Le situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 19 agosto 2019, n. 5743.

La massima estrapolata:

Le situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai sono quelle che implicano l’assoluta estraneità dell’evento rispetto alla sfera psichica dei soggetti interessati, sotto il profilo sia della prevedibilità dell’evento stesso che della responsabilità, con sostanziale riconduzione dell’applicazione della norma a situazioni di forza maggiore.

Sentenza 19 agosto 2019, n. 5743

Data udienza 18 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 996 del 2019, proposto dalla Società Ka. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Vi. An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
l’INPS, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Vi. St., Ma. Sf., An. Co. e Vi. Tr., domiciliato ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 886 del 18 giugno 2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’INPS;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2019 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli Avvocati Pi. Di Be., su delega di Vi. An. Ma., e Vi. St.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con ricorso al TAR per la Puglia, Sezione di Bari, la società in epigrafe, operante nel settore calzaturiero, chiedeva l’annullamento del silenzio – rigetto da parte dell’I.N.P.S., formatosi in data 10.9.2015, con riferimento al ricorso gerarchico, presentato in data 12.6.2015, avverso i provvedimenti del 27.4.2015, con i quali il predetto Istituto comunicava che la Commissione Provinciale per la Cassa Integrazione Guadagni aveva respinto le domande della stessa società del 3.4.2014, 19.6.2014, 15.10.2014 e 11.2.2015 volte ad ottenere il pagamento delle richieste di integrazione salariale (CIGO), rispettivamente con riferimento ai periodi 10.3.2014 – 7.6.2014, 9.6.2014 – 9.8.2014, 22.9.2014 – 20.12.2014, 12.1.2015 – 14.04.2015.
I provvedimenti di diniego dell’INPS erano sinteticamente motivati con un duplice ordine di ragioni: 1) il “superamento delle 52 settimane nel biennio mobile”; 2) la “mancanza di elementi oggettivi attendibili posti a fondamento della previsione di ripresa”.
La società ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione da parte dell’INPS degli artt. 1 e 6 della l. n. 164/1975, vigenti ratione temporis, nonché la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e il difetto di istruttoria.
Quanto al primo motivo di diniego, l’INPS non avrebbe tenuto conto del fatto che, nei periodi autorizzati in precedenza e nei periodi per cui era stata negata l’autorizzazione ad usufruire dell’integrazione salariale, le ore effettivamente utilizzate di CIGO risultavano nettamente inferiori al limite delle 52 settimane nel biennio mobile e che, comunque, il limite temporale non trova applicazione nel settore industriale nei casi di intervento determinato da eventi “oggettivamente non evitabili”.
Inoltre, la tardiva adozione dei dinieghi in relazione alle singole domande avanzate avrebbe impedito alla società ricorrente di correggere eventuali errori nelle istanze successive.
Quanto al secondo motivo di diniego, la società faceva rilevare di aver documentato all’INPS le circostanze imprevedibili e transitorie, non dipendenti da responsabilità nell’esercizio di impresa, da cui sarebbe derivata la crisi produttiva temporanea e la possibilità di ripresa, connessa anche all’adozione di un piano di ristrutturazione aziendale.
2.- Con la sentenza in epigrafe, il ricorso veniva respinto ritenendosi non sussistente uno dei presupposti normativi per l’accesso al trattamento di CIGO, in quanto la ricorrente non avrebbe dimostrato di aver allegato alle domande elementi tali da consentire all’INPS di verificare la sussistenza della possibilità di una ripresa dell’attività produttiva, poiché la ditta versa da oltre 4 anni in difficoltà o crisi strutturale, non si prospettano elementi di ripresa e non si evidenziano quelle circostanze contingenti ed imprevedibili a fondamento delle domande che ne consentirebbero l’accoglimento.
Il TAR ha, quindi, assorbito il primo motivo di ricorso relativo al ritenuto superamento del limite delle “52 settimane nel biennio mobile”, osservando che anche un solo motivo legittimo può costituire valido fondamento del provvedimento.
3.- Con l’appello in esame, la società denuncia l’ingiustizia ed erroneità della sentenza di cui chiede la riforma.
4.- Si è costituito in giudizio l’INPS che insiste per l’infondatezza e il conseguente rigetto dell’appello.
