Consiglio di Stato, Sentenza|1 marzo 2021| n. 1717.
Il giudizio in materia di accesso, quale modellato dall’art. 116 del D.Lgs. n. 104/2010, pur seguendo lo schema impugnatorio, è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un cd. giudizio sul rapporto, come evincibile dal comma 4 del citato art. 116 del D.Lgs. n. 104/2010 secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, “ordina l’esibizione dei documenti richiesti.
Sentenza|1 marzo 2021| n. 1717
Data udienza 4 febbraio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Giudizio in materia di accesso – Art. 116 del D.Lgs. n. 104/2010 – Funzione – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5663 del 2020, proposto da
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ma., Gi. An., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il diniego di accesso;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. n. 137/2020 convertito in legge n. 176/2020;
Relatore nella camera di consiglio, tenutasi da remoto, del giorno 4 febbraio 2021 il Cons. Stefania Santoleri; quanto alla presenza degli avvocati si fa rinvio al verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con la sentenza impugnata il TAR Lazio, Sez. Seconda Ter, ha accolto il ricorso proposto dalla società -OMISSIS- avverso il diniego di accesso, prestato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in relazione all’istanza di esibizione presentata dalla ricorrente in data 11 settembre 2019 in relazione alla “segnalazione” ricevuta dall’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e delle repressioni frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), relativa ad una irregolarità nell’etichettatura di un prodotto commercializzato dalla società ricorrente.
1.1 – A tale segnalazione aveva fatto seguito un accertamento ispettivo presso la stessa società al fine di verificare la sussistenza dei fatti ivi indicati.
All’esito degli accertamenti ispettivi l’Amministrazione aveva provveduto alla contestazione dell’illecito amministrativo poi sfociato nell’irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico della società ricorrente.
1.2 – L’istanza che ha dato origine al presente contenzioso faceva seguito ad una precedente richiesta di accesso, formulata dalla stessa società e puntualmente accolta dall’Amministrazione, relativa agli connessi all’accertamento e alla contestazione dell’illecito amministrativo.
2. – Con la seconda istanza di accesso la società, tramite la responsabile dell’ufficio competente, ha chiesto l’esibizione della “segnalazione” volendone conoscerne il contenuto “per comprendere quali elementi fattuali e/o normativi giustificherebbero la non conformità ” e l’autore materiale, “indispensabile per conoscere la fonte che ha dato impulso agli accertamenti svolti ed il soggetto nei confronti del quale IN. S.p.A. potrà eventualmente intraprendere le azioni più idonee alla tutela dei propri diritti ed interessi e della propria immagine”.
2.1 – L’Amministrazione ha respinto tale istanza sottolineando che l’atto in questione rientrava nei casi previsti dall’art. 2, lett. f) e m) del D.M. 5/9/1997 n. 392 (atti riguardanti l’identità delle fonti di informazione e atti e documenti attinenti ad informazioni fornite da fonti confidenziali ai privati, di organizzazioni di categorie o sindacati per la salvaguardia dell’ordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalità ).
Secondo il Ministero, infatti, l’attività ispettiva svolta dall’Ispettorato nel settore alimentare, sarebbe sottratta all’accesso in quanto tesa a salvaguardare l’indipendenza e l’efficacia dell’attività di indagine, nonché la riservatezza delle fonti di informazione.
Inoltre, la segnalazione non sarebbe ostensibile anche perché da essa non sarebbe evincibile alcun elemento utile di conoscenza, salvo il nominativo del denunciante.
3. – Nel ricorso di primo grado la società ricorrente aveva contestato il diniego di accesso chiedendo al TAR di accertare il suo diritto ad ottenere l’esibizione della segnalazione non sussistendo le ragioni di riservatezza richiamate dal Ministero, stante l’inapplicabilità, al caso di specie, della disposizione recata dall’art. 2, lett. f) e m) del D.M. 5/9/1997 n. 392, non venendo in rilievo “la salvaguardia dell’ordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalità “.
4. – Con la sentenza impugnata, come già anticipato, il TAR ha accolto il ricorso ordinando all’Amministrazione intimata l’esibizione della segnalazione da cui ha avuto inizio il procedimento entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.
5. – Avverso tale decisione il Ministero ha proposto appello chiedendone la riforma.
5.1 – Si è costituita in giudizio la società appellata che, in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità dell’appello sotto due diversi profili; nel merito ha controdedotto alle censure dell’appellante chiedendone il rigetto.
5.2 – Con memoria depositata il 19/1/2021, la società appellata ha insistito nelle proprie tesi difensive chiedendo il rigetto dell’impugnativa.
6. – Alla camera di consiglio del 4 febbraio 2021, tenutasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. – L’appello è fondato e va, dunque accolto.
