Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 19 novembre 2018, n. 6520.

La massima estrapolata:

La violazione del principio di segretezza nelle gare pubbliche va ravvisata in presenza di una indebita ed anticipata conoscenza dei contenuti dell’offerta, comunque determinata, anche laddove si prefiguri il semplice rischio di pregiudizio del bene giuridico protetto dal principio di segretezza.

Sentenza 19 novembre 2018, n. 6520

Data udienza 27 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6792 del 2015, proposto da
Fr. Ca. & C. s.r.l., in proprio e nella sua qualità di capogruppo mandataria di costituendo Rti con Eu. El. s.r.l. e Sp Co. Te. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Ca. ed An. Ca., con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via (…);
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Pa., An. Ma., Sa. Ma. Li., Da. Pa., Em. Lu. Pr. e Ra. Iz., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, (…);
nei confronti
Autorità Nazionale Anticorruzione – Anac, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), è elettivamente domiciliata;
Ed. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10257 del 2015, proposto da
Ln. Gl. Se. s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria di costituendo Rti con Ne. Sy. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Tr. ed Al. Bi., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma., St. Pa. e Ra. Iz., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, (…);
Autorità Nazionale Anticorruzione – Anac, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
nei confronti
Ed. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 6792 del 2015:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. I, n. 968/2015, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 10257 del 2015:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. I, n. 1945/2015, resa tra le parti,.
Visti i ricorsi in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione – Anac;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 settembre 2018 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati An. Ca., St. Pa., Fr. Tr. ed Al. Bi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I.1.Con ricorso al Tribunale amministrativo della Lombardia (nrg. 2024 del 2014) la società F.l. Ca. & C. s.r.l. chiedeva l’annullamento del provvedimento con il quale era stata disposta la sua esclusione dalla gara d’appalto n. 37/2014 del Comune di Milano, unitamente alla segnalazione all’AVCP ed al provvedimento disponente l’incameramento della cauzione provvisoria, nonché dei verbali della Commissione del 4 giugno 2014 nonché del 6, 7 ed 8 maggio 2014, ivi richiamati.
I.2. Lamentava, in particolare, l’erroneità della segnalazione all’Autorità di vigilanza dell’atto di esclusione, ai fini dell’inserimento del relativo dato nel casellario giudiziale, in quanto tale sanzione sarebbe stata prevista solo per la diversa ipotesi di collegamento sostanziale con altra impresa concorrente nella medesima procedura di appalto, circostanza non verificatasi nel caso di specie.
Deduceva a sostegno dell’impugnativa:
1) Violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. m-quater e comma 2 del d.lgs. n. 163/2006; eccesso per carenza dei presupposti in fatto e in diritto; difetto di istruttoria; contraddittorietà .
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 46, comma 1 bis del d.lgs. n. 163/2006; eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; difetto di istruttoria; contraddittorietà ; illogicità e ingiustizia grave e manifesta.
3) Violazione, erronea e falsa applicazione del c.d. “patto di integrità ” sottoscritto con il Comune di Milano il 7.4.2014; violazione dell’art. 3, comma 1 della L. n. 241/1990; eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di motivazione e mancanza di istruttoria; illegittimità derivata.
Evidenziava in sintesi che:
-il provvedimento impugnato faceva rinvio al verbale della Commissione giudicatrice nel quale si dava atto del fatto che i plichi della F.l. Ca. e di Ln. Gl. Se. s.r.l, pur contenendo ognuno la documentazione delle imprese intestatarie (a differenza di quanto verificatosi nell’appalto n. 37), avrebbero presentato pregnanti e significativi elementi di similitudine formale tali da costituire “indice che la collazione e la predisposizione delle offerte” fosse avvenuta di comune accordo tra le dette società, “in modo non autonomo e con un’inammissibile commistione”;
– il verbale concludeva nel senso dell’esclusione di entrambi gli offerenti, con la seguente motivazione: “la condotta dei due raggruppamenti integra la violazione dei principi di segretezza, indipendenza e serietà delle offerte e configura, inoltre, una violazione del Patto d’integrità, con il quale i concorrenti si impegnano a conformare i propri comportamenti ai principi di lealtà, trasparenza e correttezza, e con cui si impegnano a segnalare al Comune di Milano qualsiasi possibile tentativo di turbativa, irregolarità o distorsione nelle fasi dello svolgimento della gara, e che non si è accordata o si accorderà con altri partecipanti della gara”;
– la Commissione giudicatrice aveva rilevato inoltre che “la violazione del principio di segretezza, anche alla luce di quanto disposto dall’art. 46, comma 1 bis del Codice dei Contratti, e il mancato rispetto degli impegni assunti con la sottoscrizione del Patto di integrità avrebbero comportato l’esclusione dall’appalto, la segnalazione all’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici e, come previsto dal patto d’integrità, l’ulteriore sanzione dell’escussione della cauzione provvisoria”.
