Consiglio di Stato, Sentenza|12 marzo 2021| n. 2151.
L’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione
Sentenza|12 marzo 2021| n. 2151
Data udienza 9 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Sospensione autorizzazione attività somministrazione cibi e bevande – Risarcimento danni – Presupposti – Indici presuntivi della colpevolezza – Illegittimità del provvedimento amministrativo – Colpa della pubblica amministrazione – Violazione dei canoni di imparzialità, correttezza, buona amministrazione e negligenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3120 del 2015, proposto da
Bi. Sas di Ai. Fa. Sa.& C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Pe., domiciliato presso la Segreteria Consiglio Di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Do. Do., Gu. Sa., con domicilio eletto presso lo studio Do. Do. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza n. 01238/2014, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per sospensione autorizzazione attività somministrazione cibi e bevande
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 9 marzo 2021 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti in collegamento da remoto gli avvocati Pe. e Sa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame la odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1238 del 2014 con cui il Tar Veneto ha respinto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa società, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali cagionati dal Comune di (omissis) e patiti dalla Società ricorrente a seguito del provvedimento del Comune di (omissis), Area Pianificazione, Sviluppo Attività Edilizia e Produttiva – Ufficio Attività Produttive – Commercio prot. n. 88/110 emesso il 2/1/2007, con il quale il Comune di (omissis) ha concesso alla sig.ra Di No. Maria un ulteriore termine di sospensione dell’attività di somministrazione cibi e bevande relativa all’autorizzazione n. 2/80 tipologia “A+B” fino al 31/1/2007, annullato con sentenza Tar Veneto, Sez. III, 26 luglio 2007, n. 488.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, la ditta appellante formulava i seguenti motivi di appello:
– motivazione erronea, travisata, contraddittoria, illogica e insufficiente, avendo il Tar reputato scusabile l’errore sanzionato con l’illegittimità nella precedente sentenza, in cui l’operato dell’amministrazione era stata qualificato come idoneo a condurre a risultati assurdi in sede applicativa;
– violazione dell’art. 4 l. 287 del 1991, dell’art. 97 Cost., motivazione erronea, illogica e contraddittoria, trattandosi di attività vincolata per il Comune;
– motivazione erronea in quanto proprio il giorno della scadenza della seconda proroga della sospensione dell’attività di licenza intestata alla Di No. la Bi. aveva presentato domanda di rilascio dell’autorizzazione in proprio favore.
Il Comune appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 9 marzo 2021, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. Oggetto della presente controversia è la domanda risarcitoria originariamente proposta, dedotta nuovamente nel presente giudizio di appello attraverso la critica alle argomentazioni svolte dal Giudice di prime cure.
2. Il corretto inquadramento delle deduzioni, in merito alla sussistenza dei presupposti della responsabilità risarcitoria e delle conseguenti voci di danno, presuppone un riassunto della fattispecie, svolto all’esito dell’esame della documentazione in atti. Peraltro, sul punto la ricostruzione svolta in fatto dalla sentenza di prime cure appare nella sostanza pacifica.
2.1 La società Bi. risultava titolare di una autorizzazione comunale per la conduzione di esercizi di ristorazione della tipologia “A” dell’art. 5 della legge 25 agosto 1991, n. 281, avendo in gestione un ristorante nel Comune di (omissis) presso il quale, quando vigeva il contingentamento delle autorizzazioni e l’esistenza di diversi titoli autorizzatori, non poteva svolgere le attività di cui alla tipologia “B”, per la somministrazione di prodotti da bar, gelateria, pasticceria e prodotti di gastronomia.
2.2 Con ricorso recante n. r.g. 461 del 2007 la stessa società impugnava il provvedimento con cui il Comune di (omissis) ha concesso alla Sig.ra Di No., titolare di un’autorizzazione commerciale n. 2/80 per le tipologie A e B la cui attività era già sospesa, un’ulteriore proroga del termine di sospensione dell’attività fino al 31 gennaio 2007.
2.3 Con ordinanza 26 luglio 2007, n. 488, il Tar adito accoglieva la domanda cautelare; quindi con sentenza 19 gennaio 2009, n. 67, veniva accolto il ricorso con il conseguente annullamento del provvedimento di proroga della sospensione dell’attività, limitatamente alla sola autorizzazione per la tipologia “B”.
2.4 Il Comune, in esecuzione all’ordinanza cautelare, in data 27 agosto 2007 rilasciava alla ricorrente l’autorizzazione n. 2/2007 concedendole la facoltà di esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande per la tipologia “B” congiuntamente a quella per la tipologia “A”.
Con il ricorso respinto dalla sentenza qui impugnata, la società chiedeva il risarcimento dei danni patiti per il ritardo con cui, dal 31 ottobre 2006, data in cui aveva presentato domanda di rilascio dell’autorizzazione, ha conseguito solo dopo dieci mesi (il 27 agosto 2007) l’autorizzazione commerciale, quantificandoli in Euro 37.500,00.
