A mente dell’art. 80 c. 4 del d.lgs. 50/2016 un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 2 aprile 2019, n. 2183.

La massima estrapolata:

A mente dell’art. 80 c. 4 del d.lgs. 50/2016 un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Il legislatore si è, altresì, peritato di definire tanto il concetto di “gravi violazioni” identificandole in quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 che quello di “violazioni definitivamente accertate” individuate in “quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione”. Un tempestivo atto di resipiscenza vale, poi, ad elidere gli effetti interdittivi delle violazioni suddette, non essendo suscettiva di sanzione espulsiva l’infrazione grave e definitivamente accertata nei casi in cui “..l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande”

Sentenza 2 aprile 2019, n. 2183

Data udienza 19 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9109 del 2018, proposto da Co. S.p.A., in proprio e quale mandataria di RTI con Ra. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Pe., Ar. Te., Cl. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Pe. in Roma, corso (…);
contro
Ci. Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato En. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. An. Pe., Lu. Di. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via (…).
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli Sezione Quinta, n. 05848/2018, resa tra le parti nel giudizio con numero di rg. 524/18.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ci. Vi. S.r.l. e dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 marzo 2019 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Gi. Pe., Cl. Pr., Lu. Di. Pe. e En. So.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’appellante è risultata aggiudicataria della gara indetta per l’affidamento del servizio di vigilanza armata delle strutture dell’ASL NA 3 SUD, limitatamente al lotto 1, aggiudicazione approvata con deliberazione del direttore generale n. 892 del 28 dicembre 2017, per la durata di un anno a decorrere dal 1° marzo 2018, per una spesa presunta annua di Euro 3.764.759,00 (IVA esclusa), inclusi oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso.
Pur tuttavia, in accoglimento del ricorso della odierna controinteressata, Ci. Vi. S.r.l. (d’ora in avanti Ci.), e previo rigetto del ricorso incidentale proposto da Co., il TAR per la Campania, sede di Napoli, Sezione V, con la sentenza n. 5848/18, pubblicata il 10.10.2018 e qui appellata, ha disposto l’annullamento della detta aggiudicazione all’uopo valorizzando la situazione di grave irregolarità fiscale in cui ha ritenuto che versasse Co. in ragione del definitivo consolidamento – a conclusione del giudizio tributario definito con sentenza della Corte di Cassazione n. 18015 del 14 settembre 2016 – del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate di revoca del credito di imposta per Euro 159.900,00, a torto prenotato a credito dalla Co. in misura superiore a quanto spettante in applicazione della regola “de minimis” di cui all’art. 7, comma 10, della legge del 23 dicembre 2000, n. 388, richiamato dall’art. 63 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Avverso il suindicato decisum ed a sostegno della spiegata azione impugnatoria Co. deduce che la decisione di primo grado sarebbe erronea in quanto la sentenza della Cassazione del settembre 2016 (n. 18015 del 14.09.2016), impropriamente richiamata dal giudice di prime cure, avrebbe soltanto confermato la revoca di uno sgravio fiscale che, però, non avrebbe autonoma valenza impositiva, come fatto altresì palese dalla sua provenienza (Centro operativo di Pescara e non Agenzia delle Entrate).
Ed, invero, nel costrutto giuridico dell’appellante sarebbe dirimente il fatto che al suddetto parziale atto di revoca non abbia mai fatto seguito alcun provvedimento di esercizio della potestà impositiva, recante l’accertamento, la liquidazione e l’ingiunzione del pagamento delle somme dovute.
Soggiunge l’appellante che, in passato, erano effettivamente sorti dubbi in ordine ai rapporti tra l’atto di revoca del credito d’imposta e quello di accertamento del consequenziale tributo, ancorchè l’art. 8, co. 2, DM n. 311/98 già tracciasse con sufficiente chiarezza le coordinate della successiva azione impositiva demandata all’ufficio delle entrate competente.
Sulla materia – prosegue l’appellante – è però intervenuto il legislatore che, con l’art. 1, co. 421 e ss., L. n. 311/04, avrebbe previsto che – in alternativa ad un ordinario avviso di accertamento tributario – l’Agenzia territorialmente competente possa procedere con riguardo alle partite tributarie scaturenti dalla revoca di un beneficio fiscale attraverso un atto impositivo ora tipizzato, definito atto di recupero e da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 d.P.R. 600/73.
