Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 4 luglio 2019, n. 4587.

La massima estrapolata:

Il vincolo cimiteriale persegue una triplice finalità : in primo luogo, vuole assicurare condizioni di igiene e dì salubrità mediante la conservazione di una sorta di “cintura sanitaria” intorno allo stesso cimitero; in secondo luogo è finalizzato a garantire la tranquillità ed il decoro ai luoghi di sepoltura; in terzo luogo è diretto a consentire futuri ampliamenti dell’impianto funerario.

Sentenza 4 luglio 2019, n. 4587

Data udienza 21 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8043 del 2009, proposto da
Ca. No., rappresentato e difeso dagli avvocati Na. Gi. e Ma. Ce. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Sa., An. Mi., Ma. At. Lo. e Fr. De Sa., con domicilio eletto presso lo studio Ma. At. Lo. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 01714/2008, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione edilizia in sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Gi. Pa., su delega Na. Gi., e Gi. Mo., su delega Am. At. Lo..

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. III, con la sentenza 2 luglio 2008, n. 1714, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale parte appellante per l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Firenze n. 7024 del 3.11.1994 con cui è stato ingiunto al ricorrente di procedere alla demolizione di opere abusivamente realizzate nonché al ripristino dello stato dei luoghi.
Secondo il TAR, sinteticamente:
– l’atto impugnato è antecedente alla normativa di cui alla L. n. 191-1998, con la conseguenza che la competenza era radicata ancora in capo all’organo politico;
– le opere edilizie realizzate sine titulo oggetto dell’impugnato ordine di demolizione rientrano nell’ambito di una serie di abusi eseguiti in tempi progressivi ed insistono in un’area gravata dal vincolo paesaggistico ex lege n. 1497-1939 oltrechè da vincolo cimiteriale previsto dall’art. 338 del Testo Unico delle leggi sanitarie;
– il vincolo cimiteriale ha carattere assoluto, valevole per ogni singolo fabbricato e per ogni tipo di costruzione, lì dove, in particolare il divieto di edificazione posto a tutela della natura e della salubrità dei luoghi, non opera alcuna distinzione tra manufatti, con la conseguenza che opera il regime di insanabilità assoluta;
– il limite del rispetto cimiteriale si riferisce ad ogni costruzione e non al centro abitato in generale;
– il vincolo cimiteriale è antecedente alle opere abusive che, pertanto, non sono condonabili;
– non si è verificata alcuna integrazione postuma della motivazione del provvedimento di diniego.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità per i seguenti motivi:
– Violazione e falsa applicazione dell’art. 51 L n. 142-1990, incompetenza (riproposizione del primo motivo);
– violazione ed errata applicazione dell’art. 338 T.U.L.S. e successiva normativa, violazione ed errata applicazione dell’art. 33 L. n. 47-1985, violazione ed omessa applicazione dell’art. 32 L. n. 47-1985, eccesso di potere per difetto di motivazione, eccesso di potere per difetto di istruttoria, omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia (riproposizione del secondo e quarto motivo.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato, chiedendo la reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 21 maggio 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello si deduce (come in primo grado) la violazione dell’art. 51 L. n. 142-1990 sul presupposto che l’irrogazione di sanzioni amministrative in materia edilizia doveva essere disposta dal Dirigente dell’Ufficio competente e non più dal Sindaco o dall’Assessore delegato.
Si deve osservare, al riguardo, che l’attribuzione ai Dirigenti della predetta competenza non è intervenuta con la L. n. 142-1990, né con la successiva L. n. 127-1997 (cd. Bassanini-bis) bensì con la L. 16 giugno 1998, n. 191 (cd. Bassanini-ter) che ha introdotto ulteriori modifiche all’art. 51 L. n. 142-1990 in materia di attribuzioni al personale degli Enti Locali.
In particolare la lett. f)-bis, aggiunta al secondo comma dell’art. 6 L. n. 127-1997 ha espressamente previsto la competenza inerente “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico ambientale”.
Pertanto, soltanto in base a tale espressa previsione, introdotta nel 1998, è stata mutata la competenza, mentre all’epoca in cui è stato emesso il provvedimento sanzionatorio a carico del ricorrente (che risale all’anno 1996), non era ancora entrata in vigore la disciplina sopracitata e, pertanto, la relativa attribuzione era ancora di pertinenza del Sindaco o dell’Assessore delegato.
Si deve, inoltre, osservare che anche il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ha espressamente enunciato che tutte le competenze già ascritte agli organi di governo dovevano essere intese ipso jure trasferite all’apparato amministrativo: anche in questo caso soltanto dall’entrata in vigore del pr4detto decreto legislativo.