4.1.- Anteriormente all’udienza di discussione, le parti hanno scambiato memorie di replica.
5.- All’udienza pubblica del 18 luglio 2019, la causa è stata decisa.

DIRITTO

1.- L’appello è fondato.
2.- La società appellante deduce i seguenti motivi:
I)- violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della l. 164 del 1975, vigente ratione temporis; difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
II)- violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 e difetto di motivazione -violazione del diritto di difesa – eccesso di potere per manifesta illogicità ed omessa e insufficiente istruttoria.
III)- nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine ai rilievi riferiti al rigetto delle domande; violazione dell’art. 6 della l. 164/1975, vigente ratione temporis e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990.
La società lamenta che l’INPS illegittimamente non ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’ammissione al trattamento di cassa integrazione guadagni ordinaria e che il primo giudice non avrebbe valutato adeguatamente la documentazione prodotta a corredo delle istanze e, successivamente, a sostegno del ricorso gerarchico.
La società deduce di aver rappresentato e provato la “temporaneità ” della crisi produttiva, dovuta a fatti contingenti ed imprevedibili, non dipendenti dalla propria responsabilità o da quella dei lavoratori, quali la riduzione drastica e improvvisa delle commesse e l’annullamento di numerosi ordini da parte di clienti, intervenuto a fine 2013, in conseguenza della situazione di grave crisi del mercato calzaturiero ortopedico e in dipendenza da un evento eccezionale ed imprevedibile, quale la decisione del Ministero della Salute di eliminare dal nomenclatore tariffario le calzature ortopediche entro dicembre 2014, decisione invocata dai propri clienti a fondamento dell’annullamento di numerosi ordinativi.
Oltre a ciò, la difficoltà di accesso al credito, dovuta alla generale crisi economica, e la pendenza di un contenzioso con alcuni clienti, avrebbe determinato la temporanea contrazione dell’attività produttiva.
Peraltro, la natura precauzionale della richiesta di CIGO avanzata in relazione agli eventi indicati e l’avvenuta adozione di un piano di riorganizzazione aziendale, unitamente alla previsione di apprezzamento da parte di altri operatori del mercato, consentirebbero ragionevolmente di valutare positivamente le aspettative di ripresa dell’attività produttiva.
La società deduce, ancora, con riferimento al secondo motivo di diniego (il superamento del limite delle 52 settimane di trattamento usufruibile nel biennio mobile), motivo non esaminato dal TAR, di aver effettivamente usufruito di un numero di ore notevolmente inferiore rispetto a quelle richieste con le precedenti autorizzazione nel periodo gennaio 2012- marzo 2014, come dichiarato all’INPS con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 9 giugno 2015, attraverso apposito prospetto, e come facilmente accertabile dall’Istituto con approfondimento istruttorio.
In ogni caso, la limitazione temporale delle 52 settimane nel biennio mobile non trova applicazione per il settore industriale nei casi di intervento determinati da eventi oggettivamente non evitabili, come quelli evidenziati dalla società deducente.
La società appellante lamenta, comunque, il difetto di motivazione e l’insufficiente istruttoria.
A conferma della sussistenza di entrambi i presupposti per l’accoglimento delle domande, la società fa presente che, successivamente alla sentenza appellata, l’INPS, con provvedimento del 26.6.2018, ha autorizzato la domanda di integrazione salariale presentata in data 3.6.2016.
3.- L’art. 1 e l’art. 6 della l. 164 del 20 maggio 1975 sono le norme basilari nella materia, anteriormente all’abrogazione disposta dall’art. 46, comma 1, lett. f) del D.lgs. n. 148 del 2015 a decorrere dal 24.9.2015.
Quanto ai presupposti per accedere al beneficio, l’art. 1 dispone, nella parte che qui rileva, che “agli operai dipendenti da imprese industriali che siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni di lavoro a orario ridotto è dovuta l’integrazione salariale nei seguenti casi: 1) integrazione salariale ordinaria per contrazione o sospensione dell’attività produttiva: a) per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai…” (art. 1, n. 1, lett. a).