Tanto troverebbe conferma nelle pronunce più recenti della Corte di Cassazione (cfr., ex plurimis, Sez. V, n. 8429/17 e Sez. VI, n. 6347/18) oltre che nella certificazione prot. n. 72997 del 05.11.2018 dell’Agenzia delle Entrate e nelle plurime certificazioni positive rilasciate dal suddetto Ente anche a valle della citata sentenza della Cassazione del 2016.
Ne discende che, in assenza di una pretesa tributaria affermata mediante la notificazione di un formale atto impositivo, non sarebbe neanche astrattamente configurabile un obbligo di pagamento e dunque una violazione dell’art. 80, co. 4, D.Lgs. n. 50/16.
Si è costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud che, a difesa del proprio operato, ha svolto considerazioni difensive in aderenza a quelle già sviluppate dall’appellante.
Si è, altresì, costituita la Ci., che, anzitutto, si oppone alla produzione del certificato della Agenzia delle Entrate, prot.n. 72997 del 05.11.2018 (e degli ulteriori documenti successivamente depositati) che, a suo dire, non soggiace alla portata derogatrice di cui all’art. 104, comma 2 c.p.a. attesa la sua non “indispensabilità ” ai fini della decisione della controversia. Secondo l’appellata, Co. avrebbe dovuto allegare nel giudizio di prime cure tale ultimo certificato anziché produrlo soltanto in questa sede. Nel merito ha concluso per la conferma della sentenza fatta oggetto di gravame.
Con ordinanza n. 5966 del 7.12.2018 la Sezione ha accolto la domanda cautelare avanzata dall’appellante di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
All’udienza del 19.3.2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato e, pertanto, va accolto.
L’ambito cognitivo del presente giudizio verte sulla legittimità dell’aggiudicazione, pronunciata in favore dell’odierna appellante, della gara per l’affidamento del servizio di vigilanza armata delle strutture dell’ASL NA 3 SUD, legittimità revocata in dubbio nel giudizio di primo grado in ragione della rilevata sussistenza di un grave inadempimento tributario definitivamente accertato a carico di Co..
Segnatamente, la situazione di grave irregolarità fiscale viene desunta nella sentenza qui appellata dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 18015 del 14 settembre 2016, con cui è stato definitivamente respinto il ricorso proposto dalla predetta società avverso il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Avellino che aveva disposto la revoca del credito di imposta per Euro 159.900,00, a torto prenotato a credito dalla Co. in misura superiore a quanto spettante in applicazione della regola “de minimis” di cui all’art. 7, comma 10, della legge del 23 dicembre 2000, n. 388, richiamato dall’art. 63 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Muovendo da tali premesse e rilevato che “.., alla data di partecipazione alla gara de qua (6 marzo 2017), la concorrente non aveva provveduto a sanare il debito verso il Fisco (il pagamento è incontestatamente avvenuto solo successivamente alla predetta data, sulla base di un versamento effettuato con modello F23), il giudice di prime cure ha ritenuto che risultasse certamente integrata una causa di esclusione dalla partecipazione dalla gara de qua, ai sensi dell’art. 80, comma 4, D.lgs. 50/2016, sussistendo all’attualità una violazione definitivamente accertata, così come peraltro attestato dalla certificazione dell’Agenzia delle Entrate del 21 novembre 2017, che attesta a carico della Co. un’iscrizione a ruolo di Euro. 159.900,00 per recupero credito d’imposta – anno 2005/2006.
Il decisum di primo grado risulta, dunque, incentrato sull’assunto della compiuta definizione della fase di accertamento del debito tributario rispetto alla quale le ulteriori determinazioni dell’ufficio finanziario si ascriverebbero, quali meri sviluppi esecutivi, nella distinta – e qui irrilevante – fase della riscossione.
