Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 27 ottobre 2020, n. 6568.
Allo scopo di comprovare la datazione delle opere in epoca anteriore all’esistenza del vincolo paesistico, la parte interessata deve fornire documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi (in terminis, Cons. St., Sez. VI, 28 luglio 2020, n. 4805), essendo prive di rilevanza sia una relazione asseverata sia le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, trattandosi di atti la cui veridicità non è oggettivamente verificabile.
Sentenza 27 ottobre 2020, n. 6568
Data udienza 8 ottobre 2020
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Sanatoria – Lavori relativi alla sistemazione di alcune rampe di scala atte a consentire l’accesso al mare – Area demaniale – Vicolo paesaggistico – Modifica della morfologia del terreno – Autorizzazione paesaggistica – Legittimità – Accertamento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6140 del 2014, proposto da
Se. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Di Li., con domicilio eletto presso lo studio Sa. Mu., in Roma, via (…);
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza per i B.A.P. di Salerno e Avellino, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), sono domiciliati ex lege;
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante in carica, non costituito in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 2500 del 2017, proposto da
Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Di Li., con domicilio eletto presso lo studio Sa. Mu., in Roma, via (…);
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), sono domiciliati ex lege;
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 6140 del 2014:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Salerno, Sezione II, n. 02603/2013, resa tra le parti, concernente un’autorizzazione in sanatoria;
quanto al ricorso n. 2500 del 2017:
della sentenza del T.A.R. Campania – Salerno, Sezione I, n. 02271/2016, resa tra le parti, concernente un diniego di accertamento di conformità ;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e di Soprintendenza per i B.A.P. di Salerno e Avellino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2020 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati An. Di Li.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Se. s.p.a., proprietaria di un complesso immobiliare ubicato in località Badia del Comune di (omissis) ha chiesto a quest’ultimo un’autorizzazione in sanatoria per lavori relativi alla sistemazione di alcune rampe di scala atte a consentire l’accesso al mare.
L’autorizzazione è stata concessa con decreto 19/7/2002 n. 613, ma la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio,
per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico
di Salerno e Avellino, con decreto in data 19/9/2002 lo ha annullato.
Ritenendo l’annullamento illegittimo la Se. lo ha impugnato con ricorso al T.A.R. Campania – Salerno, che, con sentenza 23/12/2013, n. 2603, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello la Se..
Quest’ultima, nelle more del giudizio di secondo grado, ha, quindi, chiesto l’accertamento di conformità e di compatibilità paesaggistica per l’intervento realizzato.
Il Comune li ha, però, negati con determinazione 4/6/2015, n. 6101 basata sul parere negativo espresso dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino con atto 7/4/2015 n. 677/E.
Anche questo provvedimento è stato gravato con ricorso al T.A.R. Campania – Salerno, il quale lo ha respinto con sentenza 11/10/2016, n. 2271.
La sentenza è stata appellata dalla Se. (nelle more trasformatasi in s.r.l.).
Per resistere ai ricorsi si è costituita in entrambi i giudizi l’amministrazione statale intimata.
Relativamente al ricorso n. 6140/2014 entrambe le parti con successive memorie hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Con riguardo al ricorso n. 2500/2017 solo la Se. ha depositato ulteriori scritti difensivi.
Alla pubblica udienza del giorno 8/10/2020 la causa è passata in decisione.
Per evidenti ragioni di connessione i due ricorsi possono essere riuniti onde definirli con unica sentenza.
Occorre partire dall’esame del ricorso n. 6140/2014.
Col primo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe errato a respingere il motivo con cui era stata dedotta l’illegittimità dell’impugnato decreto di annullamento in quanto relativo a opere di manutenzione straordinaria (nello specifico sistemazione di rampe di scale di vetusta manifattura) non soggette a nulla osta paesaggistico.
Infatti, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, i lavori avrebbero riguardato una rete pedonale esistente da epoca anteriore all’apposizione del vincolo paesistico sull’area di interesse e, inoltre risulterebbe priva di rilievo la circostanza per cui l’opera ricadrebbe, in parte, su area demaniale sottratta alla disponibilità dell’appellante.
In definitiva, l’intervento eseguito rientrerebbe nella tipologia delle opere di manutenzione ordinaria/straordinaria per cui non necessiterebbe di assenso paesaggistico.
La doglianza non merita accoglimento.
Al riguardo è sufficiente rilevare che i lavori eseguiti si sostanziano nella realizzazione di scale in muratura e pietrame e che l’appellante, contravvenendo a un proprio onere processuale (giurisprudenza pacifica, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 14/5/2019, n. 3133) non ha in alcun modo dimostrato che tali strutture preesistessero all’apposizione del vincolo paesaggistico sull’area d’intervento.