Inoltre, si deve ricordare che, con l’adozione del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali di cui al d.lgs. n. 267-2000, la competenza ad adottare provvedimenti repressivi in materia edilizia è stata indubbiamente riconfermata in capo ai Dirigenti, ai sensi dell’art. 107, comma 1, lett. f) e g), che ha sancito la separazione tra la competenza ad adottare gli atti di indirizzo e controllo politico e quella ad adottare gli atti di gestione dell’attività amministrativa.
La disciplina regionale toscana ha confermato la predetta ripartizione, atteso che la L.R. 2.4.2002, n. 13 (adottata a seguito dell’approvazione della L. Cost. 18.10.2001, n. 3), non ha modificato la predetta ripartizione di competenze e la recente L.R. 5.8.2003, n. 43 (recante modifiche ed integrazioni alla L.R. 14.10.1999, n. 52), ha individuato quale organo deputato ad adottare i provvedimenti repressivi in materia edilizia ed ambientale l’autorità comunale competente, con chiaro riferimento alla normativa che disciplina l’organizzazione degli Enti Locali (Testo Unico).
Del resto, in generale, è evidente la necessità di un’espressa previsione normativa in relazione al trasferimento delle competenze in materia di repressione degli abusi edilizi, il che conferma incontestabilmente che la disciplina precedente al 1998 non disponeva alcunché in merito.
Peraltro, le norme che hanno progressivamente ampliato i poteri dei dirigenti comunali previsti dall’originaria formulazione dell’art. 51 L. 8 giugno 1990, n. 142 hanno natura innovativa e non interpretativa: ne consegue la legittimità di un atto assunto dal Sindaco ove non fosse ancora entrata in vigore la successiva previsione (art. 2, comma 12, L. 16 giugno 1998, n. 191) attributiva del relativo potere al dirigente amministrativo.
2. Nel merito, la circostanza che, nella specie, l’appellante avesse ricevuto un provvedimento di diniego successivo a quello parziale già emanato non inficia la legittimità dell’atto di diniego.
In effetti, il Comune di Firenze appellato ha correttamente adottato il provvedimento n. 391-1996 che si riferisce alle opere indicate sub lett. a), consistenti nell’ampliamento entro il 31.12.1993 “di una serra limonaia preesistente con copertura in policarbonato per circa mq. 11 di cui alle fotografie n° 2 e 4 allegate alla pratica”, nonché a quelle indicate sub lett. b), consistenti nell’ampliamento entro il 31.12.1993 “di una tettoia con struttura in ferro e ondulato plastico, per mq. 13 di cui alle fotografie n° 1 e n° 3 allegate alla pratica”.
Nello stesso provvedimento si richiama altresì la circostanza per cui “per l’abuso di cui alla lettera b) è stato emesso provvedimento di diniego n. 202 in quanto i materiali e le caratteristiche costruttive, aventi natura di temporaneità e prive di ogni intento di decoro, sono incompatibili con la tutela dei valori estetici e tradizionali del luogo”.
Tale riferimento non inficia la legittimità del provvedimento di diniego n. 391 in quanto costituisce un elemento ulteriore, ovvero il rilievo inerente l’incompatibilità con il vincolo paesaggistico, che si va semplicemente ad aggiungere a quella inerente il vincolo cimiteriale.
E’ evidente, pertanto, che non emerge alcun intento di revocare o sostituire il precedente provvedimento di diniego n. 202-1995, che si fondava sul circostanziato parere espresso dalla Commissione Edilizia integrata relativamente al manufatto di cui alla lett. b), ovvero la tettoia, e sulla quale aveva espresso parere contrario, in quanto “i materiali e le caratteristiche costruttive, aventi natura di temporaneità e prive di ogni intento di decoro, sono incompatibili con i valori estetici e tradizionali del luogo”.
Da quanto sopra esposto emerge che nessuna contraddittorietà o sviamento si può rintracciare nella motivazione del provvedimento di diniego n. 391-1996: il Comune di Firenze, nel negare la concessione della sanatoria edilizia con riferimento ai due distinti manufatti, ha soltanto evidenziato che per quanto riguarda uno di essi era già stato rilevato il contrasto con il vincolo paesaggistico ed emesso conseguente diniego di sanatoria.
3. Per quanto riguarda l’applicazione della disciplina inerente il vincolo cimiteriale che gravava sull’area interessata dall’intervento abusivo, si deve rilevare che nelle immediate vicinanze esiste il Cimitero di Quarto e che le opere abusive sono state realizzate in epoca successiva alla realizzazione del cimitero predetto e vengono a situarsi nella zona di rispetto del cimitero, ovvero ad una distanza inferiore al limite di m. 200 prescritto dall’art. 338 T.U. R.D. n. 1265-1934 come distanza minima fra cimiteri e centri abitati e come risulta nell’ordinanza n. 995 del 22.2.1999, che ha confermato, per il Cimitero di Quarto, la stessa fascia di rispetto di m. 200.