Così perimetrato il thema decidendum va, anzitutto, disattesa l’eccezione sollevata, in rito, dalla controinteressata Ci. che, con memoria del 4.12.2018, si oppone alla produzione, da parte dell’appellante, del nuovo certificato rilasciato della Agenzia delle Entrate prot.n. 72997 del 05.11.2018 in quanto, a suo dire, non sussisterebbero i presupposti per invocare una deroga al divieto cd. dei nova, non venendo in rilievo, ai sensi dell’art. 104, comma 2 c.p.a., il requisito della “indispensabilità ” ai fini della decisione della controversia. Inoltre Co. avrebbe dovuto allegare già nel giudizio di prime cure anche tale ultimo certificato anziché produrlo soltanto in questa sede.
L’eccezione non ha pregio.
Non può, invero, dubitarsi della coerenza della produzione documentale qui in rilievo con il disposto di cui all’articolo 104 comma del c.p.a. nella parte in cui dispone, al comma secondo, che “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.
Ed, invero, nessun addebito è possibile muovere all’odierna appellante in relazione alla (asseritamente tardiva) produzione qui contestata, essendo di tutta evidenza come il documento in questione (id est certificato della Agenzia delle Entrate prot.n. 72997 del 05.11.2018) risulti confezionato in epoca (5.11.2018) finanche successiva a quella (10.10.2018) di deposito della sentenza di primo grado.
E’, dunque, di tutta evidenza che il documento de quo non avrebbe giammai potuto essere prodotto in prime cure per la semplice ragione che, all’epoca, non era ancora esistente.
Né può dubitarsi dell’indispensabilità della detta produzione in quanto riferita ad una certificazione che costituisce il punto di vista finale dell’Agenzia delle Entrate sulla vicenda qui in rilievo e che vale a rettificare precedenti affermazioni ritenute non corrette e, ciò nondimeno, confluite nel bagaglio degli elementi che valgono a comporre il corredo istruttorio del giudizio di primo grado.
Le medesime ragioni suesposte, qui replicabili per identità di presupposti, inducono, poi, anche a disattendere l’estensione dell’eccezione in commento effettuata dall’appellata con memoria dell’1.3.2019 e riferita, questa volta, al deposito del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Avellino – Ufficio Controlli prot.n. 72478/2018 del 02.11.2018, del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Avellino – Ufficio Legale prot.n. 201/70060 del 22.10.2018 e della copia della quietanza di pagamento datata 09.11.2018.
Tanto premesso, e venendo al merito della res iudicanda, occorre rammentare che, a mente dell’articolo 80 comma 4 del d.lgs 5072016, un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti.
Il legislatore si è, altresì, peritato di definire tanto il concetto di “gravi violazioni” identificandole in quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 che quello di “violazioni definitivamente accertate” individuate in “quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione”.
Un tempestivo atto di resipiscenza vale, poi, ad elidere gli effetti interdittivi delle violazioni suddette, non essendo suscettiva di sanzione espulsiva l’infrazione grave e definitivamente accertata nei casi in cui “..l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande”.
Così ricostruita la cornice normativa di riferimento il Collegio ritiene che la fattispecie qui in rilievo – vale a dire la revoca del credito di imposta per Euro 159.900,00 – non possa essere sussunta nella previsione normativa soprarichiamata sì da rendere predicabile l’esclusione di Co. dalla procedura di gara in argomento.
Sul punto, deve, anzitutto, evidenziarsi che non è qui in discussione la correttezza della qualificazione del Centro Operativo di Pescara come articolazione organizzativa propria dell’Agenzia delle Entrate né la valenza giuridica provvedimentale e tantomeno la natura tributaria dell’atto di revoca emesso dal suddetto Ufficio, cui si riconnette anche la (pacifica) ammissione di un’impugnativa ai sensi del vigente art. 19 del d.lgs. n. 546/1992.
Al contempo, può anche essere condivisa l’opzione ermeneutica incline a ricondurre gli atti (comunque denominati) con cui si accerti, da parte dell’amministrazione tributaria, la non spettanza di una data agevolazione, nella categoria giuridica degli “avvisi di accertamento” (cfr. testualmente Cass. n. 18636 del 2016), dovendo, però, al contempo rilevarsi che tali particolari atti, ove esauriscano il proprio contenuto ricostruttivo nella sola negazione del credito dichiarato dal contribuente, tradiscono una dimensione giuridica non autosufficiente ai fini qui in rilievo in quanto necessitano, per potere esprimere appieno una compiuta pretesa impositiva, di ulteriori passaggi valutativi che, nel modello legale di riferimento, vengono affidati ad ulteriori e successivi provvedimenti secondo lo schema della fattispecie a formazione progressiva.