Per chiarire la circostanza la Sezione, nell’ambito del connesso ricorso n. 2500/2017, ha disposto di acquisire dal Comune di (omissis) un’apposita relazione istruttoria (ordinanza 29/5/2017, n. 2273).
Orbene, dalla relazione depositata dall’amministrazione comunale, non emerge alcun indizio sulla preesistenza al vincolo dei manufatti in parola, atteso che tutti gli atti menzionati sono relativi a periodi successivi, e di svariati anni, al 1961.
Non solo, dalla relazione tecnica allegata alla richiesta di sanatoria presentata dalla parte appellante nel 2002, si trae conferma del fatto che le opere in questione non preesistessero al vincolo.
Si legge, infatti, nella suddetta relazione: “Con regolare licenza edilizia n. 3535 rilasciata in data 28/08/1968 la società AS. s.r.l. (incorporata dalla Se.) ha provveduto, tra la fine del 1968 e gli inizi del 1970, alla realizzazione, fra l’altro, della strada interpoderale che con inizio dalla S.S. (omissis) giunge fino alla villa di attuale proprietà Se..
Nei complessi di proprietà Se. rientrano anche i sentieri oggetto dell’ingiunzione, che precedentemente alla costruzione della strada interpoderale anzidetta raggiungevano il mare a partire S.S. (omissis). In seguito ai lavori di realizzazione della strada interpoderale detti sentieri per buona parte furono eliminati. In particolare, l’eliminazione ha riguardato i tratti medio alti interessati dall’attraversamento della strada, lasciando inalterati nei tracciati i tratti terminali che giungono al mare.
Con la sistemazione esterna della villa, risalente anch’essa al periodo tra il 1968 ed il 1970, i tratti terminali dei sentieri furono oggetto di lavori manutentivi che ne migliorarono la percorrenza lasciando inalterato l’originario tracciato.
I lavori eseguiti riguardarono per i tratti su terra battuta la realizzazione di passoni in legno e per i tratti su roccia la costruzione di gradini con interposti pianerottoli, in malta cementizia e pietrame locale, realizzati secondo l’andamento naturale della roccia, entrambi completi di ringhiera
protettiva in legno e ferro.
… omissis
Ai fini urbanistici la costruzione dei gradini con interposti pianerottoli è da considerarsi un normale intervento di manutenzione straordinaria in quanto finalizzati unicamente a migliorare una viabilità pedonale comunque esistente. Inoltre, essi sono consentiti dalla legislazione attuale come lo erano da quella in vigore nell’Agosto del 1968”.
E’ evidente, quindi, che la preesistenza al vincolo poteva riguardare, al più, i sentieri in terra battuta e i tratti su roccia, ma non le superfetazioni, che essendo successive all’introduzione della misura di tutela del valore paesaggistico, necessitavano, comunque, di preventivo nulla osta, siccome idonee a provocare modificazioni dell’aspetto esteriore del bene protetto (art. 151 D.Lgs, 29/10/1999, n. 490, applicabile ratione temporis).
Non risultando comprovata la preesistenza al vincolo delle opere oggetto dell’avversato decreto di annullamento e quindi la stessa legittimità delle dette opere, perde di rilevanza la questione dell’inquadramento dell’intervento eseguito nella categoria dei lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria, perché il medesimo riguarderebbe, in ogni caso, opere prive del necessario titolo paesaggistico.
Col secondo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel non rilevare che l’impugnato decreto si basava su valutazioni di merito, anziché sulla riscontrata sussistenza di vizi di legittimità, con conseguente violazione dell’art. 151 del D.Lgs n. 490/1999.
Peraltro, l’annullata autorizzazione paesaggistica risulterebbe sorretta da sufficiente motivazione e da congrua istruttoria, avendo l’amministrazione comunale ritenuto che “le opere eseguite non sono valutabili in termini plano-volumetrici e pertanto non incidono ne contrastano con l’ambiente circostante”.
L’appellata Soprintendenza avrebbe dovuto, comunque, considerare che i gradini di accesso al mare:
a) ben si inserirebbero nell’ambiente circostante senza arrecarvi alcun danno;
b) esisterebbero da decenni per cui sarebbe stato necessario motivare in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico alla loro rimozione.
La doglianza è infondata.
