Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 16 ottobre 2020, n. 6277.
Nel processo amministrativo l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione, e detta verifica – che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione – comporta da parte del giudice dell’ottemperanza un’attenta attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del relativo comando; attività, questa, da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum”.
Sentenza 16 ottobre 2020, n. 6277
Data udienza 1 ottobre 2020
Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Oggetto – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1698 del 2020, proposto da
Cl. Ac. ed altri, rappresentate e difese dagli avvocati Ni. Za. e Wa. Mi. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Salvatore Russo in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Istruzione, Ufficio scolastico regionale Sicilia e Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, non costituito in giudizio;
nei confronti
Associazione Mo. Pe. Onlus, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, 14 gennaio 2020 n. 352, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti l’avvocato Wa. Mi., e l’avvocato dello Stato An. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 1698 del 2020, Cl. Ac. ed altri:
a) per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
per l’annullamento
della Circolare MIUR prot. 422 del 18.3.2019, con la quale sono state impartite istruzioni operative in ordine alle nuove dotazioni di organico del personale docente per l’anno scolastico 2019/2020, nella parte in cui dispone che “Resta invece invariato per questo anno (…) il contingente dei posti di sostegno (100.080) – comprensivo del relativo potenziamento”.
e per l’esecuzione del giudicato
formatosi sulla sentenza del T.A.R. Lazio, sez. terza bis, n. 149 del 7.1.2019 (passata in giudicato il 29 aprile in quanto notificata il 28 gennaio 2019).
b) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Clara Accetta clara il 30 luglio 2019:
accertamento della nullità e/o annullamento dei decreti con i quali gli ambiti territoriali provinciali di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, e Trapani hanno confermato per l’anno scolastico 2019/20120, la consistenza dell’organico di diritto dei posti di sostegno didattico del precedente anno scolastico 2018/2019 (già dichiarata illegittima dal TAR del Lazio con la sentenza n. 149 del 7.1.2019), del Provvedimento dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, di data e numero di protocollo ignoti, con cui sono stati ripartiti fra le province della regione i posti di sostegno assegnati alla Sicilia per l’anno scolastico 2019/20120, nella misura di 11.506 posti di sostegno in organico di diritto (il medesimo numero di posti già assegnato nel precedente a.s. 2018/19).
c) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Clara Accetta il 28 ottobre 2019:
accertamento della nullità e/o annullamento
– del Provvedimento dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia con cui sono stati attivati 7.891 posti di sostegno di fatto “in deroga” (a fronte dell’ulteriore incremento del numero degli alunni disabili che, nella Regione Sicilia, nell’an no scolastico 2019/2020 hanno raggiunto la consistenza di ben da 28.295 alunni certificati);
– dei Decreti degli Ambiti Territoriali di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, e Trapani con cui sono stati previsti i posti di sostegno di fatto “in deroga” nell’anno scolastico 2019/2020.
I fatti di causa possono essere così riassunti.
Gli appellanti sono docenti precari specializzati nelle attività didattiche di sostegno degli alunni disabili. Con un precedente ricorso in prime cure impugnavano i decreti e le circolari ministeriali di determinazione degli organici di diritto, nella parte in cui non adeguavano il contingente dei posti di sostegno didattico al numero degli alunni disabili.
Con la sentenza n. 149 del 7 gennaio 2019, il T.A.R. Lazio accoglieva il ricorso proposto sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto “non potendosi appunto cristallizzare al 2006/2007 il numero dei docenti necessari, in una lettura costituzionalmente orientata della disposizione a tutela dello studente disabile, spetta alla amministrazione di acquisire i dati onde realizzare quanto proprio il comma 413 richiamato prevede, vale a dire individuando criteri e modalità con riferimento alle effettive esigenze rilevate, assicurando lo sviluppo dei processi di integrazione degli alunni diversamente abili anche attraverso opportune compensazioni tra province diverse in modo da non superare un rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni diversamente abili. Il che non significa automaticamente che i posti di organico in deroga debbano confluire in quelli di diritto, ma semplicemente che la individuazione di tale ultima dotazione non possa essere ancorata sic et simpliciter a quanto esistente più di un decennio addietro, dovendosi invece puntualmente e attentamente monitorare la situazione per l’evidente aumento delle patologie individuate come rilevanti. In tale quadro l’obbligo dell’amministrazione si traduce nella necessità di una attenta istruttoria anche verificando la concreta esistenza delle condizioni legittimanti la necessità di insegnanti di sostegno, non potendosi lasciare esclusivamente all’esperimento degli strumenti di tutela la riconduzione a legittimità, attesa la particolare condizione della popolazione scolastica con disabilità . Il ricorso deve dunque essere accolto, con annullamento degli atti in epigrafe nella parte in cui non correlano il numero dei posti di organico e in deroga a una puntuale istruttoria alla luce delle risultanze emergenti anno per anno, limitandosi a un’applicazione per così dire automatica”.