In altri termini, l’effetto di accertamento che si riconnette alla revoca del credito di imposta non può dirsi completo in quanto non è ancora espressione di una pretesa tributaria compiutamente e definitivamente stabilita, occorrendo in vista del relativo recupero accertare l’entità del dovuto in ragione anche delle modalità e dei tempi di concreto utilizzo del credito.
Tanto è agevolmente evincibile già dalla piana lettura dell’articolo 8 del d.m. 311 del 3.8.1998 che, a valle della revoca parziale o totale del credito d’imposta operata dal Centro di servizio delle imposte dirette e indirette di Pescara (comma 1), fa seguire un distinto e successivo snodo procedimentale avente ad oggetto il recupero delle somme versate in meno o del maggior credito riportato, nonché l’applicazione delle sanzioni connesse alle singole violazioni, affidandone il relativo incombente all’ufficio delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale dell’impresa.
E’ pur vero che, in siffatte evenienze, la pretesa tributaria confluita nell’atto di recupero non integra una pretesa completamente nuova rispetto a quella originaria (Cass. civ. Sez. V Sent., 12/02/2013, n. 3343) e, pertanto, l’atto di recupero può essere impugnato solo per vizi propri, però è di tutta evidenza che solo a tale ulteriore manifestazione provvedimentale si correla – per effetto della definizione degli elementi costitutivi di siffatta pretesa – la liquidazione dell’importo dovuto e la indicazione dell’ammontare dei relativi accessori (interessi e sanzioni), con conseguente emersione solo in questa fase di un’obbligazione tributaria contenutisticamente determinata.
Ed, invero, sebbene gli avvisi di recupero non costituiscano accertamenti di imponibili o maggiori imponibili, tuttavia essi contribuiscono a definire, attraverso il disconoscimento del credito di imposta, l’entità della somma concretamente dovuta dal contribuente, cosicchè anche tali avvisi implicano accertamenti della debenza del tributo (Cassazione civile sez. trib., 07/07/2017, n. 16761; Cass. n. 3838/2013);
Ed è nella suddetta ottica che il legislatore, all’articolo 1 comma 421 della legge n. 311 del 30.12.2004 ha previsto che “…per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi l’Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973”.
Ciò a conferma della valenza provvedimentale dell’atto di recupero che si ascrive alla stessa logica e riflette la stessa natura degli avvisi di accertamento in quanto ad esso si riconnette, come già sopra anticipato, la condivisione dei tratti tipici caratterizzanti l’esercizio della funzione impositiva che implica l’accertamento del credito da recuperare e dei relativi accessori.
Tale atto è, dunque, un provvedimento equiparabile nella sua natura impositiva all’avviso di accertamento e non ha natura di mera esecuzione, costituendo anzi il titolo per procedere ad attività di riscossione che, a norma del comma 422 dell’art. 1 della legge citata, resta possibile solo “in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, delle somme dovute entro il termine assegnato dall’ufficio, comunque non inferiore a sessanta giorni”.
Manca, in definitiva, una pretesa tributaria “compiutamente” e definitivamente stabilita (importo da recuperare, interessi e sanzioni) e, come tale, divenuta esigibile; e prova ne è che il pagamento spontaneamente effettuato da Co. è stato considerato dall’Agenzia delle Entrate come effettuato “sine titulo….in assenza dell’atto di recupero consequenziale al provvedimento di revoca” (cfr. nota Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Avellino del 7.1.2019).
In tal senso è, inoltre, di conforto l’atto di rettifica dell’Agenzia delle Entrate Prot. 72997 del 05/11/2018 a mente del quale “al momento della richiesta (23/10/2017), non poteva ritenersi sussistente un carico pendente, per effetto della sola Sentenza della Corte di Cassazione n. 10815/16, intervenuta sull’atto di revoca del beneficio, essendo necessaria, ai sensi dell’art. 1. commi 421 e s.s. L. n. 311/2004 l’emissione di specifico avviso di recupero del credito di imposta (allo stato in corso di emissione)”.
