Opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento

Consiglio di Stato, Sentenza|20 gennaio 2022| n. 372.

In presenza di un’opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento che possa giustificare la conservazione dello stato di illiceità.

Sentenza|20 gennaio 2022| n. 372. Opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento

Data udienza 13 gennaio 2022

Integrale

Tag- parola chiave: Interventi edilizi – Abusi – Conservazione dello stato di illiceità – Legittimo affidamento – Inconfigurabilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9121 del 2012, proposto da
Ri. Se., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Do. Ch., Le. Gn. e Cr. Ba., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del terzo, in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mi. Re. D’A. in Roma, via (…);
nei confronti
Sr. Vu., Al. Vu., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00525/2012, resa tra le parti, concernente una sanzione pecuniaria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2022 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Le. Gn. e Mi. Re. D’A., per delega dell’avvocato Al. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento

FATTO e DIRITTO

Il Comune di (omissis) ha rilasciato, ai sig.ri Ri. Se. e El. Ma., la concessione edilizia 29/11/1980, n. 185, avente a oggetto l’esecuzione di lavori di restauro statico e conservativo di un fabbricato di loro proprietà, ubicato nella via Bonatta, e il cambio di destinazione d’uso del medesimo.
Conclusi i lavori i sig.ri Se. Ma. hanno ottenuto dal comune il permesso di abitabilità 30/11/1982, n. 89/82 nel quale si attesta “che la costruzione è conforme alla concessione rilasciata e ai relativi nulla-osta (…)”.
A seguito di una richiesta di sanatoria per opere eseguite in parziale difformità dalla detta concessione edilizia n. 185/1980, presentata dai nuovi proprietari (sig.ri Sr. Vu., e Al. Vu.) dell’edificio, il comune ha comunicato di non poter accogliere l’istanza e successivamente ha adottato il provvedimento 15/12/2011, n. 193 con cui, in alternativa alla demolizione delle opere non sanabili, ha irrogato ai sig.ri Vujcic, Se. e Ma., nonché al direttore dei lavori, arch. Sa. Mo., la sanzione pecuniaria di cui all’artt. 34, comma 2, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380.
Ritenendo la citata determinazione n. 193/2011 illegittima, i sig.ri Se. e Ma. l’hanno impugnata con ricorso al T.A.R. Veneto, il quale, con sentenza 12/4/2012, n. 525, lo ha respinto.
Avverso la sentenza i sig.ri Se. e Ma. hanno proposto appello.
Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale appellata.
Nelle more del giudizio il sig. Ri. Se. è deceduto, per cui si sono costituite per proseguire il processo le figlie sig.re: Ch. Se., Fa. Se. e Ro. Se..
Tutte le parti, con successive memorie, hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Con ordinanza 2/7/2019, n. 4518 la Sezione ha disposto una verificazione “tendente ad accertare se, a seguito degli interventi di cui alla determina 15/12/2011, n. 193, il fabbricato per cui è causa presenti un’altezza esterna maggiore rispetto a quella iniziale”.
Acquisita la relazione peritale versata in atti e i nuovi scritti difensivi depositati dalle parti e constatato come dalla detta relazione non emergesse con chiarezza quale fosse la risposta data al quesito posto, la Sezione ha adottato l’ordinanza 24/6/2021 n. 4834, con la quale ha chiesto al verificatore di manifestare “più esplicitamente quali sono le proprie conclusioni, anche alla luce delle osservazioni fatte dai periti di parte”.

 

Opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento

L’incombente è stato eseguito col deposito di una sintetica relazione integrativa.
Alla pubblica udienza del 13/1/2022 la causa è definitivamente passata in decisione.
Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere che gli odierni appellanti dovessero impugnare il diniego di sanatoria. Costoro, infatti, sarebbero stati privi di legittimazione a impugnare il detto provvedimento negativo, essendo stata la denegata istanza di sanatoria proposta non da essi ma dagli attuali proprietari.
La doglianza non coglie nel segno.
E invero, contrariamente a quanto dedotto dalla parte appellante, il Tribunale non ha affermato che i sig.ri Se. e Ma. avrebbero dovuto impugnare la reiezione della sanatoria, ma che il provvedimento sanzionatorio costituiva conseguenza degli abusi riscontrati, che non risultavano sanati, in quanto l’unica istanza di sanatoria presentata, quella avanzata dai sig.ri Vujcic, attuali proprietari, era stata respinta con provvedimento da questi ultimi non impugnato.
Col secondo motivo si censura la gravata sentenza per aver affermato la non sanabilità degli interventi sanzionati, sul falso presupposto che questi abbiano comportato una non consentita sopraelevazione dell’edificio, mentre, invece, l’altezza sarebbe addirittura diminuita e non ci sarebbe stato incremento della volumetria esterna.
Il motivo è infondato.
Come emerge dalla disposta verificazione, i cui esiti risultano adeguatamente argomentati e del tutto condivisibili, l’altezza dell’edificio realizzato dalla parte appellante risulta maggiore di quella autorizzata e superiore alla percentuale di tolleranza (pari, ex art. 34, comma 2-ter, del D.P.R. n. 380/2001, applicabile ratione temporis, al 2% delle misure progettuali approvate).
Infatti, secondo il progetto assentito con la concessione edilizia n. 185/1980 il fabbricato avrebbe dovuto avere un’altezza esterna alla gronda di cm 545, mentre quella (sempre esterna) in concreto riscontrata risulta pari a cm 589,75, misura, quest’ultima, corrispondente alla media fra le due altezze rilevate sui lati Nord-Ovest (cm 596) e Sud-Ovest (cm 583,5) dell’edificio.
La differenza di altezza rilevata è pari, quindi, a cm 44,75, misura questa che supera la percentuale di tolleranza ammessa, ovvero cm 10,9 (545 x 2% = 10,9).
Al riguardo parte appellante ha obiettato che il piano di campagna da cui è stata misurata l’altezza del fabbricato si troverebbe attualmente ad una quota più bassa rispetto a quella esistente all’atto del rilascio della concessione edilizia n. 185/1980 e ciò avrebbe determinato la riscontrata maggior elevazione (note d’udienza depositate in data 9/11/2020).
L’obiezione non può essere condivisa, sia perché la circostanza su cui si base è rimasta del tutto indimostrata, sia perché nella relazione peritale integrativa depositata in giudizio in data 29/9/2021, il verificatore ha espressamente preso posizione sulle osservazioni di parte appellante, rilevando, con condivisibili argomentazioni, che prendono come punto di riferimento la via Bonatta e le diverse asfaltature succedutesi negli anni, il piano di campagna potrebbe, semmai, essersi innalzato rispetto alla quota iniziale.
Col terzo motivo si denuncia l’errore commesso dal giudice di prime cure nel negare ai sig.ri Se. e Ma. un affidamento tutelabile.

 

Opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento

Infatti, per un verso non risulterebbe provato che l’edificio realizzato sia più alto di quello assentito, per altro verso, in relazione al fabbricato di che trattasi, i sig.ri Se. e Ma. avrebbe ottenuto dal comune il permesso di abitabilità, il quale, ai sensi dell’art. 221 del R.D. 27/7/1934, n. 1265, all’epoca vigente, poteva essere emesso solo previa verifica che la costruzione eseguita fosse conforme al progetto approvato. Conseguentemente il rilascio del detto permesso avrebbe fatto insorgere in capo agli interessati un legittimo affidamento in ordine alla legittimità delle opere realizzate.
Il provvedimento sanzionatorio risulterebbe, inoltre, illegittimo in quanto adottato a oltre trent’anni di distanza da quando il manufatto è stato edificato.
Nessuno dei sopra indicati profili di doglianza merita condivisione.
La censura concernente la dedotta insussistenza della contestata sopraelevazione è infondata per le considerazioni già svolte a sostegno della reiezione del precedente motivo.
Ugualmente infondate risultano le ulteriori lagnanze.
E invero, per consolidata e pacifica giurisprudenza che il Collegio condivide, in presenza di un’opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento che possa giustificare la conservazione dello stato di illiceità (fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 19/7/2021, n. 5439; 11/6/2021, n. 4532).
Pertanto, anche all’avvenuto rilascio del permesso di abitabilità, non può attribuirsi il rilevo auspicato da parte appellante.
Peraltro, questo Consiglio di Stato ha affermato che “Il rilascio del certificato di abitabilità previsto dall’art. 221 t.u. 27 luglio 1934 n. 1265 presuppone l’accertamento dell’inesistenza di cause di insalubrità dell’edificio senza alcun collegamento col conseguimento di fini di carattere edilizio-urbanistico; pertanto, il rilascio di tale certificato non incide sul potere (…) di reprimere gli abusi edilizi eventualmente commessi nella realizzazione del fabbricato dichiarato abitabile” (così Cons. Stato, Sez. V, 28/3/1980, n. 327).
Nemmeno il lungo tempo trascorso dalla realizzazione della costruzione è idoneo a radicare in capo al privato interessato il suddetto affidamento. Anche in tal caso, pertanto, l’adozione dei pertinenti provvedimenti repressivi assume carattere doveroso e vincolato (in termini Cons. Stato, A.P. 17/10/2017, n. 9, Sez. VI, 22/11/2021, n. 7764; 15/2/2021, n. 1351; 22/4/2020, n. 2557; 4/10/2019, n. 6720; 8/4/2019, n. 2292; 5/11/2018, n. 6233; 26/3/2018, n. 1893; 23/11/2017, n. 5472 e 5/1/2015, n. 13; Sez. II, 19/6/2019, n. 4184; Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788).
L’appellante ripropone, poi, i mezzi di gravame non esaminati dal giudice di primo grado.
Col primo motivo si deduce che l’avversato provvedimento sanzionatorio sarebbe illegittimo in quanto non conterrebbe alcun riferimento alla concessione edilizia n. 185 del 1980 e al permesso di abitabilità n. 89 del 1982.
E invero, la prima ammetteva l’introduzione di varianti in corso d’opera purché non fossero in contrasto con la normativa urbanistica vigente e non modificassero sagoma, superfici utili e destinazione d’uso del fabbricato assentito (lett. c), mentre il secondo accertava la conformità della costruzione al titolo edilizio rilasciato.

