Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 4 dicembre 2019, n. 8305
La massima estrapolata:
Rientra nella discrezionalità della stazione appaltante conformare la lex specialis, quanto alla determinazione della basa d’asta, in modo da garantire il migliore perseguimento del suo interesse, anche in termini di massimizzazione della convenienza economica delle condizioni di aggiudicazione del servizio: discrezionalità che incontra il suo limite, con specifico riferimento ai temi dibattuti nell’ambito della presente controversia, nell’esigenza di rispettare le condizioni inderogabili di retribuzione previste dalla pertinente normativa contrattuale.
Sentenza 4 dicembre 2019, n. 8305
Data udienza 21 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5774 del 2019, proposto da
Associazione Generale delle Cooperative Italiane – AGCI e Consorzio Lombardia Sanità, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Rhodense, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Zo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Pi. Zo. in Roma, via (…);
Azienda Socio Sanitaria Territoriale – ASST Grande Ospedale Metropolitano Ni., Azienda Socio Sanitaria Territoriale – ASST Nord Milano, Fondazione Irccs Cà Gr. Ospedale Maggiore Policlinico Milano, Azienda Socio Sanitaria Territoriale – ASST Centro Specialistico Ga. Pi. / Cto, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Ca. Be., Azienda Socio Sanitaria Territoriale – ASST Fa. Sa., Azienda Socio Sanitaria Territoriale – ASST Sa. Pa. e Ca., Azienda Socio Sanitaria Territoriale – ASST Lodi, Azienda Socio Sanitaria Territoriale – ASST di Monza, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta n. 00608/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Rhodense;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli Avvocati An. Pa. e Ma. Zo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza appellata, il T.A.R. Lombardia ha in parte dichiarato inammissibile (per carenza di legittimazione passiva, relativamente alla posizione dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane – A.G.C.I., dichiaratasi ente rappresentativo delle cooperative operanti nel settore dell’appalto) ed in parte respinto (relativamente alla posizione del Consorzio Lombardia Sanità, quale gestore uscente del servizio di trasporto sanitario oggetto del lotto n. 3 dell’attuale gara) il ricorso proposto dalla odierna appellante avverso il bando di gara, pubblicato sulla G.U.R.I. 5° Serie Speciale – Contratti Pubblici n. 72 del 22 giugno 2018, relativo alla “Gara europea a procedura aperta per l’affidamento di contratti aventi ad oggetto servizi di trasporto sanitario e di trasporto di sangue, emocomponenti, campioni e materiale biologico, altri beni, destinati agli enti di seguito elencati”, divisa in n. 7 lotti, indetta dall’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Rhodense – in forma aggregata con altre aziende sanitarie regionali – e da aggiudicare secondo il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il ricorso, in particolare, si fondava sull’assunto che il prezzo previsto fosse eccessivamente basso rispetto al costo medio della manodopera nel settore oggetto di gara: in dettaglio, la parte ricorrente lamentava la violazione degli artt. 23, comma 16, e 97 d.lvo n. 50/2016, sostenendo che l’importo a base di gara fosse ampiamente inferiore al costo orario medio desumibile dalla contrattazione collettiva (CCNL) delle cooperative sociali (profilo C1, corrispondente al profilo di inquadramento previsto dal disciplinare di gara), richiamata dall’art. 3 del disciplinare quale riferimento per fissare il valore delle prestazioni oggetto dell’appalto: ciò in quanto il costo orario minimo previsto dal medesimo sarebbe stato pari a Euro 19,56, mentre il valore risultante dal disciplinare sarebbe stato pari a circa Euro 16,00.
La statuizione di inammissibilità del ricorso, relativamente alla posizione dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane – A.G.C.I., conseguiva al rilievo secondo cui “le associazioni di categoria sono legittimate ad agire a tutela di un interesse omogeneo della categoria stessa, non potendo versare in una situazione di conflitto di interessi con operatori del settore che esse dichiarano di rappresentare”, laddove all’appalto avevano partecipato imprese organizzate quale cooperative sociali, il cui interesse all’aggiudicazione si poneva in evidente conflitto con quello dell’associazione all’annullamento del bando e degli atti di gara.
Quanto invece alla posizione del Consorzio Lombardia Sanità, il T.A.R., dopo aver rilevato che la legge di gara è autonomamente impugnabile laddove contenga clausole immediatamente escludenti – fra le quali la giurisprudenza annovera quelle che rendono impossibile o oggettivamente difficile la partecipazione, che impongono oneri sproporzionati o che rendono impossibile il calcolo della convenienza economica o tecnica dell’offerta, oppure che rendono obiettivamente non conveniente o eccessivamente oneroso il rapporto contrattuale – e che deve tuttavia trattarsi di una impossibilità o onerosità oggettive, e non della mera difficoltà riferita al singolo partecipante, tale che sia impedita “con certezza la stessa formulazione dell’offerta” (eventualità da escludere nel caso di “partecipazione alla procedura di gara”, nel senso che “deve trattarsi di una preclusione sostanzialmente generalizzata alla presentazione di un’offerta”), ha evidenziato che la stessa deduzione di parte ricorrente, secondo cui la partecipazione alla gara sarebbe stata scarsa pur a fronte di un mercato estremamente competitivo, “non esclude però la circostanza obiettiva che una serie di operatori hanno preso parte alla procedura, mentre l’attuale gravame è in fondo proposto da una singola impresa, non dovendosi considerare l’associazione di categoria, la cui impugnazione è inammissibile per le ragioni suesposte”.
Con i motivi di appello, di cui si dirà meglio infra, la parte appellante contesta le suesposte conclusioni attinte dal giudice di primo grado.
Si è costituita in giudizio, per resistere all’appello, l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Rhodense.
In via preliminare, deve rilevarsi l’improcedibilità del ricorso introduttivo relativamente ai lotti n. 1, n. 5 e n. 6; mentre gli ultimi due infatti, come dedotto già in primo grado dalla parte appellante, sono andati deserti, l’unica offerta presentata per il lotto n. 1 è venuta meno per effetto della sentenza del TAR Brescia n. 367 del 22 febbraio 2019, con la quale è stato annullato il provvedimento di ammissione di It. En. Lo. Onlus.
