Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 1 ottobre 2018, n. 5604.
La massima estrapolata:
Una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla p.a. solamente ai soggetti responsabili dell’inquinamento, e cioè quelli che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità, non essendo configurabile una responsabilità di mera posizione del proprietario del sito inquinato; d’altra parte se è vero, per un verso, che l’amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria – la quale impone al soggetto, che fa correre un rischio di inquinamento, di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione – per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’accertamento del dolo o della colpa.
Sentenza 1 ottobre 2018, n. 5604
Data udienza 18 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 3749 del 2016, proposto dal Consorzio pe. lo Sv. In. de. Co. di Mo., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Di Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Eu. Pi. in Roma, via (…);
contro
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente in carica pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Pi., con domicilio eletto presso l’Ufficio distaccato Regione Friuli Venezia Giulia in Roma, piazza (…);
nei confronti
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sez. I 24 febbraio 2016, n. 54, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Di Da. e Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito il Consorzio pe. lo Sv. In. de. Co. di Mo. impugnava la sentenza, meglio distinta in epigrafe, con la quale il TAR Friuli Venezia Giulia aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti della Provincia di Gorizia per l’annullamento dell’ordinanza prot. n. 20428/15 del 3.7.2015, notificata in data 7.7.2015, con cui era stato intimato al proprio legale rappresentante, in qualità di “corresponsabile” della potenziale contaminazione, limitatamente alla porzione di “Area (omissis)”, del lotto di proprietà in zona (omissis) a (omissis), di attivarsi secondo quanto stabilito dal D. lgs. 152/2006 all’art. 242 ovvero, qualora ne ricorressero i presupposti, all’art. 249, presentando nel termine di trenta giorni il piano di caratterizzazione a Provincia, Regione, Comune, ARPA F.V.G. – Dipartimento di Gorizia ed A.s.s. n. 2 “Bassa Friulana Isontina”.
2.- A sostegno del gravame esponeva che:
a) nel corso dell’anno 2011 aveva sottoscritto con la società “Co. Te. Ro.” ed i suoi consorziati un contratto di locazione per l’esercizio di attività nel settore della nautica da diporto, all’uopo consegnando l’immobile costituito dal lotto industriale più il fabbricato;
b) la società locataria si era subito resa morosa nel pagamento del canone, di tal che si era visto costretto a dare avvio a procedimento di sfratto dinanzi al tribunale competente, conclusosi con l’intimazione a rilasciare l’immobile entro il 17 dicembre 2013;
c) l’Ufficiale Giudiziario incaricato, effettuando il primo accesso all’area per espletare la procedura di rilascio in data 21 gennaio 2013, vi aveva rinvenuto diversi beni ivi trattenuti in deposito: imbarcazioni e relitti, residui di lavorazioni ed una serie di beni (già ) oggetto di sequestro nell’ambito di pregressa procedura fallimentare;
d) atteso che la situazione riscontrata (con la presenza in loco di oltre cento imbarcazioni) non consentiva la restituzione dell’area senza una previa organizzazione dei lavori con inventario dei beni presenti, si era addivenuti tra le parti, al fine di agevolare le operazioni di sgombero, alla stipula di un apposito “contratto di transazione”, in forza del quale la società aveva assunto l’espresso impegno di riconsegnare l’area liberata, rimuovendo il materiale dalla stessa provvisoriamente collocato in un’area perimetrata come “Area (omissis)”, la quale, al tal fine, sarebbe rimasta nella sua esclusiva disponibilità per un anno, a partire dalla data della stipula (22 aprile 2013), trascorso il quale il Consorzio avrebbe potuto provvedere direttamente alla rimozione, con addebito di ogni costo, anche conseguente all’eventuale smaltimento in discarica;
e) contestualmente era stato stipulato un nuovo contratto di locazione con la Società Ca. Al. Ad. 19. spa, che avrebbe ricevuto la gran parte dell’area già liberata (con l’eccezione della suddetta “Area-(omissis)”) al fine di utilizzarla per la propria attività di cantieristica navale;
f) la società consortile non aveva onorato, a dispetto dei plurimi solleciti, gli impegni assunti nell’accordo transattivo, allorché, alla scadenza del termine fissato per la riconsegna dell’area (22 aprile 2014), il Consorzio aveva effettuato un apposito sopralluogo con propri funzionari, dandone preavviso alla ditta qualche giorno prima;
