Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 13 maggio 2019, n. 3057.
La massima estrapolata:
Per aversi ristrutturazione edilizia occorre che sia conservata la struttura fisica della costruzione preesistente o che questa sia oggetto di una ricostruzione se non fedele, comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della struttura preesistente.
Sentenza 13 maggio 2019, n. 3057
Data udienza 30 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3728 del 2009, proposto da
Ba. An., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ca. Di Gi., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Di Gi. in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Toscana, Sezione III, n. 98 del 29 gennaio 2009, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n. r. 1244/2005 proposto per l’annullamento dell’ingiunzione del Comune di (omissis) n. 11545, in data 2 maggio 2005, di demolizione di opere edilizie eseguite in totale difformità e/o con variazioni essenziali rispetto alla concessione edilizia C/99/621 in data 19 gennaio 2001.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 aprile 2019 il Cons. Carla Ciuffetti e udito per le parti l’avvocato Gi. Ca. Di Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante aveva ottenuto una concessione edilizia, rilasciata in data 19 settembre 2001, n. C/99/00621, dal Comune di (omissis), con cui veniva assentita, in zona vincolata, la demolizione e ricostruzione di annessi agricoli precari, già condonati, la realizzazione di un pergolato e la posa in opera di un impianto di sub-irrigazione. Accertata la realizzazione di opere abusive in variazione essenziale dal titolo edilizio – costituite dalla costruzione di un nuovo manufatto in muratura adibito ad uso abitativo, realizzato su due piani anziché uno, di cui uno seminterrato in parte fuori sagoma dell’altro, realizzato con sbancamento di terreno, con tettoia in muratura, dalla modificazione di misure del piano preesistente, dalla realizzazione di scale esterne in muratura e da un prefabbricato fissato in modo stabile -, il Comune di (omissis), con atto prot. n. 11545, in data 2 maggio 2005, aveva ingiunto all’appellante di demolire integralmente i manufatti, con ripristino dello stato dei luoghi. Il provvedimento era motivato dal fatto che le opere edilizie abusive avevano concorso alla realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche e di utilizzazione rispetto a quello già assentito, nonché di un manufatto del tutto privo di titolo edilizio. Il signor Ba. impugnava quindi l’ordinanza di demolizione davanti al T.a.r. per la Toscana che rigettava il ricorso.
2. La sentenza appellata ha ritenuto infondati i motivi del ricorso, relativi alla violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, all’eccesso potere per erroneità dei presupposti, al travisamento fatti e alla violazione degli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001: sia in quanto l’ordinanza di demolizione doveva ritenersi un atto dovuto e vincolato per il Comune, sia in quanto, per effetto degli abusi compiuti, era stato costruito un organismo edilizio del tutto nuovo rispetto a quello assentito, come dimostrato da tutta la documentazione agli atti, compresi i rilievi fotografici aerei. La sentenza non ha disposto sulle spese, non essendosi costituita l’Amministrazione intimata.
3. Sulla scorta di tale pronuncia, con ordinanza in data 9 marzo 2009, prot. n. 5612, il Comune di (omissis) intimava al signor Ba. di dare esecuzione all’atto impugnato. L’intimato, con lettera in data 31 marzo 2009, avanzava richiesta allo stesso Comune di poter realizzare sul manufatto gli interventi necessari di riduzione in pristino per renderlo pienamente conforme alla concessione edilizia. Tale richiesta veniva respinta e, a motivo del diniego, il Comune di (omissis) evidenziava che il ripristino dello stato dei luoghi non trovava fondamento “in una corretta interpretazione dell’articolo 132 della l.r. n. 1/2005, applicabile sia alle nuove edificazioni in assenza di permesso di costruire che alle opere in totale difformità ovvero in variazione essenziale dal permesso medesimo” e ribadiva che dovevano essere demoliti sia l’edificio principale, già sanato come annesso agricolo e trasformato in abitazione distribuita sui piani terra e interrato, sia il manufatto prefabbricato in quanto la rimozione parziale degli abusi non poteva trovare alcun fondamento in una corretta interpretazione dell’art. 132 della l.r. n. 1/2005.
