Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 18 luglio 2019, n. 5040.
La massima estrapolata:
L’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi, i quali non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione.
Sentenza 18 luglio 2019, n. 5040
Data udienza 21 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4272 del 2012, proposto da
En. Ma. An., rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Ab., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Li. Fa., St. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Li. Fa. in Roma, Piazzale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 9131 del 2011;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Ca. Ab., St. Mo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierno appellante chiedeva l’annullamento dell’ordinanza dirigenziale n. 8 del 13 aprile 2011, con la quale il Comune di (omissis) gli aveva ordinato la demolizione di quattro manufatti.
In particolare, ai punti sub 1) e sub 2) dell’atto impugnato, si ingiungeva la demolizione delle seguenti opere insistenti sul foglio catastale 3, particelle nn. 42 e 43: un manufatto di 8 m x 8,60 m x 7 m di altezza, realizzato su due livelli, con copertura a tetto in cemento armato; un manufatto di 5 m x 10 m x 3,5 m di altezza, con copertura a tetto in cemento armato. Nella stessa ordinanza, ai punti sub 3) e sub 4), veniva invece ordinata la demolizione di: un manufatto di 3 m x 13,30 m x 2 m di altezza, realizzato su due livelli, con copertura in eternit; una baracca di 4 m x 4 m x 3 m di altezza, con copertura in eternit.
L’istante – premesso che i manufatti rubricati sub 3) e sub 4) erano stati edificati dall’occupante abusivo della sua proprietà, e di non aver dunque alcun interesse al loro mantenimento, trattandosi peraltro di mere baracche insalubri – poneva a fondamento della impugnativa le seguenti censure:
i) violazione del contraddittorio procedimentale, posto che il provvedimento era stato emesso senza comunicazione di avvio del procedimento;
ii) violazione dell’art. 38 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, poiché ancora pendeva istanza di condono per le medesime opere in contestazione;
iii) il difetto di motivazione, in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto evidenziare l’interesse pubblico attuale alla demolizione, considerato che i manufatti risalivano ad epoca immemorabile.
2.- Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 9131 del 2011, ha rigettato il ricorso, rilevando quanto segue:
“[…] Avuto riguardo alla domanda di condono edilizio presentata dalla dante causa del ricorrente ed acquisita al protocollo comunale al n. 007905 in data 10 dicembre 2004 e con la quale alla voce “descrizione sintetica dell’illecito” la detta dante causa ha chiesto il condono di “Aumento di superficie utile di mq. 80,00 a destinazione abitazione”, laddove l’ordinanza di demolizione gravata colpisce le seguenti superfici:
Manufatto sub 1= mq. 66,40; Manufatto sub 2=mq. 50,00; Manufatto sub 3=mq. 39,90; Manufatto sub 4 riferito a baracca in legno = mq. 16;
Rilevato che da quanto sopra descritto nessuna delle superfici sopra descritte nell’ordinanza di demolizione appare coincidere con quelle portate nell’istanza di condono, con la conseguenza che non se ne può trarre l’effetto di sospendere seppure parzialmente l’ordinanza di demolizione in questione ai sensi dell’art. 32, comma 25 del D.L. n. 269/2003, secondo la pur costante giurisprudenza (TAR Lazio, sezione I quater, 3 agosto 2010, n. 29669);
Rilevato che la risalenza dei manufatti non appare dimostrata, atteso che per il più antico di essi parte ricorrente fa riferimento al contratto di compravendita del 1978 della sua dante causa, riferendosi dunque ad un’epoca in cui era necessaria la licenza a costruire per tutti i manufatti ai sensi della legge 6 agosto 1967, n. 765, modificativa in tal senso della Legge Urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150;
Rilevato che, in ordine alla censura di mancanza della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 è da osservare che l’ordinanza di demolizione è un provvedimento vincolato, sicché non sono predicabili utili apporti degli interessati al procedimento (cfr. TAR Lazio, sezione I quater, 10 dicembre 2010, n. 36046 e TAR Umbria, Perugia, 28 ottobre 2010, n. 499);
Avuto riguardo anche alla memoria per la Camera di Consiglio presentata in data 17 ottobre 2011 dal Comune e con la quale si osserva appunto che le superfici dedotte nella domanda di condono non coincidono con quelle colpite dall’ordinanza di demolizione, come rilevato sopra dal TAR;
Rilevato che, pertanto, il ricorso non può che essere respinto […]”.