g) il sopralluogo aveva consentito di accertare lo stato dei luoghi, ancora ingombri di beni e residui di lavorazione: del che si dava atto in apposito verbale, allo scopo di cristallizzare l’inadempimento e di programmare lo sgombero in danno;
h) peraltro, al preordinato fine di evitare ogni contestazione, aveva conferito, in pari data, mandato al proprio legale di proporre ricorso ex art. 696 c.p.c. presso il Tribunale di Gorizia, richiedendo la nomina di un consulente tecnico d’ufficio;
i) al perito designato era stato affidato, all’udienza del 14.7.2014, l’incarico di “procedere ad una ricognizione ed elencazione dei beni e dei residui di lavorazione presenti nell’area […] ricompresa e recintata nel più ampio sedime al civico n. (omissis) di (omissis), specificandone le caratteristiche e le modalità di smaltimento ed i relativi costi”: incarico espletato con deposito di relazione finale in data 17.9.2014;
j) in pendenza di giudizio il Consorzio aveva appreso che la locale Capitaneria di Porto, unitamente alla polizia provinciale di Gorizia e a funzionari dell’ARPA, aveva svolto delle indagini in situ nell’ambito di accertamenti condotti nell’arco di più di tre anni, a partire dall’anno 2012, con risvolti anche penali, ispezionando in più occasioni l’intero lotto in questione ed ipotizzando la sussistenza di diverse violazioni ambientali a carico dei responsabili della Società Co. Te. Ro.: vicenda principiata in data 24 marzo 2012, allorché, secondo quando apprendeva, era emesso provvedimento di garanzia dalla Procura di Gorizia nei confronti delle società costituenti il Consorzio Te. Ro., in qualità di gestore del cantiere nautico in via (omissis), a seguito del prelievo di campioni di terreno e di fango presenti all’interno di una vasca, che avevano evidenziato diverse criticità (presenza di chiazze di idrocarburi e vernici sottostanti o limitrofe alle carene delle imbarcazioni; depositi di materiali vari derivanti dall’attività di cantiere accatastati alla rinfusa; rifiuti depositati in più aree dello stabilimento; rifiuti liquidi stoccati nei serbatoi dell’impianto di trattamento acque reflue), tanto che l’ARPA aveva dato indicazione di “predisporre per tutti i materiali ritenuti utili al riutilizzo, un’apposita area e provvedere al corretto smaltimento di quelli non più reimpiegabili nell’attività produttiva”;
g) aveva, altresì, con l’occasione appreso che già in data 12 aprile 2012 la Società Te. Ro. aveva proposto “agli organi competenti” (Provincia e ARPA) un “piano d’azione per evitare che si protra[esse] la situazione riscontrata”, impegnandosi a rimuovere le situazioni di potenziale inquinamento accertate a suo carico;
h) il 13 marzo 2014 agenti della Polizia locale e tecnici dell’ARPA erano intervenuti ad effettuare un nuovo campionamento sul suolo a seguito di un’attività congiunta di indagine “finalizzata anche alla verifica delle disposizioni imposte dal provvedimento di garanzia della Procura di Gorizia in data 24.3.2012” (che era provvedimento di due anni prima, rivolto alta Società Te. Ro.);
i) nel corso del sopralluogo, era stata riscontrata un’area perimetrata che risultava ingombra di materiali e residui di lavorazione: era stato, quindi, redatto verbale di accertamento dello stato dei luoghi nei confronti della Società Ca. Al. Ad. 19., nuova locataria;
j) all’esito degli accertamenti era stato altresì avviato un procedimento penale e, su richiesta del p.m., l’area era stata sottoposta a sequestro, giusta provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Gorizia del 3 luglio 2014, per la ritenuta sussistenza delle violazioni previste dal d.lgs. n. 152/2006, artt. 192 co. 1 co. 2 (abbandono di rifiuti) e 256 co. 2 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), nonché di una possibile contaminazione del suolo per effetto della fuoriuscita di carburante da alcune barche ivi ricoverate;
k) peraltro di tali circostanze il Consorzio, proprietario del sito, non era stato messo al corrente, apprendendo della sussistenza di un procedimento penale relativo all’area solo, come chiarito, in sede di esecuzione dell’accertamento tecnico preventivo richiesto (il c.t.u. incaricato aveva, infatti, dovuto chiedere accesso all’area ed esservi autorizzato dall’autorità inquirente);
l) in data 15 settembre 2014 gli uffici provinciali avevano comunicato l’avvio del procedimento relativo all’emissione di un’ordinanza-diffida a procedere per quanto di competenza, ai sensi del Titolo V del D.lgs. 152/06, “in relazione all’evento di potenziale contaminazione riscontrato”;
