutto premesso che il richiamo, nella rubrica del ricorso, all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ improprio e non configura un’effettiva censura rispetto alla motivazione in fatto della decisione impugnata, coincidendo invece con la contestuale denuncia dello stesso errore di diritto.
Tanto premesso, il motivo e’ inammissibile, non essendo autosufficiente, atteso che, come eccepito dalla controricorrente Agenzia, la ricorrente non ha dedotto di aver provato i possibili criteri d’imputazione dei costi delle merci viaggianti concretamente rilevanti nel caso di specie, ovvero la data di spedizione, quella di consegna o le condizioni contrattuali eventualmente diverse, che era suo onere allegare e provare (cfr. Cass., 09/08/2016, n. 16771).
2.Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 5, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, articolo 12; del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, articolo 54, comma 1, articolo 62 e articolo 74, comma 1; nonche’ per l’omessa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441, articoli 1 e 4; oltre che per l’insufficiente e contraddittoria motivazione, relativamente al capo in cui, accogliendo il ricorso dell’ufficio, ha confermato gli avvisi di accertamento relativamente al rilievo concernente le differenze inventariali.
L’Ufficio, infatti, ha recuperato a tassazione, quale componente positivo del reddito d’impresa, il valore della merce non rilevata quantitativamente tra le rimanenze della contribuente.
Assume la ricorrente che la presunzione legale di cessione dei beni acquistati, che non si trovino nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, ha, quale necessario presupposto obbiettivo, che il raffronto tra i beni acquistati, importati o prodotti e quelli presenti in magazzino sia eseguito riscontrando materialmente l’assenza degli stessi beni nei predetti locali, e non sia invece condotto sulla sola base della variazione, nel tempo, del valore del magazzino globale del contribuente. Nel caso di specie, secondo la ricorrente, la differenza tra beni acquistati e beni presenti nel magazzino della contribuente e’ stata desunta da un “conto gestione cumulato”, documento che la stessa societa’ ha fornito spontaneamente in visione all’Ufficio nel corso della verifica, e che e’ redatto in termini di valore delle merci, non della loro quantita’ fisica.
Avrebbe pertanto errato il giudice a quo nel ritenere operante la predetta presunzione e, pertanto, nell’accogliere l’appello dell’Ufficio, confermando il rilievo in conseguenza della mancata prova, da parte della contribuente, di eventi (cali naturali, scarti di lavorazioni, furti) che potessero giustificare la differenza la differenza tra beni acquistati e beni presenti nel suo magazzino.
Premesso che, nel corpo del motivo, la ricorrente erroneamente indica, quale norma sulla presunzione di cessione e di acquisto, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 53, in luogo del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 53, il cui testo comunque riproduce correttamente, il motivo e’ infondato.
Invero, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, la CTC non ha accolto l’appello in parte qua, confermando il relativo rilievo, sulla base dell’operativita’ della presunzione legale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 53 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 441 del 1997, articoli 1 e 4, che non menziona, neppure indirettamente. Invece, la sentenza impugnata ha ritenuto fondato il rilievo in considerazione della circostanza che in sede di valutazione delle rimanenze non risultavano quantitativamente parte dei beni acquistati, senza che la contribuente avesse fornito prova degli eventi (furti, scarti di lavorazione, cali naturali) da essa stessa addotti per giustificare la differenza in questione.
In materia, questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare che:” In tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, il rilievo di ammanchi di beni sulla base di scritture contabili non obbligatorie (nella specie i prospetti inventariali di magazzino relativi ai depositi di singoli punti vendita appartenenti ad aziende della grande distribuzione, essendo tali prospetti prescritti dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articoli 14 e 22, solo per i “magazzini interni centralizzati”) esclude l’applicabilita’ della disciplina dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441, in materia di presunzioni di cessione e di acquisto di beni, la quale presuppone che gli ammanchi siano riscontrati a seguito di un inventario fisico dei beni o di un confronto basato su documentazione contabile obbligatoria. Non sono tuttavia inapplicabili le disposizioni generali che consentono la rettifica delle dichiarazioni fiscali anche sulla base di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’articolo 2729 c.c., in quanto queste possono essere desunte anche da documentazione contabile non obbligatoria tenuta dal contribuente e rinvenuta dai verificatori o spontaneamente esibita.” (Cass., 13/06/2012, n. 9628. Conforme, Cass., 18/05/2018, n. 12245).
