Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 6 ottobre 2020, n. 5878.
Qualora il titolo convenzionale esista e sia efficace e non sia dichiarato nullo, né sia annullato o risolto o rescisso, l’istituto dell’indebito oggettivo non può trovare applicazione in relazione alla fattispecie della convenzione urbanistica, perché la prestazione patrimoniale rinviene la causa dell’obbligazione nell’accordo. Ciò vale sia nelle ipotesi in cui la convenzione è ancora in tutto o in parte attuabile, anche in modo diverso rispetto all’intervento originariamente programmato sia in quella in cui l’intervento non sarà mai attuato, e dunque indipendentemente dall’effettiva trasformazione del territorio.
Sentenza 6 ottobre 2020, n. 5878
Data udienza 18 giugno 2020
Tag – parola chiave: Edilizia ed urbanistica – Convenzione urbanistica efficace e non dichiarata nulla – Impegno della PA ad inserire il terreno del privato nel POC come area edificabile – Versamento del privato del contributo per realizzazione opere pubbliche fuori comparto – Mancata attuazione del Piano Operativo comunale – Indebito oggettivo della PA – Restituzione di somme versate all’ente pubblico – Non sussiste
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 6537 del 2019, proposto dal Comune di Parma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Gr. Pi. in Roma, via (…);
contro
S.R.L. Ca. It., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato To. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna sezione staccata di Parma, Sezione Prima, n. 106/2019, resa tra le parti, concernente la domanda di ripetizione dell’indebito oggettivo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della S.R.L. Ca. It.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2020 il consigliere Daniela Di Carlo e udito l’avvocati To. Ma. ai sensi dell’art. 4 d.l. 28/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La s.r.l. Ca. It. ha impugnato il provvedimento con cui il Comune di Parma le ha negato la restituzione delle somme versate sulla base dell’accordo di cui all’art. 18 della L.R. n. 20/2000, stipulato tra le parti in data 24 luglio 2009.
2. Il Tar per l’Emilia Romagna, sede staccata di Parma, con la sentenza di cui in epigrafe, ha accolto il ricorso e ha condannato il Comune di Parma alla corresponsione in favore della società ricorrente della somma di Euro 105.750,00, oltre che dell’importo dovuto a titolo di interessi legali dal giorno della domanda e fino al soddisfo. Ha inoltre condannato l’amministrazione resistente a rifondere le spese di lite, liquidandole in complessivi Euro 1.000,00, oltre accessori di legge e distraendole in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Il giudice di prime cure, dopo avere premesso che la questione giuridica sottopostale era analoga ad altra già esaminata e decisa dalla Sezione (con sentenza n. 45 del 2019), ha ritenuto condivisibili le prospettazioni argomentative della società ricorrente, sulla base delle seguenti considerazioni:
– la restituzione delle somme versate all’atto di sottoscrizione dell’accordo ex art. 18 si riferisce alla quota alla cui corresponsione era tenuta la ricorrente, per la sua parte, a titolo di “contributo stabilito per la compensazione di opere pubbliche di interesse collettivo fuori comparto di competenza dell’intervento oggetto di inserimento nel POC”;
– la quota in parola costituiva il 25% dell’intero importo da versare, le cui successive rate sarebbero state corrisposte in corrispondenza del compimento degli ulteriori step dell’intervento di attuazione (sottoscrizione della convenzione attuativa del PUA, ritiro del permesso di costruire e collaudo delle opere di urbanizzazione);
– l’importo versato dalla ricorrente era strettamente connesso, come gli altri non versati, alla realizzazione dell’intervento di attuazione stabilito nell’accordo sostitutivo;
– la sopravvenuta inefficacia del POC e, prima ancora, la mancata presentazione di un PUA conforme al POC, hanno determinato la sopravvenuta inefficacia anche del citato accordo;
– non vi è traccia, né nell’accordo né in atti successivi, di un vincolo di destinazione pubblicistico, tale da rendere irripetibile la prestazione del privato.
Da queste premesse in fatto, il Tar è giunto alla conclusione che, essendo venuta meno la causa della originaria dazione, la somma corrisposta dalla società ricorrente costituisce un indebito oggettivo e deve essere, come tale, restituita dall’amministrazione resistente.
Il Tar ha invece ritenuto inammissibile per difetto di interesse, il motivo della ricorrente volto a far dichiarare la nullità della clausola convenzionale contenuta nell’art. 10 dell’accordo, secondo cui – in caso di rinuncia del soggetto privato attuatore – questi non avrebbe potuto pretendere nulla in cambio, con rinuncia preventiva “ad ogni richiesta, anche in sede giurisdizionale, relativa alla liquidazione di ogni compenso per l’attività de qua”.
3. Il Comune di Parma ha impugnato la sentenza, affidandosi ad un unico, complesso motivo “Violazione e/o falsa applicazione degli art. 18 e 30 della l.r. Emilia – Romagna
n. 20/2000, degli art. 1321, 1322, 1325, 1418 Cod. Civ”.