Quanto alla durata del beneficio, l’art. 6 prescrive che “l’integrazione salariale è disposta fino ad un periodo massimo di 3 mesi continuativi; in casi eccezionali detto periodo può essere prorogato trimestralmente fino ad un massimo complessivo di 12 mesi. Qualora l’impresa abbia fruito di 12 mesi consecutivi di integrazione salariale una nuova domanda può essere proposta per la medesima unità produttiva per la quale l’integrazione è stata concessa, quando sia trascorso un periodo di almeno 52 settimane di normale attività lavorative. L’integrazione salariale relativa a più periodi non consecutivi non può superare complessivamente la durata di 12 mesi in un biennio. Le disposizioni di cui al terzo e quarto comma non si applicano nei casi d’intervento determinato da eventi oggettivamente non evitabili.”.
La giurisprudenza ha ritenuto che la disciplina normativa in siffatta materia non può che ritenersi di stretta interpretazione, tenuto conto delle finalità sociali e assistenziali dell’istituto e dell’impiego al riguardo di risorse pubbliche, ad attenuazione del rischio di impresa (Consiglio di Stato sez. III, 14/01/2019, n. 327).
In tale ottica, il requisito per accedere al contributo consiste in una situazione di crisi aziendale non imputabile a responsabilità dell’imprenditore o dei lavoratori, riconducibile a fattori esterni, ma estranea al rischio di impresa (C.d.S., sez. III, 14/01/2019, n. 327).
Le “situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai” – sono quelle che implicano l’assoluta estraneità dell’evento rispetto alla sfera psichica dei soggetti interessati, sotto il profilo sia della prevedibilità dell’evento stesso che della responsabilità, con sostanziale riconduzione dell’applicazione della norma a situazioni di forza maggiore.” (C.d.S. sez. VI, 22/04/2014, n. 2009).
Quanto al profilo della “transitorietà “, secondo la giurisprudenza, “evento transitorio” è quell’accadimento che esula dalla sfera di controllo e di prevedibilità dell’imprenditore, sia che attenga a fatti naturali (condizioni stagionali impeditive dell’ordinario andamento dei lavori), sia a fatti umani esterni, che sfuggono al dominio, secondo l’ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori di impresa.
Si ritiene che rientrino ordinariamente nella tipologia gli eventi oggettivamente imprevedibili ai quali l’imprenditore non può sottrarsi: il caso fortuito, la forza maggiore, il “factum principis”, ovvero l’illecito del terzo (C.d.S., Sez. VI, 22/11/2010, n. 8129).
Si esclude la transitorietà dell’evento nell’ipotesi dell’esaurimento pressoché totale del lavoro commissionato di cui si non si intravede la possibilità di superamento (C.d.S., sez.VI, 20/05/2005, n. 2564).
La crisi aziendale è stata ritenuta, però, transitoria quando, pur conseguente a contrazione di ordini e vendite, non è riconducibile a scelte imprenditoriali, ma ad una temporaneità della situazione di mercato, presupposti che l’I.N.P.S. è tenuta ad accertare, dando conto del percorso logico seguito nella valutazione tecnico-discrezionale di tali situazioni (C.d.S., sez. VI, 22 aprile 2014 n. 2009).
Infine, la “transitorietà ” va valutata in termini di prevedibilità della ripresa produttiva al momento della presentazione della domanda, secondo un giudizio prognostico ex ante (C.d.S., Sez. VI, 22/11/2010, n. 8129).
Più in generale, la valutazione dei requisiti di ammissione all’integrazione salariale ha carattere prognostico e, quindi, deve essere effettuata soltanto sulla base delle informazioni disponibili ex ante e, naturalmente, in primis fornite dallo stesso imprenditore richiedente (cfr. Cons. Stato, VI, n. 4084/2013; n. 3783/2013; n. 2503/2012)
3.2.- Nella fattispecie, facendo applicazione delle norme richiamate come interpretate dalla giurisprudenza, deve ritenersi che sussistono i presupposti per cui deve essere disposta l’integrazione salariale.
Per quanto concerne la “transitorietà ” degli eventi rappresentati dalla società richiedente, si ritiene che la contrazione di commesse e ordini sia stata conseguenza di fatti del tutto estranei alla sfera di responsabilità dell’imprenditore, non da questi prevedibili, e attribuibile, in parte, all’annullamento di numerosi ordinativi alla fine del 2013, a causa della decisione del Ministero della Salute di eliminare dal nomenclatore tariffario le calzature ortopediche entro dicembre 2014, in parte alla generale crisi di mercato e, nello specifico settore, al fallimento di importanti clienti.