L’impugnato decreto di annullamento del 2002 dopo aver rilevato che:
a) “le opere eseguite abusivamente, consistono nella realizzazione di scale in muatura e pietrame che smonta su area demaniale comportando di fatto la modifica della morfologia del terreno in quanto a picco sul mare”;
b) “l’intervento realizzato introduce dei segni forti sul territorio modificando di fatto l’aspetto naturalistico del costone roccioso”;
c) “che una porzione delle opere da sanare invade opere di proprietà demaniale che non risultano essere nella disponibilità dell’interessato”;
d) “l’intervento per la qualità dei materiali e per la tipologia insediativa contrasta fortemente con le specifiche peculiarità dell’ambiente circostante, determinando un negativo impatto paesistico e risultano incompatibili con la tutela dei valori ambientali della zona”;
e) “l’intervento realizzato di fatto introduce una modifica permanente dello stato dei luoghi cancellando i tratti distintivi della costa”;
ha concluso che il provvedimento comunale n. 613 del 2002 “non giustifica in alcun modo la compatibilità delle opere realizzate abusivamente con la salvaguardia dei valori paesistico – ambientali del luogo” e che pertanto lo stesso “è viziato (tra l’altro) da eccesso di potere sotto il profilo della carenza sia di istruttoria che di motivazione”.
E invero, nel rilasciare l’autorizzazione paesaggistica il comune si è limitato ad affermare genericamente che “le opere eseguite non sono valutabili in termini plano-volumetrici e pertanto non incidono ne contrastano con l’ambiente circostante”, senza fornire puntuali indicazioni in ordine all’impatto dell’intervento eseguito sull’area vincolata e alla tollerabilità della conseguente trasformazione del territorio rispetto alla salvaguardia dei valori ambientali da proteggere.
E’, pertanto, di tutta evidenza che l’annullamento soprintendentizio si basa su un vizio di legittimità del nulla osta comunale e non su una rinnovata valutazione di merito, la quale risulta compiuta al solo scopo di mettere in risalto le carenze istruttorie e motivazionali dell’atto annullato (Cons. Stato, Sez. VI, 20/2/2018, n. 1085).
Del resto, la circostanza che le opere realizzate fossero prive di consistenza volumetrica non esonerava l’amministrazione locale dall’apprezzarne l’impatto sul bene tutelato, in quanto, comunque, idonee a modificarne l’aspetto.
Contrariamente, poi, a quanto l’appellante sostiene, l’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica riconosciuto alla Soprintendenza dall’art. 151 del D.Lgs. n. 490/1999, non è subordinato alla sussistenza di un particolare interesse pubblico, anche laddove le opere a cui l’autorizzazione si riferisce risultino realizzate da lungo tempo, essendo sufficiente, all’uopo, che l’atto da vagliare si inficiato da un vizio di legittimità .
Risultano, infine, inammissibili in quanto concernenti il merito dell’azione amministrativa, le considerazioni dell’appellante secondo cui l’intervento eseguito ben si inserirebbe nell’ambiente circostante senza arrecarvi danno.
Col terzo mezzo di gravame si censura l’appellata sentenza nella parte in cui, in applicazione dell’art. 21-octies della L. 7/8/1990, n. 241, respinge la doglianza con la quale era stata dedotta l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.
Il motivo è infondato.
Alla stregua di quanto dispone l’art. 4, comma 1-bis, del D.M. 13/6/1994, n. 495, introdotto dall’art. 2, del D.M. 19/6/2002, n. 165, si deve escludere
che il legittimo esercizio del potere di annullamento previsto dall’art. 151 D. Lgs. n. 490/1999 sia subordinato alla preventiva comunicazione di avvio del procedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 24/11/2009, n. 7370; 3/5/2007, n. 1944).
Col quarto motivo l’appellante lamenta, infine, che il decreto di annullamento accennerebbe a una violazione dell’art. 145 del citato D.Lgs. n. 490/1999 senza alcuna motivazione sul punto.
Ove poi col riferimento a tale norma l’autorità statale avesse inteso dire che l’autorizzazione paesaggistica rilasciata è idonea a modificare il vincolo ambientale gravante sul bene l’affermazione sarebbe erronea stante la natura relativa dei vincoli paesistici.
L’esame della sintetizzata censura è superfluo atteso che il decreto impugnato in primo grado è idoneamente sorretto dal rilievo concernente il riscontrato vizio di legittimità dell’autorizzazione comunale.
Occorre ora procedere alla trattazione dell’appello n. 2500/2017.
