Per errore su un “punto controverso” della decisione

Consiglio di Stato, Sentenza|19 febbraio 2021| n. 1489.

Per errore su un “punto controverso” della decisione si deve intendere quello che sia stato decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa, e che esso non cada su di un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato.

Sentenza|19 febbraio 2021| n. 1489

Data udienza 3 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Autorizzazioni ambientali – Progetto di discarica di rifiuti non pericolosi – Giudizio di compatibilità ambientale – Autorizzazione integrata ambientale – Diniego – Controversia – Ricorso per revocazione – Inammissibilità – Motivi revocatori prospettai non integranti ipotesi previste dell’art. 395, n. 4 c.p.c.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso per revocazione numero di registro generale 2026 del 2020, proposto dalla società Va. Am. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fr. Pa. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
– la Provincia di Vercelli, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ro., Cl. Vi. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– la Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, ed altri, non costituiti in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 116928 dell11 ottobre 2019, resa tra le parti, concernente il giudizio di compatibilità ambientale e il diniego di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale per un progetto di discarica di rifiuti non pericolosi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Vercelli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2020, svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso proposto davanti al Tar per il Piemonte, sede di Torino, la società Va. Am. S.r.l. ha chiesto l’annullamento della determinazione della Provincia di Vercelli n. 1964 del 25 novembre 2016, recante il giudizio negativo di compatibilità ambientale ed il diniego del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, ex art. 29-ter del d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione al progetto avente ad oggetto la realizzazione di una discarica per rifiuti non pericolosi, con connesse opere accessorie e di servizio, da localizzarsi in Comune di (omissis), in località (omissis).
1.1. L’area interessata dalla discarica è costituita da un pregresso sito estrattivo a fossa, ex cava di ghiaia e di sabbia, già parzialmente riempito con rifiuti (scorie non trattate) conferiti fin dagli anni settanta. Il progetto prevede la risagomatura delle scarpate e del fondo vasca, con approfondimento, e conseguente asportazione e smaltimento, previa caratterizzazione, dei rifiuti costituenti l’attuale fondo dell’invaso per una capacità di 458.500 mc, di cui circa 320.000 mc in fossa e il resto fuori terra, con previsione di esaurimento in cinque anni.
1.3. Il Tar, con la sentenza n. 99/2018, ha respinto il ricorso.
2. Il Consiglio di Stato ha poi respinto l’appello della società Va. Am. contro la suddetta sentenza, ritenendo fondati il giudizio negativo di compatibilità ambientale e il diniego di rilascio dell’autorizzazione integrata alla discarica in ragione dell’inferenza del sito con la falda dell’acquifero profonda, della sua prossimità alla rete ecologica, del mancato rispetto delle distanze tra le costruzioni.
2.1. Su tali aspetti la società appellante aveva proposto articolati motivi di gravame che questa Sezione, con la sentenza n. 6929/2010, ha ritenuto di respingere. In particolare, ha evidenziato:
“La Sezione ritiene decisive, nel senso del rigetto di questi motivi, le seguenti considerazioni.
a) La società interessata non ha articolato autonomi motivi di censura nei confronti della classificazione formale dell’area di interesse, e non ha impugnato il relativo piano regionale delle acque, limitandosi a riportarsi alle considerazioni svolte dal consulente tecnico di parte.
Ciò, già di per sé, renderebbe inammissibile, per tardività e per difetto di interesse, il ricorso.
b) Anche a prescindere da tale dirimente aspetto, il ricorso è comunque infondato nel merito, in considerazione della genericità e dell’indeterminatezza delle affermazioni poste dalla ricorrente a sostegno della propria tesi, secondo la quale il sito di interesse non si troverebbe nell’area di ricarica dell’acquifero profondo.
Si tratta di affermazioni inconsistenti e contrastanti con le risultanze documentali in atti.