In particolare, e’ stato ritenuto che:” L’inoperativita’ delle presunzioni legali di cessione non comporta, tuttavia, come pretende la contribuente, anche l’inapplicabilita’ delle norme generali in tema di accertamento delle imposte (in specie, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54), le quali consentono la rettifica delle dichiarazioni anche sulla base di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’articolo 2729 c.c.; e la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ammesso la rilevanza, a detti fini, di documentazione, pur se non obbligatoria, tenuta dal contribuente e rinvenuta dai verificatori o spontaneamente esibita (cfr. Cass. nn. 6949 del 2006, 7184 del 2009). Ne consegue che ben potevano essere oggetto di valutazione, in virtu’ delle norme citate, sia ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento, sia ai fini della successiva decisione del giudice, i prospetti inventariali volontariamente redatti dalla contribuente (gia’ e’ stato affermato che, al fine della rettifica della dichiarazione IVA per differenze delle merci giacenti rispetto a quelle contabilizzate, la mancanza di un inventario “fisico” di dette merci giacenti, necessario per rendere operante la presunzione di cessione delle merci non rinvenute, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 53, comma 1, non osta, alla stregua dell’articolo 54 del decreto cit., a che l’ufficio possa avvalersi di altre scritture, diverse da quelle obbligatorie vidimate e bollate – nella specie, prospetti di “differenze inventariali” redatti dal contribuente -, dalle quali siano desumibili omissioni, falsita’ od inesattezze della denuncia: Cass. n. 479 del 1991).” (Cass., 13/06/2012, n. 9628, in motivazione).
Nel caso di specie, quindi, non ha errato il giudice a quo nel ritenere che la documentazione acquisita (compreso pertanto lo stesso “conto gestione cumulato”, che la ricorrente riconosce di aver spontaneamente consegnato ai verificatori) potesse comunque fondare la presunzione, semplice, delle cessioni in questione, anche in considerazione della mancata prova delle giustificazioni contrarie che la stessa contribuente (per quanto risulta dalla sentenza) aveva dedotto.
Quanto poi alla serie di argomentazioni di natura economica e gestionale che la parte (riproducendo ampiamente stralci di pubblicazioni) espone per contrastare la conclusione cui e’ pervenuta la CTC sul punto, deve rilevarsi che si tratta di considerazioni di carattere generale che non contribuiscono ad evidenziare la pretesa insufficienza (ne’, tantomeno, la sostenuta contraddittorieta’) della motivazione della sentenza impugnata, riferita al caso concreto ed alla rilevata carenza probatoria delle giustificazioni addotte dalla contribuente in contrapposizione al dato indiziario relativo alle rimanenze ed alle differenze inventariali.
3.Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, relativamente al capo in cui, accogliendo il ricorso dell’ufficio, ha confermato gli avvisi di accertamento relativamente al rilievo concernente i maggiori ricavi contestati alla contribuente.
Assume la ricorrente che la CTC ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’accertamento induttivo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, nonostante la regolarita’ della relativa contabilita’, sulla base della circostanza che la stessa societa’ contribuente ha dichiarato, negli anni d’imposta oggetto dell’accertamento, rilevanti perdite d’esercizio. Tuttavia, secondo la ricorrente, la contestata antieconomicita’ della gestione imprenditoriale dovrebbe ritenersi giustificata dal complessivo quadro di crisi economica generale, verificatosi nel periodo in cui si collocano gli anni d’imposta sub iudice.