La società ricorrente ha dichiarato e dimostrato con copiosa produzione documentale in sede di ricorso gerarchico all’INPS (vedi ordinativi annullati, relazione del 10 aprile 2015 a firma dell’Amministratore), atti prodotti in giudizio, che la riduzione dell’attività produttiva, pur già contrassegnata da un trend negativo negli anni 2011/2013 per la difficile situazione del mercato, si è accentuata nel 2014 per effetto di tali circostanze, oltre che per la contrazione del mercato del credito e per il contenzioso in essere con alcuni clienti per il recupero di crediti (Ri. Or. S.p.A. di Bologna; Sa. Pa. di Trani; SO. OR. di BARI; Sa. S. Or. S.r.l. di Bologna; Is. Or. S.r.l. di Taranto).
La contrazione improvvisa delle commesse, imputabile a fattori esterni all’impresa, che comporti una ricaduta sui volumi produttivi, così come la perdita di quote di mercato per il fallimento di operatori abituali e importanti clienti, la difficoltà di accesso al credito, sono tutte circostanze estranee al normale rischio di impresa, qualificabili come eventi non imputabili all’imprenditore e transitori, ai sensi dell’art. 1, comma 1, n. 1 lett. a).
Vero è che le difficoltà protrattesi nel tempo e la sofferenza aziendale dimostrata dal ricorso alla Cassa integrazione guadagni anche negli anni precedenti lasciano pensare ad una strutturale situazione di crisi aziendale.
Tuttavia, in tempi di prolungata crisi del mercato generalizzata, frutto di una pluralità di fattori, è valutabile positivamente la prospettiva di ripresa della produzione come effetto dell’attuazione di un “piano di riorganizzazione”, strategia che si potrebbe rivelare sufficiente prima di addivenire ad una ipotesi vera e propria di ristrutturazione/riorganizzazione aziendale.
Tant’è vero che tale valutazione prognostica positiva è stata formulata dall’INPS, successivamente alla sentenza appellata, con provvedimento del 26.6.2018, sulla successiva domanda presentata dalla società il 3.6.2016.
Con tale provvedimento, l’INPS ha ammesso la società al CIGO per il periodo dal 20 aprile 2015 al 18 luglio 2015, pari a 13 settimane, ritenendo transitoria la crisi aziendale e probabile la ripresa dell’attività nonostante i numerosi pregressi ricorsi alla cassa integrazione, pur ferma restando ovviamente la diversità di situazioni valutate in relazione alla nuova istanza.
3.3.- Quanto all’ulteriore motivo di diniego, non esaminato dal TAR, concernente il superamento del periodo massimo di durata del trattamento usufruibile nel biennio mobile, pari a 12 mesi (52 settimane) il Collegio ritiene che siano positivamente apprezzabili le ragioni dell’appellante.
Dall’esame delle dichiarazioni rese dalla Società nelle domande rigettate, l’INPS avrebbe potuto risalire alle effettive settimane di cassa integrazione usufruite nel biennio, calcolate secondo il criterio più favorevole invocato dall’appellante, di cui alla circolare dell’INPS n. 58 del 2009.
La società ha dichiarato, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 9 giugno 2015, allegata al ricorso amministrativo prodotto all’INPS l’11 giugno 2015, che su 170.340 ore autorizzate e richieste dal 12.1.2012 fino all’11.4.2015, ha usufruito solo di 35.292 ore (circa il 20%).
Tali dati non sono contestati dall’INPS.
Precisa, invece, l’INPS che dall’art. 6 della l. 164/1975 e dalla circolare n. 58/2009 si evince che, ai fini del calcolo della durata del trattamento, la minima unità temporale lavorativa e produttiva relativa all’azienda (o meglio all’unità produttiva) nel suo complesso, infrazionabile, nel cui ambito si verifica la sospensione dal lavoro (a prescindere dal fatto che la sospensione sia totale o parziale e, quindi, dal numero dei lavoratori sospesi o dalle ore di sospensione) è la settimana.