Tale circostanza rende le opere assolutamente insuscettibili di sanatoria, secondo il disposto di cui all’art. 33 L. n. 47-1985 che espressamente esclude la sanatoria di opere abusive che siano in contrasto con preesistenti vincoli di inedificabilità .
Infatti, l’art. 338 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie e l’art. 57 del D.P.R. 285-1990, recante, il Regolamento di Polizia mortuaria vietano l’edificazione nelle aree ricadenti in fascia di rispetto cimiteriale dei manufatti che per durata, inamovibilità ed incorporazione al suolo, possono qualificarsi come costruzioni edilizie, come tali incompatibili con la natura insalubre dei luoghi e con l’eventuale futura espansione del cimitero.
Pertanto, l’art. 338, comma 1, T.U. cit., il cui testo è stato parzialmente modificato dall’art. 28 della L. 1° agosto 2002, n. 166, che ha peraltro confermato il limite della zona di rispetto, nel vietare la costruzione di nuovi edifici o fabbricati nel raggio di 200 m. dai cimiteri, si riferisce a qualsiasi tipo di costruzione anche se destinata ad uso diverso da quello di abitazione, come ha confermato pacifica giurisprudenza, che ha avuto modo di riconoscere che il vincolo di inedificabilità sull’area di rispetto cimiteriale è assoluto.
Infatti, anche le opere edilizie qualificate come pertinenze soggiacciono all’obbligo di conformità allo strumento urbanistico e, a più forte ragione, al vincolo urbanistico di grado superiore, derogabile solo “ex lege” e posto per la salvaguardia di interessi rilevanti.
Com’è noto, il predetto vincolo cimiteriale persegue una triplice finalità :
– in primo luogo, vuole assicurare condizioni di igiene e dì salubrità mediante la conservazione di una sorta di “cintura sanitaria” intorno allo stesso cimitero;
– in secondo luogo è finalizzato a garantire la tranquillità ed il decoro ai luoghi di sepoltura;
– in terzo luogo è diretto a consentire futuri ampliamenti dell’impianto funerario.
Proprio in considerazione di tale ultima finalità, l’attuala quarto comma del predetto art. 338 – modificato dall’art. 28, comma 1, lett. b), L. 1° agosto 2002, n. 166, ha ulteriormente limitato la possibilità di derogare al divieto assoluto di inedificabilità, circoscrivendola alle sole ipotesi di costruzione di opere afferenti nuovi impianti cimiteriali o ampliamento di quelli esistenti, peraltro riferita a due tassative ipotesi quali le particolari condizioni locali (quindi, ove non sia possibile provvedere altrimenti); ovvero, che l’impiantò cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi, o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari.
La modifica della disciplina del vincolo cimiteriale quindi, nel restringere le ipotesi di derogabilità della fascia di rispetto, ricompresa nei 200 m. dal perimetro dell’impianto funerario alle sole opere afferenti gli impianti cimité riali, riconferma la natura assoluta del vincolo di inedificabilità ivi insistente per ogni altra opera.
Inoltre, deve evidenziarsi che la norma di cui all’art. 338 mira ad assicurare condizioni di igiene e salubrità nell’area posta intorno al cimitero, a garantire la tranquillità ed il decoro dei luoghi di sepoltura ed infine a consentire futuri ampliamenti del cimitero medesimo.
Sotto tale profilo, non sono dirimenti le argomentazioni svolte dalla parte appellante in ordine alla nozione di centro abitato, in quanto ciò che rileva è l’insistenza dei manufatti in questione nell’area di rispetto rigorosamente individuata dalla legge nella fascia dei 200 m.
4. Né, infine, rileva la circostanza che sia mancato il parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo cimiteriale, poiché l’art. 33 della L. n. 47-1985 esclude la sanatoria di opere abusive che siano in contrasto con preesistenti vincoli di inedificabilità .
Nel caso di specie i manufatti in questione, oltre ad essere totalmente abusivi, in quanto mai assentiti dall’Amministrazione Comunale, risultavano altresì in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, in quanto insistenti su una zona soggetta ad un duplice vincolo, quello paesaggistico e quello cimiteriale, regolamentata dall’art. 24 del Piano Regolatore allora vigente e dall’art. 62 del Piano Regolatore Generale adottato con deliberazione C.C. 604 del 12.07.1993.
Pertanto il mero decorso del tempo non poteva assolutamente determinare una pronuncia in senso favorevole, o, addirittura un silenzio-assenso sulla richiesta di sanatoria.
5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda,
Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore della parte appellata, spese che liquida in euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere

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