Il primo giudice ha correttamente dato atto della circostanza che “il sito del Progetto di discarica “risulta localizzato, nel Piano di Tutela dell’Acqua Regionale (approvato con DCR n. 117-10731 del 13 marzo 2007), in “Zona di protezione delle acque destinate al consumo umano, secondo cui l’area risulta classificata dal Piano di Tutela delle Acque della Regione Piemonte, come “Aree di ricarica delle falde destinate al consumo umano”.
Un’eventuale consulenza tecnica d’ufficio, anche laddove dedotta dalla parte, non avrebbe potuto essere disposta dal primo giudice, ostandovi la mancata impugnazione della menzionata classificazione e la genericità delle contestazioni.
Nemmeno giova alla società ricorrente, l’invocazione di pretese disparità di trattamento, sul piano processuale, rispetto ad altri giudizi pendenti davanti al medesimo Tar del Piemonte, i quali avrebbero (in tesi) influenza rispetto al presente giudizio.
In disparte la diversità dei giudizi sul piano soggettivo e oggettivo (i medesimi sembrerebbero riguardare provvedimenti amministrativi diversi, emanati da amministrazioni non coincidenti, all’esito di procedimenti distinti, espletati a seguito di istanze proposte da soggetti terzi in relazione a progetti differenti), sarebbe stata preliminare la dimostrazione – il cui onere della prova gravava sulla parte interessata- che i giudizi messi a raffronto si fossero fondati sulle medesime contestazioni e sulla medesima strategia processuale, ivi compresa la mancata impugnazione delle determinazioni riguardanti l’acquifero profondo e la collocazione della discarica rispetto all’area di interesse.
c) Da un punto di vista tecnico, sono risultate di decisivo rilievo, nel senso di escludere la positiva valutazione del progetto, le seguenti circostanze:
– il triplo strato di protezione offre, in generale, elevate garanzie di sicurezza, ma – nel caso specifico- attesa la conformazione del suolo (costituito da ghiaia, e dunque estremamente permeabile), e la classificazione del sito (che ricade nell’area di ricarica dell’acquifero profondo), si esige una diversa funzionalità degli strati, che non è quella (soltanto) di funzione di “spia” di un eventuale mal funzionamento, bensì quella (diversa, e non sussistente nel caso de quo) di sostituzione dello strato principale;
– manca un sistema di captazione del percolato, sostitutivo di quello principale;
– è critico il raccordo tra gli strati di fondo della discarica (costituiti da argilla compattata) e quelli delle pareti laterali (costituite da un materiale diverso, ossia il materassino bentotinico), con conseguente impossibilità di garantire la tenuta stagna del sistema di impermeabilizzazione e la funzionalità del sistema drenante;
– il calcolo dei tempi di ritenzione del percolato da parte della barriera artificiale, è stato effettuato in modo meramente teorico.
d) Le modifiche progettuali integrative presentate dall’interessata, non hanno -nella sostanza- risolto queste criticità, sicché è irrilevante -anche ai sensi dell’art. 21-octies della legge sul procedimento amministrativo- il mero formale richiamo, da parte del parere dell’ATO 2 del febbraio 2006, al primo progetto.
e) Il conseguente giudizio negativo espresso dall’Amministrazione, si sottrae alle censure di illegittimità dedotte, dovendosi ritenere limitato – il sindacato del giudice amministrativo – ai vizi di evidente illogicità, irrazionalità e illogicità dell’atto, quali vizi tipici della funzione (rectius, della disfunzione) amministrativa.
f) La configurazione geologica del sito non esclude, allo stato degli accertamenti svolti, il rischio della potenziale contaminazione della falda acquifera.
g) Sono inconferenti, sotto il profilo della disparità di trattamento, le asserzioni della società ricorrente, secondo cui vi sarebbero numerose altre discariche e cave, anche di dimensioni maggiori, nel territorio di Comuni vicini, che opererebbero alle medesime condizioni e nello stesso contesto idrogeologico di riferimento, rispetto all’impianto de quo.