I.3. Con sentenza 20 aprile 2015, n. 968, il Tribunale adito, sez. I, nella resistenza del Comune di Milano e dell’ANAC, respingeva il ricorso, sul presupposto che il provvedimento di esclusione fosse stato adeguatamente motivato con il richiamo alle macroscopiche irregolarità riscontrate nella predisposizione dei plichi, oltre che agli altri elementi di prova della avvenuta violazione del principio della segretezza delle offerte e degli obblighi previsti dal c.d. patto di integrità, legati alle modalità di predisposizione e collazione dei plichi, analoghe per le due concorrenti, ed allo scambio tra i due raggruppamenti delle imprese mandanti nelle diverse gare. Veniva dichiarata inammissibile la domanda volta ad ottenere l’annullamento della comunicazione del provvedimento di esclusione all’Anac, in quanto priva di carattere provvedimentale e di diretta lesività .
I.4. Avverso tale decisione la F.l. Ca. s.r.l. interponeva appello (nrg. 6792 del 2015), deducendo:
1) Violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 38, c. 1, lett. m-quater e c. 2 del d.lgs. 163/06. Eccesso di potere per carenza dei presupposti in fatto ed in diritto. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà . Violazione di legge.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 46, c. 1-bis del d.lgs. 163/06. Eccesso di potere. Travisamento dei presupposti in fatto ed in diritto. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà, illogicità e ingiustizia grave e manifesta.
3) Violazione, erronea e falsa applicazione del Patto di Integrità con il Comune di Milano sottoscritto il 07.04.2014. Violazione dell’art. 3, c. 1, l. 241/1990. Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di motivazione e mancanza di istruttoria. In subordine illegittimità derivata.
I.5. Hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto, il Comune di Milano e l’ANAC.
II.1. Anche la società Ln. Gl. Se. s.r.l. proponeva innanzi allo stesso Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia un autonomo ricorso (nrg. 1945 del 2014) avverso gli stessi provvedimenti, parimenti censurando la propria esclusione dalla procedura di gara per la presunta “violazione dei principi di segretezza, indipendenza e serietà delle offerte e […] del Patto d’integrità ” e spiegando a sostegno delle proprie ragioni i seguenti motivi:
1) violazione del giusto procedimento, della normativa comunitaria di riferimento; assenza di ogni contraddittorio; automaticità dell’esclusione; eccesso di potere;
2) violazione dell’art. 38, comma 2 del d.lgs. n. 163/2006;
3) insussistenza ed inconsistenza dei presunti elementi sintomatici di commistione; difetto di istruttoria; eccesso di potere;
4) violazione e falsa applicazione degli artt. 48, 38 e 46, del d.lgs. n. 163/2006; incompetenza; eccesso di potere.
II.2. Con sentenza 9 settembre 2015, n. 1945, il Tribunale amministrativo della Lombardia, nella resistenza del Comune di Milano, respingeva il ricorso, parimenti sul presupposto che l’amministrazione avesse dato pienamente atto delle gravi irregolarità conseguenti al comportamento tenuto dalle parti e della loro violazione del Patto di Integrità, dichiarando altresì inammissibile la domanda volta ad ottenere l’annullamento della comunicazione del provvedimento di esclusione all’Anac.
II.3. La sentenza veniva impugnata dalla predetta, che contestava, in primo luogo l’effettiva violazione del principio di segretezza delle offerte, tanto più alla luce del fatto che la busta contenente l’offerta economica non era stata neppure aperta (la stazione appaltante avrebbe dovuto invece fornire dei precisi elementi concreti atti a suffragare l’ipotesi di un’alterazione della documentazione di cui l’offerta si compone); secondo l’appellante, in tanto un collegamento tra imprese potrebbe comportare una violazione del principio in esame, in quanto la stazione appaltante accerti positivamente che tale rapporto abbia influenzato la formulazione delle offerte, peraltro con modalità tali da consentire alle imprese di dimostrare l’insussistenza di rischi di turbative della selezione.