m) a seguito di accesso agli atti aveva per la prima volta appreso che, in data 13 marzo 2014, era stato effettuato un sopralluogo dagli organi di vigilanza, all’esito del quale, su campioni di terreno prelevati sotto due imbarcazioni presenti nell'”Area (omissis)”, era stata rilevata una concentrazione di zinco e di idrocarburi superiore ai parametri normativi;
n) solo in data 10 febbraio 2015 la Provincia aveva comunicato l’avvio di un procedimento finalizzato all’emissione di ordinanza ex art. 244 D.lgs. 152/2006 anche nei confronti del legale rappresentante della Società Te. Ro., fino ad allora, inopinatamente, neppure considerata come responsabile della potenziale contaminazione (e ciò nonostante che il sopralluogo del 13 marzo 2014 si palesasse finalizzato alla verifica delle disposizioni a questa imposte nel 2012 dall’autorità competente; e che il Consorzio avesse prontamente fornito l’atto di transazione in cui appariva evidente il ruolo della società nella causazione dei fatti);
o) a dispetto della documentazione a discarico fornita, il 7 luglio 2015 il Consorzio si era visto notificare l’ordinanza provinciale n. 20428/15 datata 3.7.2015, che lo identificava come “corresponsabile” della potenziale contaminazione limitatamente alla porzione di “Area (omissis)”, per aver consentito, in forza dell’atto di transazione stipulato con il Co. Te. Ro., “di depositare presso l’area indicata nell’Allegato E dell’atto summenzionato i materiali/rifiuti, che [avevano] causato la contaminazione del sito” e “per non aver vigilato sulle modalità di gestione degli stessi”, con pedissequa intimazione: 1) di attivarsi ai sensi dell’art. 242 ovvero dell’art. 249 del D.Igs. 152/2006; 2) di presentare un piano di caratterizzazione agli enti competenti; 3) di eseguire le indagini anche a seguito della rimozione dei rifiuti qualora per la loro natura potessero aver causato la contaminazione del suolo;
p) avverso la ridetta determinazione veniva proposto tempestivo ricorso dinanzi al TAR per il Friuli Venezia Giulia, che inopinatamente, con l’epigrafata sentenza n. 54/2016 – a dispetto del riconosciuta incombenza al solo responsabile della contaminazione (e non all’ente proprietario dell’area) degli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale – lo aveva respinto.
3.- Avverso tale statuizione, argomentandone la complessiva erroneità, contraddittorietà ed ingiustizia, il Consorzio proponeva appello, invocandone l’integrale riforma.
Si costituiva in giudizio la Provincia di Gorizia (di seguito, in forza del riordino del sistema Regione – Autonomie Locali ex L.R. n. 26/2014, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia), che deduceva l’infondatezza del gravame, di cui chiedeva il rigetto.
Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza del 12 aprile 2018, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello è fondato e merita di essere accolto.
2.- Con il primo motivo di doglianza, il Consorzio appellante lamenta errata applicazione della disciplina sulla bonifica dei siti inquinati (artt. 242, 244, 245 e 253 D.lgs. n. 152/2006), difetto di motivazione per travisamento dei fatti, carenza istruttoria, illogicità manifesta, contraddittorietà, errror in judicando.
Osserva, all’uopo, che la sentenza gravata:
a) ha tratto argomento da due elementi non contestati, valorizzati nel provvedimento impugnato, e segnatamente: 1) che il Consorzio fosse il proprietario dell’area, “anche se non [ne aveva] avuto in ogni momento la disponibilità ; 2) che fosse stato accertato in loco un superamento livello consentito di idrocarburi;
b) ha statuito che l’ordine impugnato chiedeva solo un piano di caratterizzazione ed eventuali interventi ex art. 242 del D. Lgs 152/2006, limitatamente all’area in cui era stata accertata la presenza di un deposito di materiali o rifiuti, e solo nella misura di competenza del “proprietario incolpevole”.
Orbene, la definizione di “proprietario incolpevole” non consentirebbe, nel critico assunto dell’appellante, di ritenere l’ordinanza immune da vizi, in quanto l’art. 242 fa riferimento al “responsabile dell’inquinamento” e non certo al proprietario incolpevole, a cui competono invece (solo) gli adempimenti previsti nel successivo art. 245.
2.1.- Per un corretto inquadramento della fattispecie importa premettere un sintetico richiamo al paradigma normativo di riferimento.
Il D.Lgs. n. 105/2006 (Norme in materia ambientale) disciplina, per quanto di interesse, gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l’eliminazione delle sorgenti dell’inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, ispirandosi al principio, di matrice eurocomune, secondo cui “chi inquina paga” (art. 239).