Stante ciò, alla data del 23/10/2017. l’iscrizione a ruolo nr. 2017/321 (peraltro già annullata), non risultava legittima in quanto si doveva emettere, preventivamente, l’avviso di recupero del credito d’imposta, indispensabile per la quantificazione del credito indebitamente usufruito.
Pertanto, si conferma l’annullamento della certificazione rilasciata il 21/11/2017 prot. 77757.
Infine, un’indiretta conferma si ricava dalla stessa lettura dell’atto di recupero poi emesso a carico della Co. che reca giustappunto lo sviluppo dell’accertamento impositivo conseguente alla pregressa revoca, definendo, questa volta, il credito fiscale esigibile nei confronti della Co. in proporzione della misura della (indebita) compensazione (parziale) del credito d’imposta per Euro 159.900,00 effettuata nel corso dei diversi esercizi d’imposta (Euro 51.400,00 nel 2006 e Euro 47.983,29 nel 2007), con la liquidazione delle somme dovute (Euro 99.383,29 per credito dovuto, Euro 44.182,68, Euro 29.815,00 per sanzioni).
Quanto fin qui evidenziato impedisce, in apice, di configurare una violazione grave e definitivamente accertata ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 80 comma IV del d.lgs 50/2016: ed, invero, per concretare la detta fattispecie occorre, anzitutto, che sia partecipata al contribuente una pretesa creditoria di natura tributaria recante un credito certo e definito nel suo ammontare ed il conseguente inadempimento del contribuente. Secondo l’orientamento espresso da questo Consiglio di Stato (CdS n. 59 del 2018 e n. 856 del 2018) “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili”.
Si è ancora di recente precisato che, in sede di gara pubblica, ai fini del possesso dei requisiti previsti dall’art. 80, d.lg. n. 50 del 2016, la definitività dell’accertamento tributario decorre non dalla notifica della cartella esattoriale – in sé, semplice atto con cui l’agente della riscossione chiede il pagamento di una somma di denaro per conto di un ente creditore, dopo aver informato il debitore che il detto ente ha provveduto all’iscrizione a ruolo di quanto indicato in un precedente avviso di accertamento – bensì dalla comunicazione di quest’ultimo; la cartella di pagamento (che infatti non è atto del titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto incaricato della riscossione) costituisce solo uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale, cioè non possiede alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui l’obbligazione è stata enunciata, laddove è l’avviso di accertamento l’atto mediante il quale l’ente impositore notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente, a seguito di un’attività di controllo sostanziale (Cons. Stato, V, 12 febbraio 2018, n. 856; Consiglio di Stato, sez. V, 14/12/2018, n. 7058: Consiglio di Stato, sez. V, 03/04/2018, n. 2049).
Tanto, però, è a dirsi quando l’accertamento rifletta con compiutezza i contenuti dell’obbligazione tributaria, indicando il debito di imposta (recte il credito da recuperare) ed i relativi accessori, evenienza qui non in rilievo, non essendo nemmeno noto – prima dell’emissione dell’atto di recupero – l’ammontare delle somme concretamente dovute, evenienza questa da cui non è possibile invece prescindere come fatto palese anche dalla piana lettura dell’ultimo periodo di cui all’articolo 80 comma IV a mente del quale Il presente comma non si applica quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande”.
E’, in definitiva, di tutta evidenza, alla stregua di una lettura sistemica delle disposizioni compendiate nel comma IV dell’articolo 80, che, per potere operare la clausola espulsiva connessa ad infrazioni di natura tributaria, è necessario, da un lato, che il relativo credito sia già definito quanto a sorta principale ed “eventuali interessi o multe” e che, ciò nondimeno, la parte sia, comunque, rimasta colpevolmente inadempiente.
Le divisate condizioni operative qui non ricorrono per le ragioni sopra evidenziate di talchè l’appello va accolto con conseguente riforma della decisione impugnata.
Le spese, in ragione della peculiarità della vicenda scrutinata, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

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