 

Opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento

Conseguentemente laddove il comune avesse tenuto presenti i suddetti atti non avrebbe potuto adottare il contestato provvedimento repressivo.
Quest’ultimo sarebbe, inoltre, inficiato da eccesso di potere per carenza di istruttoria e insufficiente motivazione.
La doglianza non merita accoglimento.
La circostanza che l’impugnata determinazione sanzionatoria non faccia alcun riferimento agli invocati titoli abilitativi è del tutto irrilevante ai fini della sua legittimità, dato che la stessa si basa sulla constatata presenza di abusi commessi nell’edificazione dell’immobile.
Quest’ultimo, infatti, come si ricava da quanto esposto in sede di esame del secondo motivo d’appello, è risultato difforme, per altezza dal progetto assentito.
D’altra parte, la modifica apportata in sede esecutiva, avendo variato l’altezza esterna, e quindi la sagoma, del fabbricato, non poteva ritenersi ammessa in base alla lett. c) della menzionata concessione edilizia n. 185/1980.
Occorre, poi, rilevare che la natura doverosa e vincolata dei provvedimenti repressivi in materia edilizia esclude la configurabilità dei dedotti vizi di eccesso di potere.
Col secondo motivo si denuncia che il provvedimento comunale sarebbe illegittimo in quanto farebbe riferimento a normativa entrata in vigore successivamente all’esecuzione del censurato intervento edilizio (artt. 76, n. 4, della L.R. 27/6/1985, n. 61 e 10 del D.P.R. n. 380/2001).
La doglianza non merita accoglimento, atteso che l’abuso edilizio ha natura di illecito permanente, per cui, in conformità al principio tempus regit actum, il provvedimento repressivo è regolato dalla normativa in vigore al momento della sua adozione (Cons. Stato, Sez. VI, 19/7/2021, n. 5439).

 