In secondo luogo, escludeva che la violazione del principio di segretezza delle offerte fosse sanzionata anche dal “patto di integrità ” sottoscritto dai partecipanti e dal Comune; tale patto non contemplava un sistema organico (e tassativo) di inadempimenti e sanzioni, limitandosi a prevedere la mera facoltà dell’amministrazione di scegliere tra un ampio ventaglio di sanzioni.
II.4. Costituitosi in giudizio, il Comune di Milano ha dedotto l’infondatezza del gravame, chiedendone il rigetto.
III. Tutte le parti nei giudizi di appello hanno ribadito, illustrandole con apposite memorie, le rispettive tesi difensive e all’udienza del 27 settembre 2018, dopo la rituale discussione, le cause sono state trattenute in decisione

DIRITTO

IV. In linea preliminare la Sezione ritiene di poter disporre la riunione dei processi, in ragione della loro connessione oggettiva e, in parte, soggettiva.
V. Passando all’esame degli appelli in trattazione si osserva quanto segue.
V.1. Con il primo motivo di gravame la società F.l. Ca. & C. s.r.l. denunzia violazione dell’art. 38, commi 1 lett. m-quater) e 2 del d.lgs. n. 163 del 2006, per aver il Comune di Milano trasmesso all’Anac la segnalazione della violazione al principio di segretezza delle offerte, ai fini degli eventuali adempimenti di sua competenza, laddove a suo avviso, nel caso di specie, non ve ne erano i presupposti, non intercorrendo tra le società escluse dalla gara alcuna forma di controllo – anche di fatto – ai sensi dell’art. 2359 Cod. civ., né avendo la stazione appaltante fornito la prova che le relative offerte potessero comunque essere imputate ad un unico centro decisionale (tanto più che l’amministrazione si era addirittura astenuta dal verificare il contenuto delle rispettive offerte economiche, desumendo l’esistenza di un collegamento sostanziale tra le concorrenti “alla luce dei soli elementi formali rilevati all’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa”); dal mancato assolvimento dell’onere probatorio (nonché procedurale) della stazione appaltante deriverebbe l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.
Il motivo non è fondato.
Invero, come emerge dagli atti di causa, la decisione del Comune di escludere dalla gara i raggruppamenti cui facevano capo la F.l. Ca. s.r.l. e la Ln. Gl. Se. s.r.l. non deriva dalla ravvisata violazione dell’art. 38, commi 1 lett. m-quater) del d.lgs. n. 163 del 2006 (che descrive l’ipotesi del cd. “collegamento sostanziale” tra imprese, cui erroneamente si riferisce l’appellante), bensì dalla diversa ipotesi della violazione del principio di segretezza delle offerte di cui all’art. 46, coma 1-bis del medesimo decreto, che prevede, tra l’altro, l’esclusione dei concorrenti in caso di “irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”.
In realtà è corretto sostenere che la norma di cui al comma 1-bis dell’art. 46 del previgente Codice dei contratti pubblici, laddove dispone che “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti […] in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”, non subordina l’esclusione al verificarsi di specifiche e precise irregolarità formali, ma piuttosto contiene una clausola generale di chiusura del sistema – di carattere sostanziale e non formale – in virtù della quale la sanzione espulsiva può essere applicata dalla stazione appaltante ogniqualvolta le circostanze concrete portino a ritenere, sulla base di precisi elementi di fatto di valenza perlomeno indiziaria, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.
Circa la “soglia” minima di rilevanza dei predetti indizi, deve ritenersi applicabile, in assenza di previsioni normative di segno opposto o comunque derogatorio, il criterio – di carattere generale – che gli stessi, esaminati nel loro complesso, risultino gravi, precisi e concordanti.
Nel caso di specie le circostanze documentate dalla stazione appaltante rispondono a tali requisiti: è infatti incontestato in atti che – nella gara n. 37 – pervenivano alla stazione appaltante due plichi identici, in quanto recanti entrambi sul frontespizio i dati del raggruppamento “F.l. Ca. s.r.l. e altri”.
La commissione di gara nelle sedute pubbliche del 6, 7 ed 8 maggio 2014 riscontrava che uno dei due plichi conteneva effettivamente la documentazione e la busta dell’offerta economica del raggruppamento facente capo alla F.l. Ca., laddove il secondo plico, pur intestato al medesimo raggruppamento, conteneva invece la documentazione di un altro raggruppamento (quello tra Ln. Gl. Se. s.r.l. e Ne. Sy. s.r.l.).