Tanto sinteticamente premesso, è fondato il motivo di appello inteso a contestare la statuizione di inammissibilità del ricorso introduttivo, recata dalla sentenza appellata relativamente alla posizione dell’A.G.C.I. – Associazione Generale delle Cooperative Italiane.
Ribadito che la suddetta statuizione si fonda sul rilievo del conflitto di interessi ravvisabile, in relazione all’iniziativa impugnatoria de qua, tra l’ente esponenziale e le cooperative sociali che hanno partecipato alla procedura di gara, obietta l’associazione appellante che essa persegue l’obiettivo di rimuovere un bando contenente previsioni lesive della normativa inderogabile a tutela dei lavoratori ed irrispettoso dei principi di trasparenza e correttezza nell’espletamento delle procedure di gara, funzionali a garantire la possibilità per ogni partecipante di competere tramite offerte “serie” e compatibili con i minimi parametri di sostenibilità dei costi del lavoro.
Ebbene, deve osservarsi che la valutazione della “omogeneità ” dell’interesse categoriale, a tutela del quale venga attivata l’iniziativa giurisdizionale del soggetto esponenziale, non deve essere valutata “in concreto” – ovvero, con riferimento al modo, eventualmente diversificato, con il quale venga inteso e perseguito dai soggetti appartenenti alla categoria rappresentata – ma “in astratto”, ovvero alla luce del suo atteggiarsi in generale, al fine di verificare se esso sia suscettibile di elevarsi, appunto, ad interesse “di categoria” (e non dei singoli soggetti rappresentati dall’ente esponenziale).
Così concepito, ed una volta verificata la corrispondenza allo schema suddescritto dell’interesse di categoria posto a fondamento dell’azione impugnatoria (indagine che non può non concludersi, nella fattispecie, in senso positivo, non potendo escludersi la natura collettiva ed omogenea dell’interesse dell’ente esponenziale degli operatori dello specifico settore a garantire le più ampie possibilità di accesso degli stessi alla procedura competitiva, attraverso la fissazione di una base di gara coerente con i parametri inderogabili che presiedono alla determinazione del costo del lavoro), esso non è suscettibile di essere inficiato dalla circostanza, puramente contingente, della partecipazione alla gara di alcuni dei soggetti appartenenti alla categoria (peraltro, come dedotto dalla associazione appellante, nemmeno iscritti alla stessa): ove così si ritenesse, infatti, l’attività di uno dei soggetti rappresentati sarebbe suscettibile di paralizzare l’azione impugnatoria dell’ente esponenziale, con gravi ripercussioni sul diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi legittimi (nella specifica versione degli interessi collettivi) degli enti esponenziali, ex art. 24 Cost..
Discende, da tali rilievi, che la partecipazione di alcune cooperative sociali alla gara attiene (non al piano della ammissibilità del ricorso proposto dall’ente esponenziale, ma) al merito del gravame, ergo alla valutazione della fondatezza delle censure proposte (intese a contestare l’effetto preclusivo che la disciplina di gara determinerebbe rispetto alla possibilità di formulare un’offerta seria e competitiva): ciò che del resto lo stesso giudice di primo grado ha ritenuto allorché ha desunto dalla suddetta partecipazione un argomento contrario alla effettiva impossibilità di partecipare alla gara per effetto delle condizioni economiche imposte dalla stazione appaltante.
Deve solo osservarsi, peraltro, che anche da questo punto di vista, come meglio si dirà infra, la circostanza indicata non assume rilievo dirimente ma meramente indiziario, non deponendo necessariamente nel senso della congruità (in rapporto al costo del lavoro connesso all’esecuzione del servizio oggetto di gara) della base di gara: essa infatti può trovare spiegazione di carattere alternativo (anche tenuto conto delle deduzioni di parte appellante in ordine alla ristrettezza numerica della partecipazione ed al suo carattere parziale in rapporto ai lotti oggetto di gara), non ultima quella attinente ad una ipotetica anomalia delle offerte presentate (dalle cooperative concorrenti), ciò che rende necessario, come si vedrà, una analisi approfondita (e non meramente indiziaria) della conformità della base di gara alle norme inderogabili, in tema di remunerazione dei dipendenti e quindi di costo del lavoro, che presiedono al servizio in discorso.
Deve adesso esaminarsi il motivo di appello inteso a censurare la sentenza appellata nella parte in cui ha desunto l’infondatezza del ricorso, relativamente alla posizione del co-ricorrente Consorzio Lombardia Sanità, dalla mera partecipazione alla gara di alcune cooperative sociali, la quale dimostrerebbe la non ravvisabilità di una situazione di assoluta impossibilità partecipativa, necessariamente presupposta dalla facoltà (ed onere) di impugnazione immediata della disciplina di gara, laddove preveda un importo a base di gara insufficiente non solo a garantire la remunerazione per l’eventuale aggiudicatario, ma anche a coprire i costi per la manodopera necessaria all’esecuzione dei servizi oggetto di gara: ciò che impone di esaminare i motivi di appello intesi a ribadire i profili di dedotta illegittimità della lex specialis.
Deve all’uopo premettersi che la gara è finalizzata all’affidamento ad un unico operatore economico per ciascun lotto di riferimento di:
“1. servizio di trasporto sanitario mediante impiego di tipologia di mezzi riportati nell’Allegato B della D.G.R. 16 maggio 2016, n. X/5165, (Rif. A03; A04; A05) [prestazione principale]”;
2. servizio di trasporto sangue, emocomponenti, campioni e materiali biologici, altri beni mediante impiego di automezzo (Rif. A07 Allegato B, D.G.R. 16 maggio 2016, n. X/5165) [prestazione secondaria]”.
Va altresì evidenziato che, per entrambe le prestazioni sopra richiamate, in tutti e 7 i lotti, il disciplinare di gara prevede(va) una remunerazione a “canone”, calcolata sulla base delle dotazione di mezzi richiesti ad “uso esclusivo” (ovvero ambulanze aventi le caratteristiche indicate nell’Allegato B della D.G.R. 16.05.2016, n. X/5165) ed una “a chiamata”, quest’ultima mediante l’applicazione di “tariffe”, distinte per tipologia di trasporto, riportate in apposite tabelle e poste a base d’asta ai fini della formulazione delle offerte.