Opera abusiva non è configurabile alcun legittimo affidamento

Col terzo motivo si lamenta che la gravata determinazione sarebbe illegittima in quanto avrebbe ipotizzato un insussistente aumento di altezza e volumetria esterna insuscettibile di sanatoria in quanto relativo a costruzione ubicata all’interno della fascia di rispetto stradale e a distanza dal confine del lotto inferiore a quella prescritta.
La doglianza è infondata in quanto, come si ricava dalle considerazioni svolte nell’esaminare il secondo motivo d’appello, l’altezza esterna del fabbricato edificato dai sig.ri Se. e Ma. è risultata maggiore di quella assentita con la concessione edilizia n. 185/1980 e tanto basta a giustificare l’adozione del contestato provvedimento sanzionatorio.
Col quarto motivo si deduce che il provvedimento repressivo sarebbe illegittimo in quanto emanato a distanza di lungo tempo dalla commissione dell’asserito abuso e senza alcuna motivazione in ordine all’interesse pubblico alla sua adozione.
L’atto violerebbe, inoltre l’affidamento riposto nella liceità di quanto realizzato.
La doglianza è infondata.
Come già più sopra evidenziato, in presenza di un abuso edilizio, ancorché risalente nel tempo, non sussistono affidamenti tutelabili, l’esercizio del potere sanzionatorio è doveroso e non è richiesta alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la repressione dell’illecito (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 25/5/2021, n. 4049).
Col quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 3, comma 3, della L. 7/8/1990, n. 241 derivante dal fatto che alla determinazione impugnata non sarebbe stata allegata la documentazione in essa richiamata.
La stessa risulterebbe, inoltre, illogica e inficiata da contraddittorietà nell’accertamento dei presupposti di fatto su cui si basa.
La doglianza è priva di pregio.
Nel provvedimento n. 193/2011 sono puntualmente descritti gli abusi riscontrati e tanto basta a considerare assolto l’onere motivazionale imposto nell’adozione di atti dovuti e vincolati, come quello di specie.
In ogni caso per consolidata giurisprudenza l’art. 3, della L. n. 241 del 1990, nella parte in cui afferma che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, va inteso nel senso che all’interessato deve essere garantita la possibilità di prenderne visione, di richiederne e ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, con la conseguenza che non sussiste per la pubblica amministrazione l’obbligo di comunicare all’interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto di indicarne gli estremi e di metterli, su richiesta, a disposizione dell’interessato (Cons. Stato, Sez. IV, 10/5/2021, n. 3609; Sez. II, 3/12/2019, n. 8276; Sez. III, 20/3/2015, n. 1537; Sez. V, 27/8/2014, n. 4381).
I dedotti vizi di illogicità e contraddittorietà sono, invece, inammissibili per la natura vincolata del provvedimento impugnato.
Col sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 8, comma 2 lett. c-bis), della L. n. 241/1990, stante la mancata indicazione, nell’avviso di avvio del procedimento comunicato ai sig.ri Se. e Ma., della data entro la quale il medesimo si sarebbe dovuto concludere, in tal modo precludendogli di presentare le proprie osservazioni in tempo utile perché potessero essere valutate.
La censura è priva di fondamento.
Difatti, la violazione della norma di cui al citato art. 8, comma 2, lett. c-bis, secondo cui nella comunicazione di avvio del procedimento deve essere indicata “la data entro la quale, secondo i termini previsti dall’art. 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione”, dà luogo a una mera irregolarità inidonea a riverberarsi con efficacia viziante sul provvedimento conclusivo del procedimento (C.G.R.A.S. 26/4/2019, n. 346).
Occorre, inoltre, rilevare che, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della stessa L. n. 241 del 1990, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. E nel caso di specie, l’atto adottato dall’amministrazione, doveroso e vincolato, non avrebbe potuto avere un differente contenuto dispositivo.
Col settimo motivo parte appellante lamenta di non aver ricevuto dal comune la comunicazione di cui all’art. 10-bis della L. n. 241/1990, (nota in data 7/9/2011), che sarebbe stata inviata soltanto ai sig.ri Vujcic, attuali proprietari del fabbricato.
La doglianza non è fondata.
Il menzionato art. 10-bis stabilisce, per quanto qui rileva, che: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda”.
Ai sensi della trascritta norma la comunicazione in essa contemplata va, dunque, data unicamente agli “istanti”.
Nel caso di specie con la nota datata 7/9/2011 l’amministrazione comunale ha manifestato ai sig.ri Vujcic i motivi ostativi all’accoglimento della domanda di sanatoria dai medesimi presentata.
Non figurando i sig.ri Se. e Ma., tra i presentatori dell’istanza non avevano alcun titolo per ricevere la suddetta comunicazione, pertanto, del tutto correttamente l’amministrazione ha omesso di inviargliela.
L’appello va, in definitiva, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Seguono la soccombenza anche i costi della verificazione da liquidare con separato decreto dietro presentazione di parcella.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’amministrazione comunale appellata, liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.
Condanna, altresì, la parte appellante a versare al verificatore le spese di verificazione da liquidare con separato decreto dietro presentazione di parcella, detratto quanto eventualmente già corrisposto a titolo di anticipo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Hadrian Simonetti – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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