Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 3 luglio 2019, n. 4548.
La massima estrapolata:
La norma di cui all’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998, laddove prescrive la considerazione dei “nuovi elementi”, eventualmente sopraggiunti nelle more delle determinazioni dell’Amministrazione sull’istanza di rinnovo, pur dopo il verificarsi di circostanze che osterebbero al suo accoglimento, non impone che l’intero periodo di permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, assistito dal possesso di un efficace permesso di soggiorno, sia costantemente accompagnato da una congrua disponibilità reddituale, laddove siano comunque tempestivamente acquisiti al procedimento elementi indicativi di una capacità reddituale in fieri e suscettibile, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, di consolidarsi in futuro.
Sentenza 3 luglio 2019, n. 4548
Data udienza 13 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2897 del 2016, proposto da
Mu. Hu., rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Ba. e Gi. Ma. Ri., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Ma. Ri. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 00518/2015, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2019 il Cons. Ezio Fedullo e udito l’Avvocato dello Stato Is. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza (in forma semplificata) appellata, il T.A.R. Friuli-Venezia-Giulia ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante, cittadino pakistano, avverso il provvedimento della Questura di Udine con il quale era stato disposto il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, da lui presentata, sulla scorta della rilevata carenza di sufficienti disponibilità reddituali.
Il T.A.R., a fondamento della statuizione reiettiva, richiamata la ratio delle disposizioni che subordinano il rilascio/rinnovo del titolo di soggiorno alla dimostrazione del possesso in capo al richiedente di idonei mezzi di sussistenza, ha evidenziato che “nel caso in esame, la mancanza di reddito sufficiente e regolare viene desunta da indizi precisi e concordanti, in particolare dal mancato versamento di contributi previdenziali per il 2014 e dalla mancanza di reddito sufficiente negli anni dal 2009 al 2014 compreso”, altresì rilevando che “le argomentazioni svolte in ricorso non valgono a confutare le motivazioni dell’atto impugnato ma tutt’al più consentirebbero in futuro la proposizione di una nuova domanda di permesso di soggiorno”.
L’appellante, al fine di contrastare le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado, deduce di aver stipulato, nell’anno 2013, un contratto di associazione in partecipazione con il sig. Kh. Mu. As. per la gestione di una stazione di carburanti: tale rapporto, egli precisa, non fu mai regolarizzato e si interruppe anche perché egli non veniva regolarmente pagato.
Allega altresì l’appellante che nel 2014 ha stipulato un nuovo contratto di associazione in partecipazione, sempre per la gestione di una stazione di carburanti nel Comune di (omissis) (UD), con il connazionale Mo. Wa.: evidenzia che l’attività intrapresa dall’associazione produce un crescente volume di affari, come emerge dai bilanci e dalla relazione CNA, e che egli, che nell’ambito del rapporto associativo assume la veste di associato, divide gli utili con l’associante nella misura del 49%.
In particolare, l’appellante deduce di aver percepito, dal 7.6.2014 al 31.12.2014, un reddito di Euro 4.469,00 e che, come si evince dal cedolino relativo al 2015, il compenso lordo del periodo è stato pari ad Euro 18.593,45; inoltre, l’utile generato nel 2014 è stato pari ad Euro 9.121,00, a fronte di soli sei mesi di svolgimento dell’attività, mentre nel 2015 è risultato pari ad Euro 37.945,81; quanto ai versamenti contributivi relativi al 2014, evidenzia che gli stessi potranno emergere solo nel 2016.
Lamenta infine che il T.A.R. ha tenuto conto solo dei dati INPS, peraltro relativamente ad un periodo (2009-2013) in cui aveva già ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno, senza tenere conto dei fatti sopravvenuti relativi al 2014 ed al 2015.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per opporsi all’accoglimento dell’appello.
Tanto premesso, l’appello è meritevole di accoglimento.
Deve premettersi che il provvedimento impugnato in primo grado si fonda sul rilievo secondo cui, successivamente alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, avvenuta nel 2010, lo straniero appellante “pur avendo rinnovato il permesso di soggiorno non ha mai raggiunto un reddito minimo sufficiente per vivere in questo Stato”, non avendo “mai dimostrato una stabile occupazione lavorativa”.
Dalle premesse del provvedimento si evince altresì che, pur dopo la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di rinnovo, “la documentazione prodotta non consente una diversa valutazione”.
Deve altresì rilevarsi, sempre in via preliminare, che, ai sensi dell’art. 5, comma 5, d.lvo n. 286/1998, “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”.
La norma, laddove prescrive la considerazione dei “nuovi elementi”, eventualmente sopraggiunti nelle more delle determinazioni dell’Amministrazione sull’istanza di rinnovo, pur dopo il verificarsi di circostanze che osterebbero al suo accoglimento (quale, ad esempio, il decorso di un significativo lasso temporale senza che l’interessato abbia conseguito redditi sufficienti), non impone quindi che l’intero periodo di permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, assistito dal possesso di un efficace (anche in virtù del suo conseguito rinnovo) permesso di soggiorno, sia costantemente accompagnato da una congrua disponibilità reddituale, laddove siano comunque tempestivamente acquisiti al procedimento elementi indicativi di una capacità reddituale in fieri e suscettibile, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, di consolidarsi in futuro.
Applicando le suindicate coordinate interpretative alla fattispecie oggetto di giudizio, deve osservarsi che, già in sede procedimentale (come riconosciuto dalla stessa Amministrazione con la memoria difensiva depositata nel giudizio di primo grado), l’appellante aveva prodotto copia del contratto di associazione in partecipazione, stipulato nel giugno del 2014, avente ad oggetto la gestione di una stazione per il rifornimento di carburanti, che vede l’appellante rivestire la posizione di associato e di avente diritto, a fronte del contributo lavorativo da lui prestato, alla percezione degli utili derivanti dallo svolgimento dell’attività nella misura del 49%.
Ebbene, deve ritenersi che, a fronte di tale allegazione documentale, sarebbe stato onere dell’Amministrazione verificare se la nuova posizione lavorativa dell’appellante fosse idonea a generare, in capo al medesimo, una concreta prospettiva reddituale, integrando essa il “nuovo elemento” di cui l’Amministrazione doveva tenere conto prima di determinarsi in ordine alla proposta istanza di rinnovo.
Del resto, se da un lato la natura dell’attività consentiva di presumere, sulla base di un fatto notorio, la sua redditività, e comunque di non escluderla a priori, dall’altro lato il carattere iniziale della stessa, avendo gli associati provveduto alla riattivazione di una stazione di servizio preesistente ma chiusa, non consentiva di esigere immediatamente emergenze documentali ulteriori (di carattere fiscale o contributivo) in ordine alla possibilità per l’appellante di trarre dalla stessa sufficienti mezzi di sussistenza, essedo le stesse destinate a concretizzarsi solo in epoca successiva.
Peraltro, la rilevanza di tale sopravvenienza lavorativa ai fini della valutazione dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza di rinnovo è confermata dalle ulteriori acquisizioni documentali operate dalla parte appellante.
Basti richiamare, in proposito, la busta paga relativa ai compensi corrisposti dall’associante all’appellante-associato relativamente all’anno 2015, da cui risulta il pagamento di un importo netto di Euro 12.222,00, nonché la dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2017, con la quale l’appellante ha dichiarato un reddito di Euro 19.316.
L’appello, in conclusione, deve essere accolto.
La peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
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