Ebbene, lamentava in primo grado la parte ricorrente che, in tutti e sette i lotti oggetto della procedura di gara, il canone posto a base di gara per il servizio di trasporto sanitario “ad uso esclusivo” era stato calcolato dalla stazione appaltante mediante una sottostima rilevante del costo del lavoro del personale, quale previsto dal C.C.N.L. delle Cooperative Sociali, profilo C1, da impiegare nell’esecuzione delle prestazioni de quibus.
Essa perveniva alla suddetta conclusione sulla scorta del numero di ore annuo che la lex specialis prevede(va) per ciascun lotto per il servizio di trasporto con veicoli “ad uso esclusivo”, del calcolo del costo orario stimato dalla stazione appaltante (sulla scorta del canone complessivo a base di gara) e del raffronto con il costo orario desumibile dal citato C.C.N.L.: la comparazione dei suddetti dati, elaborata con apposita relazione tecnica prodotta agli atti del giudizio di primo grado, poneva infatti in evidenza che mentre il costo orario stimato dalla stazione appaltante era mediamente inferiore a 16 euro, quello ricavabile dal C.C.N.L. di categoria era pari ad euro 19,54 (la correttezza di tale valore, osservava la parte ricorrente, trovava conferma nel precedente di cui alla sentenza del T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 25.10.2017, n. 1277, confermata da Consiglio di Stato, Sez. II – recte III – 14.05.2018, n. 2867).
Aggiungeva la ricorrente che la – significativa, quindi non giustificabile alla stregua della notoria derogabilità delle tabelle ministeriali, tradizionalmente affermata dalla giurisprudenza – sottostima del costo del lavoro che inficiava i documenti di gara era corroborata dal fatto che all’importo contrattualmente determinato andavano aggiunti gli oneri derivanti dalla gestione aziendale, quelli derivanti dagli adempimenti connessi al rispetto delle norme sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, i costi operativi del noleggio a lungo termine dei veicoli (ambulanze e autovetture), del carburante, delle divise del personale impiegato nel servizio di trasporto, ecc..
Allegava quindi la parte ricorrente che, per effetto della censurata impostazione della disciplina di gara, i concorrenti, tenuti ad applicare il costo orario previsto dal contratto collettivo nazionale per le cooperative sociali (profilo C1, come prevede espressamente il disciplinare medesimo), avrebbero dovuto formulare un’offerta superiore alla base d’asta per un importo che mediamente, nei 7 lotti, sarebbe stato di circa il 20-25% superiore alla base d’asta.
I suindicati motivi di ricorso costituiscono oggetto dell’atto di riproposizione ex art. 101, comma 2, c.p.a., il quale fa seguito alla critica mossa alla sentenza appellata laddove, come si diceva, ha ritenuto di far discendere l’infondatezza del ricorso dalla mancanza di una “effettiva prova dell’oggettiva impossibilità di formulazione di un’offerta e quindi della partecipazione alla gara”.
Premesso che le ragioni poste dal T.A.R. a fondamento della definizione, in chiave sfavorevole alla ricorrente, del ricorso si prestano a fornire il supporto motivazionale ad una statuizione di inammissibilità piuttosto che di infondatezza del gravame – tanto che il T.A.R. conduce il suo discorso argomentativo nel solco della giurisprudenza del giudice di appello che ha fissato i limiti, connessi alla presenza di clausole cd. escludenti, entro i quali sussiste l’onere di impugnazione immediata del bando e, di conserva, l’impresa pregiudicata è esonerata dalla presentazione della domanda di partecipazione alla gara – deve preliminarmente rilevarsi che le stesse non sono state specificamente censurate dalla parte appellante, nell’assolvimento dell’onere di cui all’art. 101, comma 1, c.p.a..
Deve infatti ribadirsi che il T.A.R. ha evidenziato che, ai fini della proponibilità dell’impugnazione immediata delle previsioni ostative (alla partecipazione) contenute nel bando, “deve trattarsi quindi di una preclusione sostanzialmente generalizzata alla presentazione di un’offerta. L’esponente evidenzia che nel caso di specie la partecipazione sarebbe stata scarsa pur a fronte di un mercato estremamente competitivo; si tratta però – al di là della veridicità dell’affermazione – di una situazione di mero fatto, che non esclude però la circostanza obiettiva che una serie di operatori hanno preso parte alla procedura, mentre l’attuale gravame è in fondo proposto da una singola impresa, non dovendosi considerare l’associazione di categoria, la cui impugnazione è inammissibile per le ragioni suesposte”.
Premesso che le conclusioni del T.A.R. sottendono il recepimento dell’impostazione difensiva della ASST, che nei suoi scritti difensivi eccepiva appunto, in via preliminare, che “la presunta non remuneratività di un appalto (e sottostima di una base d’asta) può essere contestata fintantoché sia astrattamente configurabile una universale preclusione alla partecipazione alla gara con riferimento alla generalità degli operatori economici”, la parte appellante, come si si diceva, non ha specificamente censurato la base argomentativa della sentenza appellata, laddove ha fatto discendere l’infondatezza (ma più correttamente, si ripete, l’inammissibilità del ricorso, per quanto concerne la posizione del Consorzio) dalla partecipazione alla gara di altri soggetti, ritenuta dal T.A.R. dimostrativa della non configurabilità di una situazione assolutamente impeditiva alla presentazione dell’offerta, quale potrebbe discendere solo da una “preclusione generalizzata” della partecipazione.
In ogni caso – ed anche considerando che i motivi di appello, come si è visto, sono meritevoli di accoglimento relativamente alla posizione della A.G.C.I., con la conseguente valida riproposizione, almeno da parte di quest’ultima, delle censure di merito non esaminate dal T.A.R. – deve senz’altro procedersi all’analisi di queste ultime.