Quest’ultimo plico conteneva, inoltre, anche la busta dell’offerta economica intestata alla F.l. Ca..
Sia il plico che la busta dell’offerta economica riportavano sul retro, applicati sui lembi di congiunzione, i timbri dell’impresa Ln. Gl. Se. s.r.l.
La tesi difensiva delle due società è stata, fin dal precedente grado di giudizio, quella di sostenere che tale scambio di buste ed utilizzo improprio dei timbri di congiunzione fosse riconducibile ad un mero errore materiale di una società terza, incaricata da entrambe le società di curare le pratiche amministrative relative alla presentazione delle offerte.
Va però detto – a tacere degli ulteriori elementi di valutazione, di cui si dirà appresso – che la pretesa di limitarsi ad accollare de plano la responsabilità ad un soggetto terzo per liberare dalla responsabilità le concorrenti che si sarebbero avvalse dei suoi servizi, non può essere condivisa.
Invero, è principio di generale applicazione – dal quale non vi è ragione per discostarsi, nel caso di specie – che allorché un partecipante ad una gara decide di avvalersi, per la predisposizione e l’invio delle offerte, dei servizi di un soggetto terzo, necessariamente risponde dell’operato di quest’ultimo, in applicazione di quanto previsto dall’art. 1228 Cod. civ. (in termini, seppur in relazione ad un’ipotesi di violazione dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, Cons. Stato, V, 2 maggio 2017, n. 1982).
In effetti, se è vero che non vi erano disposizioni che precludessero ai partecipanti la possibilità di avvalersi di soggetti esterni per il disbrigo di uno o più adempimenti della procedura, è pur vero che così facendo i partecipanti stessi hanno assunto l’onere proprio della culpa in vigilando ed in eligendo, dovendo quindi attivarsi affinché l’operatore terzo si attenesse non solo alle ordinarie regole di diligenza nello svolgimento dell’incarico, ma anche e soprattutto al rispetto di quei doveri di lealtà, trasparenza e segretezza che lo stesso concorrente doveva rispettare.
In ogni caso, non era soltanto questo il presupposto a sostegno dei provvedimenti adottati dalla stazione appaltante.
La commissione di gara, infatti, non si è fermata a tale primo indiziario riscontro formale, ma ha rilevato – stavolta sotto il profilo sostanziale – che nella stessa gara n. 37 e nelle gare nn. 9 e 36, rispetto alle gare nn. 6, 7 ed 8, le imprese mandanti dei due raggruppamenti erano invertite; ossia, a seconda delle gare, le stesse imprese erano di volta in volta mandanti della F.l. Ca. & C. s.r.l. oppure, alternativamente, della Ln. Gl. Se. s.r.l., scambiandosi reciprocamente i ruoli.
Gli elementi evidenziati, nella loro concordanza, lasciano intendere non solo che possa essere intercorso un qualche accordo anticoncorrenziale tra le parti ma, prima ancora, che il comportamento tenuto dai due concorrenti ha comunque violato il principio di segretezza delle offerte di cui al richiamato art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006.
Non può infatti revocarsi in dubbio che il conferimento ad un soggetto terzo dell’incarico di curare tutte le fasi della presentazione delle offerte da parte di un partecipante alla gara, senza aver prima adottato particolari controlli e garanzie sul suo operato (quali avrebbero potuto essere, a mero titolo d’esempio, la previsione di vincoli di esclusiva o l’assunzione di specifici protocolli operativi di professionalità ) è condotta pienamente idonea – alla pari di qualsiasi forma di esternalizzazione – a mettere in serio pericolo il principio di segretezza ed indipendenza delle offerte, di fatto consegnate ad un terzo.
Alla luce della documentazione di causa, infatti, nulla consentiva di escludere che l’impresa di servizi utilizzata dalla F.l. Ca. e da Ln. Gl. Se. avesse addirittura potuto venire a conoscenza del contenuto delle offerte e, magari, anche operare su di esse.
Il motivo di appello va dunque respinto.
V.2. Per le stesse ragioni non può trovare accoglimento neppure il secondo motivo di appello, incentrato proprio sulla dedotta mancata violazione della norma di cui all’art. 46, comma 1-bis del d.lgs. n. 163 del 2006, risultando condivisibile – e coerente con tali premesse – la conclusione del primo giudice secondo cui la ricorrente non potrebbe validamente invocare la circostanza che l’attività di collazione dei plichi sia stata posta in essere da un soggetto terzo, estraneo alla procedura e sostenere che non le sarebbe ascrivibile alcuna condotta illegittima in relazione alla violazione del principio di segretezza delle offerte.