Con l’atto introduttivo del giudizio in prime cure i ricorrenti chiedevano l’annullamento della circolare Miur n. 422 del 18.3.2019, con la quale sono state impartite istruzioni operative in ordine alle nuove dotazioni di organico del personale docente per l’anno scolastico 2019/2020 nella parte in cui dispone che resta invece invariato per questo anno il contingente dei posti di sostegno (100.080), per violazione o elusione del giudicato nonché il suo annullamento per illegittimità .
Con primo ricorso per motivi aggiunti chiedeva di annullare i decreti con cui gli ambiti territoriali indicati avevano confermato per l’anno scolastico 2019/2020 la consistenza dell’organico di diritto dei posti di sostegno didattico del precedente anno scolastico.
Con un secondo ricorso per motivi aggiunti chiedeva di annullare i provvedimenti con i quali gli uffici scolastici indicati nello stesso ricorso determinavano la consistenza dell’organico in deroga dei posti di sostegno didattico.
Si costituiva l’amministrazione resistente chiedendo rigettarsi il ricorso.
Intervenivano in giudizio interventori ad adiuvandum.
All’udienza del 17 dicembre 2019, il ricorso veniva discusso e deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, “non avendo l’amministrazione attuato quanto previsto dalle disposizioni di legge (con atti normativi – in relazione ai quali possono immaginarsi strade, quali la class action, diverse dall’azione avverso il silenzio) ed essendo vincolati gli uffici regionali ad attenersi all’organico di diritto esistente.”
Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si sono costituiti il Ministero dell’Istruzione, l’Ufficio scolastico regionale Sicilia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Dopo il diniego della domanda di adozione di misure cautelari inaudita altera parte, avutosi con decreto presidenziale 7 aprile 1010 n. 1830, all’udienza del 11 giugno 2020, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza 11 giugno 2020 n. 3362, con cui venivano parimenti disposti accertamenti istruttori.
Alla pubblica udienza del 1 ottobre 2020, avvenuto il deposito della relazione richiesta, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “sull’interesse ad agire dei ricorrenti e sulla sussistenza di tutte le condizioni per la piena ammissibilità dell’azione giurisdizionale attivata, violazione dell’art. 100 del cpc.”, viene lamentata l’errata considerazione della legittimazione delle parti ricorrenti, atteso che la stessa era stata già favorevolmente valutata con la sentenza dello stesso T.A.R. del Lazio, 7 gennaio 2019 n. n. 149, passata in giudicato, e non poteva quindi essere rimessa in discussione.
2.1. – La censura va respinta.
Come correttamente rilevato dal primo giudice, la sentenza del T.A.R. Lazio di chi si chiede l’ottemperanza ha avuto riguardo alle istruzioni operative e ai provvedimenti attuativi per la costituzione delle dotazioni organiche del personale docente per l’anno scolastico 2018/2019; il ricorso in prime cure, invece, impugnava la circolare riguardante l’anno scolastico 2019/2020, chiedendo di estendere a questa il giudicato valevole per l’altra.
Non è pertanto corretto, come sostenuto dalle appellanti, ritenere che sulla legittimazione a tale nuova impugnazione fosse caduto il giudicato, atteso che si trattava di vicende analoghe ma relative ad annualità diverse. Va quindi condivisa l’osservazione del primo giudice in relazione alla circostanza che il giudicato non potesse essere esteso fino a coinvolgere la determinazione del contingente per anni successivi; per altro verso, poiché la sentenza ha riguardato delle illegittimità procedimentali e non la fattispecie fattuale, eventualmente inalterata, non è possibile invocare nemmeno l’effetto espansivo tipico del giudicato interno.