Come si è visto, il nucleo delle doglianze attoree, relativamente alla base d’asta prevista per i servizi da prestarsi mediante “ambulanze ad uso esclusivo”, strutturata sotto forma di “canone”, si incentra sulla deduzione della discrasia tra il costo orario del lavoro assunto dalla stazione appaltante a base per la determinazione della prima, ai sensi dell’art. 23, comma 16, settimo periodo d.lvo n. 50/2016 (a mente del quale “nei contratti di lavori e servizi la stazione appaltante, al fine di determinare l’importo posto a base di gara, individua nei documenti posti a base di gara i costi della manodopera sulla base di quanto previsto nel presente comma”), pari ad Euro 14,78, ed il costo orario minimo discendente dall’applicazione del pertinente CCNL Cooperative Sociali, con riferimento al profilo C1 (quello cioè, ai sensi del disciplinare di gara, pag. 15, “preso in considerazione” ai fini della determinazione, appunto, del valore di ciascun contratto per la quota riconducibile al servizio di trasporto mediante impiego di dotazioni ad “uso esclusivo”), pari ad Euro 19.56.
Va rilevato sul punto che le ragioni sottese alla suddetta (e non contestata, dall’Azienda appellata) determinazione del costo del lavoro sono evincibili dalla relazione istruttoria del Responsabile U.O.C. Acquisti prot. int. n. 00169-2018 dell’8 giugno 2018 (prodotta dalla ASST Rhodense come all. n. 7 della memoria dell’11 settembre 2018).
Dall’esame della suddetta relazione, si evince che la differenza tra il costo orario del lavoro desumibile dal CCNL, pari ad Euro 18,80, ed il costo orario assunto dalla stazione appaltante a riferimento per il calcolo del canone a base d’asta, pari ad Euro 14,70, è derivato dalla mancata considerazione, ai fini del calcolo del secondo:
– dell’anzianità (3 scatti): Euro 55,77
– di altre indennità : Euro 34,30
– della rivalutazione TFR: Euro 273,90
– della previdenza complementare: Euro 186,59
– dell’indennità di turno: Euro 3.029,55.
Quanto al numero di ore lavorate, le stesse sono quantificate in n. 1.548 dal CCNL ed in n. 1.631 secondo il calcolo della ASST.
Assume quindi rilievo preliminare la verifica della coerenza del conteggio effettuato dalla stazione appaltante, con particolare riferimento al carattere giustificato o meno della mancata inclusione in esso delle suddette voci.
Deve altresì premettersi che i calcoli operati dalla stazione appaltante, relativamente al costo contrattuale del lavoro, collimano sostanzialmente – relativamente allo “scenario alternativo” caratterizzato dal calcolo del costo orario al netto dell’IRAP – con quelli risultanti dalla relazione prodotta dalla parte ricorrente a supporto delle sue allegazioni (cfr. all. n. 12 del ricorso introduttivo).
Tale ultima considerazione impone di iniziare l’indagine, appunto, dalla rilevanza dell’IRAP (pari al 3,9%) ai fini della stima del costo del lavoro.
L’analisi della stazione appaltante, da questo punto di vista, si rileva corretta.
In primo luogo, è lo stesso consulente del lavoro incaricato dalla parte appellante a precisare che esso è “previsto, diversamente dal 2013 (data di approvazione delle pertinenti tabelle ministeriali, avvenuta con decreto del 2 ottobre 2013, n. d.e.) solo per i contratti a tempo determinato”: è quindi evidente che il costo suindicato non può trovare necessaria ed automatica applicazione al servizio oggetto di gara.
Inoltre, la stazione appaltante motiva l’esclusione evidenziando, con la predetta relazione istruttoria, quanto segue: “IRAP non dovuta in Lombardia per ONLUS”.
La parte appellante contesta (peraltro non in sede di appello, ma con le memorie prodotte in primo grado) il suindicato rilievo giustificativo, evidenziando che le cooperative incaricate dell’esecuzione del servizio non sono qualificabili come ONLUS.
La deduzione non è condivisibile.
E’ evidente che rientra nella discrezionalità della stazione appaltante conformare la lex specialis, quanto alla determinazione della basa d’asta, in modo da garantire il migliore perseguimento del suo interesse, anche in termini di massimizzazione della convenienza economica delle condizioni di aggiudicazione del servizio: discrezionalità che incontra il suo limite, con specifico riferimento ai temi dibattuti nell’ambito della presente controversia, nell’esigenza di rispettare le condizioni inderogabili di retribuzione previste dalla pertinente normativa contrattuale.
Il limite suindicato risulta violato, ad avviso della Sezione, quando la base d’asta venga determinata – ma il rilievo vale, in generale, per tutte le clausole cd. escludenti della lex specialis, o comunque tali da impedire la formulazione di un’offerta seria e conveniente – secondo criteri che rendano impossibile, per qualunque operatore del settore (o comunque per la stragrande maggioranza di essi, la cui estromissione dal gioco competitivo frustrerebbe sensibilmente l’esigenza di concorrenzialità che costituisce la quintessenza, non solo formale, del procedimento di evidenza pubblica), la partecipazione alla gara.
Tale presupposto non si verifica, tuttavia, nel caso di specie, atteso che, anche ammesso che la mancata considerazione dell’IRAP si traduce in una base d’asta che preclude la partecipazione delle cooperative non organizzate in forma di ONLUS o comunque prive dei relativi requisiti, non è dimostrato che l’accesso alla gara non resti sufficientemente “aperto” ai soggetti economici appartenenti ad altre tipologie organizzative: sì che, da questo punto di vista, la suddetta preclusione avrebbe rilievo meramente soggettivo ed individuale e, come tale, non sarebbe idonea ad inficiare la legittimità della disciplina di gara.
Quanto alla mancata considerazione del costo relativo alla previdenza complementare, deve osservarsi che essa discende, come risulta dalla stessa relazione depositata dalla parte ricorrente, dal fatto che scaturisce da una “scelta autonoma del lavoratore”: anche da questo punto di vista, quindi, la valutazione sottesa al provvedimento impugnato si rivela condivisibile, atteso che la voce di costo suindicata, perché dipendente dalle scelte dei lavoratori, non costituisce una componente indefettibile della struttura del costo del lavoro (le sole da avere in considerazione per verificare, ex ante, la congruità della base d’asta).