Se anche ciò fosse vero, l’eventuale illegittimità dell’altrui attività (circostanza, allo stato, comunque, tutta da dimostrare) non varrebbe a giustificare la reiterazione o l’aggravamento dell’illegittimità commessa nell’ambito del medesimo territorio, e rappresenterebbe (anzi) una ragione di maggiore tutela e di preservazione della parte relitta.
h) Sono, altresì, inconferenti, e comunque non decisive, le allegazioni secondo cui l’area non avrebbe mai subito alcun intervento di recupero o di riqualificazione, malgrado la messa a dimora, fin dagli anni Settanta, di rifiuti potenzialmente pericolosi, mai rimossi.
L’autorizzazione dell’attività richiesta, infatti, prescinde dall’eventuale fortunosa non contaminazione del sito, e deve basarsi, all’attualità, su seri e ragionevoli previsioni volte ad evitare l’inquinamento futuro”.
3. Ciò premesso, la società Va. Am. con il presente ricorso chiede la revocazione della pronuncia del Consiglio di Stato per le seguenti ragioni.
3.1. Revocazione della sentenza ex art. 395, n. 4, c.p.c. come richiamato dall’art. 106 c.p.a. – errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa che non ha costituito punto controverso.
3.1.1. Nella sentenza si afferma che il sito del Progetto di discarica “risulta localizzato, nel Piano di Tutela dell’Acqua Regionale (approvato con DCR n. 117-10731 del 13 marzo 2007), in Zona di protezione delle acque destinate al consumo umano, secondo cui l’area risulta classificata dal Piano di Tutela delle Acque della Regione Piemonte, come “Aree di ricarica delle falde destinate al consumo umano”. Da ciò deriverebbe anche che la “mancata impugnazione della menzionata classificazione” della (omissis) osterebbe ad un’analisi della questione.
3.1.2. Secondo la società ricorrente, la stessa non ha mai impugnato il Piano citato per il semplice motivo che lo stesso non classifica la zona d’interesse come zona di ricarica dell’acquifero profondo. Tale circostanza emergerebbe dagli atti e dai documenti depositati in causa a confermare che la cartografia esclude la zona dalle aree di ricarica (tra tutti doc. 7, del fascicolo primo grado).
La sentenza ha dato invece per scontato, senza motivare sul punto, che la cartografia disporrebbe diversamente, nonostante sul tema non vi sia stato contraddittorio e senza che la questione sia stata analizzata.
3.1.3. In questo contesto, sussisterebbe per la ricorrente l’errore revocatorio caratterizzato: “a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (ex multis Consiglio di Stato Ad. Plen., 24 gennaio 2014, n. 5)”.
3.1.4. Nella specie, a parere della ricorrente, sussisterebbero tutti gli indicati elementi in quanto:
– trattasi di censure essenziali ai fini del decidere in quanto il rigetto della domanda della (omissis) deriverebbe proprio dal fatto che l’area sarebbe classificata come area di ricarica;
– è stata versata in atti la documentazione a riprova che la zona in cui insisterà la nuova discarica non è classificata (ed effettivamente non lo è ) quale “area di ricarica”, e tale documentazione non è stata contestata dalla controparte la quale non ha mai potuto o voluto dimostrare che l’intervento sarebbe incluso in tale area;
– la sentenza non si è pronunziata sulle indicate censure dando per scontato che l’area rientrasse tra le aree di ricarica, “ed ha pertanto obliterato integralmente quanto dedotto in merito alla corretta identificazione della classificazione dell’area” da parte della odierna esponente.
3.1.5. Sin dal primo grado di giudizio la società ricorrente ha depositato documentazione tecnica a sostegno delle proprie argomentazioni, e negli atti del giudizio ha ampiamente dedotto come e perché la zona non è un’area di ricarica dell’acquifero profondo (in particolare, la perizia tecnica a firma degli ingegneri Gi. Ac. e Gi. Sa., nella quale si verificava che, da accertamenti eseguiti in loco, l’area oggetto del progetto di discarica fosse esterna alla zona di ricarica dell’acquifero profondo (doc. 7 del fascicolo di primo grado citato). Nella medesima relazione veniva dato atto che le specifiche progettuali proposte dalla (omissis) e condivise in seno alla conferenza dei servizi del 20 settembre 2016 erano tali da offrire “la massima protezione possibile, utilizzando le migliori tecniche disponibili” e “la massima garanzia contro qualsiasi rischio di lesione o di perdita dovuto a qualsiasi motivo”.