4. In sede di appello, il signor Ba. riproponeva i motivi di impugnazione relativi: alla violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, in quanto a sua avviso l’ordine di demolizione era stato adottato a seguito di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione in merito alla difformità delle opere rispetto alla concessione edilizia, ai cui fini avrebbe dovuto essere garantito il contraddittorio con l’interessato; alla violazione degli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001, poiché l’integrale demolizione dell’immobile coinvolgeva anche parte di esso conforme al provvedimento concessorio. La misura dell’integrale demolizione doveva ritenersi sproporzionata per il primo piano del fabbricato, per il quale avrebbe dovuto essere prevista la demolizione delle sole opere difformi rispetto alla concessione. Inoltre, la sentenza avrebbe errato in ordine ai presupposti di fatto del provvedimento impugnato in quanto non vi sarebbe stato un cambio di destinazione d’uso del primo piano del manufatto, perché esso era privo dell’allaccio alle necessarie utenze ed era destinato solo a ricovero momentaneo; inoltre, essendo stato già demolito il prefabbricato privo di titolo edilizio, l’ingiunzione di demolizione non poteva prevedere, nell’ambito dell’area di sedime da acquisire in caso di mancata esecuzione dell’ingiunzione, l’acquisizione anche della superficie sulla quale esso insisteva; infine, la sentenza di primo grado non aveva preso in considerazione la doglianza di parte ricorrente circa l’erroneità delle misure del manufatto indicate dall’ordinanza impugnata, in quanto maggiori rispetto a quelle effettive.
L’appellante sosteneva in particolare la violazione dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 in quanto, in caso di ristrutturazione, come quella avvenuta nella fattispecie anche attraverso opere di demolizione, tale articolo prevede, in alternativa all’ordine di demolizione, la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria. Sussistevano quindi, a suo avviso, i presupposti per l’applicazione di tale disposizione in quanto egli si era dichiarato disponibile: a interrare il piano non previsto dalla concessione, che aveva una funzione di sostegno del piano terra, in sé strutturalmente conforme; a demolire la tettoia antistante il manufatto e ripristinare il pergolato; a demolire la scala costruita abusivamente; ad adibire il manufatto ad annesso agricolo.
5. Il procedimento, di cui è stata dichiarata l’interruzione per decesso dell’appellante in data 11 agosto 2010 (Cons. Stato, sez. IV 12 febbraio 2014, n. 699, ord.) è stato riassunto, ai sensi dell’art. 80, comma 3, c.p.a., dalle eredi, signore Ma. Ar., Er. Ba., Ma. Ba., Li. Ba. e Al. Ba., con atto in data 24 marzo 2014, con cui è stato chiesto l’accoglimento dei motivi di appello già presentati dal signor Ba..
Con atto in data 13 marzo 2019, le signore Er. Ba., Ma. Ba., Li. Ba. e Al. Ba. hanno dichiarato il decesso della signora Ma. Ar. in data 27 dicembre 2017 e si sono riportate a quanto dedotto in appello chiedendone l’accoglimento.
6. Poiché l’avvocato di parte appellante ha precisato in occasione dell’udienza pubblica che le signore Er. Ba., Ma. Ba., Li.Ba. e Al. Ba. sono le uniche eredi della signora Ma. Ar., preliminarmente il Collegio osserva che, con l’atto di comunicazione del decesso della coerede signora Ma. Ar., le altre eredi si sono riportate alle deduzioni contenute nell’atto di appello e che il procedimento può essere da esse validamente proseguito.
7. L’appello è infondato.
Il Collegio ritiene di affrontare in primo luogo le doglianze di parte appellante con cui si deplora che non sia stata data applicazione all’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico per l’edilizia). Tale disposizione prevede, in caso di ristrutturazione edilizia eseguita in assenza di permesso o in totale difformità da esso, l’irrogabilità della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, nell’eventualità che non sia possibile la rimessione in pristino, come avverrebbe nella fattispecie, considerato anche che il piano seminterrato ha una funzione di sostegno del piano terra.