Inoltre, secondo la ricorrente, i ricavi non contabilizzati sono stati ricostruiti sulla base di una percentuale di ricarico media, ottenuta rapportando il valore delle giacenze di magazzino, inventariati dalla contribuente riportando l’ultimo prezzo unitario di vendita, con il valore delle giacenze al prezzo medio ponderato, nonostante si trattasse di grandezze non omogenee tra loro.
Nella motivazione della decisione impugnata, sostiene la ricorrente, manca qualsiasi preciso riferimento concreto idoneo quanto meno ad identificare i dati accertati e posti a fondamento della relativa decisione.
3.1. Tanto premesso, il motivo e’ inammissibile, relativamente
alla contestazione del presupposto dell’antieconomicita’, atteso che la pretesa carenza della motivazione viene individuata nella mancata considerazione di una complessiva crisi economica generale, descritta senza specifico riferimento a concreti elementi oggettivi, riferibili alla contribuente in questione ed agli esercizi con riferimento ai quali le sono stati concretamente imputati i maggiori ricavi, e quindi astratta rispetto alla fattispecie concreta oggetto della controversia ed al correlato obbligo di motivazione del giudice a quo.
Il motivo e’ altrettanto inammissibile con riferimento alla censura relativa alle modalita’ con la quale i maggiori ricavi sono stati accertati, atteso che la ricorrente non ha riprodotto nel corpo del ricorso, ne’ comunque specificamente individuato, i passi essenziali della motivazione dell’avviso di accertamento avverso i quali e’ indirizzata la sua doglianza.
Infatti, questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare che:” (…) secondo massima consolidata di questa Suprema Corte in base al principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, sancito dall’articolo 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruita’ del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non e’ atto processuale, bensi’ amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimita’ dell’atto stesso – e’ necessario, a pena di inammissibilita’, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruita’ esclusivamente in base al ricorso medesimo (cfr. per tutte Cass. 15867/04).” (Cass., 29/05/2006, n. 12786. Conforme Cass., 04/06/2007, n. 13007).
4.Con il primo motivo di ricorso incidentale, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’Ufficio censura la sentenza impugnata per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, articolo 62; del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, articolo 12; e articolo 2697 c.c., per avere il giudice a quo, relativamente al capo della decisione in materia di “Offerte speciali. Oscillazioni in meno”, erroneamente addossato all’Amministrazione l’onere di provare l’inesistenza delle offerte speciali e delle variazioni in diminuzione del prezzo di vendita delle merci, dedotte dalla contribuente, ma ritenute dall’ufficio non documentate e recuperate a tassazione, sulla base della stessa documentazione aziendale della contribuente.
Piuttosto, secondo l’Ufficio, era la contribuente ad essere onerata della relativa prova, atteso che le pretese diminuzioni del prezzo di vendita della merce – dedotte dalla stessa contribuente per sostenere che alla voce ” oscillazioni in meno”, contenuta nel gia’ citato “conto gestione cumulato”, non corrispondeva una effettiva diminuzione fisica della merce in magazzino- inciderebbero direttamente sulle rimanenze finali, le quali costituiscono una componente negativa del reddito imponibile.
4.1. Il motivo e’ fondato.
Infatti, era onere del contribuente, che intendeva sostenere la maggior consistenza fisica delle sue rimanenze finali, dimostrare sia la contestata effettivita’ delle dedotte “offerte speciali”; sia che la voce “oscillazioni in meno”, presente nella stessa documentazione extracontabile proveniente dal contribuente (che l’ha spontaneamente consegnata ai verificatori e l’ha prodotta in questa sede, inserendola nel corpo del ricorso), corrispondesse a sconti sulla merce in vendita. Infatti, questa Corte ha gia’ in precedenza chiarito che:” In tema di IVA, l’accertamento induttivo avente ad oggetto la ricostruzione delle rimanenze iniziali e finali puo’ essere effettuato o sulla base dei dati della contabilita’ aziendale, che costituiscono prova a carico del contribuente e di cui deve presumersi l’esattezza, o attraverso la ricerca di elementi che contraddicano i dati forniti dal contribuente; a quest’ultimo non e’, comunque, consentito di richiedere una verifica fattuale, postulando la non corrispondenza al vero delle proprie annotazioni cartacee.” (Cass. 19/10/2007, n. 21951 del 19/10/2007. Conforme Cass., 27/07/2016, n. 15615).