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in relazione alla rivalutazione TFR, anch’essa ricollegandosi alla scelta del lavoratore di lasciare in azienda l’importo spettante a tale titolo (senza trascurare il dato, sottolineato in sede difensiva dall’Azienda e non contestato dalla parte appellante, secondo cui la rivalutazione del TFR del 2017 avrebbe un impatto minimale sul costo del personale, siccome pari a 3 centesimi all’ora).
Per quanto concerne l’indennità di turno, invece, dalla citata relazione si evince che il suo mancato computo è dipeso dal fatto che essa è “non dovuta fino a 5 notti/mese”.
La parte appellante, con le memorie difensive prodotte nel giudizio di primo grado, pur non contestando i presupposti contrattuali applicativi dell’istituto (correlati dall’art. 56 del CCNL allo svolgimento di attività lavorativa notturna per almeno 5 notti al mese), deduceva la sussistenza in concreto degli stessi, evidenziando all’uopo che sia il servizio “a canone” sia il servizio “a chiamata” prevedono lo svolgimento del servizio 24 ore al giorno per tutti giorni della settimana, quindi per 30 notti al mese, per cui, poiché il servizio H 24 prevede almeno 8 persone per equipaggio, il servizio medesimo richiede lo svolgimento di almeno n. 8 turni mensili.
Le deduzioni attoree non possono essere condivise.
In primo luogo, non è ravvisabile il presupposto di fatto al quale la parte ricorrente à ncora la censura, correlato alla tesi secondo cui “sia il servizio “a canone” sia il servizio “a chiamata” prevedono lo svolgimento del servizio 24 ore al giorno per tutti giorni della settimana, quindi per 30 notti al mese”.
Basti osservare, in senso contrario, che, per quanto concerne il servizio remunerato “a canone” e limitando l’analisi ai lotti per i quali permane l’interesse al ricorso (recte, all’appello):
per il lotto n. 2, non è previsto l’impiego h/24 di nessuna ambulanza e di n. 2 autovetture su complessive 7 (una delle quali nei soli giorni di sabato, domenica e festivi);
per il lotto 3, è previsto l’impiego h/24 (peraltro solo nei giorni di sabato, domenica e festivi) di n. 3 ambulanze su complessive n. 44;
per il lotto 4, è previsto l’impiego h/24 di una sola ambulanza sulle complessive 8 e di n. 3 autovetture sulle complessive 9.
In secondo luogo, non è dimostrato che, ricorrendo ad una idonea organizzazione del lavoro ed in particolare ad una programmata turnazione dei lavoratori, non possa ottenersi un numero di turi notturni inferiore o uguale a quello che fa scattare l’applicazione della relativa indennità .
Deve aggiungersi che la disciplina contrattuale pone a disposizione dell’imprenditore strumenti atti a conciliare l’organizzazione dei turni di lavoro, anche notturni, con le esigenze di contenimento e razionalizzazione dei costi: basti richiamare a tal fine, sulla scorta delle deduzioni difensive dell’Azienda, l’art. 58 del CCNL Cooperative Sociali, il quale disciplina il servizio di “pronta disponibilità – reperibilità “, prevedendo che “per le ore di pronta disponibilità alla lavoratrice e al lavoratore spetta un’indennità oraria lorda di Euro 1,552”, che “in caso di chiamata al lavoro, l’attività prestata viene computata come lavoro straordinario” e che “di regola non potranno essere previste, per ciascun dipendente, più di 8 turni di pronta disponibilità al mese”, corrispondenti, appunto, al numero di turni notturni che, secondo la stessa ricostruzione attorea, dovrebbero sostenere i dipendenti per fare fronte alle esigenze dell’Azienda.
In ordine a tale aspetto, è vero che l’impresa che ricorra al suddetto istituto deve corrispondere, “in caso di chiamata al lavoro”, lo straordinario: trattasi, tuttavia, di una voce che incide ben diversamente, rispetto ai turni notturni, sul costo complessivo del lavoro.
Per quanto concerne il numero di ore lavorate, pari a n. 1.631, la spiegazione data con la citata relazione istruttoria fa riferimento al seguente calcolo:
– ferie 165 ore
– festività 108 ore
– malattia 72 ore (rispetto alle 1155 risultanti dalla tabelle ministeriali).
Quanto in particolare al numero di ore malattia, il redattore della relazione evidenzia che esso “è stato calcolato tenuto conto della rilevante contribuzione INPS rispetto agli oneri sostenuti dal datore di lavoro (malattia a carico di INPS dopo 3° giorno x 50%)”.
Con le memorie di primo grado, la parte ricorrente deduceva, in senso contrario, che:
– in caso di malattia, l’INPS copre solo in parte l’indennità di malattia, la quale per la restante parte rimane a carico del datore di lavoro;
– il tasso di assenteismo per malattia è una voce imprescindibile che viene sempre considerata nelle procedure di calcolo del costo del lavoro.
Nessuna delle predette deduzioni è in grado di inficiare l’attendibilità dei calcoli illustrati dall’Amministrazione, se si considera che:
– dalla citata relazione si evince che le ore non lavorate sono state computate sul presupposto della copertura per il 50% della retribuzione del lavoratore assente per malattia;
– sempre dalla suddetta relazione si evince che il tasso di assenteismo è stato appunto considerato dall’Amministrazione, nei termini esposti.
Le conclusioni esposte sono tanto più vere ove si consideri che al servizio concorre anche personale inquadrato come A/1 (con particolare riguardo al personale conducente dell’autoveicolo per il trasporto di emocomponenti e materiale biologico), per il quale la contrattazione collettiva prevede livelli retributivi sensibilmente inferiori.
In conclusione, il costo del lavoro assunto a riferimento dall’Azienda per la determinazione della base d’asta, pari ad Euro 14,75, risulta del tutto congruo e tale da non inficiare la remuneratività del corrispettivo orario, pari ad Euro 16 ovvero ad Euro 32,00 all’ora per la prestazione principale (trasporto sanitario tramite autoambulanze).