8. – Preliminarmente il Collegio deve esaminare le eccezioni di inammissibilità dell’appello sollevate dalla parte appellata:
– l’Amministrazione non potrebbe in sede giudiziale innovare il contenuto del proprio provvedimento, modificando le ragioni poste a sostegno del proprio diniego di accesso;
– l’atto di appello difetterebbe della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, non essendo state svolte puntuali censure ai capi di sentenza impugnati secondo quanto dispone l’art. 101, comma 1. c.p.a., introducendo nuovi argomenti in secondo grado.
8.1 – Le eccezioni sono infondate.
Innanzitutto – come ha peraltro statuito lo stesso TAR senza che il punto sia stato contestato dall’appellata – “il giudizio in materia di accesso, quale modellato dall’art. 116 del D.Lgs. n. 104/2010, pur seguendo lo schema impugnatorio, è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un cd. giudizio sul rapporto, come evincibile dal comma 4 del citato art. 116 del D.Lgs. n. 104/2010 secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, “ordina l’esibizione dei documenti richiesti” (Cons. Stato Sez. VI, 30/10/2020, n. 6657), sicchè il giudice amministrativo è chiamato a svolgere un giudizio di accertamento e non di impugnazione: ne consegue che anche argomenti non espressi nel provvedimento impugnato possono trovare ingresso all’interno del processo.
8.2 – Quanto all’omessa specificazione dei motivi di gravame, è sufficiente rilevare che l’atto di appello è stato articolato sulla base di un unico motivo di impugnazione, nel quale sono state esposte le critiche alla sentenza impugnata senza provvedere alla loro distinzione in separati paragrafi; dalla lettura dell’atto è ben possibile individuare gli specifici punti della sentenza oggetto di contestazione, e le ragioni per le quali la decisione di primo grado è stata ritenuta erronea.
Sulla base del principio di conservazione degli atti giuridici, che pacificamente si applica anche agli atti processuali (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 05/10/2018, n. 5719), deve ritenersi, quindi, infondata l’eccezione di inammissibilità per violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a, sollevata dalla parte appellata.
9. – Per quanto attiene al merito della questione, il TAR ha dato atto dell’esistenza di due opposti orientamenti nella giurisprudenza amministrativa in merito al diritto di accesso agli esposti e agli di impulso che abbiano dato origine a verifiche, ispezioni o altri procedimenti di accertamento di illecito a carico di privati.
Ha quindi ricordato che:
– secondo un primo orientamento (non condiviso dal giudice di primo grado) il diniego di accesso sarebbe legittimo, in quanto non incidente sul diritto di difesa del soggetto che, a fronte dell’intervenuta notifica del verbale conclusivo dell’attività ispettiva, non avrebbe alcun interesse a conoscere il nome dell’autore dell’esposto;
– secondo l’altro orientamento (dal TAR condiviso) – al di fuori di particolari ipotesi in cui il denunciante potrebbe essere esposto, in ragioni dei rapporti con il denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni -, il principio di trasparenza sarebbe prevalente su quello alla riservatezza e, dunque, non sussisterebbe il diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative incidenti sulla sfera di terzi, anche perché una volta che l’esposto è pervenuto alla sfera di conoscenza della P.A., l’autore dell’atto ha perso il controllo su di esso essendo entrato nella disponibilità dell’Amministrazione.
9.1 – Nel ricorso in appello, il Ministero, dopo aver ribadito la propria tesi sulla inaccessibilità della documentazione richiesta in base alla previsione dell’art. 2, lett. f) e m) del D.M. n. 392/1997 richiamata nel decreto impugnato, ha ritenuto applicabile al caso di specie il primo orientamento giurisprudenziale, sottolineando l’esigenza di salvaguardare l’autore dell’esposto da recriminazioni o ritorsioni, ed i principi espressi dalla giurisprudenza, in relazione all’effettività dell’interesse conoscitivo sul quale si fonda l’istanza di accesso.
10. – Tale ultima prospettazione è pienamente condivisibile.
Condivisibilmente l’appellante ha rilevato che l’esposto costituisce il presupposto dal quale ha origine un’attività amministrativa che si traduce prima in verifiche ispettive, e poi in verbali di accertamento di illeciti amministrativi, a seguito dei quali vengono adottate ordinanze ovvero altri provvedimenti sanzionatori; la segnalazione, pertanto, non può costituire oggetto di accesso agli atti, in quanto non sussiste il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità tra la c.d. denuncia scaturente dalla segnalazione e l’atto finale adottato dalla pubblica amministrazione.
La segnalazione è, infatti, meramente sollecitatoria dell’esercizio della funzione amministrativa di controllo e verifica che compete alla P.A.; la conoscenza degli atti relativi a quest’ultima fase soddisfano, di norma, l’interesse conoscitivo del richiedente.