Tali doglianze sono infondate in quanto nella fattispecie non ricorre il presupposto della ristrutturazione edilizia in presenza del quale è applicabile l’invocato art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001. L’accertamento svolto dal Comune di (omissis) ha evidenziato opere edilizie abusive che hanno portato alla realizzazione di nuovi volumi e superfici – tra cui la costruzione di un intero piano seminterrato, di una tettoia e di una scala, nonché un manufatto del tutto nuovo – dando luogo ad un nuovo organismo edilizio con modificazione dell’originaria destinazione d’uso agricola in residenziale, per il quale sarebbe stato necessario il rilascio di un idoneo titolo edilizio.
Il discrimine tra ristrutturazione e realizzazione di nuovo organismo edilizio è chiaro nella giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale per aversi ristrutturazione occorre che sia conservata la struttura fisica della costruzione preesistente o che questa sia oggetto di una ricostruzione se non fedele, comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della struttura preesistente (cfr. e plurimis Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2012, n. 4771, Sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1763), requisiti che non ricorrono nella fattispecie.
Infatti, in variazione essenziale dalla concessione rilasciata per la demolizione e ricostruzione di annessi agricoli precari condonati, la realizzazione di pergolato e la posa in opera di un impianto di subirrigazione, è stata invece accertata la realizzazione di un immobile in muratura, costruito su due piani invece di uno, con un piano aggiuntivo seminterrato fuori sagoma, suddiviso in stanze, con cucina ammobiliata e servizio igienico, allacciatura alla fornitura di energia elettrica e acqua, con cambio della destinazione d’uso. A fronte di tale accertamento, risultano prive di rilevo le doglianze di parte appellante riferite al primo piano dell’edificio, relative all’erroneità di alcune misure indicate nell’ordinanza di demolizione e all’assenza di allacci alle reti di servizi e allo scarso mobilio di tale piano.
Correttamente quindi l’Amministrazione comunale ha disposto la demolizione ai sensi dell’art. 132 della l.r. n. 1/2005 (Norme per il governo del territorio), che, con disposizioni analoghe a quelle contenute nell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, prevede l’ingiunzione di demolizione delle opere eseguite in variazione essenziale rispetto al titolo edilizio.
Anche l’argomento con cui si censura l’esercizio della discrezionalità da parte dell’Amministrazione comunale nella valutazione della difformità delle opere rispetto al titolo edilizio è infondato. Per sua natura tale attività non ha carattere discrezionale, essendo limitata ad un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 29 marzo 2019, n. 2086).
Il motivo d’appello relativo alla violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990 è infondato. Questo Consiglio ha chiarito, con un orientamento da tempo consolidato, che “le garanzie procedimentali, a partire da quelle degli artt. 7 e segg., l. n. 241 del 1990, sono poste a tutela di concreti interessi e non devono risolversi in inutili aggravi procedimentali; poiché l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non va inteso in senso formalistico, ma risponde all’esigenza di provocare l’apporto collaborativo da parte dell’interessato, esso viene meno qualora nessuna effettiva influenza avrebbe potuto avere la partecipazione del privato rispetto alla concreta portata del provvedimento finale” (e plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 13 agosto 2018, n. 4918). Infatti, l’ingiunzione di demolizione costituisce un provvedimento dovuto e vincolato, finalizzato a sanzionare la costruzione di opere realizzate senza il prescritto titolo edilizio e, ai fini della sua adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario; essi, comunque, nella fattispecie, non avrebbero potuto far venire meno la circostanza che le opere erano state realizzate senza il necessario titolo.
Infine, irrilevante ai fini del decidere e comunque da respingere è la doglianza riguardante la già avvenuta demolizione del prefabbricato privo di titolo edilizio alla data dell’adozione dell’ordinanza di demolizione, trattandosi di deduzione non sorretta da alcun elemento di prova.
Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto.
Nulla per le spese processuali del grado in quanto il Comune di (omissis) non si è costituito.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Nulla per le spese processuali del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gabriele Carlotti – Presidente
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere, Estensore
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