3. Così ricostruita la fattispecie, occorre prendere le mosse dal richiamo, in linea di diritto, delle principali coordinate dettate dalla giurisprudenza di questo Consiglio in materia di responsabilità risarcitoria della p.a.
3.1 In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 04/03/2019, n. 1500).
In materia, infatti, il diritto al risarcimento del danno presuppone una condotta non iure che abbia determinato, nel patrimonio del danneggiato, la lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico; nello specifico ambito della responsabilità civile della pubblica amministrazione per atto amministrativo illegittimo, la responsabilità risarcitoria postula, più specificamente, una spendita viziata del potere che, esorbitando dallo schema sostanziale e procedimentale delineato dalla legge attributiva, abbia leso almeno colposamente un interesse legittimo del privato, vulnerandone la sfera giuridica (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 30/11/2018, n. 6819).
3.2 Ancora di recente è stato ribadito che l’illegittimità del provvedimento amministrativo, anche laddove acclarata con l’annullamento giurisdizionale, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere più o meno vincolato (quindi, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità ) della statuizione amministrativa. Invece, l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenze, omissioni d’attività o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5409; cfr. altresì sez. IV, 4 febbraio 2020, n. 909)
3.3 In proposito, ai fini del giudizio risarcitorio a carico dei soggetti pubblici, il (necessario) requisito della colpa (c.d. d’apparato) deve essere individuato nella accertata violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero nella negligenza, nelle omissioni o negli errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; viceversa, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 24 gennaio 2020, n. 601).
4. Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, dall’analisi della complessa vicenda risultante dalla documentazione in atti, così come sopra ricostruita, emerge la sussistenza dei necessari presupposti, sia di carattere oggettivo che soggettivo.
4.1 Sul primo versante, il provvedimento ostativo alla esplicazione dell’attività avviata tardivamente è stato pacificamente oggetto di annullamento, sulla scorta di una chiara affermazione di illegittimità da parte dello stesso Tar, con una sentenza che, oltre ad essere divenuta definitiva, contiene affermazioni nette sulla erroneità del comportamento comunale.
In proposito, la pronuncia ha affermato che “l’interpretazione dell’art. 4/a suggerita dalla difesa comunale potrebbe condurre a risultati assurdi in sede applicativa dato che la “comprovata necessità ” idonea a consentire una proroga ulteriore potrebbe dipendere dal mero arbitrio del terzo e che neppure il riferimento alle gravi esigenze economiche personali appare sufficiente a giustificare la disposta concessione”.
4.2 Sul secondo versante, a fronte della evidente illegittimità come sopra evidenziata, nel caso di specie non sussistono i presupposti dell’errore scusabile, per mancanza di elementi qualificabili alla stregua di contrasti giudiziari, di incertezza del quadro normativo di riferimento o della complessità della situazione di fatto.
Sul punto, gli elementi richiamati dal Tar, in ordine alla natura meramente pretensiva della pretesa e dell’assenza di un’automatica spettanza, oltre a non riguardare l’elemento soggettivo, appaiono smentiti dal successivo rilascio del titolo auspicato, in esecuzione della stessa decisione precedente, alla stessa società, unico soggetto che risultava interessato al subentro richiesto.
4.3 Piuttosto, gli elementi invocati dalla difesa comunale assumono rilievo in termini di riduzione del quantum risarcitorio vantato. Infatti, rispetto all’intero periodo temporale prospettato di dieci mesi, in termini di ritardo imputabile alla p.a. nell’ottenimento del titolo autorizzativo auspicato, vanno detratti alcuni periodi che in termini di imputabilità, vanno qualificati ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1227 comma 1 c.c. (pacificamente applicabile al giudizio amministrativo risarcitorio), in specie a fronte della richiesta di rinvio dell’udienza cautelare, in pendenza di presunte trattative, formulata dalla stessa parte odierna appellante. Assume ulteriore rilievo, ai sensi del comma secondo dello stesso art. 1227, il periodo necessaria all’acquisizione, agli atti comunali, del parere igienico sanitario, pervenuto al Comune in data 6 marzo 2007.
4.4 Conseguentemente, la domanda risarcitoria va accolta limitatamente ad una somma che appare equo determinare, a fronte dell’incidenza degli elementi predetti ex art 1227 cit., nella metà di quella richiesta, pari quindi ad euro 18.750.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va accolto in parte qua; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado nei limiti di cui sopra.
Sussistono giusti motivi, stante la parziale riduzione del quantum risarcitorio, per compensare nella metà le spese del doppio grado di giudizio. Per la restante parte le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei limiti di cui in motivazione.
Condanna parte appellata al pagamento della metà delle spese del doppio grado di giudizio in favore di parte appellante, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate per la restante metà .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Raffaello Sestini – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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