Secondo la prospettazione difensiva del Comune appellante, l’accordo stipulato inter partes nel 2009 è un accordo sui contenuti della pianificazione generale di cui all’art. 18 della legge urbanistica
emiliano – romagnola n. 20 del 2000. Tramite questo accordo, la società ricorrente ha ottenuto l’inserimento dell’area di sua proprietà nel Piano operativo comunale (P.O.C.) per il periodo 2009-2014, proprietà che è dunque divenuta così edificabile. A fronte dell’impegno del Comune di attivarsi per rendere edificabile l’area in parola, il privato contraente si è impegnato a versare una quota del contributo perequativo volto alla realizzazione di opere pubbliche cd. fuori comparto, ossia di opere site al di fuori dell’area direttamente interessata dall’inserimento del P.O.C.. Non è imputabile al Comune, pertanto, la decisione unilateralmente assunta dal privato di non sfruttare l’edificabilità dell’area e di lasciare decorrere inutilmente il quinquennio di efficacia del Piano.
Per di più, visto l’approssimarsi della scadenza quinquennale del piano, il Comune aveva anche invitato le parti ad esprimere eventuali proposte da valutare nella definizione del nuovo P.O.C. per il 2015-2020, anche al fine di verificare se persistesse la volontà nei soggetti promotori di proseguire nell’attuazione degli accordi, ma la società ricorrente aveva opposto un netto rifiuto e aveva anzi richiesto la restituzione di quanto già versato.
4. La società ha resistito al gravame, insistendo sulla tesi difensiva secondo cui la totale assenza di un’attività di trasformazione del territorio, per essere rimasto inattuato il P.O.C., rende privo di causa l’incameramento dell’indennizzo.
5. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive argomentazioni.
6. All’udienza pubblica del 18 giugno 2020, la causa è stata discussa e decisa ai sensi dell’art. 4 del d.l. n. 28/2020.
7. L’appello è fondato e va, pertanto, accolto.
8. La Sezione non ravvede ragioni per discostarsi dall’indirizzo ermeneutico elaborato dalla giurisprudenza amministrativa in materia di ripetibilità delle somme di denaro dovute dal privato in relazione ad un intervento di trasformazione edilizio-urbanistica del territorio.
Di seguito, verranno sinteticamente ricordati i principali caposaldi enucleati in relazione alla problematica in questione, contenuti in pronunciamenti giurisdizionali che vengono richiamati anche con valore di precedente conforme, ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del cod. proc. amm. (in particolare, tra tutte, Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 4892/2020).
9. In primo luogo, va tenuta distinta la giurisprudenza formatasi sul singolo permesso di costruire e sulle sue varianti, la quale non può trovare applicazione nella fattispecie all’esame, caratterizzata dalla stipulazione di un accordo accessivo e parte integrante di un P.O.C., e quindi – come tale – inserita all’interno di un più ampio programma convenzionale basato sul principio consensualistico.
Nelle fattispecie caratterizzate dal mero rilascio del titolo edilizio abilitativo, l’indirizzo esegetico è consolidato nel senso di ammettere l’accertamento della non debenza delle somme legate al rilascio del titolo edilizio, ovvero la loro ripetizione nell’eventualità che le stesse siano state già corrisposte (es. costi di costruzione, oneri di urbanizzazione, monetizzazione degli standard), nel caso in cui l’intervento edilizio programmato non venga di fatto realizzato (ad esempio, perché il titolo non viene ritirato o perché viene rinunciato o perché decade o perché viene per qualsivoglia motivo fatto scadere) o venga realizzato in modo diverso (è il caso, ad esempio, della richiesta della variante che comporti una diminuzione del carico urbanistico). Si è detto che, in siffatte ipotesi, mancando la trasformazione del territorio e l’aumento del carico urbanistico, viene meno il presupposto di fatto utilizzato dalla norma urbanistica come elemento materiale per individuare l’an della pretesa e come parametro per determinare il quantum debeatur.
10. In relazione, invece, al genus della convenzione di diritto pubblico, di cui quella urbanistica rappresenta una species, i principi civilistici sono applicabili nei limiti della compatibilità, essendo le convenzioni – similmente ai contratti ed ai negozi giuridici di diritto privato – basate sull’accordo e sullo scambio dei consensi.
La ratio iuris dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) è quella della restituzione di quanto è stato indebitamente percepito, perché oggettivamente non dovuto.
L’istituto trova applicazione, dunque, nei soli limiti in cui venga accertata la mancanza del titolo dell’obbligazione, il che tipicamente accade quando il titolo non è mai venuto ad esistenza nel mondo giuridico; quando il titolo è affetto da nullità ; ovvero quando l’efficacia del titolo è venuta retroattivamente meno (ad es. per causa di annullamento, di risoluzione o di rescissione), trascinando via con sé la causa giustificativa del trasferimento.
In siffatte ipotesi, la prestazione va ripetuta nella stessa misura in cui è stata eseguita (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 7020/2019; n. 6668/2019; Sez. V, n. 3714/2003).
11. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che quando il titolo convenzionale esista e sia efficace e non sia dichiarato nullo, né sia annullato o risolto o rescisso, l’istituto dell’indebito oggettivo non può trovare applicazione in relazione alla fattispecie della convenzione urbanistica, perché la prestazione patrimoniale rinviene la causa dell’obbligazione nell’accordo (v. in particolare Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 6668/2019, che cita a sua volta le sentenze n. 1069/2019; n. 5603/2013; n. 6339/2018; ancora più recente, sentenza n. 4892/2020). Ciò vale – è stato precisato – sia nelle ipotesi in cui la convenzione è ancora in tutto o in parte attuabile, anche in modo diverso rispetto all’intervento originariamente programmato (è il caso esaminato dalle sentenze n. 6668/2019 e n. 1069/2019), sia in quella in cui l’intervento non sarà mai attuato, e dunque indipendentemente dall’effettiva trasformazione del territorio (è il caso esaminato dalla sentenza n. 6339/2018 e dalla n. 4892/2020).
Si ricordano, brevemente, i principali snodi logico-argomentativi sui quali si sono fondate le motivazioni dei menzionati pronunciamenti della Sezione.
a) “gli impegni assunti in sede convenzionale – al contrario di quanto si verifica in caso di rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l’edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio – non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti”;
b) “La causa della convenzione urbanistica, e cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione”;
c) “non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative”;
12. Applicando questi principi alla fattispecie all’esame, la Sezione trae le seguenti considerazioni.
– In data 24 luglio 2009, le parti in causa hanno stipulato un accordo ex art. 18 della legge urbanistica dell’Emilia-Romagna n. 20/2000. 3. L’accordo in parola costituiva parte integrante dello strumento di pianificazione al quale accede (cd. P.O.C.).
– Per effetto del detto accordo, relativamente al periodo 2009-2014, le aree del privato sono state rese edificabili. A fronte del compimento della detta attività da parte del Comune di Parma, il privato proprietario ha assunto l’obbligo di versare i valori economici relativi alle indennità perequative e alle opere pubbliche di interesse collettivo da realizzarsi fuori comparto.
– Il collocamento delle opere in questione fuori del comparto, non incide e non fa venire meno la causa dell’obbligazione di pagamento convenzionalmente assunta dal privato, rientrando – l’impegno assunto – all’interno del regolamento negoziale accessivo al piano urbanistico.
– Il privato ha unilateralmente deciso di non dare corso all’intervento edificatorio e, approssimandosi la scadenza del periodo quinquennale di efficacia del P.O.C. 2009-2014, ha scientemente e sotto la propria responsabilità comunicato al Comune di non essere più interessato a edificare l’area.
– In conseguenza dell’avvenuta scadenza dell’efficacia del P.O.C., sono divenuti inefficaci anche gli accordi che ne erano parte. L’inefficacia sopravvenuta opera ex tunc solo per le previsioni del POC non attuate, mentre gli impegni presi, ivi compreso quello per cui è causa, vanno eseguiti perché sussiste la causa giustificativa del trasferimento, la quale attiene al compimento sia delle necessità perequative, sia delle opere di pubblica utilità (anche a prescindere dalla loro collocazione spaziale), perché di fatto il privato si era avvantaggiato dell’utilità consistente, nel quinquennio di durata del piano, nell’attribuzione della qualità edificatoria alle aree di sua proprietà .
– Il Comune ha anche cercato di verificare se persistesse la volontà del privato di dare corso all’intervento programmato e di tenere fede agli impegni presi, formulando l’invito a rendere eventuali proposte in sede di approvazione del futuro P.O.C. relativo al quinquennio 2015-2020, ma senza esito alcuno, avendo – il privato – anzi richiesto indietro la restituzione della somma oggetto della presente controversia.
13. La Sezione non si pronuncia, invece, sul motivo proposto in primo grado dalla ricorrente e ritenuto inammissibile per difetto di interesse dal Tar, volto a far dichiarare la nullità della clausola convenzionale contenuta nell’art. 10 dell’accordo, secondo cui – in caso di rinuncia del soggetto privato attuatore – questi non avrebbe potuto pretendere nulla in cambio, con rinuncia preventiva “ad ogni richiesta, anche in sede giurisdizionale, relativa alla liquidazione di ogni compenso per l’attività de qua”.
Tale motivo non è stato, infatti, espressamente riproposto nel presente grado del giudizio, sicché non può costituire oggetto della attuale materia del contendere.
14. In conclusione, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio.
15. Le spese di lite del doppio grado vanno compensate in ragione della novità delle questioni trattate, mentre il pagamento del contributo unificato del grado di appello va posto a carico dell’originario ricorrente, attesa la sua sostanziale soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6537/2019, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge il ricorso introduttivo del giudizio.
Compensa le spese di lite del doppio grado, mentre pone a carico della società il pagamento del contributo unificato pagato dal Comune in relazione al grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2020 ai sensi dell’art. 4 del dl n. 28/2020, con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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