Il limite di 12 mesi, ovvero 52 settimane, (secondo l’interpretazione evolutiva fatta propria dalla circolare INPS n. 58/2009) viene computato avendo riguardo non ad una intera settimana di calendario, ma alle singole giornate di sospensione dal lavoro e considerando usufruita una settimana solo allorché la contrazione del lavoro abbia interessato sei giorni o cinque in caso di settimana corta.
La società appellante, avrebbe errato nel ritenere che l’unità di misura possa essere rappresentata dalle ore di fruizione dell’integrazione salariale, introducendo un calcolo del monte ore lavorabili del tutto al di fuori del sistema normativo in materia che si basa sulla sospensione dell’attività produttiva settimanale/giornaliera, sia essa totale o parziale, ossia a prescindere dal numero dei lavoratori interessati dalla sospensione dell’attività lavorativa.
L’INPS ribadisce, quindi, che seppure la circolare n. 58/2009 preveda un utilizzo flessibile degli strumenti a sostegno del reddito che tenga conto del tempo effettivamente utilizzato, il calcolo va effettuato con riferimento ai giorni di sospensione dell’attività lavorativa (sia essa totale o parziale) e non ad ore.
3.4.- Ritiene il Collegio che le dichiarazioni della società, nel loro complesso, consentivano all’INPS di accertare che il limite di 52 settimane di cassa integrazione in un biennio non era superato.
La società ha dichiarato, compilando i moduli standard di domanda I.G.I 15 cod SR21 (doc. 5), che con riferimento ai periodi 10.3.2014 – 7.6.2014, 9.6.2014 – 9.8.2014, 22.9.2014 – 20.12.2014, 12.1.2015 – 14.04.2015 erano state richieste rispettivamente 13, 9,13,13 settimane di CIGO, per un totale di 170.340 ore di sospensione; che la sospensione dal lavoro riguardava 28 dipendenti (di cui 3 operai) su 29 e che la ditta opera su una settimana corta di 5 giorni, con orario di lavoro di 40 ore settimanali per ciascun dipendente.
La società ha anche dichiarato, con la dichiarazione sostitutiva di atto notorio del 9 giugno 2015, di aver usufruito effettivamente di 342, 115, 2.433, 1.702 ore di sospensione, rispettivamente, per ciascun periodo richiesto.
Anche le ore di CIGO effettivamente usufruite nel periodo anteriore (a decorrere dal 2.1.2012), di cui alla detta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 9.6.2015, risultano essere in misura inferiore rispetto al monte ore autorizzato; in particolare, a fronte di 170.340 ore autorizzate nel detto periodo (ivi comprese quelle oggetto dei provvedimenti di diniego), solo 35.292 ore di CIGO sono state effettivamente usufruite.
Appare evidente, ictu oculi, che solo il 20% del periodo di cassa integrazione richiesto nel biennio è stato utilizzato effettivamente.
Un calcolo ad ore di totale sospensione dal lavoro per 28 lavoratori, sulla base dei dati in possesso dell’INPS, come sopra riassunti, era facilmente riconvertibile in un calcolo a giornate di sospensione del lavoro per unità aziendale.
In ogni caso, l’INPS avrebbe potuto, con apposita istruttoria, invitare l’interessata a integrare e/o chiarire i dati dichiarati, al fine di pervenire al calcolo del periodo usufruito nel biennio in termini di settimane.
L’applicazione del criterio di calcolo non può avvenire in maniera rigida e prescindendo dalla effettiva utilizzazione dei periodi di cassa integrazione autorizzati, in conformità alla ratio della l. n. 164 del 1975, come interpretata con la richiamata circolare n. 58/2009, che è quella di consentire alle aziende in temporaneo rallentamento dell’attività di usufruire in modo flessibile degli strumenti di sostegno al reddito, al fine di evitare che situazioni di temporanea inattività, in presenza di particolari eventi, possano portare all’estinzione dei rapporti lavorativi, ripristinabili ad avvenuto superamento delle condizioni di difficoltà .
Il difetto di istruttoria, quantomeno, inficia i provvedimenti di diniego impugnati.
4.- In conclusione, l’appello va accolto, e gli impugnati provvedimenti devono essere dichiarati illegittimi sotto il profilo della violazione di legge, nonché per carenza e/o incompletezza dell’istruttoria.
5.- Le spese di giudizio si possono compensare tra le parti, in considerazione delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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