Come già visto, infatti, allorché i partecipanti ad una gara decidano di avvalersi di un soggetto terzo per lo svolgimento dei relativi incombenti amministrativi, gli stessi sono indubbiamente chiamati a rispondere del suo operato, in applicazione del principio generale desumibile dall’art. 1228 c.c.
V.3. Con il terzo motivo di appello è stata invece contestata l’escussione della cauzione provvisoria quale conseguenza della violazione del Patto di Integrità sottoscritto dalle concorrenti.
Sostiene l’appellante che, qualora tale patto non preveda un sistema organico di inadempimenti e sanzioni ma disponga, come nel caso di specie, una mera facoltà per l’amministrazione di scegliere tra un ampio ventaglio di sanzioni, quest’ultima sarebbe comunque tenuta sia a motivare la propria determinazione di sanzionare, sia a dar conto delle ragioni che l’hanno indotta a propendere per una sanzione piuttosto che un’altra.
Neppure questo motivo è fondato.
Va preliminarmente ribadito che, a fondare una violazione del principio di segretezza, in quanto fattispecie di pericolo volta ad assicurare una tutela anticipatoria della concorrenza, non era necessario dimostrare che la condotta tenuta dalle imprese fosse in concreto idonea ad incidere sull’esito della gara, rilevando il semplice fatto che fosse avvenuto, almeno in via presuntiva, uno scambio di informazioni sulle offerte tra i concorrenti o tra soggetti terzi.
La violazione in esame, invero, va ravvisata in presenza di una indebita ed anticipata conoscenza dei contenuti dell’offerta, comunque determinata, anche laddove si prefiguri il semplice rischio di pregiudizio del bene giuridico protetto dal principio di segretezza.
Ad ulteriore conferma di ciò va ricordato come lo stesso legislatore non abbia più previsto, in relazione alla diversa fattispecie del “collegamento sostanziale” di cui al vigente art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016, la necessità di procedere all’apertura delle offerte economiche prima dell’adozione del provvedimento di esclusione: se dunque quest’ultima è stata ormai ritenuta irrilevante per le ipotesi di collegamento sostanziale, a maggior ragione non potrebbe considerarsi decisiva per le ipotesi di violazione del principio di segretezza e del Patto di Integrità, per le quali già in precedenza tale obbligo non era stato formalmente previsto.
Per quanto nello specifico concerne l’escussione della cauzione provvisoria, la stessa consegue automaticamente alla violazione di clausole ed obblighi contrattuali espressamente accettati da concorrenti con la sottoscrizione del Patto di Integrità (ex plurimis, Cons. Stato, V, 8 febbraio 2005, n. 343; V, 24 marzo 2005, n. 1258; V, 6 marzo 2006, n. 1053; V, 31 dicembre 2014, n. 6455).
Del resto (Cons. Stato, V, 11 luglio 2016, n. 3057), al di là della formulazione letterale della clausola, l’accertata violazione dell’impegno legittima di per sé l’adozione del rimedio, senza necessità di esternare a sostegno dello stesso alcuna motivazione: questa si addice infatti ad un’attività provvedimentale nel quale vengano in rilievo interessi contrapposti da contemperare e non già quando solo si reagisca all’altrui inadempimento di obblighi pattizi.
VI. Quanto all’appello proposto da Ln. Gl. Se. s.r.l. si osserva quanto segue.
In primo luogo si contesta che nel caso di specie potesse parlarsi di violazione del principio di segretezza delle offerte, essendo mancata proprio una approfondita e motivata indagine in tal senso della stazione appaltante.
Invero, sostiene l’appellante, versandosi in ipotesi di gara da aggiudicarsi con il criterio del “prezzo più basso”, il semplice scambio della documentazione con inserimento dell’offerta sigillata in busta contenente la documentazione amministrativa di un’altra concorrente (operazione per giunta avvenuta ad opera del terzo estraneo all’impresa che avrebbe materialmente confezionato i plichi), non integrerebbe una violazione sanzionabile ai sensi dell’art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006: sarebbe stato onere della stazione appaltante fornire elementi concreti atti a suffragare l’ipotesi di un’effettiva alterazione della documentazione di cui l’offerta si compone.