In particolare, la normativa prevede che:
a) le pubbliche amministrazioni che, nell’esercizio delle proprie funzioni, individuino siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne debbano dare comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti (art. 144, comma 1);
b) la provincia, ricevuta la ridetta comunicazione, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il “responsabile dell’evento” e sentito il comune, diffidi, con “ordinanza motivata”, il responsabile della potenziale contaminazione agli adempimenti di legge;
c) l’ordinanza in questione debba comunque essere notificata anche al “proprietario del sito”, ma ai soli sensi per gli effetti dell’articolo 253 (essendo, con ciò, il “proprietario non responsabile” potenzialmente tenuto al rimborso, nei limiti del valore di mercato del sito, delle sostenute dall’amministrazione nel caso di mancata individuazione del responsabile o di sua inottemperanza, salvo il diritto di rivalsa, per le spese e per il maggior danno, nei confronti del “responsabile dell’inquinamento”, in caso di spontaneo intervento di bonifica: art. 244, comma 4);
d) peraltro, “al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito”, al “responsabile dell’inquinamento”incombe, anzitutto, l’immediata adozione di “misure necessarie di prevenzione” e di “messa in sicurezza di emergenza” e quindi, a proprie spese, il ripristino della zona contaminata”, previa predisposizione di un “piano di caratterizzazione” (art. 242);
e) ferma restando la doverosità dei ridetti obblighi a carico del responsabile della contaminazione, il proprietario o il gestore dell’area, che rilevi il superamento, o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione, è tenuto: e1) a darne immediata comunicazione agli enti competenti; e2) a porre in essere le immediate “misure di prevenzione” (ferma restando la facoltà di spontanea attuazione interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità, con le già evidenziate conseguenze) (art. 245).
La giurisprudenza in materia è consolidata nel senso che, avuto riguardo al riassunto quadro normativo, una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla p.a. solamente ai soggetti responsabili dell’inquinamento, e cioè quelli che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità, non essendo configurabile una responsabilità di mera posizione del proprietario del sito inquinato; d’altra parte se è vero, per un verso, che l’amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria – la quale impone al soggetto, che fa correre un rischio di inquinamento, di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione – per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’accertamento del dolo o della colpa (tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; Id. sez. VI, 5 ottobre 2016, n. 4119; Id., sez. V., 14 aprile 2016, n. 1509).
In definitiva: a) il proprietario, ai sensi dell’art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione; b) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravato solo sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (art. 244, comma 2); c) se il responsabile non è individuabile o non provveda gli interventi necessari sono adottati dall’amministrazione competente (art. 244, comma 4); d) le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di mercato del sito dopo l’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4); e) la garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato da un onere reale e di un privilegio speciale immobile (art. 253, comma 2).
2.3.- Agli esposti principi non mostra di essersi attenuta la sentenza impugnata.
Invero, la documentata scansione dei fatti dimostra in modo perspicuo che:
a) l’area oggetto di contaminazione non fosse, nel periodo considerato, nella materiale disponibilità del Consorzio proprietario, che ne aveva concesso prima il godimento per l’attività nautica, poi la detenzione per lo smaltimento programmato in prospettiva transattiva, in vista della composizione dei rapporti successivi alla risoluzione della locazione;
b) non sussistono perplessità (ed anzi emergono obiettivi dati, anche emergenti dagli accertamenti effettuati in sede penale) che la responsabilità dell’inquinamento riscontrato rimonti ai comportamenti (commissivi) dalla società locataria, che aveva prima cagionato il superamento della soglia di idrocarburi e quindi omesso di rimuovere la fonte dell’inquinamento;
c) nessuna responsabilità – sul piano, obiettivo, del nesso di causalità, anche per omissione – può essere imputata al Consorzio proprietario, stante, anzitutto, la concreta “individuazione” del responsabile materiale e considerata, oltretutto l’insussistenza di obblighi di custodia, di intervento o di vigilanza (nella dimostrata assenza di fatti idonei a dimostrare, in concreto, l’avvenuta percezione della contaminazione di aree non in disponibilità ).
Vere le circostanze richiamate, al “proprietario incolpevole” non avrebbe potuto essere addossato l’onere di predisposizione del piano di caratterizzazione e di attivazione degli interventi di bonifica: gli stessi avrebbero dovuto essere intimati all’individuato responsabile, ferma restando – in caso di inadempimento da pare di quest’ultimo – l’esecuzione in danno, con diritto di rivalsa, nei limiti del valore delle aree, nei sensi più sopra chiariti.
3.- Le considerazioni che precedono, assorbendo le ulteriori ragioni di doglianza, specificate nel secondo mezzo, sono sufficienti ai fini del complessivo accoglimento dell’appello, con consequenziale accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento del provvedimento impugnato.
La particolarità della vicenda suggerisce l’integrale compensazione, tra le parti costituite, di spese e competenze di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 12 aprile 2018 e del 18 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore
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