3.- Avverso la predetta sentenza ha quindi proposto appello il signor Enrico Maria Antonello, chiedendone l’integrale riforma.
L’appellante, in primo luogo, lamenta che la sentenza gravata, limitandosi a fare proprie, del tutto acriticamente, le infondate argomentazioni difensive dell’Amministrazione resistente, non avrebbe tenuto conto delle risultanze documentali che dimostravano che i manufatti in contestazione erano preesistenti alla data del 1962, e che pertanto, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47 del 1985, non erano neppure soggetti a sanatoria in quanto perfettamente legittimi. Aggiunge inoltre che: l’ordinanza sarebbe stata emessa in conseguenza del travisamento del contenuto degli atti relativi alla pratica di condono; l’istante avrebbe dovuto ricevere la comunicazione di avvio del procedimento, onde consentirgli di chiarire la totale carenza dei presupposti dell’atto impugnato.
4.- Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), replicando che: non risponderebbe al vero la circostanza per cui le opere descritte sub 1) e sub 2) dell’ordinanza di demolizione sarebbero state oggetto di domanda di condono n. prot. 7905 del 10 dicembre 2004, in quanto la domanda di condono, in base alla documentazione fotografica allegata, riguarderebbe un solo edificio; la tesi secondo cui i manufatti in questione erano anteriori al 1967 sarebbe smentita dagli accertamenti istruttori dell’Ufficio Tecnico Comunale versati in atti; la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo non sarebbe dovuta, trattandosi di provvedimento vincolato.
5.- Con ordinanza n. 2825 del 18 luglio 2012, la Sezione – “Rilevato, pur nella sommarietà propria della delibazione cautelare, che la valutazione degli aspetti tecnici effettuata dall’Amministrazione richieda l’approfondimento della fase di merito; considerato che l’appellante dichiara di aver interesse solo ai manufatti sub 1 e sub 2, di cui all’ordinanza di sospensione dei lavori e di immediata demolizione n. 8 del 13 gennaio 2011, emessa dal responsabile del servizio tecnico del Comune di (omissis); ritenuto che, in attesa della definizione del giudizio di merito, possono essere sospesi gli effetti di detta ordinanza di demolizione, limitatamente ai manufatti sub 1 e sub 2, in considerazione del pregiudizio grave ed irreparabile derivante dall’esecuzione della medesima” – ha sospeso l’esecutività della sentenza di primo grado, disponendo altresì la sospensione dell’ordinanza n. 8 del 13 gennaio 2011, fino alla definizione del merito del presente grado di giudizio.
5.1.- Con successiva ordinanza n. 5728 del 5 ottobre 2018, la Sezione ha disposto una verificazione, incaricando il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università di Roma “La Sapienza”, con facoltà di delega, di rispondere ai seguenti quesiti: “Dica il verificatore, alla luce della documentazione depositata agli atti e di quella ulteriore che riterrà necessario acquisire: a) se i manufatti in contestazione – segnatamente, quelli indicati: sub 1) e sub 2) dell’ordinanza di demolizione – siano stati edificati in data anteriore al 1967; b) se le superfici descritte nell’ordinanza di demolizione coincidano o meno con quelle portate nell’istanza di condono presentata dalla dante causa del ricorrente ed acquisita al protocollo comunale al n. 007905 in data 10 dicembre 2004”.
5.2.- Con ulteriore ordinanza n. 7194 del 21 dicembre 2018, il Collegio, letta l’istanza del verificatore depositata in data 27 novembre 2018, ha accordato una proroga dei termini per il deposito della relazione finale.
6.- All’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello è fondato.
Avendo il signor En. Ma. An. sottoposto a critica tutti gli elementi di fatto posti dal Comune a fondamento della sanzione demolitoria, il principale rilievo che deve muoversi alla sentenza di primo grado è quello di aver incentrato il suo accertamento, non sul raffronto tra la realtà e la rappresentazione che di essa ne aveva fatto l’amministrazione, bensì muovendosi esclusivamente all’interno della rappresentazione della realtà descritta nel provvedimento impugnato.