Sul punto la CTC ha respinto il ricorso dell’ufficio affermando, con riferimento alle “offerte speciali”, che non sarebbe necessaria “soverchia dimostrazione” che si tratti di una semplice vendita a prezzi inferiori; e, con riferimento alle “oscillazioni in meno”, che “e’ conoscenza comune” che gli esercizi commerciali pratichino sconti.
L’Ufficio, pertanto avrebbe erroneamente interpretato, “senza elementi probatori a sostegno”, le voci in questione.
Tale motivazione non puo’ essere condivisa in diritto, laddove sembra trasferire all’ufficio l’onere della prova, in ordine all’effettiva natura dei due fenomeni incidenti sulle rimanenze finali, in conseguenza delle previa affermazione dei concetti di offerta speciale e di sconto, e della comune ricorrenza di entrambe le fattispecie nella pratica commerciale. Tuttavia, come osserva l’Agenzia ricorrente incidentale, non erano in discussione ne’ la definizione di sconto od offerta speciale, ne’ la loro astratta ricorrenza nella pratica commerciale, ma l’effettiva sussistenza di entrambi nel caso di specie, al fine di verificarne la coincidenza, anche quantitativa, con le relative voci del prospetto contabile al quale la contribuente voleva ricondurle.
La sentenza impugnata va quindi cassata in parte qua, con conseguente rinvio al giudice di merito affinche’ provveda ai relativi accertamenti in fatto.
5.Con il secondo motivo di ricorso incidentale, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ufficio censura la sentenza impugnata per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, articolo 74, per avere il giudice a quo:
a) relativamente al capo della decisione in materia di “Premi una tantum”, erroneamente ritenuto corretta l’imputazione del costo agli anni d’imposta 1975 e 1976, benche’ una parte dei premi sia stata pagata ai dipendenti della contribuente nell’anno 1974, in esecuzione di un accordo aziendale concluso nello stesso anno;
b) relativamente al capo della decisione in materia di “Costo gasolio”, erroneamente ritenuto corretta l’imputazione del costo all’anno d’imposta 1976, sulla base di una fattura datata 31 dicembre 1976, benche’ quest’ultima non si riferisse al costo sostenuto nello stesso anno.
5.1. Il motivo e’ in parte fondato.
Infatti, con riferimento alla voce “Premi una tantum”, risulta dalla stessa sentenza impugnata che l’accordo aziendale era stato sottoscritto nel 1974 e che, in base ad esso, ogni dipendente della contribuente, purche’ permanesse il rapporto di lavoro con quest’ultima, avrebbe ricevuto la somma di Lire 1.000.000 alla fine del 1974 e del 1975, fatto salvo l’eventuale recupero, in caso di dimissioni anticipate del dipendente, di una parte del premio, proporzionale ai mesi degli anni 1974 e 1975, nei quali il rapporto era cessato.
Risulta dalla stessa sentenza che, in forza di tale accordo aziendale, i premi vennero effettivamente pagati al 31 dicembre del 1974 ed al 31 dicembre del 1975.
Pertanto, nel rispetto dell’inderogabile criterio di competenza, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 74, vigente ratione temporis, visto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973 cit., articolo 56, comma 1, (“La data in cui i costi si considerano sostenuti e’ determinata con criteri corrispondenti a quelli stabiliti nell’articolo 53, comma 3”), che rinvia al precedente articolo 53, comma 3 (“I corrispettivi si considerano conseguiti: (…) c) per le prestazioni di servizi, alla data in cui sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alle date di maturazione dei corrispettivi.”, il costo rappresentato dai premi pagati nell’anno 1974 andava necessariamente imputato al reddito imponibile dello stesso anno d’imposta, nel quale era sorto il relativo titolo, erano stati prestati i relativi servizi dai dipendenti, si era realizzato il presupposto della permanenza di questi ultimi alle dipendenze della contribuente per il medesimo anno ed erano pure avvenuti i relativi pagamenti.