3.1.5. Il dato prospettato, secondo la ricorrente, veniva confermato anche dalla perizia tecnica affidata al verificatore in taluni giudizi gemelli dinanzi allo stesso Tar, cui ha preso parte anche (omissis) in qualità di cointeressata (nella relazione finale depositata agli atti del giudizio sarebbe stato ampiamente e dimostrato che l’area non è di ricarica degli acquiferi profondi e che le misure implementate permettevano di prevenire le ripercussioni negative sull’ambiente). La sentenza dunque avrebbe dovuto analizzare quanto emerso dall’istruttoria espletata nei giudizi gemelli.
3.2. Revocazione della sentenza ex art. 395, n. 4, c.p.c. come richiamato dall’art. 106 c.p.a., errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa che non ha costituito punto controverso.
3.2.1. La sentenza non ha considerato che la falda su cui insiste la discarica di (omissis) è la medesima sulla quale insistono quelle dei giudizi gemelli. Di tale coincidenza ne è stato dato ampiamente conto negli atti del giudizio e la medesima risulta altresì dai documenti (cfr. citato doc. 7)
3.2.2. Da tale coincidenza delle aree deriva inevitabilmente che l’area de qua non è un’area di ricarica dell’acquifero profondo. Infatti, come precisato, il Verificatore ha confermato che “nel concreto e nelle condizioni sito specifiche, i criteri adottati sono tutti convergenti e concordanti nell’affermare che, nell’area delle discariche e a valle delle stesse, l’ipotesi, più probabile che non, è che tale area non appartenga ad un’area di ricarica degli acquiferi profondi”.
3.3. Revocazione della sentenza ex art. 395, n. 4, c.p.c. come richiamato dall’art. 106 c.p.a., errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa che non ha costituito punto controverso.
3.3.1. Anche se l’area fosse rientrata tra quelle di ricarica dell’acquifero profondo, la sentenza sarebbe comunque viziata da un altro rilevante errore di fatto e cioè che la classificazione formale dell’area non poteva comunque costituire elemento determinante per rigettare la richiesta di autorizzazione avanzata dalla ricorrente alla Provincia (la sentenza si è basata sull’errata percezione secondo cui il fatto che l’area sia classificata formalmente come area di ricarica renderebbe automatica la conclusione negativa del procedimento di autorizzazione. Tale automatismo però non esiste, trattandosi di una pura e semplice errata percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio).
3.4. Revocazione della sentenza ex art. 395, n. 4, c.p.c. come richiamato dall’art. 106 c.p.a., errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa che non ha costituito punto controverso.
3.4.1. Per la ricorrente, un ulteriore errore in fatto sussiste laddove la sentenza ravvisa una presunta “diversità dei giudizi sul piano soggettivo e oggettivo” rispetto a quelli cd gemelli (“i medesimi sembrerebbero riguardare provvedimenti amministrativi diversi, emanati da amministrazioni non coincidenti, all’esito di procedimenti distinti, espletati a seguito di istanze proposte da soggetti terzi in relazione a progetti differenti”). Al contrario, le due vicende sostanziali oggetto di giudizio sarebbero le stesse e, pertanto, i dati emergenti nell’una non possono essere in contrasto con quelli dell’altra, e viceversa. Le relative risultanze ed istruttorie devono quindi essere compatibili tra loro (nei cd. giudizi gemelli sono presenti peraltro continui riferimenti ad altre procedure, ad altri impianti di smaltimento presenti nella zona ed ai relativi atti di autorizzazione della Provincia di Vercelli).
3.5. Premessi i motivi revocatori, la società in fase rescissoria, evidenzia poi la fondatezza dei profili di gravame svolti in appello.