Il nuovo codice di rito ha infatti inteso superare radicalmente l’antica impronta del “contenzioso amministrativo”, la cui istruzione verteva su prove esclusivamente precostituite – ovvero su documenti che non si formavano innanzi al giudice nel processo in contraddittorio tra le parti, ma prima del processo nel momento stesso in cui il potere veniva tradotto in atto -, dotando il giudice di tutti i mezzi di prova necessari a realizzare un sistema rimediale “aperto” e conformato al bisogno differenziato di tutela dell’interesse evocato in giudizio. La “piena” giurisdizione del giudice amministrativo comporta che questi ha il potere di riformare in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, la decisione resa dall’autorità amministrativa.
2.- L’istruttoria svolta – ed in particolare gli esiti della verificazione, le cui valutazioni, sviluppate con argomenti coerenti e logici, resistono alle osservazioni mosse nella memoria di replica dell’Amministrazione comunale – ha consentito al Collegio di accertare che, con il provvedimento impugnato, è stata ingiunta la demolizione di opere non abusive, in quanto realizzate anteriormente 1967, e, per di più, oggetto di domanda di condono ancora pendente.
3.- Costituisce principio consolidato che l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetti a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi – i quali non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni – trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione. Solo l’interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.
Ebbene, l’appellante nel corso del giudizio di primo grado ha fornito elementi idonei a comprovare la preesistenza del manufatto rispetto all’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765.
3.1.- In particolare, l’appellante aveva depositato nel giudizio di primo grado le seguenti foto aeree certificate dalla società S.A. NI. s.r.l.: ingrandimento fotografico tratto dall’aerofotografia n. 6505, strisciata n. 16, eseguita nell’anno 1962; ingrandimento fotografico tratto dall’aerofotografia n. 569, strisciata n. 1, eseguita il 18 marzo 1977; ingrandimento fotografico tratto dall’aerofotografia n. 406, eseguita il 21 maggio 2005.
Il verificatore – dopo aver provveduto a orientare le suddette fotografie aeree nella stessa direzione, riscalandole e ad estraendone delle visualizzazioni tra loro confrontabili – è giunto alla conclusione che i manufatti sub 1) e sub 2) sono presenti sin dalla fotografia del 1962, e che, nei limiti dell’approssimazione dovuta alla risoluzione delle suddette immagine fotografie, è possibile affermare che presentano analoga forma, orientamento, posizione e dimensione.
Tale assunto è stata confermato anche dalla fotografia aerea del sito di interesse ripresa dall’Istituto Geografico Militare con volo del 14 ottobre 1966, acquisita del verificatore e di cui all’allegato 8 della relazione.
4.- Venendo ora al secondo profilo di censura, va precisato che l’istanza di condono presentata dalla dante causa del ricorrente, acquisita al protocollo comunale al n. 007905 in data 10 dicembre 2004, era riferita ad un aumento della superficie utile residenziale di 80 m2, con lavori dichiarati ultimati al 20 marzo 2003.
La tesi sostenuta dall’appellante – secondo cui 40 m2 sono da attribuirsi al manufatto di cui al sub 1), quale ampliamento dei 48 m2 già presenti nel certificato catastale dei terreni in qualità di fabbricato rurale, e gli altri 40 m2 (degli 80 m2 di cui all’istanza di condono) sono riferibili al manufatto sub 2) – appare assai plausibile, sulla scorta delle seguenti condivisibili considerazioni del verificatore:
– nella documentazione fotografica allegata al condono è rappresentato sia il manufatto di cui al punto sub 1) dell’ordinanza di demolizione (fotografie n. 1, n. 2 e n. 3) sia il manufatto di cui al punto sub 2), visibile nella fotografia n. 3 (le fotografie allegate all’istanza di condono sono riportate in Figura 3, in cui la fotografia n. 3 è quella riportata più in basso);
– se l’istanza di condono si riferisce certamente al manufatto di cui al sub 1) dell’ordinanza di demolizione, non è affatto improbabile che la stessa sia riferita anche al manufatto di cui al sub 2) dell’ordinanza di demolizione;
– tenuto conto infatti che la superficie di base del manufatto sub 1) è pari a 8 m x 8,60 m = 68,80 m2, detraendo da tale superficie i 48 m2 dell’area occupata dal fabbricato rurale come riportato nel catasto dei terreni, residuerebbero 20,8 m2 per due livelli (e quindi 41,6 m2 di superficie lorda) oggetto dell’istanza di condono relativamente al suddetto manufatto;
– gli ulteriori 40 m2 presenti nella domanda di condono ben possono riferirsi al manufatto sub 2), che ha una superficie lorda di 5 m x 10 m = 50 m2 e, detratti i muri perimetrali, una superficie utile di circa 40 m2;
– l’interpretazione fornita dal ricorrente, secondo il verificatore, trova riscontro nell’estratto di mappa catastale della particella 43 e nel suo ingrandimento dai quali risulta che solo una porzione del fabbricato rurale era accatastata e che tale porzione ha una forma rettangolare e non quadrata come il manufatto esistente e oggetto dell’ordinanza di demolizione al punto sub 1);
– escludendo dal calcolo la superficie del fabbricato rurale già accatastata (ma comunque oggetto dell’ordinanza di demolizione), stimando la superficie utile a partire da quella lorda e tenendo conto del fatto che l’istanza di condono deve fare riferimento ad entrambi i livelli del manufatto di cui al punto sub 1), la superficie di cui all’istanza di condono deve ritenersi compatibile con quella oggetto dell’ordinanza di demolizione relativa ai manufatti sub 1) e sub 2).
