Una contestazione sull’attività di valutazione del giudice

Consiglio di Stato, Sentenza|9 febbraio 2021| n. 1227.

Una contestazione sull’attività di valutazione del giudice non può fondare un’azione revocatoria, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto; di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice.

Sentenza|9 febbraio 2021| n. 1227

Data udienza 4 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Ricorso per revocazione – Casa di cura – Incrementi di budget – Vizio revocatorio – Errore di fatto – art. 395, n. 4, c.p.c. – Attività valutativa ed interpretativa del giudice – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1301 del 2020, proposto da
Casa di Cura Prof. Dott. Lu. Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. Le., Bi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
contro
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ca., con domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via (…);
Asl Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Va. Ca., Em. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);
nei confronti
Casa di Cura C.G. Ru. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fu. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ge. Te. in Roma, piazza (…);
Società Ic. – Is. Cl. Me. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ce., An. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 04552/2019, resa tra le parti, concernente la determinazione dei tetti di spesa per l’assistenza ospedaliera relativi all’anno 2011.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Casa di Cura C.G. Ru. S.p.A., della Regione Campania, della Società Ic. – Is. Cl. Me. S.p.A. e della Asl Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2021, tenuta in modalità telematica, il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti gli avvocati Lo. Le., Gi. Ca., Va. Ca., Br. Ta. su delega di Gi. Ce. e An. Na.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Giunge all’attenzione del Collegio il ricorso per la revocazione della pronuncia di questa sezione n. 4552/2019, proposto dalla Casa di Cura “prof. Dott. Lu. Co.” s.r.l., struttura sanitaria che eroga prestazioni ospedaliere in regime di accreditamento.
2. Queste le pregresse vicende processuali dalle quali origina la presente iniziativa:
— nel corso del primo grado di giudizio, la casa di cura ricorrente ha lamentato l’illegittimità dei decreti commissariali nn. 23/2011, 84/2011 e 66/2012 nella parte in cui, a suo dire, non le avrebbero riconosciuto un incremento di budget per l’annualità 2011 equivalente a quello assegnato per l’annualità 2010 alla fallita casa di cura “Ve.”, cui la stessa ricorrente è subentrata nel 2011 per averla acquisita all’esito di una procedura di evidenza pubblica;
— il Giudice di primo grado (pronunciatosi con la sentenza n. 2377 dell’11 aprile 2018) ha ritenuto infondato tale motivo di gravame, puntualizzando che i decreti n. 66/2012 e 4/2013 sconfessano la tesi che lo supporta, in quanto dagli stessi decreti si evince chiaramente che il budget individuale della struttura è stato incrementato per l’anno 2011 da Euro 7.742.000,00 (di cui al DCA n. 23 del 5 aprile 2011) dapprima a Euro (7.742.000,00 + 1.470.344,00 =) 9.212.344,00 (di cui al DCA n. 84 del 20 dicembre 2011), poi a Euro (9.212.344,00 + 188.786,00 =) 9.401.130,00 (di cui al DCA n. 66 del 19 giugno 2012), infine a Euro (9.401.130,00 + 131.890,00 =) 9.533.020,00 (di cui al DCA n. 4 del 14 gennaio 2013);
— svolta tale premessa, la pronuncia si è poi ulteriormente addentrata nel merito della questione, indicando specificamente i punti dei singoli decreti commissariali da cui si desume che l’incremento del tetto di spesa della clinica ricorrente è correlato all’acquisto della casa di cura “Ve.”;
— non paga della pronuncia del Giudice di prime cure, la Co. ha impugnato il capo relativo all’asserita non corretta ponderazione dell’acquisto del complesso aziendale della fallita clinica “Ve.” nell’assegnazione del tetto di spesa per l’anno 2011;
— al fine di contestare le conclusioni cui era giunto il Giudice di primo grado, l’appellante si è profusa nell’analisi dei singoli decreti commissariali, evidenziando quelli che, a suo avviso, sono i “collegamenti causali” degli incrementi di budget di volta in volta riconosciuti in suo favore dai decreti commissariali impugnati; incrementi che, sempre stando alla tesi perorata dalla Co., non sarebbero causalmente ricollegabili all’assorbimento della clinica Ve.;
— è proprio su quest’ultimo controverso aspetto – l’incremento del tetto di spesa imputabile all’acquisto della clinica fallita – che si concentra la sentenza d’appello di cui oggi si chiede la revocazione;
— nella pronuncia n. 4552/2019 il Consiglio di Stato ha osservato che:
a) il Tar aveva preso in considerazione quanto stabilito dai decreti commissariali nn. 66/2012 e 4/2013, con particolare riguardo agli incrementi di budget dovuti all’assorbimento del menzionato complesso aziendale;
b) la Co. non ha contestato “il dato dell’incremento nella misura di euro 1.470.000,00” verificatosi in suo favore in virtù dell’assorbimento della ex Ve.: “infatti, i criteri generali di cui al d.C.a n. 84/2011 richiamati nell’appello – contrariamente a quanto affermato dall’appellante – non escludono di per sé per la loro natura e tipologia e sotto vari profili che essi abbiano tenuto conto dell’assorbimento della Casa di Cura Ve.”;
c) l’incremento del budget sarebbe da ascrivere, in particolare, al criterio di cui alla colonna n) dell’allegato 1 del dca n. 84/2011, ove si dà atto di un incremento “in relazione alla circostanza di un rapporto percentuale tra tetto di spesa e fatturato annuo inferiore all’80% individuato nella precedente colonna m)”;
d) la casa di cura appellante non ha contestato il (né ha preso posizione sul) fatto che l’assorbimento della Ve., per l’anno 2011, ha avuto effetto in un periodo di tempo limitato (agosto/dicembre) e solo per 20 dei 40 posti della struttura fallita;
e) il dca n. 66/2012 ha precisato che l’incremento del tetto riconosciuto alla Co. andava riferito all’assorbimento della Ve..
