Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 25 novembre 2019, n. 8000.
La massima estrapolata:
In materia edilizia l’onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell’opera edilizia – sia al fine di poter fruire del beneficio del condono edilizio sia al fine di poterne escludere la necessità di titolo abilitativo per essere realizzata entro una certa data, come nel caso di specie – grava sul privato.
Sentenza 25 novembre 2019, n. 8000
Data udienza 21 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2349 del 2019, proposto da
Gi. D’A., rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A Pl. Srl in Roma, via (…);
Ma. Ad. D’A., rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Fa. Tu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Prima n. 01271/2018, resa tra le parti, concernente per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia: a)- dell’ordinanza n. 255 del 30.6.2017 con cui il dirigente dell’Area Tecnica del Comune di (omissis) ha ordinato alla ricorrenti di demolire le seguenti opere: “locale, posto sulla parte retrostante dell’immobile, ottenuto dalla chiusura parziale del pozzo luce mediante la posa in opera di una struttura intelaiata orizzontale composta da anticorodal e lastre in vetro, avente le dimensioni di mt. 2,10 x 1,50 circa, posta ad un’altezza di mt. 3,55 circa rispetto al piano di calpestio ed un infisso, anch’esso in anticorodal e vetro, avente la larghezza di mt. 1,50 r l’altezza di mt. 1,70 circa; b) nonché di ogni altro provvedimento comunque presupposto, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Ca. Pa. su delega dell’avv. Ro. Fr., Ug. de Lu. su delega dell’avv. Fr. Fa. Tu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1271 del 2018 con cui il Tar Lecce aveva respinto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza n. 255 del 30 giugno 2017, con cui il dirigente dell’Area Tecnica del Comune di (omissis) ha ordinato agli stessi soggetti di demolire le seguenti opere: “locale, posto sulla parte retrostante dell’immobile, ottenuto dalla chiusura parziale del pozzo luce mediante la posa in opera di una struttura intelaiata orizzontale composta da anticorodal e lastre in vetro, avente le dimensioni di mt. 2,10 x 1,50 circa, posta ad un’altezza di mt. 3,55 circa rispetto al piano di calpestio ed un infisso, anch’esso in anticorodal e vetro, avente la larghezza di mt. 1,50 e l’altezza di mt. 1,70 circa”.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello, contestando le argomentazioni svolte dal Tar:
– sul capo di sentenza relativo alla violazione delle regole procedimentali, errore di giudizio, difetto di motivazione e violazione degli artt. 7 ss l. 241 del 1990;
– sul capo della sentenza relativo alla violazione dell’obbligo di istruire compiutamente la pratica, difetto di motivazione rispetto agli elementi acquisiti in sede di accertamento, inapplicabilità dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 in quanto l’opera risale ad un tempo (1939) nel quale non esisteva l’obbligo di ottenere la concessione per edificare;
– violazione degli artt. 64, 66 e 67 cod.proc.amm. in relazione a quanto dedotto e richiesto di istruire circa la datazione dell’opera oggetto di demolizione.
La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed improcedibilità, nonché il rigetto dell’appello.
La domanda cautelare veniva rinviata al merito.
Alla pubblica udienza del 21 novembre 2019 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. L’appello non è suscettibile di accoglimento.
In proposito, rispetto alle eccezioni preliminari di parte appellata, è possibile fare applicazione del principio secondo cui, nel processo amministrativo il giudice, per ragioni di economia processuale, può legittimamente rinunciare a definire le eccezioni d’inammissibilità e/o irricevibilità del ricorso, se lo stesso è nel merito palesemente infondato (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 9/07/2015, n. 3443).
2. Dalla compiuta analisi degli atti di causa emerge la piena condivisibilità della ricostruzione posta a fondamento della sentenza impugnata, sia in termini di fatto che di diritto.
Se in linea di fatto appare pacifica (sulla scorta della documentazione versata in atti e della stessa prospettazione delle parti) la consistenza dell’opera in contestazione ed il relativo carattere abusivo, risultando contestata l’epoca di realizzazione, in linea di diritto i vizi di appello dedotti si scontrano con i principi già espressi anche dalla giurisprudenza della sezione.
3.1 In ordine al primo ordine di motivi di appello, relativi alle invocate garanzie procedimentali, assume rilievo dirimente il consolidato orientamento a mente del quale i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, quali l’ordinanza di demolizione, non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto non è prevista, in capo all’Amministrazione, la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281).
3.2 In ordine al secondo ordine di rilievi, è noto il principio per cui l’onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell’opera edilizia – sia al fine di poter fruire del beneficio del condono edilizio sia al fine di poterne escludere la necessità di titolo abilitativo per essere realizzata entro una certa data, come nel caso di specie – grava sul privato (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903).
3.2.1 Come già evidenziato dalla sezione, ai sensi dell’art. 63, comma 1, e dell’art. 64, comma 1, cod.proc.amm. spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità .
La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie, costituisce onere a carico del privato e non dell’amministrazione, atteso che solo il primo può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto; mentre l’Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio. Ciò a maggior ragione nel caso di specie in considerazione della collocazione e della tipologia dell’abuso in questione.
3.2.2 In linea di fatto, gli elementi invocati a sostegno della risalenza del vano all’epoca di realizzazione del fabbricato, risultano smentiti dalle stesse considerazioni svolte da parte appellante. Per un verso, in quanto di epoca confessoriamente successiva è la copertura ed il lucernaio, elementi reputati rilevanti in termini di utilizzo e conseguente rilevanza dell’abuso in contestazione. Per un altro verso, in quanto in epoca recente (2014) la stessa copertura risulta essere stata sostituita, con conseguente mutamento abusivo della situazione dei luoghi.
Del pari irrilevante è il mero riferimento ai dati catastali; infatti, l’accatastamento, non accompagnato da altri elementi rilevanti in termini di libertà della prova, rappresenta una classificazione di ordine tributario, che fa stato a quegli specifici fini, senza assurgere a strumento idoneo – al di là di un mero valore indiziario – per evidenziare la reale destinazione d’uso di singole porzioni immobiliari e della relativa regolarità urbanistico-edilizia (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 21 gennaio 2015, n. 177).
3.3 Quanto sin qui evidenziato rende altresì ragione in merito all’infondatezza del terzo ed ultimo ordine di rilievi.
Infatti, nel processo amministrativo la consulenza tecnica, così come la verificazione, non può esonerare la parte dalla prova dei fatti dedotti e posti a base delle richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla parte in ragione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche non possedute (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 22 agosto 2018, n. 5030).
4. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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