Il motivo non è fondato, per le ragioni già esposte in precedenza, cui per brevità si rinvia.
Va comunque ribadito che il richiamato art. 46 delinea una tipica fattispecie di pericolo, ad integrare la quale non si richiede la dimostrazione – ad opera dell’amministrazione – che si sia effettivamente verificato il vulnus dell’integrità della documentazione di gara, bensì che sia stato integrato anche solamente il rischio di un pregiudizio del bene giuridico protetto dal principio di segretezza.
Il che, come si è detto, trova riscontro nel caso di specie, in presenza di una esternalizzazione senza neppure la previa assunzione di idonee garanzie.
Deve quindi convenirsi che non incombeva sull’amministrazione l’onere di accertare che le offerte dei due raggruppamenti fossero imputabili a un unico centro decisionale e di procedere all’apertura della busta contenente l’offerta economica, così come invece previsto (per diversa ipotesi) dall’art. 38, comma 2 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Analogamente dicasi per il rilievo secondo cui il Patto di Integrità non potrebbe contravvenire al principio di tassatività, pena la nullità delle sue previsioni ai sensi dell’art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006: premesso infatti – come evidenzia il primo giudice – che detto patto si limita a rafforzare l’obbligo di segretezza già previsto dall’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, va poi ricordato che il suo fondamento normativo è estraneo alla sfera del previgente Codice degli appalti pubblici, risiedendo nell’art. 1, comma 17, della legge n. 190 del 2012, a mente del quale “Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara”.
Né si potrebbe dubitare, nel caso di specie che si sia in presenza di una violazione del Patto di Integrità : questo infatti pone a carico delle parti, tra l’altro, l’obbligo di conformare i comportamenti ai principi di lealtà e trasparenza e le impegna a segnalare qualsiasi tentativo di turbativa, irregolarità o distorsione nelle fasi di svolgimento della gara o durante l’esecuzione dei contratti, da parte di ogni interessato o addetto o di chiunque possa influenzare le decisioni relative alla procedura.
Sottoscrivendo il patto, la parte dichiara, inoltre, che non si è accordata e non si accorderà con altri partecipanti alla gara.
Nel caso di specie, come si legge in sentenza, le circostanze rilevate dall’amministrazione nel corso della gara sono idonee a provare un possibile accordo tra i due raggruppamenti e, comunque, un comportamento di indubbia violazione dei principi di segretezza, di lealtà e di trasparenza e irrispettoso degli obblighi previsti dal patto.
Né le parti potrebbero invocare la circostanza che l’attività di collazione dei plichi sia stata posta in essere da un soggetto terzo, estraneo alla procedura e sostenere che non le sarebbe ascrivibile alcuna condotta illegittima in relazione alla violazione del principio di segretezza delle offerte, attesa l’operatività generale del criterio di responsabilità di cui all’art. 1228 Cod. civ.
VI.2. Del pari infondato è il secondo motivo di appello, nel quale vengono ripresi gli argomenti di cui al precedente in merito alla necessità – a fronte della facoltà per l’amministrazione di scegliere tra un ampio ventaglio di sanzioni conseguenti alla violazione del Patto di Integrità – di esplicitare le ragioni che l’avevano indotta ad optare per l’escussione della cauzione di validità dell’offerta rispetto ad opzioni differenti.
Va infatti confermato il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa – ex multis, Cons. Stato, V, 31 dicembre 2014, n. 6455 – dal quale non vi è ragione obiettiva di discostarsi, nel caso di specie, per cui il provvedimento di escussione della fideiussione costituisce l’automatica conseguenza della violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati con la sottoscrizione del c.d. patto di integrità .
Del resto, l’incameramento della cauzione provvisoria è una misura di carattere strettamente patrimoniale, senza un carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio: non ha infatti né carattere reintegrativo o ripristinatorio di un ordine violato, né di punizione per un illecito amministrativo previsto a tutela di un interesse generale). Essa ha il suo titolo e la sua causa nella violazione di regole e doveri contrattuali già espressamente accettati negli stretti confronti dell’amministrazione appaltante.
VII. Conclusivamente, alla luce dei rilievi che precedono, gli appelli vanno respinti.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna le appellanti, in solido tra loro, al pagamento in favore del Comune di Milano delle spese di lite del presente grado di giudizio, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00) complessivi, oltre IVA, CPA ed altri oneri di legge, se spettanti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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