Pertanto, deve ritenersi del tutto corretta con l’assetto normativo la scelta del primo giudice di valutare in concreto l’esistenza della legittimazione al ricorso delle parti.
2.2. – Sulla scorta di tale preliminare osservazione, deve essere quindi condivisa anche l’ulteriore argomentazione che ha fatto escludere dal T.A.R. l’esistenza della legittimazione al ricorso.
Da un primo punto di vista, va ritenuta corretta l’affermazione per cui l’atto impugnato vada considerato solo un atto interno privo di firma dei Ministeri competenti alla relativa adozione e di efficacia, trattandosi di una “nota di istruzioni operative, in attesa del previsto concerto con il Mef e FP, relative allo schema di decreto interministeriale sugli organici per il prossimo anno 2019/2020”. Deve quindi ribadirsi che si tratti di atto interno privo della competenza a determinare l’organico o il contingente dei posti di sostegno per l’anno di riferimento.
Va notato che, al contrario di quanto affermano le parti appellanti, nei precedenti evocati (T.A.R. Lazio 14 aprile 2011 n. 3268; id, 12 luglio 2012 n. 6334 ed altre aventi lo stesso oggetto; id., 31 luglio 2013 n. 7777 ed altre aventi lo stesso oggetto), gli atti propedeutici (in quei casi, le bozze di decreto interministeriale) erano stati impugnati solo in quanto presupposti di atti applicativi lesivi e non perché lesivi in sé (per altri casi, dove invece l’impugnativa aveva avuto ad oggetto proprio il decreto interministeriale, per tutte si veda Cons. Stato, VI, 30 luglio 2011 n. 4535).
Pertanto, la possibile impugnativa dell’atto endoprocedimentale si regge solo ed esclusivamente se dà vita – come nei casi evocati a precedente e diversamente dal caso in esame – ad un provvedimento che determini l’effettiva compromissione delle situazioni giuridiche degli interessati. L’impugnazione dell’atto endoprocedimentale non ha infatti una sua autonomia, essendo carente la sua lesività, tranne casi eccezionali, quali quelli di arresto procedimentale, e dovendo essere gravato solo a seguito dell’emanazione dei provvedimenti attuativi lesivi.
Da un secondo punto di vista, va quindi rimarcato che la clausola impugnata e la parte dell’atto impugnato non hanno carattere immediatamente escludente e, non portando ad una immediata estromissione della procedura delle parti, non determinano così effetti diretti e non possono essere immediatamente impugnati. Vi è quindi una possibilità di lesione, che deriverà dall’atto eventualmente incidente sulla posizione giuridica dei ricorrenti, ossia quello attuativo che potrà portare alla esclusione dei ricorrenti dalla procedura in oggetto; evento che, in quanto derivante da un nuovo provvedimento, dovrà essere autonomamente oggetto di impugnativa in primo grado.
Conclusivamente, la sentenza va confermata nella parte in cui ha ritenuto insussistente la legittimazione degli originari ricorrenti. Sulla scorta di questa preliminare constatazione, possono ora essere esaminati, con maggiore sinteticità, gli ulteriori profili di doglianza, atteso che il secondo è infondato e i rimanenti sono inammissibili, sulla scorte delle osservazioni pregresse e di quelle svolte in seguito.
3. – Con il secondo motivo di diritto, recante “sulla violazione da parte del MIUR dell’obbligo di conformazione al giudicato di annullamento”, le appellanti, dopo una lunga esposizione delle ragioni in fatto che spingono verso un aumento delle dotazioni organiche di diritto, evidenziano l’esistenza di un obbligo di conformazione al giudicato, derivante dall’annullamento passato in giudicato dato dalla sentenza del T.A.R. del Lazio, 7 gennaio 2019 n. n. 149.
3.1. – La censura non può essere condivisa.