10.1 – Pertanto, anche a voler prescindere dalla riservatezza dell’autore della segnalazione (che spesso è un dipendente del soggetto sottoposto ad attività ispettiva, soggetto, quindi, a rischio di ritorsione) emerge la sostanziale carenza di interesse alla conoscenza dell’autore dell’esposto: l’identificazione dell’autore della segnalazione, infatti, non è funzionale all’esigenza difensiva della società appellata.
Risulta quindi condivisibile quanto affermato dalla giurisprudenza dei TAR (cfr. TAR Piemonte sez. II, 10/05/2012, n. 537; T.A.R. Lazio sez. I, 04/02/2016, n. 1657; T.A.R. Emilia-Romagna) sez. II, 17/10/2018, n. 772) secondo cui allorquando l’accertamento di un illecito amministrativo sia fondato su autonomi atti di ispezione dell’Autorità amministrativa, l’esposto del privato ha il solo effetto di sollecitare il promovimento d’ufficio del procedimento, senza acquisire efficacia probatoria, con la conseguenza che in tali evenienze, di regola, per il destinatario del provvedimento finale non sussiste la necessità di conoscere gli esposti al fine di difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano rappresentate particolari esigenze; ciò, del resto, corrisponde al fatto che, di fronte al diritto alla riservatezza del terzo, la pretesa di conoscenza dell’esposto da parte del richiedente, se svincolata dalla preordinazione all’esercizio del diritto di difesa, acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l’ordinamento non può tutelare.
10.2 – È opportuno ricordare, infatti, che l’art. 22, comma 1, lettera d), L. n. 241 del 1990 – definisce l’interesse legittimante all’accesso, indicandolo in “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”; è stato ritenuto in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 30-10-2020, n. 6657) che:
“- la necessità della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica ‘finalè, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica ‘finalè controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio;
– tale delibazione è condotta sull’astratta pertinenza della documentazione rispetto all’oggetto della res controversa;
– le qualità dell’interesse legittimante sono pertanto circoscritte a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio (o che la stessa intende far valere in sede stragiudiziale o preprocessuale) e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale;
– il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso difensivo, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche “collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite;
– tale esigenza è soddisfatta, sul piano procedimentale, dall’art. 25, comma 2, L. n. 241 del 1990 -, ai sensi del quale “la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata”;
– con tale previsione il legislatore vuole esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc.), onde permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione ‘finalè controversa;
– in questa prospettiva, pertanto, va escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando”.
10.3 – Nel caso di specie, come ha condivisibilmente rilevato l’appellante dopo aver richiamato alcune pronunce di primo e secondo grado (cfr. Tar Veneto Venezia, n. 321/2015 e Cons. St. n. 5779/14), l’esposto presentato alla pubblica amministrazione, da cui trae origine una verifica, un’ispezione o un procedimento di accertamento di illecito, non può essere oggetto di “accesso agli atti”, poiché non è dalla conoscenza del nome del denunciante che dipende la difesa del denunciato: la conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestati risulta, infatti, già assicurata dal verbale di accertamento e, dunque, non è necessario risalire al precedente esposto.
10.4 – Nel caso di specie, “la conoscenza degli elementi fattuali e normativi che giustificherebbero la non conformità ” è assicurata dalla documentazione già esibita, in quanto l’esibizione di tutti gli atti ispettivi del procedimento ha comportato la piena soddisfazione del diritto di difesa della società appellata rispetto alle contestazioni mosse dall’Amministrazione; la conoscenza dell’autore o degli autori dell’esposto non assume rilievo a fini difensivi, ma costituisce la mera soddisfazione di una curiosità, con pericolo di future ritorsioni.
10.5 – Deve convenirsi, quindi, con l’Amministrazione appellante, che il principio della totale accessibilità degli atti, ivi compresi quelli di impulso dell’attività ispettiva – a prescindere dalla effettiva e concreta necessità di conoscenza a fini difensivi – potrebbe avere un impatto negativo sull’attività di controllo, diretto ad assicurare il commercio e la vendita ai consumatori di prodotti alimentari conformi alle norme, a tutela del bene “salute” costituzionalmente tutelato dall’art. 32 della Costituzione.
10.6 – Ne consegue che l’accesso a tale genere di segnalazioni può ritenersi ammissibile solo in casi particolari, in cui emerga chiaramente la strumentalità della conoscenza di tali atti per la difesa dell’interessato, situazione che non ricorre nel caso di specie.
11. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.
12. – Tenuto conto della non univocità della giurisprudenza sussistono i presupposti per disporre la compensazione delle spese relative al doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, tenutasi da remoto, del giorno 4 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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