Devono conseguentemente restare fuori del giudizio le deduzioni attoree intese a contestare la possibilità di fare riferimento, al fine di dimostrare la “capienza” della base d’asta, al lavoro volontario, atteso che, come anche osservato dalla difesa aziendale, essa non ha influito sulla costruzione dei prezzi a base d’asta (né, alla stregua dei rilievi dianzi formulati, la valutazione di quella possibilità risulta necessaria al fine di mettere alla prova la congruità della medesima base d’asta in rapporto al costo del lavoro).
Per quanto concerne invece la determinazione dell’importo a base di gara per quanto riguarda il servizio di trasporto “a chiamata”, remunerato come si è detto con “tariffe”, la parte ricorrente contestava la relativa determinazione tariffaria sotto plurimi profili.
In primo luogo, infatti, essa evidenziava che le tariffe sono riferite a una tipologia di servizio diversa rispetto a quella oggetto dell’appalto all’esame.
Invero, premesso che le tariffe prese a riferimento dall’Amministrazione nel disciplinare di gara sono quelle previste dalla D.G.R. n. X/6645 del 29 maggio 2017, che si riferiscono espressamente ai “servizi resi direttamente ai cittadini” e ad una precisa tipologia di servizio, ovverosia la “attività di trasporto sanitario semplice”, deduceva la parte ricorrente che il servizio oggetto di gara ricade, invece, nella categoria della “attività di trasporto sanitario” per il “trasporto di pazienti disposto da strutture sanitarie di ricovero e cura”.
Per cogliere la distinzione, la parte ricorrente deduce che la D.G.R. n. X/5165 del 16 maggio 2016 (richiamata espressamente dal disciplinare di gara) distingue le due tipologie di servizio prevedendo che:
(i) il “trasporto sanitario semplice” sia il “trasporto di persone con impiego di ambulanza, autovettura e di furgone finestrato, limitatamente ai servizi effettuati dai Soggetti convenzionati con l’Azienda Sanitaria, con contributo riconosciuto dalla stessa. Rientra altresì in tale tipologia di servizio il trasporto in ambulanza di persone che, in assenza di prescrizione di accompagnamento sanitario formulata da una Strutture Sanitaria, richiedono un accompagnamento: a) da domicilio a Strutture Sanitari e/o Socio Sanitari e viceversa; b) tra luoghi non sanitari”;
(ii) il “trasporto sanitario” sia il “trasporto di pazienti disposto da Strutture Sanitarie di ricovero e cura (interospedaliero), ovvero all’interno delle medesime (intra ospedaliero)”.
Esponeva ancora la parte ricorrente che si tratta di tipologie di servizio di trasporto sanitario non sovrapponibili, in quanto comportano prestazioni e responsabilità, oltre che costi di svolgimento, molto diversi: il trasporto sanitario ha infatti costi di esercizio più elevati rispetto al trasporto sanitario semplice (anche a tale riguardo, la ricorrente rinviava per l’illustrazione analitica dei costi alla relazione allegata).
Sotto altro profilo, la parte ricorrente evidenziava che le tariffe in questione sono state ridotte del 15 per cento rispetto alle tariffe previste dalla Regione Lombardia, senza che l’Amministrazione abbia addotto sul punto alcuna motivazione.
In proposito, esponeva che il disciplinare di gara [pag. 8, lett. c)] stabilisce che le “tariffe da applicarsi per i trasporti effettuati “a chiamata”, riportate nelle sottostanti tabelle e poste a base di gara ai fini della formulazione delle offerte”, sono “calcolate applicando una percentuale di ribasso del 15% sulle quote massime dei rimborsi tariffari per i servizi di trasporto sanitario resi direttamente a privati cittadini, fissati con D.G.R. 29 maggio 2017, n. X/6645, recante “Aggiornamento delle quote massime di rimborsi tariffari per i servizi di trasporto sanitario che non rivestono carattere di emergenza urgenza resi direttamente a cittadini da parte di soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di trasporto sanitario semplice””.
Ebbene, allegava la parte ricorrente che, come risulta dalle premesse della citata D.G.R. n. X/6645, le tariffe in esame sono state elaborate sulla base di “un documento predisposto da un gruppo di lavoro tecnico composto da dirigenti di AREU, dirigenti e funzionari della Regione e da esperti di alcune Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) avente l’obiettivo di aggiornare le quote massime di rimborso per il trasporto sanitario semplice di persone”. Tale documento (prot. pec D.G. Welfare G1.2017.7199 del 22.02.2017) ha individuato “le tariffe aggiornate per il trasporto sanitario semplice, elaborate sulla base di una puntuale analisi dei fattori produttivi di costo (costo del personale, ammortamento ambulanza/pulmino/auto, consumi, etc.), che è stato presentato e condiviso con gli organismi associativi”
Rilevava quindi la parte ricorrente che se le tariffe in questione sono state elaborate sulla base di una puntuale analisi dei fattori produttivi, ivi compreso il costo del lavoro, risulta l’irragionevolezza del defalco del 15% rispetto ai valori delle medesime operato dal disciplinare di gara, applicato sull’importo a base di gara senza alcuna motivazione da parte dell’Amministrazione resistente.
Infine, la parte ricorrente contestava che le tariffe sono ampiamente sottostimate, non comprendendo esse neppure i costi del lavoro necessario per l’esecuzione del servizio.
A dimostrazione dell’assunto, la parte ricorrente ricostruiva il tempo medio per l’esecuzione del trasporto.
Al riguardo, premesso che la tariffa “a chiamata” per i trasporti urbani prevede un rimborso fisso indipendente dai chilometri effettivamente percorsi e dal tempo impiegato, essa operava l’analisi del tempo medio impiegato per l’esecuzione del trasporto sulla base dell’esperienza del contratto che la consorziata It. Soc. Coop a r.l., del Consorzio Lombardia Sanità (odierno ricorrente), aveva attualmente in essere con la struttura sanitaria IRCCS Policlinico e Ga. Pi. (corrispondente al lotto n. 3 della procedura di gara all’esame).
