Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 901.
La massima estrapolata:
La sanzione disciplinare della rimozione comporta ex lege la cessazione del rapporto di impiego, conseguendo ad una valutazione di assoluta incompatibilità del mantenimento dello status di militare in capo all’incolpato.
Sentenza 4 febbraio 2020, n. 901
Data udienza 16 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5484 del 2018, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Ad. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma. in Roma, viale (…);
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze – Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Catanzaro, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti l’avvocato Ma. Et. Ve. su delega di Ad. La. e l’avvocato dello Stato Em. Da.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r. per la Calabria, anche sulla scorta di propri precedenti arresti emessi su vicende analoghe, ha rigettato il ricorso del sig. -OMISSIS-, all’epoca dei fatti maresciallo aiutante della Guardia di Finanza, avverso il provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, originato da un procedimento penale (poi estintosi con sentenza di n. l.p. per intervenuta prescrizione) per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio in concorso con altri.
Il Tribunale ha confutato tutte le censure formulate in ricorso, di carattere sia procedimentale (superamento del termine massimo per l’inizio del procedimento disciplinare; sovrapposizione fra procedimento penale e disciplinare), sia sostanziale (illegittima cessazione del rapporto d’impiego in asserita violazione dell’art. 29 c.p.m.p., con formulazione, sul punto, di eccezione di legittimità costituzionale della disposizione in parola, ove interpretata come non applicabile anche al personale della Guardia di Finanza).
2. Il ricorrente ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure di prime cure.
Si è costituita in resistenza l’Amministrazione.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 16 gennaio 2020 e, all’esito, è stato trattenuto in decisione.
3. Il ricorso non merita accoglimento.
4. Il Collegio esamina direttamente il ricorso di primo grado, che connota e perimetra ab initio (cfr. art. 104 c.p.a.) l’oggetto del giudizio.
In proposito, seguendo l’ordine delle censure ivi svolte, il Collegio osserva quanto segue.
4.1. Il dies a quo del procedimento disciplinare non si identifica con la data di definitività del provvedimento giurisdizionale, bensì con la data in cui l’Amministrazione acquisisce formalmente, dalla competente Cancelleria, copia conforme del provvedimento con attestazione di irrevocabilità .
Nella specie, la Cancelleria del Tribunale di Catanzaro ha attestato che la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione era divenuta irrevocabile in data 5 giugno 2006: ne consegue che il procedimento disciplinare, instaurato in data 26 ottobre 2006 con l’ordine di inchiesta formale, è stato attivato entro il termine di 180 giorni prescritto ex lege (art. 97 d.p.r. n. 3 del 1957).
In proposito, il Collegio precisa che l’avvio del procedimento disciplinare si ha con l’ordine di procedere ad inchiesta formale, che comporta la contestazione degli addebiti (cfr., de jure condito, l’art. 1376 cod. ord. mil.) e cui spesso, come nella vicenda de qua, si accompagna la nomina dell’ufficiale inquirente, mentre la successiva comunicazione all’incolpato degli addebiti ad opera dell’ufficiale inquirente – nella specie operata in data 7 novembre 2006 – costituisce già un atto (solitamente, il primo) del giudizio disciplinare ormai instaurato.
Non può, di converso, avere rilievo, sul punto, il fatto che, in data 23 novembre 2006, la Cancelleria abbia poi comunicato che, in realtà, per l’odierno ricorrente la data di irrevocabilità era il 28 aprile 2006.
Un siffatto errore, infatti, non può andare a danno dell’Amministrazione procedente, per evidenti ragioni di tutela dell’affidamento incolpevole dell’Amministrazione stessa, peraltro astretta, nelle proprie valutazioni, dal carattere fidefaciente delle attestazioni degli Uffici di Cancelleria (si vedano anche, con maggiore approfondimento, le ordinanze di questo Consiglio n. 5677 e n. 5678 del 30 ottobre 2007, pronunciate su ricorsi in appello cautelare allibrati al n. r.g. 7420/2007 e 7421/2007, radicati da altri co-imputati nella medesima vicenda).
4.2. Non si è verificata alcuna sovrapposizione fra procedimento disciplinare e procedimento penale, atteso che il procedimento penale militare cui fa riferimento il ricorrente nei propri atti defensionali (relativo al reato di peculato militare) inerisce a fattispecie criminosa diversa, sia pur connessa, rispetto a quella da cui è originata l’incolpazione disciplinare de qua.
4.3. Quanto ai profili più specificamente sostanziali, il Collegio osserva che la sanzione disciplinare della rimozione comporta ex lege (cfr. art. 41 l. n. 833 del 1961, vigente ratione temporis) la cessazione del rapporto di impiego, conseguendo ad una valutazione di assoluta incompatibilità del mantenimento dello status di militare in capo all’incolpato.
Invero, la rimozione implica la regressione del militare al livello più basso della gerarchia militare, vale a dire al rango di soldato semplice: ciò implica, necessariamente, la perdita dello status di appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, nel cui ambito anche i livelli più bassi della gerarchia (ossia appuntato, finanziere scelto e finanziere, unitariamente qualificati dall’art. 5 l. n. 833 del 1961 come “militari di truppa”) sono rappresentati da gradi, oggetto di “legittimo conferimento” e di “perdita” (cfr. il richiamato art. 5 l. n. 833 del 1961).
Del resto, l’art. 40 della l. n. 833 del 1961 afferma espressamente che “il militare di truppa incorre nella perdita del grado, tra l’altro, per rimozione per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina”.
Di converso, il successivo art. 41 stabilisce che “il militare di truppa incorso nella perdita del grado è iscritto nel proprio distretto di leva come semplice soldato”.
Siffatta dizione individua con chiarezza l’effetto espulsivo intrinseco alla sanzione, in considerazione dell’assenza, nell’ordinamento del Corpo della Guardia di Finanza, della qualifica di “semplice soldato”; oltretutto, il riferimento normativo all’iscrizione nel “distretto di leva” rimanda ad un atto (appunto, l’iscrizione) innovativo e costitutivo di una nuova condizione soggettiva e, comunque, esclude specularmente, a contrario, la stessa possibilità logica di ipotizzare una permanenza nei ruoli del Corpo.
E’, infine, irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 c.p.m.p., giacché, nella specie, la rimozione è stata disposta quale sanzione disciplinare, non quale pena accessoria a condanna penale militare.
5. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione intimata le spese di lite del grado, liquidate in complessivi Euro 3.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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