Come prima rilevato, il giudicato derivante dalla sentenza de qua copre una annualità diversa da quella qui in esame e si fonda su una violazione procedimentale di carattere istruttorio.
La possibilità che il giudicato possa avere una rilevanza esterna su altri procedimenti autonomi appare in verità ammissibile, ma solo in casi eccezionali; e questo sia in relazione alla ordinaria casistica, sia in relazione a vicende reiterative.
In merito al primo profilo, va ricordato che la giurisprudenza (da ultimo, Cons. Stato, V, 14 aprile 2016, n. 1497) ha rimarcato che nel processo amministrativo l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione, e detta verifica – che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione – comporta da parte del giudice dell’ottemperanza un’attenta attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del relativo comando; attività, questa, da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum”. Il che rende difficile enucleare un medesimo oggetto del giudizio in relazione a procedimenti amministrativi autonomi e relativi ad anni diversi.
Per altro verso, anche volendo ampliare il detto limite quando si verte di situazioni ripetute nel tempo (in particolare, in merito a situazioni di esazione d’imposta fondate sugli stessi presupposti per pluralità di annualità, da ultimo Cass. civ., V, 11 settembre 2019, n. 22655), si è notato che l’efficacia del giudicato, nei rapporti di durata, si estende anche ad annualità diverse (nel caso, in relazione alla medesima imposta) unicamente in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie “a carattere tendenzialmente permanente” e non, invece, con riferimento ad elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo.
Appare allora del tutto condivisibile la valutazione operata dal primo giudice, che ha escluso la possibile estensione del giudicato ad una diversa annualità di riferimento, facendo rilevare la ragione dell’annullamento, ossia un difetto di istruttoria, vizio che non può essere sicuramente considerarsi di tipo permanente ma connaturato all’azione hic et nunc dell’amministrazione.
4. – I motivi successivi, sulla scorta di quanto sopra evidenziato in relazione alla carenza di legittimazione attiva delle parti appellanti e della impossibilità di estendere anche all’annualità successiva i contenuti della sentenza del T.A.R. oggetto di ottemperanza, devono quindi considerarsi inammissibili. In particolare:
4.1. – In relazione al terzo motivo (rubricato “violazione dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, eccesso di potere per sviamento, manifesta illogicità ed irragionevolezza, violazione degli artt. 33, 111 e 112 del cpa., degli artt. 24 e 111 della Cost., degli art. 41 e 47 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea e dei principi dell’equo processo e di effettività della tutela delle situazioni soggettive protette; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della l. n. 241/1990”, dove viene richiesto, in via subordinata, l’annullamento degli atti de qua in ragione dei principi di effettività della tutela giudiziaria, nonché di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa; oppure ancora, per vizi autonomi degli atti stessi, indicati in “eccesso di potere per sviamento, manifesta illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà nonché per pacifica e insanabile contraddittorietà con l’espressa indicazione resa dal TAR in merito all’impossibilità di determinare gli organici di diritto senza prima verificare la concreta consistenza delle condizioni legittimanti la necessità di insegnanti di sostegno da assumere stabilmente”) si deve rilevare che, per quanto riguarda la prima parte del motivo, la ragione dell’annullamento coincide, in buona sostanza, nella mancata applicazione al caso in esame del giudicato dato dalla sentenza T.A.R. del Lazio, 7 gennaio 2019 n. n. 149 ed è quindi infondato per le ragioni sopra vagliate; mentre in relazione alla seconda parte del motivo, la ragione di annullamento è integralmente esaurita dalla indicazione dei vizi (quella sopra inserita in virgolettato), senza alcuna esplicazione delle ragioni a sostegno. Pertanto, è inammissibile.
4.2. – In merito al quarto motivo di diritto (recante “violazione degli artt. 12 e 13 della l. n. 104/92, dell’articolo 1, comma 605, della l. n. 296/06 e dell’articolo 2, comma 413, della l. n. 244/07, ossia del principio cui gli organici di sostegno devono essere tendenzialmente corrispondenti alle effettive esigenze degli alunni con disabilità ed idonei a garantire l’istruzione e l’integrazione degli alunni”, dove viene lamentata l’illegittimità degli atti gravati, evidenziando come, a seguito della sentenza Corte cost. n. 80/2010, il criterio numerico originariamente fissato dal legislatore deve quindi intendersi sostituito con il principio delle “effettive esigenze rilevate” e che, conseguentemente, la possibilità di assumere insegnanti di sostegno con contratti a tempo determinato, in deroga al rapporto alunni-docenti, prevista dal legislatore con l’art. 40 della l. 27 dicembre 1997, n. 449, costituisca una misura eccezionale), se ne deve evidenziare l’inconferenza.