4.1.- Appurato che le superfici descritte nell’ordinanza di demolizione coincidono con quelle portate nell’istanza di condono presentata dalla dante causa dell’appellante, va ricordato che, qualora sia stata presentata un’stanza di concessione in sanatoria o di condono edilizio, in assenza di preventiva determinazione su quest’ultima e in pendenza del relativo procedimento, gli eventuali provvedimenti repressivi devono considerarsi sospesi e, se adottati in pendenza d’istanza di condono, sono illegittimi, in quanto contrastanti con l’art. 38, della legge n. 47 del 1985, ai sensi del quale l’Amministrazione è tenuta ad astenersi da ogni iniziativa repressiva, sino alla definizione del procedimento attivato per il rilascio della concessione in sanatoria.
4.2.- Gli argomenti della difesa comunale incentrati sui contenuti della domanda di condono edilizio prot. n. 7905 del 2004 non hanno invece rilievo nel presente giudizio, avente ad oggetto l’ordine di demolizione, tenuto peraltro conto che il procedimento di sanatoria è ancora pendente.
5.- In definitiva, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve disporsi l’annullamento dell’ordinanza di demolizione impugnata, con riferimento ai manufatti rubricati sub 1) e sub 2).
5.1.- Le spese di lite del doppio grado di lite seguono la soccombenza secondo la regola generale.
5.2.- La verificazione, fornendo un ausilio al giudice, costituisce un atto necessario del processo, che è compiuto nell’interesse generale della giustizia. Ne consegue che l’obbligazione nei confronti del verificatore per il soddisfacimento del suo credito al compenso deve gravare, nei soli rapporti esterni, su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla disciplina in ordine alla ripartizione delle spese processuali fra le parti, che è regolata dal principio della soccombenza. Tale principio attiene, infatti, al rapporto fra le parti e non opera nei confronti dell’ausiliare, il quale non deve restare esposto al rischio dell’insolvenza della parte soccombente.
Su queste basi, le spese di verificazione – liquidate in Euro 6.000,00 (da cui vanno detratte le somme assegnate a titolo di acconto al momento dell’affidamento dell’incarico) – vanno definitivamente poste, nei rapporti esterni, in capo all’appellante e al Comune appellato, in solido tra loro; nei rapporti interni tra gli obbligati in solido, il peso economico del debito è invece posto interamente a carico del Comune di (omissis) (in virtù del principio della soccombenza).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 4272 del 2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado nei termini di cui in motivazione.
Condanna il Comune di (omissis) al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio, che si liquidano in Euro 4.000,00, in favore dell’appellante, oltre IVA e CPA, come per legge.
Le spese di verificazione – liquidate in Euro 6.000,00 (da cui vanno detratte le somme assegnate a titolo di acconto al momento dell’affidamento dell’incarico) – vanno definitivamente poste, nei rapporti esterni, in capo all’appellante e all’Amministrazione appellata, in solido tra loro; nei rapporti interni tra gli obbligati in solido, il peso economico del debito è invece posto interamente a carico del Comune di (omissis).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente FF
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
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