3.5.1. In particolare, secondo quest’ultima, sarebbe stato dimostrato che dalla cartografia la zona in questione non rientra tra le aree di ricarica dell’acquifero profondo. E dunque sarebbe venuto meno il presupposto in forza del quale non poteva essere rilasciata alla (omissis) la richiesta autorizzazione. Inoltre, trattandosi della medesima falda dei cd. giudizi gemelli, un’apposita istruttoria aveva già verificato che (al di là della classificazione formale) la falda sottostante l’area di interesse non era area di ricarica dell’acquifero profondo. In sostanza, l’autorizzazione poteva essere rilasciata, poste anche le misure di protezione dell’ambiente previste che avrebbero garantito che la zona circostante, e in particolare la falda, fossero sufficientemente protette da eventuali rischi di inquinamento.
4. La Provincia di Vercelli si è costituita in giudizio il 7 luglio 2020, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto inammissibile.
5. La società ricorrente ha depositato ulteriori documenti il 23 ottobre 2020 e una replica l’11 novembre 2020.
6. La Provincia di Vercelli ha depositato un’ulteriore memoria il 2 novembre 2020 e il 30 novembre 2020 note di udienza ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020.
7. La causa è stata trattenuta per la definitiva decisione, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, nell’udienza tenutasi in video conferenza il 3 dicembre 2020.
8. Il ricorso è inammissibile.
9. I motivi revocatori prospettai dalla ricorrente non integrano alcuna delle ipotesi previste dell’art. 395, n. 4 c.p.c.
9.1. Innanzitutto, va ricordato quanto richiamato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 24 gennaio 2014, secondo cui l’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’articolo 395 n. 4 c.p.c., sussiste qualora non costituisca un punto controverso sul quale la sentenza si è pronunciata (caso che per quello che si dirà in seguito deve ritenersi escluso nella fattispecie in esame).
9.2. L’errore revocatorio non ricorre neppure nell’ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio. In tale ipotesi sussiste eventualmente un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 21 settembre 2020, n. 5480).
9.3. Nello specifico, sia la sentenza di primo grado, sia quella di appello hanno esaminato la questione se la discarica ricadesse o meno nella zona di ricarica dell’acquifero profondo perimetrata dal PTA (piano regionale delle acque). Ed in disparte dalla mancata impugnazione di tale piano da parte della società ricorrente, il giudice di appello ha apprezzato le risultanze documentali anche in considerazione della circostanza evidenziata dal giudice di primo grado che il sito risultava localizzato nel PTA in zona di protezione delle acque destinate al consumo umano e che alcuna consulenza tecnica poteva essere disposta in quel grado di giudizio, ostandovi la mancata impugnazione della stessa classificazione.
9.4. D’altra parte, la sentenza di cui si chiede la revocazione ha ritenuto decisivo ai fini del rigetto dell’appello ulteriori circostanze:
“- il triplo strato di protezione offre, in generale, elevate garanzie di sicurezza, ma – nel caso specifico – attesa la conformazione del suolo (costituito da ghiaia, e dunque estremamente permeabile), e la classificazione del sito (che ricade nell’area di ricarica dell’acquifero profondo), si esige una diversa funzionalità degli strati, che non è quella (soltanto) di funzione di “spia” di un eventuale mal funzionamento, bensì quella (diversa, e non sussistente nel caso de quo) di sostituzione dello strato principale;
– manca un sistema di captazione del percolato, sostitutivo di quello principale;
– è critico il raccordo tra gli strati di fondo della discarica (costituiti da argilla compattata) e quelli delle pareti laterali (costituite da un materiale diverso, ossia il materassino bentotinico), con conseguente impossibilità di garantire la tenuta stagna del sistema di impermeabilizzazione e la funzionalità del sistema drenante;
– il calcolo dei tempi di ritenzione del percolato da parte della barriera artificiale, è stato effettuato in modo meramente teorico.
d) Le modifiche progettuali integrative presentate dall’interessata, non hanno -nella sostanza- risolto queste criticità, sicché è irrilevante -anche ai sensi dell’art. 21-octies della legge sul procedimento amministrativo- il mero formale richiamo, da parte del parere dell’ATO 2 del febbraio 2006, al primo progetto.