Anche sul punto la ricorrente richiamava la relazione allegata, dalla quale si evinceva che:
(i) il trasporto comprende n. 4 fasi: “fase prima” – arrivo dell’ambulanza alla struttura sanitaria e svolgimento delle attività preliminari; “fase seconda” – percorrenza dalla struttura sanitaria di partenza a quella di arrivo; “fase terza” – accettazione in ospedale, disbrigo pratiche burocratiche, arrivo in reparto e consegna al personale di reparto della documentazione sanitaria, spostamento del paziente dalla barella al letto; “fase quarta” – tragitto di ritorno all’ospedale di partenza;
(ii) il tempo di percorrenza medio di un trasporto urbano (nel 30% dei casi esaminati e nella migliore delle ipotesi) è di 84,92 minuti.
Ai fini, invece, di determinare il costo del personale per il trasporto con ambulanza, evidenziava che, secondo il Capitolato Speciale, l’ambulanza deve essere dotate di due persone a bordo (l’autista e l’operatore sanitario), che la tariffa oraria prevista dal C.C.N.L. è pari a euro 19,56 e, quindi, il valore del costo di un minuto di lavoro è di euro 0,326, che tale importo va moltiplicato per 84,92 minuti per ottenere il costo del lavoro per il periodo considerato (84,92 minuti), per un costo complessivo di euro 27,68, che va moltiplicato per 2 (in tale numero essendo gli addetti a bordo dell’ambulanza), con costo orario del personale pari a euro 55,37.
Ebbene, deduceva la parte ricorrente, considerando che il disciplinare di gara prevedeva una tariffa a base di gara pari a euro 41,65, ne derivava che, anche considerando il solo costo del lavoro, il (solo) costo orario del lavoro sarebbe stato superiore, rispetto alla tariffa oraria posta a base di gara, di euro 13,72.
Se poi, aggiungeva la parte ricorrente, si consideravano gli altri costi necessari per l’esecuzione del servizio (noleggio ambulanze, carburante, divise, ecc.), ne discendeva che la base d’asta era stata gravemente sottostimata: in particolare, il capitolato speciale prevedeva – per i lotti n. 2, n. 3 e n. 4 – l’impiego di due tipologie di ambulanze, l’ambulanza standard e l’ambulanza per il trasporto sanitario c.d. “avanzato”, la quale deve avere dotazioni ed equipaggiamenti più complessi e costosi rispetto all’ambulanza standard (v. la tabella di cui all’Allegato B della D.G.R. n. 5165 del 16 maggio 2016, ma ciononostante la tariffa oraria (pari a euro 16) era sempre la stessa per entrambe i due tipi di ambulanza.
Deduceva altresì la ricorrente che la macroscopica sottostima dell’importo a base di gara operata dall’Amministrazione era confermata dalle convenzioni stipulate tra numerose ASST e l’Agenzia Regionale Emergenza e Urgenza (AREU), le quali per il medesimo servizio di trasporto sanitario oggetto della gara prevedevano un costo di trasporto del paziente pari a euro 113,60 all’ora.
Tanto premesso, deve in primo luogo ribadirsi l’infondatezza delle censure intese a sostenere l’erroneità del costo del lavoro orario assunto dall’Amministrazione a fondamento delle sue determinazioni: si è infatti visto che la quantificazione del suddetto costo in Euro 14,78 costituisce l’esito di un calcolo scevro di profili di palese illogicità .
Deduce inoltre la parte appellante, come si è visto, che la stazione appaltante, ai fini della determinazione delle tariffe per tipologia di trasporto, da applicarsi per i trasporti effettuati “a chiamata”, ha posto a base d’asta ai fini della formulazione delle offerte tariffe calcolate applicando una percentuale di ribasso del 15% sulle quote massime dei rimborsi per servizi di trasporto sanitario resi direttamente a privati cittadini, fissati con D.G.R. 29 maggio 2017, n. X/6645, recante “Aggiornamento delle quote massime di rimborsi tariffari per i servizi di trasporto sanitario che non rivestono carattere di emergenza urgenza resi direttamente a cittadini da parte di soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di trasporto sanitario semplice”.
Sostiene la parte appellante che i costi connessi all’esecuzione del trasporto sanitario semplice non sono equiparabili – per difetto – a quelli annessi al servizio di trasporto sanitario, e richiama a fondamento della deduzione la relazione tecnica (all n. 21 del ricorso) dalla quale si evincono i costi connessi alle seguenti tipologie di trasporto:
– trasporto di un paziente in ossigenoterapia;
– trasporto di paziente a rischio infettivo con utilizzo di DPI e procedure di sanificazione previste dal bando di gara;
– trasporto di un paziente obeso con utilizzo di presidi e dotazioni specifiche apposita prevista dal bando di gara (omologati fino a 240 kg.).
La deduzione non è meritevole di accoglimento, non essendo corredata di alcuna analisi intesa a dimostrare l’incidenza delle suddette tipologie di trasporto – in ordine alle quali la parte si limita ad allegare che le stesse sono previste dal capitolato speciale – sul totale complessivo delle prestazioni richieste dalla stazione appaltante: analisi imprescindibile al fine di apprezzare l’idoneità della censura a dimostrare che l’erroneo riferimento tariffario si riflette sulla congruità della base d’asta.
Deve poi aggiungersi che l’elaborato addotto dalla parte appellante a giustificazione dell’assunto promana dal legale rappresentante di una parte del giudizio (il Presidente del ricorrente Consorzio) e non è suffragato da pertinente documentazione: circostanze queste che ne minano insanabilmente l’attendibilità .
Deduce ancora la parte appellante che il disciplinare di gara prevede, senza alcuna motivazione, un abbattimento del 15% delle tariffe previste dalla delibera citata.
La deduzione è infondata laddove intesa a lamentare la carenza motivazionale, integrando la lex specialis un atto generale per il quale non è prevista l’esplicitazione dei motivi (ex art. 3, comma 2, l. n. 241/1990).
Inoltre, quanto alla intrinseca coerenza della riduzione, dalla citata relazione istruttoria si evince che essa trova spiegazione nell'”efficientamento ottenibile sul numero di trasporti previsto dal contratto rispetto al trasporto singolo operato senza pianificazione a favore del privato cittadino”.