4. La ricorrente agisce ora per la revocazione della sentenza n. 4552/2019 per asserita violazione dell’art. 395, c. 1, n. 4, c.p.c., lamentando un “abbaglio dei sensi” sulla principale questione oggetto della controversia.
La tesi è che la pronuncia avrebbe contraddetto gli atti processuali nella parte in cui gli stessi documentano che la Società Co. ha contestato: i) sia che l’incremento del tetto di spesa Euro 1.470.000, previsto nel DCA 84/2011, possa ascriversi all’assorbimento della Ve.; ii) sia che i criteri del DCA 84/2011 ed, in particolare, quello contenuto nella colonna n) dell’Allegato 1, abbiano tenuto conto di tale acquisizione nell’incremento del budget per l’anno 2011.
Questa la duplice “svista” degli atti di giudizio che motiverebbe l’azione revocatoria.
5. Nel contraddittorio con le parti meglio indicate in epigrafe, a seguito del rituale scambio di memorie e note di udienza, la causa è stata posta in decisione all’udienza pubblica del 4 febbraio 2021.
6. Il ricorso per revocazione è inammissibile, poiché non sussistono le condizioni richieste dall’art. 395, c. 1, n. 4, c.p.c. e 106 c.p.a., per la sua proposizione.
Pur invocando una nuova pronuncia sulla questione che “costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”, la ricorrente non individua efficacemente un plausibile “abbaglio dei sensi” in cui sarebbe incorso il Giudice di secondo grado, limitandosi a riproporre, sostanzialmente, le medesime doglianze e argomentazioni già esposte nell’atto di appello.
7. E’ bene ricordare che, in tema di revocazione, la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare alcuni fondamentali principii, stando ai quali:
a) l’errore di fatto, idoneo a costituire un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., è identificabile con l’errore di percezione sull’esistenza o sul contenuto di un atto processuale (id est, una mera svista materiale), che si traduca nell’omessa pronuncia su una censura o su un’eccezione, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento del Giudice (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099; sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5347; sez. IV 28 ottobre 2013, n. 5187; 6 agosto 2013, n. 4156);
b) l’erronea presupposizione deve rilevare come elemento decisivo della decisione da revocare, ovvero come motivo essenziale e determinante, posto in relazione di stretta causalità con l’esito della pronuncia (Cons. Stato, sez. IV, n. 406 del 22 gennaio 2018 e n. 1869 del 21 aprile 2017). Lo stesso errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti o dei documenti del giudizio (Cons. Stato, sez. V, n. 5609 del 29 novembre 2017; Cass. civ., sez. VI, n. 20635 del 31 agosto 2017);
c) non può giustificare la revocazione una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852; sez. V, 12 maggio 2015, n. 2346; sez. III, 18 settembre 2012, n. 4934); di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198);
d) l’errore deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5) e tanto al fine di evitare che il mezzo impugnazione in esame si trasformi in una forma di gravame, teoricamente reiterabile più volte, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale.
8. Il ricorso per revocazione proposto dalla casa di cura Co. non soddisfa nessuna delle condizioni elencate. La ricorrente, infatti, qualifica quale “abbaglio dei sensi” la decisione assunta su un punto fondamentale del giudizio di primo e di secondo grado, che essa stessa definisce il “fulcro” del contenzioso (cfr. pag. 2 del ricorso), concernente l’incremento del tetto di spesa dovuto alla Co. per aver rilevato la fallita clinica Ve..
9. In particolare, la decisione viene censurata:
(a) nella parte in cui ha statuito che non è stata contestata dalla Co. la correlazione tra l’incremento del tetto di spesa ricevuto con il dca n. 84/2011 (pari a Euro 1.470.000,00) e l’assorbimento della clinica Ve.;
(b) nella parte in cui è precisato qual è il rapporto esistente tra i criteri indicati dall’allegato 1, colonna n) del dca n. 84/2011 e l’acquisizione dell’anzidetta clinica.