La circostanza, che la CTC pare addurre per giustificare l’imputazione del costo dei premi relativi all’anno 1974 al reddito imponibile del 1975, poiche’ solo alla conclusione di quest’ultimo si sarebbe potuto verificare il quantum del premio effettivamente spettante a ciascun dipendente, appare irrilevante, ai fini del Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 74 cit., comma 1, (“I ricavi, proventi, costi e oneri concorrono a formare il reddito d’impresa nell’esercizio di competenza a meno che la loro esistenza non sia ancora certa o il loro ammontare non sia ancora determinabile in modo oggettivo, nel qual caso sono imputati al reddito del periodo d’imposta in cui si verificano tali condizioni.”), gia’ per la sua non congruenza con il contenuto dell’accordo aziendale, cosi’ come descritto nella medesima decisione.
E’ infatti palese che, secondo il meccanismo contrattuale descritto dalla stessa CTC, alla fine dell’anno d’imposta 1974 la contribuente era necessariamente consapevole delle eventuali dimissioni di suoi dipendenti nello stesso anno e pertanto poteva senza alcuna difficolta’ determinare quella parte dei premi, pagata nel medesimo periodo temporale, che costituiva un costo ormai definitivamente consolidato nel quantum, atteso che le loro ipotetiche dimissioni nell’anno successivo avrebbero determinato la ripetibilita’, proporzionale ai mesi non lavorati, solo dei premi pagati nello stesso anno successivo.
Pertanto, considerato pure che non risulta dalla sentenza che vi siano state dimissioni di dipendenti della contribuente nell’anno d’imposta 1974, alla fine di quest’ultimo vi era necessariamente la certezza matematica del relativo costo.
A tanto premesso, si aggiunga inoltre che – ferma restando l’integrazione dei criteri d’imputazione del relativo costo, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articoli 74, 53 e 56 cit., gia’ con riferimento all’anno d’imposta 1974- come sostenuto dall’Ufficio ricorrente, l’eventuale verificarsi, nei successivi periodi d’imposta, dei presupposti della parziale ripetizione di somme gia’ pagate ai dipendenti per effetto dello stesso accordo, avrebbe in ipotesi reso necessaria l’imputazione dell’importo recuperabile tra le sopravvenienze attive di quel periodo, piuttosto che giustificare ex post la mancata imputazione del costo corrispondente nell’annualita’ di effettiva competenza.
Con riferimento alla voce “Costo gasolio”, il motivo risulta invece inammissibile, poiche’ non attinge la ratio decidendi essenziale esposta dalla CTC, relativa alla ritenuta “impossibilita’ o comunque estrema difficolta’” per la contribuente di rilevare la consistenza del gasolio al 31 dicembre di ogni anno. Si tratta di una valutazione in fatto, rilevante ai sensi della posticipazione dell’imputazione delle componenti negative del reddito al periodo d’imposta in cui si verifica la certezza della loro esistenza o del loro ammontare, che l’Ufficio ricorrente non ha censurato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ne’, peraltro, la stessa Agenzia ricorrente ha indicato in quale fase e grado del giudizio di merito sia stata versata in atti, la fattura datata 31 dicembre 1976, della quale fa menzione (senza riprodurla) nel controricorso.
Tanto meno la medesima fattura, ed il suo contenuto, risultano specificamente menzionati nella sentenza della CTC, rimanendone quindi preclusa a questa Corte la conoscenza, ai fini della comprensione effettiva dello stesso secondo motivo del ricorso incidentale, in parte qua.

P.Q.M.

Rigetta il secondo motivo e dichiara inammissibili il primo ed il terzo motivo del ricorso principale;
accoglie il primo e, nei termini di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti;
rinvia alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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