Infatti, del tutto condivisibile la ricostruzione operata dalle parti appellanti sul diritto dei disabili e sull’applicabilità del criterio delle “effettive esigenze rilevate”, va notato come non vi sia una corrispondenza tra posti di diritto e posti in deroga, spettando solo all’amministrazione compiere un accertamento per verificare quali sono le esigenze necessarie su base nazionale e locale. La determinazione dell’organico di diritto di per sé presenta delle ovvie rigidità, attesa la difficoltà della sua riduzione una volta che sia stato ampliato; le necessità di tutela vanno quindi garantite garantendo una necessaria flessibilità al dato numerico della compagine docente.
Si può quindi cogliere la funzione dell’istituto in esame, atteso che proprio per tale ragione che il legislatore ha previsto, a differenza di altre categorie di docenti, la possibilità di istituire posti in deroga, nei casi in cui si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica. Il che consente di adeguare il dato numerico degli insegnanti al numero degli aventi titolo.
Per altro verso, va rilevato come la doglianza non illustra le ragioni per cui la tutela degli interessi evocati debba essere necessariamente tutelata con un ampliamento degli organici di diritto, atteso che non vengono evidenziate differenze tra le prestazioni professionali dei docenti in ruolo e di quelli nominati in deroga. Non è dato cioè cogliere in quale modo il differente status giuridico del docente possa riverberarsi sulla tutela degli interessi dei disabili, non essendo state lamentate diversità nei contenuti delle prestazioni professionali.
Pertanto, una volta chiarito che i dati quantitativi possono essere raggiunti indifferentemente con le modalità eccezionali (sicuramente più flessibili) che con quelle ordinarie e che i dati qualitativi (sulle prestazioni professionali) non dimostrano una preferibilità per l’assunzione in ruolo anziché in deroga, la censura appare inconferente in relazione alla questione sottoposta a giudizio.
4.3. – In merito al quinto motivo di diritto (rubricato “eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione dei principi di legalità, di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa”, dove viene ulteriormente evidenziato il difetto di istruttoria operato dal MIUR e accertato con la sentenza ottemperanda), va notata la sua irrilevanza, potendosi fare rinvio alle osservazioni sopra svolte sulla impossibilità di estendere alla fattispecie in esame gli esiti del giudicato relativo ad una annualità pregressa.
4.4. – In relazione al sesto motivo di diritto (recante “violazione della clausola 5 dell’accordo quadro CES, UNICA e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva n. 1999/70/CE”, dove si lamenta che “gli atti impugnati in primo grado vanno poi annullati poichè, differendo sine die la messa a concorso dei posti effettivamente vacanti, a cui è appunto deputata la corretta fissazione degli organici di diritto, favoriscono l’aumento del precariato scolastico, con conseguente violazione anche della clausola 5 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva n. 1999/70/CE”) va rimarcata la sua inammissibilità .
Come già sopra evidenziato in merito alla seconda parte del terzo motivo di diritto, la ragione di annullamento è integralmente esaurita dalla indicazione dei vizi (quella sopra inserita in virgolettato), senza alcuna esplicazione delle ragioni a sostegno. Pertanto, è inammissibile.
5. – In relazione al settimo motivo di diritto (recante “violazione degli artt. 10, 2, 3, 35 e 38 della Cost. e dell’art. 24 della Convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità “, dove viene lamentato come gli atti impugnati innanzi al TAR, violando il principio della continuità didattica e conseguentemente il diritto all’istruzione e all’integrazione degli alunni disabili), va ribadita la carenza di legittimazione delle parti appellanti, anche in relazione alla situazione giuridica azionata.
6. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 1698 del 2020;
2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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