Tuttavia, è agevole verificare che il Giudice di appello, secondo quanto sopra riportato, si è espressamente pronunciato:
a) sia sulla correlazione tra l’incremento del tetto di spesa ricevuto con il dca n. 84/2011 (pari a Euro 1.470.000,00) e l’assorbimento della clinica Ve.;
b) sia sul il rapporto esistente tra i criteri indicati dall’allegato 1, colonna n) del dca n. 84/2011 e l’acquisizione dell’anzidetta clinica.
Pertanto, essendosi il Giudice di ultima istanza pronunciato sugli aspetti oggetto di critica, la censura revocatoria è inammissibile.
E’ evidente, infatti, che ciò che viene contestato è un “punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” e, in definitiva, un error in iudicando, che, come tale, alla luce dei consolidati principi sopra richiamati, non può essere fatto valere in sede revocatoria.
Non sussiste, pertanto, spazio alcuno per ipotizzare un eventuale errore di fatto revocatorio commesso dal giudice d’appello, giacché la conclusione cui lo stesso è pervenuto (nella sostanza, l’incremento del budget individuale in considerazione dell’assorbimento del menzionato complesso aziendale ex Ve.) è scaturita non da una omissione di pronuncia in dipendenza di un mancato esame di una contestazione – o tanto meno da una difettosa lettura dei documenti di causa e del loro contenuto – bensì da un ragionamento logico-giuridico circa l’emergenza fattuale dagli atti del procedimento di un incremento di budget, la correttezza (o meno) della cui ascrivibilità all’assorbimento della ex Ve. costituisce riflesso di una operazione valutativa del tutto esulante dal sindacato consentito al Giudice della revocazione.
10. Anche se esaminati nel loro più analitico dettaglio, i passaggi motivazionali contestati non rivelano profili di erronea percezione delle risultanze di causa quanto una mera attività di interpretazione delle stesse, a tutto concedere contestabile sotto il profilo della logicità e della coerenza argomentativa, non sotto quello dell’aderenza percettiva ai dati processuali.
In particolare, non è vero che la sezione si è limitata a dare atto (in ciò errando, secondo la parte ricorrente) della mancata contestazione da parte della Co. “dell’incremento nella misura di euro 1.470.000,00” come conseguenza dell’assorbimento della ex Ve.. Nel testo della pronuncia, a questa iniziale affermazione fa seguito, infatti, una valutazione di merito dei criteri generali di cui al d.C.a n. 84/2011 i quali, “a giudizio” della Sezione e “contrariamente a quanto affermato dall’appellante” “non escludono di per sé per la loro natura e tipologia e sotto vari profili che essi abbiano tenuto conto dell’assorbimento della Casa di Cura Ve.”. Dunque, il passaggio relativo alla mancata contestazione è marginale rispetto alla valutazione di merito direttamente indirizzata sui contenuti del d.C.a n. 84/2011; e non è dubbio che questa valutazione, condivisibile o meno che sia, pone capo ad un giudizio, certamente rilevante nell’economia della controversia, ma in alcun modo sospettabile di essere minato alla base da sviste o distorsioni percettive.
11. Aggiungasi che il passaggio motivazionale testé considerato non assume quel carattere decisivo e determinante che necessariamente deve ascriversi alla circostanza travisata dall’errore di fatto valido a supportare l’azione rescindente.
Nella teoria motivazionale della pronuncia n. 4552/2019, infatti, a questo primo argomento se ne assommano altri due, riferiti al fatto che: a) l’assorbimento ha avuto effetto limitatamente al quadrimeste agosto dicembre 2011 e a 20 dei 40 posti letto della struttura acquisita; b) il successivo d.C.A. n. 66 ha poi espresso la motivazione dell’incremento a favore della Casa di Cura Co. – che non trova corrispondenza per le altre Case di Cura nell’allegato 1 del DCA n. 84/2011 cit. – la cui imputazione, pertanto, deve essere riferita all’assorbimento della ex Ve..
Anche sotto questo profilo, riguardante l’articolazione di più profili motivazionali egualmente concorrenti nel supportare l’esito del giudizio ma solo in parte investiti dall’ipotesi dell’errore di fatto, la prospettazione della ricorrente appare inidonea a giustificare, sul piano della sua stessa ammissibilità, l’azione rescindente.
12. Per tali ragioni, essa va respinta e, stante la pregiudizialità necessaria e vincolata tra le due fasi processuali, la sua reiezione esonera il Collegio dall’esame dei motivi dedotti per l’eventualità dello svolgimento di quella rescissoria.
13. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
14. Stante la natura e la peculiarità delle questioni esaminate, si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto,
lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore
Umberto Maiello – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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