Col un unico articolato motivo si deduce che il giudice di prime cure avrebbe errato a:
1) ritenere non provata l’esistenza dei manufatti per cui e causa quantomeno dagli anni 1960, e nel non rilevare che a fronte del materiale probatorio prodotto dall’appellante, la Soprintendenza non avrebbe fornito alcuna dimostrazione contraria;
2) non ravvisare il difetto di motivazione del provvedimento soprintendentizio laddove, in contrasto con quanto sostenuto dalla Commissione locale per il paesaggio, non ha riconosciuto la preesistenza delle opere oggetto del contendere.
Dal canto suo la Soprintendenza avrebbe:
a) illegittimamente espresso il proprio parere negativo considerando l’intervento nel suo insieme invece che i singoli lavori di manutenzione posti in essere;
b) omesso di tener conto, nell’esprimere il proprio giudizio, delle prescrizioni poste dall’autorità comunale per rendere l’intervento compatibile col paesaggio;
c) erroneamente asserito che i lavori eseguiti alterino i tratti distintivi della costa e che l’intervento “per qualità dei materiali e tipologia insediativa contrasta fortemente con le specifiche peculiarità dell’ambiente circostante”;
d) fondato il parere negativo sul D.M. 1/12/1961, mentre l’area oggetto d’intervento sarebbe stata vincolata con D.M. 16/7/1952.
Nel respingere quest’ultima censura il Tribunale ha ritenuto ininfluente sulla legittimità dell’atto l’inesatta individuazione del provvedimento di vincolo, ma la conclusione sarebbe errata in quanto il D.M. del 1961 riguarderebbe una diversa zona del territorio comunale e inoltre sarebbero differenti le motivazioni del vincolo poste a base dei due decreti ministeriali.
Il motivo non merita accoglimento.
Come già rilevato in sede di esame del primo motivo dell’appello n. 6140/2014, non risulta provato che le opere per cui è causa preesistessero, nella consistenza rappresentata nell’istanza di accertamento di conformità urbanistica e di compatibilità paesaggistica, al decreto di vincolo, tanto più se, come sostiene l’appellante, la misura di tutela sull’area dovesse farsi risalire addirittura al D.M. 16/7/1952.
In ogni caso, quale che sia l’anno da considerare ai fini della rilevanza paesaggistica dei lavori (1952 o 1961), ciò che è certo è che nessun degli elementi probatori (atti e reperti fotografici) acquisiti al processo dimostra che le scale in cemento e pietrame (che son cosa diversa dai sentieri) esistessero da epoca antecedente all’apposizione del vincolo.
Al riguardo giova puntualizzare che allo scopo di comprovare la datazione delle opere oggetto degli impugnati provvedimenti negativi risultano prive di rilevanza sia la relazione asseverata sia le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, trattandosi di atti la cui veridicità non è oggettivamente verificabile.
Tale prova, infatti, dev’essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi (Cons. Stato, Sez. VI, 28/7/2020, n. 4805).
In presenza del descritto quadro probatorio, del tutto inidoneo a dimostrare la preesistenza al vincolo delle opere oggetto degli avversati provvedimenti amministrativi, la Soprintendenza non era onerata di fornire in giudizio alcuna prova contraria alle affermazioni dell’appellante.
Contrariamente, poi, a quanto l’appellante deduce, il parere n. 677/E del 2015 risulta sufficientemente motivato in ordine alla sussistenza dell’assunto su cui si fonda, avendo la Soprintendenza correttamente rilevato che il materiale probatorio prodotto dalla Se. non era idoneo a dimostrare “l’effettiva consistenza della preesistente rete sentieristica”.
Non meritano condivisione le censure riportate alle lettere a), b) e d) di cui sopra.
E invero:
1) al fine di apprezzare la compatibilità con i valori del paesaggio di una pluralità di interventi legati tra loro (come nella fattispecie) da un intrinseco collegamento funzionale, (tanto da costituire oggetto di un’unica istanza di sanatoria), non è consentita una valutazione atomistica degli stessi, ma occorre, piuttosto, procedere a un giudizio unitario e complessivo dell’insieme delle opere realizzate (Cons. Stato, Sez. VI, 19/10/2020, n. 6300; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887);
2) contrariamente a quanto l’appellante afferma la Soprintendenza non era tenuta a considerare le prescrizioni poste dall’autorità comunale una volta ritenuto l’intervento incompatibile con i valori paesaggistici tutelati;
3) come esattamente rilevato dal Tribunale, il D.M. 1/12/1961 si riferisce all’intero territorio del Comune di (omissis).
E’ infine inammissibile, in quanto sconfina nel merito dell’apprezzamento amministrativo, la censura sub c).
I due appelli vanno, in definitiva, respinti.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li riunisce e li respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’amministrazione statale appellata, liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 3.500/00 (tremilacinquecento), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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