e) Il conseguente giudizio negativo espresso dall’Amministrazione, si sottrae alle censure di illegittimità dedotte, dovendosi ritenere limitato – il sindacato del giudice amministrativo – ai vizi di evidente illogicità, irrazionalità e illogicità dell’atto, quali vizi tipici della funzione (rectius, della disfunzione) amministrativa.
f) La configurazione geologica del sito non esclude, allo stato degli accertamenti svolti, il rischio della potenziale contaminazione della falda acquifera.
g) Sono inconferenti, sotto il profilo della disparità di trattamento, le asserzioni della società ricorrente, secondo cui vi sarebbero numerose altre discariche e cave, anche di dimensioni maggiori, nel territorio di Comuni vicini, che opererebbero alle medesime condizioni e nello stesso contesto idrogeologico di riferimento, rispetto all’impianto de quo.
Se anche ciò fosse vero, l’eventuale illegittimità dell’altrui attività (circostanza, allo stato, comunque, tutta da dimostrare) non varrebbe a giustificare la reiterazione o l’aggravamento dell’illegittimità commessa nell’ambito del medesimo territorio, e rappresenterebbe (anzi) una ragione di maggiore tutela e di preservazione della parte relitta.
h) Sono, altresì, inconferenti, e comunque non decisive, le allegazioni secondo cui l’area non avrebbe mai subito alcun intervento di recupero o di riqualificazione, malgrado la messa a dimora, fin dagli anni Settanta, di rifiuti potenzialmente pericolosi, mai rimossi”.
9.5. In sostanza, l’errore dedotto dalla ricorrente non è stato il motivo centrale o comunque dirimente della decisione che invece ha enucleato una serie di profili del tutto diversi e di per sé fondanti.
9.6. Per errore su un “punto controverso” della decisione si deve intendere infatti quello che
sia stato decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa, e che esso non cada su di un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato (cfr. Cons. Stato, sez. II, 16 novembre 2020, n. 7089).
9.7. Né in senso diverso può concludersi con riferimento agli evocati “giudizi gemelli” dinanzi al medesimo Tar di Torino. Come correttamente indicato nella sentenza la loro identità andava comunque dimostrata (quanto a identità del progetto) ed in ogni caso, come evidenziato dalla Provincia di Vercelli, i giudizi erano stati proposti in relazione a un progetto di discarica previsto nel Comune di (omissis), in Provincia di Biella, ovvero rispetto a un progetto diverso e a un un’area diversa.
10. In aggiunta a quanto sopra evidenziato, la società ricorrente, pur soffermandosi ampiamente sui (presunti) errori di fatto revocatori che sarebbero ravvisabili nella sentenza di questa Sezione n. 6928 del 2019 in relazione alla localizzazione dell’area di progetto nell’area di ricarica dell’acquifero profondo, nulla dice in ordine alle ulteriori motivazioni che l’Amministrazione aveva posto a base del diniego di rilascio di AIA: la presenza di lacune progettuali, la prossimità dell’area de qua alla rete ecologica e la violazione della disciplina delle distanze tra costruzioni.
10.1. Su alcune di esse la sentenza si è intrattenuta (es. deficit progettuale e misure per il contenimento del rischio) senza tuttavia che la ricorrente abbia sollevato alcuna censura, per cui su di esse si è ormai formato il giudicato. Sulle altre motivazioni su cui la sentenza revocanda ha glissato, in applicazione del principio della sufficienza di una sola motivazione a sostenere il provvedimento negativo e della conseguente carenza di interesse a censurare le altre motivazioni, la ricorrente avrebbe dovuto comunque proporre specifiche censure.
11. Per le ragioni sopra esposte, il ricorso per revocazione indicato in epigrafe va dichiarato inammissibile.
12. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione (n. 2026/2020), come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della Provincia di Vercelli nella misura complessiva di euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre agli altri oneri previsti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2020, svoltasi da remoto in audio conferenza, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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