In sede difensiva, al fine di giustificare la riduzione, l’Azienda ha posto l’accento – anche qui, senza incontrare puntuali osservazioni critiche della parte appellante – sulla “possibilità di pianificare il servizio (sulla base dei dati storici forniti da tutti gli Enti coinvolti in merito ai fabbisogni/costi del 2017) e del volume dell’attività prevedibile: dati che hanno consentito di ridurre sensibilmente la gestione dei prevedibili tempi di erogazione delle attività, garantendo una migliore distribuzione dei costi fissi”.
La deduzione, non attinta da puntuali rilievi critici della parte appellante, appare idonea a suffragare la logicità della scelta contestata, con il conseguente rigetto del motivo in esame.
Con ulteriore profilo di censura, la parte appellante deduce che le tariffe “a chiamata” risultano sottostimate anche considerando il solo costo del lavoro, determinato applicando il costo orario di Euro 19,56, come innanzi determinato, per la durata media del trasporto mediante ambulanza: calcolo che conduce la parte ricorrente a quantificare il (solo) costo orario del singolo trasporto in Euro 41,65, superiore di Euro 13,72 alla relativa tariffa a base d’asta.
La deduzione non è meritevole di accoglimento.
In primo luogo, come si è detto, la stazione appaltante ha correttamente posto a base dei suoi calcoli, funzionali alla determinazione della base d’asta, il costo orario del lavoro di Euro 14,75.
In secondo luogo, dalla durata del servizio di trasporto, come determinata dalla parte appellante (cfr. relazione di cui all’all. n. 21 del ricorso introduttivo), pari a minuti 84,92, deve essere espunto il tempo necessario per il ritorno dell’automezzo all'”ospedale di partenza”, atteso che esula dalla prestazione richiesta (la quale consiste nel trasporto del paziente all’ospedale di destinazione: trattandosi di traporto “a chiamata”, e remunerato “a tariffa”, ragionando diversamente sarebbe come se – banalizzando la questione – al cliente di un servizio di taxi si facesse pagare il ritorno del veicolo al punto di partenza).
Se, quindi, si assumono come dati del calcolo il costo orario del lavoro, pari ad Euro 14,75, e la durata effettiva della prestazione, pari a minuti 62,42, ne viene che il costo del lavoro della singola prestazione è pari ad Euro 37,45, inferiore alla tariffa a base di gara pari, come dedotto dalla parte appellante, ad Euro 41,65.
Non meritevole di accoglimento è anche la censura intesa ad evidenziare che la tariffa prevista a base di gara non opera alcuna distinzione tra l’utilizzo dell’ambulanza per il trasporto sanitario e quella per il trasporto avanzato, nonostante quest’ultima sia destinata a un servizio diverso e abbia dei costi di allestimento e di dotazione nettamente superiori rispetto alla prima.
Deve infatti osservarsi che la deduzione è del tutto generica e non consente di apprezzare l’incidenza della suddetta diversità sulla congruità della tariffa posta a base d’asta: né più utili elementi sono enucleabili dalla relazione di cui all’all. 21 del ricorso introduttivo, atteso che, indipendentemente dai limiti dianzi evidenziati, essa si limita genericamente ad affermare che le suddette dotazioni proprie dell’ambulanza deputate al trasporto sanitario avanzato determinano un costo di allestimento “di circa il 30% in più ” rispetto al trasporto non avanzato.
Deduce altresì la parte appellante che la macroscopica sottostima dell’importo a base di gara operata dall’Amministrazione sarebbe confermata dalle convenzioni stipulate tra numerose ASST e l’Agenzia Regionale Emergenza e Urgenza (AREU), le quali per il medesimo servizio di trasporto sanitario oggetto della gara prevedevano un costo di trasporto del paziente pari a euro 113,60 all’ora.
La deduzione non è condivisibile, assumendo a suo fondamento situazioni non assimilabili, concernendo le convenzioni richiamate dalla parte ricorrente i trasporti “urgenti”, estranei invece all’oggetto della gara cui inerisce la presente controversia: tale conclusione non cambia alla luce dei documenti prodotti dalla parte ricorrente in allegato alla memoria del 22 febbraio 2019, che ugualmente hanno ad oggetto la convenzione stipulata tra AREU e ASST Rhodense ai fini della esecuzione di trasporti in situazioni di emergenza-urgenza.
Meglio si attagliano alla fattispecie, invece, le deduzioni difensive dell’Amministrazione, intese a sottolineare che per il contratto attualmente in essere tra It. (cooperativa consorziata del ricorrente Consorzio Sanità ) e l’ASST Pini per il servizio di cui al lotto 3 (relativo al fabbisogno dell’ASST Pini e dell’IRCSS Policlinico Milano), It. riceve per i trasporti “a chiamata” una remunerazione mensile forfettaria a canone di Euro 8.320 pari ad Euro 99.840,00 annui.
Ebbene, poiché nel 2017 sono stati effettuati 1.973 trasporti pazienti, dividendo il canone totale pari ad Euro 99.840,00 annui per 1.973 trasporti, il costo medio a trasporto risulta pari ad Euro 50,60, di gran lunga inferiore al costo affermato dalla parte appellante.
I rilievi difensivi dell’Amministrazione sono pertinenti anche rispetto al servizio remunerato, nella gara di cui si tratta, “a canone”, atteso che, come essa evidenzia, se si considera che dalla relazione prodotta dalla parte ricorrente si evince che la media ponderata (con le varie percentuali di accadimento) dei tempi ivi indicati per la percorrenza delle quattro fasi si assesterebbe intorno ai 101,92 minuti, rapportando il costo medio (Euro 50,60) dell’attuale contratto con i tempi medi stimati dagli stessi ricorrenti discende un costo orario pari ad Euro 29,79: valore che risulta inferiore al costo orario fisso posto a base di gara per il servizio a canone con riguardo all’ambulanza (pari ad Euro 32).
In realtà, poiché la citata relazione espone una durata media di 104,92 minuti, il costo orario risulterebbe ancora inferiore e pari ad Euro 28,93.
L’appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto, dovendo quindi confermarsi, sebbene con diversa motivazione (nel senso, cioè, del rigetto del ricorso introduttivo del giudizio), la sentenza appellata.
La complessità dell’oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma con diversa motivazione, nei termini esposti in motivazione, la sentenza appellata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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